[MI149] A vent'anni, dietro una foglia
Posted: Sun Apr 25, 2021 9:54 pm
Traccia di mezzanotte
Le foglie dei platani sul Lungotevere erano gialle e rosse, le ricordo bene. Una si sollevò col vento e venne a posarsi fra i tuoi capelli.
Prendesti il picciolo tra due dita e ti copristi il viso con quella grande mano frastagliata, e intanto ridevi.
Scendemmo le scale dei muraglioni fino a raggiungere il fiume, e ci accomodammo su due sediole in formica lasciate lì da qualche pescatore, alle spalle degli argini.
Il sole del pomeriggio inoltrato increspava di luce l'acqua verde del fiume, e mi riempii come al solito di malinconia. A quell'ora, in ogni stagione, dovrei chiudermi in casa, non gironzolare insieme a una bella ragazza tra le foglie dorate e i bagliori.
«Disegna sulla foglia gli occhi e la bocca e parliamoci così, ti va? Resto nascosta dietro. È un bel gioco!»
«Se ci passo sopra la biro si spezzerà» ti dissi, ma tu mi pregasti di provare lo stesso, premendo la penna con delicatezza: solo due ovali per gli occhi e un cuore come bocca.
Continuammo a parlare così, tu con la foglia sul viso e io che avrei voluto guardarti negli occhi. Poi anche la foglia ti venne a noia e la gettasti per terra.
«I topi! Guarda quanti topi! Che schifo! Uno sull'altro, guarda! Corrono arrampicandosi addosso! Ma quanti ce ne sono? Che vomito!»
Dove il Tevere toccava terra, dietro casa dei miei, a Fiumicino, c'era un fitto intrico di rami e assi di legno scuro, mescolati a buste di plastica nera e cassette della frutta. Su quella specie di collinetta salivano e scendevano decine di pantegane. Da bambino, con mio fratello, cercavo di colpirle sul cranio con la fionda.
Ma non ebbi voglia di raccontartelo, forse per non sembrarti brutale.
«Vuoi andare via? Dai, risaliamo. Le rive del fiume sono piene di topi, non è una novità. Andiamo a prendere un caffè. O un gelato, se preferisci» ti dissi, ma tu, ammaliata dai movimenti rapidi delle bestiole, mi scostasti con le dita la mano che ti sfiorava la spalla.
«Non è strano che facciano di continuo lo stesso movimento? Voglio dire: non fanno altro che correre, saltarsi addosso, ruotare su sè stessi, rosicchiare qualcosa, dimenare quella codaccia grassa. Dicono che sono intelligenti, i topi. Ma che fanno, nella vita, oltre a cercare il cibo e giocare ad acchiapparella?»
«E noi, in fondo, cosa facciamo? Non siamo mica tanto diversi, sai» provai a dirti, e raccolsi da terra la foglia con gli occhi e la bocca.
«Be', proprio non direi che ci somigliamo! Noi andiamo al cinema, a teatro, ai musei, viaggiamo per il mondo, conosciamo gente, ci innamoriamo.»
«Ci innamoriamo, hai ragione» dissi poggiando la foglia sul tuo viso, e avvicinando la bocca al cuore disegnato a penna. Accettasti quel bacio ridendo.
«Non è un vero bacio, però! Ho sentito il sapore della foglia, non delle tue labbra.»
Fosti tu a spostare la foglia e a baciarmi ancora, ma la malinconia mi aveva preso di nuovo con sè e invece di guardare i tuoi occhi osservavo i ratti ammucchiati uno sull'altro.
«Non mi va di fare come quei topi» dicesti staccandoti da me, «non ho nessuna voglia di avere figli. Mi va di laurearmi, e di andare a perfezionarmi all'estero. Negli Stati Uniti, o in Australia. Molto lontano da qui.
A Roma, in fondo, non c'è niente, a parte i ruderi sparsi ovunque. Oh, scusa, non l'ho detto per offenderti, non ho nulla contro il tuo lavoro. Il fatto è che il passato mi annoia. Sono giovane, voto per il futuro. Ahahah, che cosa strana ho detto, sembra quasi uno slogan: "Io voto per il futuro". Non è simpatico come motto?»
«Sì, un po' sciocco ma simpatico» ti risposi guardando l'orologio.
«Sciocco? E perchè mai ti sembra sciocco, si può sapere? Anche se ho dieci anni meno di te non significa che sia scema: guarda che un giorno potremmo essere colleghi. Mmm... no, non credo davvero che la vita accademica faccia per me. Io voglio viaggiare, vedere sempre facce nuove e cose diverse. La tua vita mi annoierebbe a morte.»
«Pensi che frequentando biologia avrai una vita così ricca di viaggi e novità?» dissi, pentendomene subito dopo. Non volevo certo polemizzare, ma ormai il guaio era fatto, e temetti una tua reazione isterica. Furono i topi a venirmi in aiuto.
«Guarda! Si baciano anche loro! Osserva quei due, come si strofinano il muso. E quelle zampette sulle spalle, come sono graziose. Quasi ti fanno scordare che animali laidi sono. Vieni qui, butta quella foglia.»
Anche i baci possono essere tristi. Se l'aria intorno è malinconica, e il fiume scorre lento verso il mare e i gabbiani stridono nel cielo rosa, e se è ottobre, o anche maggio, ed è il crepuscolo, e una famigliola di topi chiacchiera allegra intorno a un tavolo imbandito per la cena, e i genitori sorridono mentre ascoltano i figlioli parlare del loro futuro di topi astronauti o topi pompieri, se tutto, intorno, prende il colore della foglia del platano in autunno, allora anche i baci possono essere tristi.
Sei partita per gli Stati Uniti, anni dopo. Hai viaggiato, hai conosciuto tante persone, tante cose. Biologia l'hai lasciata perdere, non faceva per te.
Ti ricordo dietro quella foglia, a vent'anni, con gli occhi ovali e la bocca a cuore.
Le foglie dei platani sul Lungotevere erano gialle e rosse, le ricordo bene. Una si sollevò col vento e venne a posarsi fra i tuoi capelli.
Prendesti il picciolo tra due dita e ti copristi il viso con quella grande mano frastagliata, e intanto ridevi.
Scendemmo le scale dei muraglioni fino a raggiungere il fiume, e ci accomodammo su due sediole in formica lasciate lì da qualche pescatore, alle spalle degli argini.
Il sole del pomeriggio inoltrato increspava di luce l'acqua verde del fiume, e mi riempii come al solito di malinconia. A quell'ora, in ogni stagione, dovrei chiudermi in casa, non gironzolare insieme a una bella ragazza tra le foglie dorate e i bagliori.
«Disegna sulla foglia gli occhi e la bocca e parliamoci così, ti va? Resto nascosta dietro. È un bel gioco!»
«Se ci passo sopra la biro si spezzerà» ti dissi, ma tu mi pregasti di provare lo stesso, premendo la penna con delicatezza: solo due ovali per gli occhi e un cuore come bocca.
Continuammo a parlare così, tu con la foglia sul viso e io che avrei voluto guardarti negli occhi. Poi anche la foglia ti venne a noia e la gettasti per terra.
«I topi! Guarda quanti topi! Che schifo! Uno sull'altro, guarda! Corrono arrampicandosi addosso! Ma quanti ce ne sono? Che vomito!»
Dove il Tevere toccava terra, dietro casa dei miei, a Fiumicino, c'era un fitto intrico di rami e assi di legno scuro, mescolati a buste di plastica nera e cassette della frutta. Su quella specie di collinetta salivano e scendevano decine di pantegane. Da bambino, con mio fratello, cercavo di colpirle sul cranio con la fionda.
Ma non ebbi voglia di raccontartelo, forse per non sembrarti brutale.
«Vuoi andare via? Dai, risaliamo. Le rive del fiume sono piene di topi, non è una novità. Andiamo a prendere un caffè. O un gelato, se preferisci» ti dissi, ma tu, ammaliata dai movimenti rapidi delle bestiole, mi scostasti con le dita la mano che ti sfiorava la spalla.
«Non è strano che facciano di continuo lo stesso movimento? Voglio dire: non fanno altro che correre, saltarsi addosso, ruotare su sè stessi, rosicchiare qualcosa, dimenare quella codaccia grassa. Dicono che sono intelligenti, i topi. Ma che fanno, nella vita, oltre a cercare il cibo e giocare ad acchiapparella?»
«E noi, in fondo, cosa facciamo? Non siamo mica tanto diversi, sai» provai a dirti, e raccolsi da terra la foglia con gli occhi e la bocca.
«Be', proprio non direi che ci somigliamo! Noi andiamo al cinema, a teatro, ai musei, viaggiamo per il mondo, conosciamo gente, ci innamoriamo.»
«Ci innamoriamo, hai ragione» dissi poggiando la foglia sul tuo viso, e avvicinando la bocca al cuore disegnato a penna. Accettasti quel bacio ridendo.
«Non è un vero bacio, però! Ho sentito il sapore della foglia, non delle tue labbra.»
Fosti tu a spostare la foglia e a baciarmi ancora, ma la malinconia mi aveva preso di nuovo con sè e invece di guardare i tuoi occhi osservavo i ratti ammucchiati uno sull'altro.
«Non mi va di fare come quei topi» dicesti staccandoti da me, «non ho nessuna voglia di avere figli. Mi va di laurearmi, e di andare a perfezionarmi all'estero. Negli Stati Uniti, o in Australia. Molto lontano da qui.
A Roma, in fondo, non c'è niente, a parte i ruderi sparsi ovunque. Oh, scusa, non l'ho detto per offenderti, non ho nulla contro il tuo lavoro. Il fatto è che il passato mi annoia. Sono giovane, voto per il futuro. Ahahah, che cosa strana ho detto, sembra quasi uno slogan: "Io voto per il futuro". Non è simpatico come motto?»
«Sì, un po' sciocco ma simpatico» ti risposi guardando l'orologio.
«Sciocco? E perchè mai ti sembra sciocco, si può sapere? Anche se ho dieci anni meno di te non significa che sia scema: guarda che un giorno potremmo essere colleghi. Mmm... no, non credo davvero che la vita accademica faccia per me. Io voglio viaggiare, vedere sempre facce nuove e cose diverse. La tua vita mi annoierebbe a morte.»
«Pensi che frequentando biologia avrai una vita così ricca di viaggi e novità?» dissi, pentendomene subito dopo. Non volevo certo polemizzare, ma ormai il guaio era fatto, e temetti una tua reazione isterica. Furono i topi a venirmi in aiuto.
«Guarda! Si baciano anche loro! Osserva quei due, come si strofinano il muso. E quelle zampette sulle spalle, come sono graziose. Quasi ti fanno scordare che animali laidi sono. Vieni qui, butta quella foglia.»
Anche i baci possono essere tristi. Se l'aria intorno è malinconica, e il fiume scorre lento verso il mare e i gabbiani stridono nel cielo rosa, e se è ottobre, o anche maggio, ed è il crepuscolo, e una famigliola di topi chiacchiera allegra intorno a un tavolo imbandito per la cena, e i genitori sorridono mentre ascoltano i figlioli parlare del loro futuro di topi astronauti o topi pompieri, se tutto, intorno, prende il colore della foglia del platano in autunno, allora anche i baci possono essere tristi.
Sei partita per gli Stati Uniti, anni dopo. Hai viaggiato, hai conosciuto tante persone, tante cose. Biologia l'hai lasciata perdere, non faceva per te.
Ti ricordo dietro quella foglia, a vent'anni, con gli occhi ovali e la bocca a cuore.