[MI149] Pane e latte
Posted: Sun Apr 25, 2021 9:35 pm
Traccia di Mezzanotte
Pane e latte
«Ecco, quella è la cucina» disse Alda alla nuova cuoca al termine del giro, nella voce quasi un sospiro. Entrò dopo di lei, in una mano la copia pendula del mazzo di chiavi, nell’altra un pensiero adagiato sul mento, la osservava di spalle, completando il ritratto con gli ultimi dettagli.
La donna entrò sorridendo, spaziando con lo sguardo dai pensili agli elettrodomestici, apprezzando subito l’efficiente distribuzione degli spazi: quella sarebbe stata la sua sala comandi. D’un tratto percepì il rapidissimo spostamento di qualcosa sul pavimento bianco. Da sotto una madia un topolino stava correndo velocissimo verso la porta antistante, che dava sul giardino. «Uh!» gridò d’istinto la donna. «Che schifo, un topo!»
Alda guardò la creatura mentre si dava alla fuga verso il giardino, forse colta di sorpresa dal loro ingresso. Uno sguardo beffardo le rimbalzò di lato «È solo un topolino, stia calma. Siamo in campagna…» non riuscì a svestire la voce di ironia.
«Lo so signora, ma non ne avevo mai visto uno prima, dal vivo. Mi ha spaventata la velocità» la donna rintanò la testa tra le spalle e si raccolse tra le braccia. «Sembrava che potesse arrivare dappertutto ancor prima di capire cosa stavo guardando. Brrrr» la donna mimò un brivido. Poi, cercando la complicità di Alda, aggiunse: «Non è vero?»
«Avrà avuto il suo da fare» chiosò lei con un sorriso non troppo benevolo. «Queste sono le chiavi» disse porgendogliele.
La cuoca sorrise e le prese, pensò che con quella risposta volesse in qualche modo esortarla, così aggiunse «Vuole che chiami la derattizzazione? O ci pensa lei?»
Alda la guardò, come assorta. «No! Non serve, vada pure» rispose ancora assente.
La cuoca lasciò la cucina un po’ perplessa, cercando di familiarizzare con le chiavi.
«Ci pensa lei, allora?» la donna cercava risposte da sua madre. «O ci pensa suo marito?»
Il volto smarrito di sua madre, investito dal tono aggressivo della padrona di casa, volgeva al pallido.
«Non campo mica di beneficenza, io!» la donna girò la testa e vide Alda sul lettino all’angolo sinistro della soffitta, stretta e disadorna, vicino a quello matrimoniale.
Sua madre seguì lo sguardo della donna e scoprendosi osservata, con voce bassa, le rispose: «Ci dia tempo signora, la prego», come sussurrando un segreto a un orecchio amico.
La padrona, imbarazzata, non riuscì a trattenere un giudizio: «Quella povera creatura», disse aggravando il tono. «Qui bisogna risolvere! O pagate o ve ne andate!» Si avviò verso la porta. Come a volersi giustificare, aggiunse: «Non sono Mica ricca, io! Una settimana e basta».
Sua madre richiuse la porta ancora scossa dall’improvviso confronto, Alda la guardava attenta dal letto disfatto, gli occhi ben aperti registravano ogni movimento. L’improvviso sfrigolare sulla fiamma la fece trasalire e corse al fornello; con lestezza, afferrò un canovaccio e tolse il pentolino del latte dalla fiamma, prima che la schiuma debordasse. Il coperchio traforato sul bricco aveva accelerato il bollore e adesso avrebbero dovuto aspettare che si raffreddasse, prima di poter cenare. Immersa nei suoi pensieri, dispose le tazze e spezzò il pane in tanti bocconi da inzuppare, che avrebbero riempito la pancia almeno fino al mattino successivo. «Alda, vieni amore.»
La bambina lasciò il letto e si arrampicò sulla sedia, cercando nuove posizioni. Sua madre si avvicinò alla finestrella che dava sulla piazzetta, cercando nella foschia un cappotto familiare. La mano sulla bocca, a trattenere i pensieri. Alda, seduta al tavolo, di riflesso si coprì la bocca con entrambe le mani, poi solo con una, cercando la massima reciprocità. Non sapeva bene cosa stesse accadendo, ma funzionava così. Ogni emozione era sempre condivisa.
Cenarono alla luce del lume a petrolio. La schiuma del latte bollito formava una pellicola di panna di cui Alda era molto golosa e, per questo, sua madre lasciava che fosse lei a inzuppare il pane, quando questa fosse finita. Ogni tanto la scopriva a giocare con la mollica bagnata e le diceva di smettere, ma Alda era veloce. Nascondeva nella mano qualche crosta molliccia e la infilava in tasca, poi rituffava il cucchiaio nella tazza e gustava un nuovo boccone.
Cominciava a far freddo, così la bambina si cambiò e andò a infilarsi nel letto, un segreto nelle mani. Si rannicchiò sotto le coperte di lana pungente cercando di scaldarsi, portò poi le mani a nicchia di fronte alla bocca, e alitò calore su un corpicino nero e peloso. Un piccolo topo dei tetti, che aveva nutrito e a cui aveva insegnato la fiducia, unico amico nelle notti povere della sua infanzia.
Nell’ora più tarda la porta si aprì e fu richiusa con lo schiocco secco del paletto. Qualcuno buttò la lunga chiave di ferro sul tavolo, senza riguardo. Il topino scappò dal ricovero di Alda e si rifugiò nel suo nascondiglio, dentro lo zoccolo schiodato, tra il letto e la parete. Alda si girò nel letto e vide sua madre che, prima appisolata sulla sedia di paglia, si stava risollevando facendola crepitare. Posò il materiale da ricamo sul tavolo e con voce mesta disse «È tornata, oggi.»
Suo padre si tolse il cappotto «Ah!» strofinò le mani e con quelle si sfregò il viso rubizzo. «E che ha detto?» espirando il suo fastidio.
«Lo sai» lo sguardo basso, non poteva essere troppo diretta.
«E tua madre? Quando viene?» le chiese senza alcun affetto.
«Dopodomani…»
«Uhm! Bene! Finalmente, si mangia!»
«…» non seppe rispondere.
«Ci pensa lei? Voglio dire… Alla padrona.»
«…» non volle rispondere.
Alda si rigirò verso la parete, tirò fuori l’ultimo boccone di pane umido e lo posò sul cuscino, sperando nel ritorno del topino.
Alda, rimasta sola in cucina, aprì il cassetto e tirò fuori qualche scampolo di stoffa, dei cereali e alcune scaglie di parmigiano che aveva preparato. Si inginocchiò e vide sotto la madia lo zoccolo leggermente staccato. Vi lasciò davanti le scorte, sapendo che presto il freddo sarebbe tornato. Mormorò: «Ci penso io».
Pane e latte
«Ecco, quella è la cucina» disse Alda alla nuova cuoca al termine del giro, nella voce quasi un sospiro. Entrò dopo di lei, in una mano la copia pendula del mazzo di chiavi, nell’altra un pensiero adagiato sul mento, la osservava di spalle, completando il ritratto con gli ultimi dettagli.
La donna entrò sorridendo, spaziando con lo sguardo dai pensili agli elettrodomestici, apprezzando subito l’efficiente distribuzione degli spazi: quella sarebbe stata la sua sala comandi. D’un tratto percepì il rapidissimo spostamento di qualcosa sul pavimento bianco. Da sotto una madia un topolino stava correndo velocissimo verso la porta antistante, che dava sul giardino. «Uh!» gridò d’istinto la donna. «Che schifo, un topo!»
Alda guardò la creatura mentre si dava alla fuga verso il giardino, forse colta di sorpresa dal loro ingresso. Uno sguardo beffardo le rimbalzò di lato «È solo un topolino, stia calma. Siamo in campagna…» non riuscì a svestire la voce di ironia.
«Lo so signora, ma non ne avevo mai visto uno prima, dal vivo. Mi ha spaventata la velocità» la donna rintanò la testa tra le spalle e si raccolse tra le braccia. «Sembrava che potesse arrivare dappertutto ancor prima di capire cosa stavo guardando. Brrrr» la donna mimò un brivido. Poi, cercando la complicità di Alda, aggiunse: «Non è vero?»
«Avrà avuto il suo da fare» chiosò lei con un sorriso non troppo benevolo. «Queste sono le chiavi» disse porgendogliele.
La cuoca sorrise e le prese, pensò che con quella risposta volesse in qualche modo esortarla, così aggiunse «Vuole che chiami la derattizzazione? O ci pensa lei?»
Alda la guardò, come assorta. «No! Non serve, vada pure» rispose ancora assente.
La cuoca lasciò la cucina un po’ perplessa, cercando di familiarizzare con le chiavi.
«Ci pensa lei, allora?» la donna cercava risposte da sua madre. «O ci pensa suo marito?»
Il volto smarrito di sua madre, investito dal tono aggressivo della padrona di casa, volgeva al pallido.
«Non campo mica di beneficenza, io!» la donna girò la testa e vide Alda sul lettino all’angolo sinistro della soffitta, stretta e disadorna, vicino a quello matrimoniale.
Sua madre seguì lo sguardo della donna e scoprendosi osservata, con voce bassa, le rispose: «Ci dia tempo signora, la prego», come sussurrando un segreto a un orecchio amico.
La padrona, imbarazzata, non riuscì a trattenere un giudizio: «Quella povera creatura», disse aggravando il tono. «Qui bisogna risolvere! O pagate o ve ne andate!» Si avviò verso la porta. Come a volersi giustificare, aggiunse: «Non sono Mica ricca, io! Una settimana e basta».
Sua madre richiuse la porta ancora scossa dall’improvviso confronto, Alda la guardava attenta dal letto disfatto, gli occhi ben aperti registravano ogni movimento. L’improvviso sfrigolare sulla fiamma la fece trasalire e corse al fornello; con lestezza, afferrò un canovaccio e tolse il pentolino del latte dalla fiamma, prima che la schiuma debordasse. Il coperchio traforato sul bricco aveva accelerato il bollore e adesso avrebbero dovuto aspettare che si raffreddasse, prima di poter cenare. Immersa nei suoi pensieri, dispose le tazze e spezzò il pane in tanti bocconi da inzuppare, che avrebbero riempito la pancia almeno fino al mattino successivo. «Alda, vieni amore.»
La bambina lasciò il letto e si arrampicò sulla sedia, cercando nuove posizioni. Sua madre si avvicinò alla finestrella che dava sulla piazzetta, cercando nella foschia un cappotto familiare. La mano sulla bocca, a trattenere i pensieri. Alda, seduta al tavolo, di riflesso si coprì la bocca con entrambe le mani, poi solo con una, cercando la massima reciprocità. Non sapeva bene cosa stesse accadendo, ma funzionava così. Ogni emozione era sempre condivisa.
Cenarono alla luce del lume a petrolio. La schiuma del latte bollito formava una pellicola di panna di cui Alda era molto golosa e, per questo, sua madre lasciava che fosse lei a inzuppare il pane, quando questa fosse finita. Ogni tanto la scopriva a giocare con la mollica bagnata e le diceva di smettere, ma Alda era veloce. Nascondeva nella mano qualche crosta molliccia e la infilava in tasca, poi rituffava il cucchiaio nella tazza e gustava un nuovo boccone.
Cominciava a far freddo, così la bambina si cambiò e andò a infilarsi nel letto, un segreto nelle mani. Si rannicchiò sotto le coperte di lana pungente cercando di scaldarsi, portò poi le mani a nicchia di fronte alla bocca, e alitò calore su un corpicino nero e peloso. Un piccolo topo dei tetti, che aveva nutrito e a cui aveva insegnato la fiducia, unico amico nelle notti povere della sua infanzia.
Nell’ora più tarda la porta si aprì e fu richiusa con lo schiocco secco del paletto. Qualcuno buttò la lunga chiave di ferro sul tavolo, senza riguardo. Il topino scappò dal ricovero di Alda e si rifugiò nel suo nascondiglio, dentro lo zoccolo schiodato, tra il letto e la parete. Alda si girò nel letto e vide sua madre che, prima appisolata sulla sedia di paglia, si stava risollevando facendola crepitare. Posò il materiale da ricamo sul tavolo e con voce mesta disse «È tornata, oggi.»
Suo padre si tolse il cappotto «Ah!» strofinò le mani e con quelle si sfregò il viso rubizzo. «E che ha detto?» espirando il suo fastidio.
«Lo sai» lo sguardo basso, non poteva essere troppo diretta.
«E tua madre? Quando viene?» le chiese senza alcun affetto.
«Dopodomani…»
«Uhm! Bene! Finalmente, si mangia!»
«…» non seppe rispondere.
«Ci pensa lei? Voglio dire… Alla padrona.»
«…» non volle rispondere.
Alda si rigirò verso la parete, tirò fuori l’ultimo boccone di pane umido e lo posò sul cuscino, sperando nel ritorno del topino.
Alda, rimasta sola in cucina, aprì il cassetto e tirò fuori qualche scampolo di stoffa, dei cereali e alcune scaglie di parmigiano che aveva preparato. Si inginocchiò e vide sotto la madia lo zoccolo leggermente staccato. Vi lasciò davanti le scorte, sapendo che presto il freddo sarebbe tornato. Mormorò: «Ci penso io».