[MI 149] Una pietra sul cuore

1
Tema di mezzogiorno
commento viewtopic.php?p=14227#p14227

Kambeddu sapeva che l’altopiano del signore Babarant non era l’unico della poca terra rimasta emersa, ma quello era tutto ciò che conosceva del mondo. Intorno all’altopiano un immenso mare scuro, dal forte odore di sale e paglia marina in decomposizione.
«Ci vorrebbe una bella tempesta per pulire l’aria, che dici vecchio?»
Homar sembrava quasi gentile, Kambeddu lo aveva visto nascere sull’altopiano. Annuì pensieroso guardando la moltitudine di piccoli isolotti che circondavano la loro barca. Ogni tanto Homar si avvicinava al grosso motore fuoribordo che perdeva colpi ed emanava un forte odore di gasolio che mischiandosi all’odore del mare rendeva quella giornata di sole quasi piacevole. Scambiava qualche parola con il guidatore e le altre guardie che comandava; tutti avevano le magliette nere grondanti di sudore salato e bianco.
Anche Kambeddu indossava una maglietta nera come loro, ma nessuno lo avrebbe mai scambiato per una guardia di Babarant. Era troppo anziano e troppo triste.
«Io avrei scelto un’isolotto più vicino» disse Homar, guardando preoccupato l’altopiano che si allontanava e assicurandosi che i caricatori dei fucili fossero pieni. «Ma Babarant mi ha chiesto di venire proprio a Jenusa. Dice che glielo hai consigliato tu.
«Bisogna fare come dice lui»»
«Si, ma tu un tempo eri di Jenusa»
«Tanto tempo fa»
Homar si grattò la barba nera e ispida. «La tua famiglia?»
Kambeddu sorrise appena. «Morti. Tutti»
«E tu non ci sei mai più tornato…»
«No. Dovevo servire il signore di Babarant. Prima suo nonno, poi suo padre e ora lui»
«Eppure Jenusa non è molto lontana dall’altopiano. Non ti è mai venuta voglia di fuggire e di tornare dalla tua gente?»
«Lo avrei fatto se i miei fossero stati ancora in vita. Ma a cosa mi sarebbe servito? Questo arcipelago è grande, ma anche piccolo. Prima o poi a cercare si trova tutto»
Homar annuì guardando l’orizzonte. «Ho parlato con Babarant. So che la tua famiglia venne uccisa da suo nonno quando eri un bambino. Ti risparmiarono per una scommessa vinta e per servire sull’altopiano. Io non ero ancora nato. Ma hai ragione: è passato tanto tempo. La tua famiglia non esiste più» Homar teneva fra le ginocchia il fucile unto d’olio e fumava silenzioso, sorridendo.

A Jenusa accolsero in silenzio la barca, aiutando le guardie a ormeggiare in un piccolo porticciolo naturale. Un’alta torre di pietra bianca si ergeva appena oltre la scogliera, circondata da olivastri e carrubi. Era accorsa della folla che guardava in silenzio gli uomini.
«State pure tranquilli» diceva Homar con i piedi nell’acqua e tenendo alto il fucile. «Non siamo venuti per riscuotere la decima del vostro signore» Si guardò intorno considerando quei visi silenziosi. «Anche se siamo certi che ci darete qualcosa da bere e da mangiare, come sempre»
Gli uomini annuirono portando alcune brocche di vino, alle quali Homar e i suoi si attaccarono con piacere.
«Tu non bevi?» disse qualcuno porgendo una brocca a Kambeddu che la prese in silenzio, bevendo alcuni sorsi.
«Buona vigna, amara» disse restituendo la brocca.
«Sempre stata così» gli fu risposto.

L’oggetto dello sbarco era la torre di pietra bianca, una delle costruzioni più considerevoli dell’isolotto e il suo circondario boscoso. L’interno della vecchia fortezza era spazioso, suddiviso in tre piani. In quello di mezzo era stata allestita una sala da pranzo con tavoli e panche di rovere.
«Quindi qui farà festa Babarant, la famiglia e i suoi ospiti? Ma non ci staranno tutti!» disse Homar contrariato.
«Qui solo Babarant e la famiglia. Gli ospiti si accomoderanno fuori della torre, all’ombra degli ulivi. Staranno molto bene al fresco. Ma se vuoi fare cambiamenti li facciamo» disse Kambeddu.
Homar ci pensò e poi disse «Può anche andare così. Si può sempre cambiare all’ultimo momento»

I giorni successivi vennero altre barche mandate da Babarant; alcuni dei suoi uomini si piazzarono a Jenusa, mangiando, bevendo e ubriacandosi. Fra di loro c’era anche Quilian, il figlio maggiore di Babarant. La cerimonia riguardava lui; il padre aveva deciso di festeggiare in uno dei suoi possedimenti la maggiore età del figlio. Quilian non era mai sceso dall’altopiano in vita sua, vedeva il mare dall’alto, contornato da innumerevoli isolotti, possedimenti della sua famiglia e quello era il suo mondo. D’altronde aveva tutto quello che si poteva desiderare sull’altopiano. I signori e i servi delle isole, pur essendo circondati dall’acqua non l’amavano e preferivano la poca terra rimasta nel mondo.

Quilian camminò per tutti i confini di Jenusa, accompagnato dalle sue guardie e dai servitori, mangiando e dormendo all’aperto, che si era nella bella stagione. Imparò a nuotare, in acque profonde e talmente limpide che immergendosi gli sembrava di librarsi nell’aria. Mangiò del pesce arrostito al fuoco sulla spiaggia, capre selvatiche, cervi e cinghiali catturati a caccia.
Fu in una di queste sere che conobbe Kinisia una delle ragazze che servivano gli uomini a tavola. Come figlio del padrone avrebbe potuto prenderla a suo piacimento, ma non lo fece e Homar lo rimproverò scherzosamente, dicendo che se del caso ci avrebbe pensato lui.
Con altrettanta allegria Quilian gli disse «Se lo farai, o una delle guardie lo farà, ti ucciderò»

«Sei sicuro che abbia detto proprio così?»
«Si Kambeddu», disse il vecchio Joberte. «Lo hanno sentito»
Kambeddu rimuginava queste cose nei giorni seguenti, durante i preparativi della cerimonia. Seguiva i lavori muovendosi in libertà, ricordando i luoghi della sua infanzia, ritrovando qualche vecchio coetaneo, rievocando antiche storie.
Sapevano che aveva servito i tiranni Babarant, che non aveva avuto scelta e sapevano che prima o poi si sarebbe vendicato per quello che gli avevano fatto, anche dopo molti anni. Era la loro legge non scritta.
La vendetta avrebbe anche sancito la sua fine. Nessuna fuga sarebbe stata possibile, non a lungo e poi non avrebbe potuto: era vecchio, dove poteva andare? Anche uscendo da quell’arcipelago di isole e raggiungendo un altro luogo non avrebbe avuto senso ricominciare una vita. Il suo tempo era quasi finito. Voleva far capire al tiranno quanto dolore si provava nel perdere la propria famiglia. Per anni aveva lavorato e rimuginato in silenzio. Era morto Babarant l’autore della sua infelicità e aveva servito il padre. Era morto anche lui e aveva servito il figlio, l’attuale tiranno che ricordava vagamente la storia di Kambeddu, tanto lontana da essere velata di leggenda. E poi Kambeddu era un cerimoniere perfetto, organizzatore di banchetti e feste con i migliori prodotti che venivano riscossi dai servi delle isole  nel mare intorno all’altopiano.
Spesso il tiranno si trovava a parlare quasi in confidenza con Kambeddu e gli aveva rivelato di voler festeggiare la maggiore età del suo primogenito in una delle sue isole. Aveva nulla in contrario a organizzare una festa a Jenusa? Disse un giorno con leggerezza.
Qualunque vostro desiderio è un ordine, aveva risposto Kambeddu, che da allora non era più riuscito a dormire. Sarebbe tornato alla sua terra! E avrebbe avuto modo di vendicarsi! Si era portato il pensiero della vendetta per anni, tutti i giorni della sua vita.

Ora Kambeddu camminava di notte nel bosco ai margini di una spiaggia. Sentì delle voci e rallentò il passo, avanzando piano. Sulla riva del mare vide Quilian che andava a fianco di Kinisia. I due ragazzi si tenevano per mano e sorridevano. Si fermarono, si sdraiarono e si baciarono, con l’acqua che luccicava sotto la luna piena, avvolti dall’odore del mare e del bosco. Kambeddu strinse il coltello che teneva in tasca.
Sarebbe stato facile, molto facile sgozzare Quilian come un capretto in quel momento. E Kinisia? Erano felici. Non era giusto. Non era giusto. Prese il coltello, lo gettò lontano. Per la prima volta da quando era bambino sentì il suo cuore diventare leggero, come se si fosse tolta una pietra.
Per la prima volta si sentì felice. Allora pianse.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 149] Una pietra sul cuore

2
@Alberto Tosciri  passo per un commentino, anzitutto complimenti per i nomi Babarant più di tutti mi ricorda l'eco dei nomi biblici.
Avrei voluto iniziare dal commento formale ma mi sembra che la forma e la punteggiatura siano molto curate, l'unica cosa che ho da segnalare è
Alberto Tosciri ha scritto: Prima o poi a cercare si trova tutto
mi suona meglio se mantieni entrambe i verbi con la costruzione impersonale "se si cerca si trova tutto, prima o poi"; 
Alberto Tosciri ha scritto: Quindi qui farà festa Babarant, la famiglia e i suoi ospiti
in questo caso è meglio volgere il verbo al plurale, a meno che tu non dica "qui farà festa Babarant, con la sua famiglia e con i suoi ospiti"
Alberto Tosciri ha scritto: contornato da innumerevoli isolotti, possedimenti della sua famiglia
qui secondo me ci starebbe meglio "tutti possedimenti della sua famiglia"

Dal punto di vista contenutistico, hai speso molti caratteri per il world building integrandolo bene e offrendocene la visione attraverso gli occhi del protagonista ma si sente che c'è altro sotto, come se la storia restasse sacrificata per la presentazione del mondo, perché tutto acquista senso se si legge il racconto a partire dal capoverso finale.
Il fatto che tu abbia scelto questi nomi non so perchè mi ha fatto pensare a una terra a metà tra i Paesi Arabi e l'Africa. Nel complesso è un racconto piacevole, che però secondo me aveva bisogno di un po' più di respiro.

Re: [MI 149] Una pietra sul cuore

3
Grazie @Kore 
Hai ragione, la storia andrebbe spiegata più a lungo... uno dei miei tanti progetti nel cassetto, troppi a dire il vero. Mi piace inventare nomi, questi li avevo già da parte e mi rifaccio sempre a suoni che potrebbero ricordare il Mediterraneo, il Nord Africa e l'Arabia, luoghi che amo particolarmente.
Concordo con le tue correzioni,  italianamente e grammaticalmente  giuste. Io appositamente ho usato dei termini un po' contorti in italiano, derivati dalla traduzione letterale dal sardo. In italiano suonano così, mi piaceva quel modo...  :)
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 149] Una pietra sul cuore

4
Storia di una vendetta covata in cuore per anni, che evapora e toglie il suo peso dal cuore. 
Perché il peccato del sangue versato dai padri non può ricadere sui figli, sui nipoti.

E comunque la vendetta schiaccia chi la concepisce, che ne diventa schiavo.

E quindi è giusto, è bello l'epilogo al tuo racconto, @Alberto Tosciri :) 
Alberto Tosciri ha scritto: Erano felici. Non era giusto. Non era giusto. Prese il coltello, lo gettò lontano. Per la prima volta da quando era bambino sentì il suo cuore diventare leggero, come se si fosse tolta una pietra.
Per la prima volta si sentì felice. Allora pianse.
Le scelte giuste fanno stare bene.  :si:

 
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI 149] Una pietra sul cuore

6
Un racconto senza tempo e senza luogo, anche se la presenza degli ulivi lasciano intuire l'area. Ma non è detto, con i cambiamenti climatici, potrebbero anche nascere in Scandinavia. Magari fra mille anni. Come il tuo racconto: potrebbe essere ambientato mille anni indietro o mille in avanti. Ha un che di epico e si intuisce la tua passione per i classici.
Senz'altro è un'interpretazione originale della traccia, in questi luoghi misteriosi. Il tema dell'acqua forse poteva essere più protagonista, dandoci qualche appiglio maggiore sulla trasformazione del paesaggio anche se si intuisce che tutti quei isolotti una volta dovevano o essere una terra unica.
Una storia commovente, bella @Alberto Tosciri

Re: [MI 149] Una pietra sul cuore

7
Alberto Tosciri ha scritto: Buona vigna, amara» disse restituendo la brocca.
«Sempre stata così» gli fu risposto.
Eccezionale botta e risposta.
Una storia "dilatata", Alberto, come solo tu sai scrivere: dedizione, onore, amore, odio, desiderio, vendetta, amicizia, calore, solitudine, dolore; ma anche riflessione, e pace. E poi la natura: la natura nel suo aspetto selvaggio e vitale.
Intravedo molto della tua Sardegna, e molto dello splendore delle terre che si affacciano sul Mediterraneo. Mi viene da pensare che Kambeddu cambi idea e rinunci alla vendetta non tanto perché s'intenerisce alla vista di Quilian insieme alla ragazza, ma perché il giovane, nei giorni precedenti, ha dato ai suoi occhi prova di purezza di sentire e nobiltà d'animo quando difende l'onore della donna.
Grazie, @Alberto Tosciri.
https://www.amazon.it/rosa-spinoZa-gust ... B09HP1S45C

Re: [MI 149] Una pietra sul cuore

8
Alberto Tosciri ha scritto: Homar annuì guardando l’orizzonte. «Ho parlato con Babarant. So che la tua famiglia venne uccisa da suo nonno quando eri un bambino. Ti risparmiarono per una scommessa vinta e per servire sull’altopiano. Io non ero ancora nato. Ma hai ragione: è passato tanto tempo. La tua famiglia non esiste più»
Ciao @Alberto Tosciri 
Quel passaggio che ti ho indicato sopra è l’unico che mi piace poco. Ė un piccolo infodump a beneficio del lettore del quale avresti potuto fare a meno. 
Il resto del racconto è bellissimo. È una vera storia di cui ho apprezzato particolarmente quella sorta di “atemporalita”.
Futuro o passato? Non importa. Mi è piaciuta la scelta dei nomi  perfettamente coerente per una storia senza tempo dove, senza rinunciare al tuo stile, hai saputo dare un’interpretazione poderosa della traccia. Ottimo.

Re: [MI 149] Una pietra sul cuore

10
Grazie @Poeta Zaza 
Si alla fine la vendetta divora l'anima ancora prima di compierla. Meglio cambiare atteggiamento.

Grazie @Alba359
Gentilissima, le tue parole mi hanno fatto piacere. Contento che il racconto ti sia piaciuto.

Grazie @Kasimiro 
Si, una terra senza tempo, senza luogo, potrebbe essere ovunque ma più che altro in ambito mediterraneo. Quel tanto di epico, da civiltà perduta o postapocalittica lo inserisco spesso in quello che scrivo, amo il classico ma a voler ben guardare  tutta la vita anche la più banale ha in sé qualcosa di epico, pur nelle sue azioni più ordinarie a voler spostare il punto di osservazione.
Ci voleva più acqua, come da traccia, diciamo qualche bagno in più... :)

Grazie @Ippolita 
per le tue bellissime parole... quanti belli aggettivi! Hai visto tutto bene, compresa l'ambientazione, sia pure non esplicita; ci ho messo buona parte del mio immaginario, dei miei desideri.
Kambeddu rinuncia alla vendetta perché compiange se stesso, i suoi lunghi anni a rimuginare inutilmente  una vendetta, attraverso generazioni (sarebbe interessante raccontare: ci sarebbero sorprese...) e.. si, tutto ha contribuito a farlo desistere: stanchezza, vecchiaia, amori perduti, visione della bellezza, dell'onore, dell'amore che è andato avanti nonostante i suoi pensieri... tanta roba.

Grazie @Monica
Concordo su quel infodump, me ne sono accorto ma non sono riuscito a farne a meno, preferivo fosse un personaggio come Homar a parlarne, sia pure in un modo che volevo disinteressato, come a dire che era acqua passata per tutti. Sono armati ma non sono uomini violenti ad ogni costo. Qualcosa è successo. Storia senza tempo anche, con nomi che non dovrebbero avere riscontri con l'attualità, non troppi almeno.

Grazie @Edu 
L'Arcadia, anche distopica, è sempre una croce e una delizia. Ricordi... "Et in Arcadia ego..." nel quadro di Poussin?  Se si parte da lì... il mondo non basta...  :)  
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 149] Una pietra sul cuore

11
ciao @Alberto Tosciri . Solo noi sardi sappiamo che cosa è l'arte della vendetta  (y)  Il tuo racconto mi sa di rivisitazione della vendetta barbaricina che, dato che qui nessuno la conosce, è quel depositare la croce sull'uomo vivo ma morto dal momento che si è deciso sulla sua sorte. Tale atavica vendetta è stata anche il frutto di tanta letteratura della Deledda. L'uomo che cammina a ridosso dei sentieri, o dei torrenti, segnato dalla croce. Uomini vivi ma morti: è solo una questione di tempo, e il tempo, torna utile quando si ha la necessità di farla franca dell'omicidio. La vendetta istantanea è la prova della colpevolezza, ma se la si compie dopo dieci anni, chi mai può dire chi è stato? Scusami Alberto per questo sconfinamento. Per il resto, vedo molti nomi inventati ma che mi riportano alla nostra terra. Il nome di Kambeddu, Jenusa che ricorda Ichnusa, arcaico nome della nostra terra. La vendetta però non si compie, ed è questa la novità dentro al contesto tremendamente isolano...ciao Alberto..
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [MI 149] Una pietra sul cuore

12
Ciao @bestseller2020 
Si hai ragione, si tratta di una rivisitazione della vendetta barbaricina, che colpisce anche per generazioni. In un primo tempo non volevo farlo ma poi ho pensato che abbiamo già avuto abbastanza dolore che si poteva sperare che qualcuno potesse anche gettare il coltello, togliersi quella pietra dal cuore.
A te non poteva sfuggire questa  anomalia e anche il fatto dei nomi, che derivano quasi tutti dal sardo, seppure opportunamente modificati e inventati. Non si sa mai che becco qualche nome vero...
E Janusa... si è lei: è Ichnusa...
Tu la conoscerai sicuramente, metto sotto una canzone che parla di vendetta, una tremenda vendetta cantata da un uomo alla madre disperata, consapevoli  entrambi che la loro vita sarà rovinata per sempre. Ma l'uomo compirà la sua vendetta. Perché è così che è sempre stato.
Se qualcun altro va a vedere ho messo pure una traduzione in italiano.
Ciao...

Quanto hai sofferto per causa mia, o madre mia,
in quel tempo di strazio profondo,
quando uccisero mio fratello
che non aveva commesso neanche il minimo reato.
 
Era un innocente agnellino che succhiava dalla mamma
il bianco latte dell’innocenza, condito con la speranza di una lunga vita.
Era un fiorellino che s’affaccia sorridente
quando i rintocchi delle campane annunciano la festa.
 
Non si poteva sopportare
tanto dolore, o madre mia;
io dovevo colpirlo malamente
e l’ho barbaramente massacrato.
 
“Muori colpito dalla mano del fratello
che hai ucciso, non posso perdonarti;
muori colpito dalla mano del fratello
che hai assassinato, non posso perdonarti”.
 
Il cuore tuo è distrutto, o madre mia,
ma lui non aveva più il diritto di vivere;
in prigione poteva ancora godere dei piaceri della vita,
mio fratello gode solo della fredda terra che lo ricopre.
 
Il sangue sardo si ribella, io dovevo
cercarlo e  compiere la mia vendetta;
aveva ucciso mio fratello, che era anche tuo figlio, o madre mia,
l’assassino doveva pagare con la stessa moneta.
 
Non si poteva sopportare
tanto dolore, o madre mia;
Io dovevo colpirlo malamente
e l’ho massacrato barbaramente.
 
“Muori colpito dalla mano del fratello
che hai ucciso, non posso perdonarti;
muori colpito dalla mano del fratello
che hai assassinato, non posso perdonarti”.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 149] Una pietra sul cuore

13
Ciao @Alberto Tosciri,
ho letto il tuo racconto e l'ho trovato molto denso, mi sembra addirittura più lungo di 8k caratteri. Questo effetto l'ho avuto anche con altri brani. Si sente che potrebbe far parte di qualcosa di più ampio ed è scritto molto bene, è ricco.
Ho avuto difficoltà con i nomi in alcuni punti, per cui ho dovuto rallentare il ritmo di lettura. Un po' perché sono nomi particolari, un po' perché tra nomi di persone e nomi di luogo ci avviciniamo alla decina, credo e forse sono un po' tanti per un racconto di 8000 caratteri (parla quella che non ne dà nessuno che non sia il protagonista xD ). Non sto dicendo che è sbagliato, è solo un mio punto di vista. Partiamo con tre solo all'inizio.
In particolare mi sono bloccata in questo punto:
Era morto Babarant l’autore della sua infelicità e aveva servito il padre. Era morto anche lui e aveva servito il figlio, l’attuale tiranno che ricordava vagamente la storia di Kambeddu, tanto lontana da essere velata di leggenda.
Non ho capito a chi si riferiva "padre". Il padre di Barbarant? In tal caso mi confonde la successione: prima parli della morte di Barbarant, poi dell'aver servito il padre che è morto e infine del figlio. Non è sbagliato, ma qualcuno come me (certo pochi!) potrebbe inchiodarsi in quel punto. Per spiegarmi meglio: la tua successione è figlio/nonno/nipote, la mia è nonno/figlio/nipote.
"L'autore della sua infelicità", inoltre, è un inciso. Lo inserirei tra virgole. Come qui di seguito, manca una virgola dopo "acqua".
 I signori e i servi delle isole, pur essendo circondati dall’acqua non l’amavano e preferivano la poca terra rimasta nel mondo.
E qui:
«Lo avrei fatto se i miei fossero stati ancora in vita.[...]  Prima o poi a cercare si trova tutto»
inserirei una virgola dopo "fatto" e due prima e dopo di "a cercare".
In questo punto, invece, sento il bisogno di una virgola dopo "isolotto" che leggo come un inciso, ma in tal caso dovresti sostituire "era" con "erano".
L’oggetto dello sbarco era la torre di pietra bianca, una delle costruzioni più considerevoli dell’isolotto e il suo circondario boscoso.
Sarebbe stato facile, molto facile sgozzare Quilian come un capretto in quel momento. E Kinisia? Erano felici. Non era giusto. Non era giusto. Prese il coltello, lo gettò lontano. Per la prima volta da quando era bambino sentì il suo cuore diventare leggero, come se si fosse tolta una pietra.
Per la prima volta si sentì felice. Allora pianse.
Il finale sono convinta che sia stato funestato dal limite dei caratteri. Non mi è piaciuto come è stato sviluppato. Lo sento tirato via. Kambeddu passa dall'odio, al dubbio, al sollievo, alla felicità e alla commozione nel giro di poche righe. Per la bellezza del racconto sarebbe da ampliare.

Spero di non aver sparato troppe fesserie, in tal caso perdonami e correggimi. A presto :)
"Fare o non fare, non c'è provare." Yoda - Star Wars

Re: [MI 149] Una pietra sul cuore

14
Ciao @ElmoInverso 
e grazie per il commento.
In effetti ho fatto un po' di confusione nella successione dei Babarant: sarebbero il nonno, suo figlio, suo nipote, come hai detto tu...
Poi hai ragione anche sul fatto che si sarebbe dovuto dire molto di più, è un mio difetto congenito quando scrivo, le cose che voglio dire sono molte e per contenere il tutto in 8000 caratteri mi capita di sacrificare talvolta la comprensione generale del tutto...
Amo la sintesi, il minimalismo, ma non sono manicheo, talvolta mi piace perdermi nei particolari, sai: le piccole cose... :)
Sono contento che però in sintesi tu abbia apprezzato l'atmosfera.  :)
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 149] Una pietra sul cuore

16
@Alberto Tosciri
Ciao! 
Passo anch'io a darti le mie percezioni, anche se immagino sia già stato detto tutto (leggo gli altri commenti dopo aver scritto il mio per non esserne influenzato).

Mi piace la tua scrittura e gli aspetti multisensoriali che tocchi:
Alberto Tosciri ha scritto: avevano le magliette nere grondanti di sudore salato e bianco
Ho apprezzato particolarmente la gestione dei dialoghi con cui hai spiegato parte del contesto in maniera credibile, senza che si percepisse che le info erano per il lettore.
Invece un punto mi ha un po' confuso:
Alberto Tosciri ha scritto: Era morto Babarant l’autore della sua infelicità e aveva servito il padre. Era morto anche lui e aveva servito il figlio
Sembra che, morto Babarant, il protagonista abbia servito il (di lui) padre e poi il figlio (di nuovo Babarant?). Penso che avrebbe funzionato meglio:
"Era morto Babarant l’autore della sua infelicità[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif] [/font]e[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif] [/font]aveva servito il figlio. Era morto anche lui e aveva servito il nipote"

A parte questa sciocchezza, trovo la storia accattivante. Anche troppo, da un certo punto di vista, perché costruisci così bene contesto e aspettative che il finale ti lascia con un senso di incompiuto: ma come, ti dici, è finito così rapidamente.

Ai posteri quanto sia un pregio e quanto un equilibrio da rivedere!

Ancora complimenti e a rileggerti al più presto possibile.

PS: grazie per la segnalazione de "Il segreto di Luca": bell'affresco di un mondo che fu e una scrittura che seppur con qualche arcaismo è tutt'oggi efficace e pregnante (e ho capito il riferimento che facesti al mio MI148)

Re: [MI 149] Una pietra sul cuore

17
Grazie @Almissima   
ma che bel complimento che hai fatto... grazie. Piacerebbe anche a me scrivere di più su questo episodio,  ci sarebbe sempre da scrivere di più. Non si ha sempre tempo e occasione, ma si fa il possibile...

Grazie @L'illusoillusore   
Capisco il punto che ti ha confuso, infatti  lì mi sono espresso male. Babarant era il nonno, poi veniva Babarant figlio e in ultimo Babarant nipote...  ho fatto un po' di pastrocchio...  :)
L [highlight defaultattr=]il finale ti lascia con un senso di incompiuto: ma come, ti dici, è finito così rapidamente.[/highlight]
Si, anche questo è vero. Se ci pensi, anche nella vita è così. Quando si arriva alla fine non si hanno ancora tutte le risposte, si vorrebbe saperne di più e... il tempo è ormai finito. Penso che una risposta davvero completa, definitiva, non sia sempre possibile darla, specie nei racconti.
L PS: grazie per la segnalazione de "Il segreto di Luca": bell'affresco di un mondo che fu e una scrittura che seppur con qualche arcaismo è tutt'oggi efficace e pregnante (e ho capito il riferimento che facesti al mio MI148)
Mi fa piacere. Lessi il libro tanto tempo fa e mi colpì il personaggio ormai vecchio, dopo aver passato lunghi anni in carcere, che si aggirava nel suo paese ricollegando i suoi ricordi, fino ad arrivare alla triste verità dell'aver scontato una colpa non sua. C'era qualche cosa nel tuo "Strano" che me lo faceva ricordare.

A risentirci
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 149] Una pietra sul cuore

20
Grazie @ivalibri 

Le tue parole mi hanno fatto  tanto piacere; so di fare comunque degli sbagli quando scrivo, colpa a volte del mio modo di esporre e delle mie interpretazioni della grammatica, che talvolta adatto un po' troppo alle mie esigenze.
Poi si, in molte delle cose che scrivo ci metto la Sardegna,  spesso in forma indiretta come in questo racconto, terra sconosciuta ai più. La torre e l'approdo del racconto esistono davvero e sono nel mio paese e intorno c'è un terreno con olivastri millenari dove un tempo si tenevano feste religiose. Sulla piccola collina sovrastante c'è una chiesetta, pure di mille anni, costruita da una principessa della Navarra...  A volte forse esagero nel mio entusiasmo, do per scontate cose che io conosco ma che molti non sanno e allora mi dilungo in spiegazioni, metto filmati su usanze e tradizioni che nomino... e così via...  
Grazie per la pazienza...  
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)
Rispondi

Torna a “Racconti”