[MI149] i topi non avevano nipoti
Posted: Sun Apr 25, 2021 6:57 pm
Traccia di Mezzanotte.
I topi non avevano nipoti
Un urlo acuto risuonò nell’aria fino ad arrivare alle orecchie dei braccianti che stavano spigolando lì vicino. Per un momento il lavoro si fermò, tutti trattennero il respiro. La bambinetta reggeva tra le mani la cuffia bianca, i capelli biondi scompigliati nel vento.
“Mamma! Aiuto! Ho visto il topo portarsi via la chiave del granaio!” La sua voce stridula fece scoppiare a ridere gli altri contadini, non era raro che i topi sgraffignassero il grano ma addirittura una chiave! Doveva averne di fantasia, quella bambina!
La madre raccolse le gonne e con sguardo deciso coprì i pochi metri che la dividevano dalla figlia, assestandole sulla guancia uno schiaffo, quando le fu davanti. Un uomo restò a fissarle attento, e si sfregò le mani sul cappello, preoccupato.
“Quante volte ti ho detto di non addestrare i topi? Solo quei maledetti aristocratici di città hanno queste manie! Noi abbiamo i cani e i gatti, sono quelli i nostri animali da compagnia!” la sgridò la donna. I pianti della ragazzina arrivarono fino alle orecchie del roditore che allontanandosi, smuoveva appena i fili d’erba.
Le piccole zampe si affrettavano verso la libertà. Interno esterno, interno esterno e ogni falcata era un passo in più verso la capitale.
Allungò la testa poco sopra i fili d’erba e tese le vibrisse: il giallo oro del grano, il verde dell’erba, lo scintillante azzurro dell’acqua piovana e quei profumi di natura e pane caldo erano così diversi da Londra, dove ogni anfratto era oscuro e persino la più limpida acqua di pozza era di un insalubre grigio.
Spiccò un salto per evitare la tana di una biscia e si voltò indietro. In altri tempi ne avrebbe schiacciato la testa con lo stivale con noncuranza. Arrivò trafelato alla roccia dove aveva lasciato gli altri del suo branco: un topolino bianco, un ratto grigio e uno fulvo che lo scrutarono quando lo videro arrivare, senza smettere di ingozzarsi di nocciole.
Li fissò in attesa che capissero, forse ancora abituato agli sguardi con cui gli umani si comprendevano poi allentò la presa delle mascelle sul ritaglio di giornale quadrato che aveva rubato, il sapore di catrame e inchiostro non gli lasciava ancora la lingua.
Senza smettere di guardarli urinò su un angolo della carta rimasta a terra, con disprezzo, un’antica abitudine che ricordava di aver sempre avuto. Gli si strinse lo stomaco perciò quando Il più grosso del gruppo si affrettò a ingurgitare la carta stampata, facendo svanire tra le proprie mascelle la notizia della disfatta degli zeppelin tedeschi di appena qualche giorno addietro, ad opera della flotta inglese nei cieli della Norvegia. Quello non fece alcuna reazione che potesse tradire malessere o ripugnanza anzi, non appena ebbe terminato di ingurgitarla prese la chiave tra i denti e si affrettò a dirigersi verso Hyde Park.
Gli occhi di Sir Henry Cole si restrinsero. Finalmente era riuscito a aprire lo stomaco del ratto grigio morto quella mattina. Ne stava esaminando il contenuto, il naso e la bocca coperti da una benda di cotone che gli si calcò sulle guance ancor di più quando si lasciò sfuggire un sorriso.
L’uomo era chino con il viso molto vicino al muso dell’animale. Si rigirava una chiave tra le mani e stava cercando di decifrare resti smangiucchiati di carta di giornale.
“Sir Cole, quali novità?” Il maggiordomo si schiarì la voce fingendosi interessato all’attività del padrone. Non approvava che vi fosse quel continuo viavai di ratti nella sua casa, tra le intercapedini dietro i muri perché era costretto a controllare l’inventario della dispensa più volte di quanto non fosse decoroso. La notizia era addirittura arrivata alle orecchie del fratello che aveva impedito alla giovane nipote di far visita all’uomo.
Il baronetto ne soffriva, lo sapeva, ma tutto era stato fatto per il bene dell’Inghilterra e per la Regina.
“Whitby, non vi avevo sentito, grazie per aver portato il tè.” mormorò sir Cole, senza alzare gli occhi.
Il maggiordomo rizzò la schiena, inorgoglito: Il tè delle cinque era una tradizione e mantenere le tradizioni era suo dovere e il suo contributo alla grandezza della propria nazione mentre Sir Cole si occupava di idee più progressiste per vincere la guerra contro i tedeschi.
Non amava vederlo chino su cadaveri di roditori una volta al giorno e non gli piaceva vedere che quel plebeo acchiapparatti di Jack Black frequentasse così spesso la sua casa per rifornirsi di topi.
“Per favore, lasciate un piattino con dell’uva fuori dalla finestra della mia stanza come ricompensa e scrivete una lettera per farla recapitare a Buckingham Palace; fate sapere che abbiamo trovato un altro tedesco nelle campagne del Kent. Immagino che il nostro aiutante a quattro zampe lo abbia chiuso nel granaio”.
L’uomo in livrea si allontanò dalla stanza del padrone, addolorato di vederlo perdere la testa se dava tali notizie dopo aver esaminato lo stomaco di un topo.
Le vibrisse dell’animale si mossero, preannunciandogli un pericolo; valutò la possibilità di rintanarsi nell’intercapedine da cui era sgusciato fuori, ma trovava spiacevole dover piegare i muscoli e raggomitolarsi su sé stesso, il pelo in eccesso gli appesantiva la schiena; gli ricordava troppo la sensazione che aveva provato dopo aver bevuto il tonico di Jack Black, che lo aveva ridotto a quello stato.
La bevanda gli aveva acuito i sensi, certo, ma danneggiato irrimediabilmente la memoria: a volte gli pareva di aver avuto un'altra forma, sentiva di aver visto il mondo da un’altra prospettiva, senza quei colori vibranti, blu e verde, senza quella visione chiara come luce anche in piena notte; ma ora il cibo ora era il suo bisogno primario. Il continuo rifornimento di uva e nocciole sul davanzale di un aristocratico londinese lo aveva spinto ad intrufolarsi nelle case più profumate, nei cunicoli più maleodoranti e nelle campagne più sgargianti pur di dare a quell’uomo tutte le informazioni che desiderava sui tedeschi nascosti in Inghilterra, in cambio di tutto il cibo che desiderava.
Il tappeto di quell’abitazione odorava di tabacco, polvere da sparo, pioggia ma non gli parlava di alcun tipo di animale domestico. Si rizzò comunque sulle zampe posteriori, attento: una tazza tintinnò argentina contro il piattino di porcellana, il battito di un cuore agitato contro le stecche rigide di un bustino, una donna in sala da pranzo si lisciò il corpetto.
“Lord Richter vi ringrazio per avermi ricevuta nella vostra dimora…” iniziò, ma venne subito interrotta dalla voce dell’altro che le arrivò da dietro il giornale aperto.
“Herr Richter, signorina. Se la vostra sovrana mi consente di vivere qui cambiando titolo, ciò non cambia la mia essenza. Vi pregherei di usare questo titolo in casa mia”.
“Non siete altro che un traditore della vostra patria, e non meritate alcun titolo!” replicò la ragazza piccata.
L’uomo ripiegò il giornale in un fruscio gracchiante.
“Siete venuta ad insultarmi?” Le domandò lui di rimando, articolando la domanda in una serie di consonanti rigide, la tensione gli fece arricciare le labbra e i baffi sembrarono indurirsi.
“Sono qui per avere notizie di mio zio Sir Cole” intervenne, bloccando la replica dell’uomo.
“Non so niente di vostro zio, avevamo un appuntamento ma non si è mai presentato”
Ci fu un momento di silenzio e l’animale, che era intento a rotolarsi sui cibi nel carrello vicino al tavolo, vide la stanza riflessa nel servizio di posate d’argento accanto a lui in strani angoli, i due umani ridotti a figure oblunghe.
Forse sarebbe riuscito a sbocconcellare un po’ della salsiccia avanzata dal piatto di lei, prima che la nuova portata fosse servita.
“Forse signorina, dovreste leggere con più attenzione i giornali”, la rimproverò lui, con l’accento straniero molto marcato. Le indicò un articolo con il dito accusatore.
“C’è chi dice che topi londinesi siano quelli che stanno contribuendo di più alla disfatta dei miei connazionali. So che vostro zio passava ore a studiarli, vi siete chiesta se non sia proprio lui a saper qualcosa di questa notizia?”
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I topi non avevano nipoti
Un urlo acuto risuonò nell’aria fino ad arrivare alle orecchie dei braccianti che stavano spigolando lì vicino. Per un momento il lavoro si fermò, tutti trattennero il respiro. La bambinetta reggeva tra le mani la cuffia bianca, i capelli biondi scompigliati nel vento.
“Mamma! Aiuto! Ho visto il topo portarsi via la chiave del granaio!” La sua voce stridula fece scoppiare a ridere gli altri contadini, non era raro che i topi sgraffignassero il grano ma addirittura una chiave! Doveva averne di fantasia, quella bambina!
La madre raccolse le gonne e con sguardo deciso coprì i pochi metri che la dividevano dalla figlia, assestandole sulla guancia uno schiaffo, quando le fu davanti. Un uomo restò a fissarle attento, e si sfregò le mani sul cappello, preoccupato.
“Quante volte ti ho detto di non addestrare i topi? Solo quei maledetti aristocratici di città hanno queste manie! Noi abbiamo i cani e i gatti, sono quelli i nostri animali da compagnia!” la sgridò la donna. I pianti della ragazzina arrivarono fino alle orecchie del roditore che allontanandosi, smuoveva appena i fili d’erba.
Le piccole zampe si affrettavano verso la libertà. Interno esterno, interno esterno e ogni falcata era un passo in più verso la capitale.
Allungò la testa poco sopra i fili d’erba e tese le vibrisse: il giallo oro del grano, il verde dell’erba, lo scintillante azzurro dell’acqua piovana e quei profumi di natura e pane caldo erano così diversi da Londra, dove ogni anfratto era oscuro e persino la più limpida acqua di pozza era di un insalubre grigio.
Spiccò un salto per evitare la tana di una biscia e si voltò indietro. In altri tempi ne avrebbe schiacciato la testa con lo stivale con noncuranza. Arrivò trafelato alla roccia dove aveva lasciato gli altri del suo branco: un topolino bianco, un ratto grigio e uno fulvo che lo scrutarono quando lo videro arrivare, senza smettere di ingozzarsi di nocciole.
Li fissò in attesa che capissero, forse ancora abituato agli sguardi con cui gli umani si comprendevano poi allentò la presa delle mascelle sul ritaglio di giornale quadrato che aveva rubato, il sapore di catrame e inchiostro non gli lasciava ancora la lingua.
Senza smettere di guardarli urinò su un angolo della carta rimasta a terra, con disprezzo, un’antica abitudine che ricordava di aver sempre avuto. Gli si strinse lo stomaco perciò quando Il più grosso del gruppo si affrettò a ingurgitare la carta stampata, facendo svanire tra le proprie mascelle la notizia della disfatta degli zeppelin tedeschi di appena qualche giorno addietro, ad opera della flotta inglese nei cieli della Norvegia. Quello non fece alcuna reazione che potesse tradire malessere o ripugnanza anzi, non appena ebbe terminato di ingurgitarla prese la chiave tra i denti e si affrettò a dirigersi verso Hyde Park.
Gli occhi di Sir Henry Cole si restrinsero. Finalmente era riuscito a aprire lo stomaco del ratto grigio morto quella mattina. Ne stava esaminando il contenuto, il naso e la bocca coperti da una benda di cotone che gli si calcò sulle guance ancor di più quando si lasciò sfuggire un sorriso.
L’uomo era chino con il viso molto vicino al muso dell’animale. Si rigirava una chiave tra le mani e stava cercando di decifrare resti smangiucchiati di carta di giornale.
“Sir Cole, quali novità?” Il maggiordomo si schiarì la voce fingendosi interessato all’attività del padrone. Non approvava che vi fosse quel continuo viavai di ratti nella sua casa, tra le intercapedini dietro i muri perché era costretto a controllare l’inventario della dispensa più volte di quanto non fosse decoroso. La notizia era addirittura arrivata alle orecchie del fratello che aveva impedito alla giovane nipote di far visita all’uomo.
Il baronetto ne soffriva, lo sapeva, ma tutto era stato fatto per il bene dell’Inghilterra e per la Regina.
“Whitby, non vi avevo sentito, grazie per aver portato il tè.” mormorò sir Cole, senza alzare gli occhi.
Il maggiordomo rizzò la schiena, inorgoglito: Il tè delle cinque era una tradizione e mantenere le tradizioni era suo dovere e il suo contributo alla grandezza della propria nazione mentre Sir Cole si occupava di idee più progressiste per vincere la guerra contro i tedeschi.
Non amava vederlo chino su cadaveri di roditori una volta al giorno e non gli piaceva vedere che quel plebeo acchiapparatti di Jack Black frequentasse così spesso la sua casa per rifornirsi di topi.
“Per favore, lasciate un piattino con dell’uva fuori dalla finestra della mia stanza come ricompensa e scrivete una lettera per farla recapitare a Buckingham Palace; fate sapere che abbiamo trovato un altro tedesco nelle campagne del Kent. Immagino che il nostro aiutante a quattro zampe lo abbia chiuso nel granaio”.
L’uomo in livrea si allontanò dalla stanza del padrone, addolorato di vederlo perdere la testa se dava tali notizie dopo aver esaminato lo stomaco di un topo.
Le vibrisse dell’animale si mossero, preannunciandogli un pericolo; valutò la possibilità di rintanarsi nell’intercapedine da cui era sgusciato fuori, ma trovava spiacevole dover piegare i muscoli e raggomitolarsi su sé stesso, il pelo in eccesso gli appesantiva la schiena; gli ricordava troppo la sensazione che aveva provato dopo aver bevuto il tonico di Jack Black, che lo aveva ridotto a quello stato.
La bevanda gli aveva acuito i sensi, certo, ma danneggiato irrimediabilmente la memoria: a volte gli pareva di aver avuto un'altra forma, sentiva di aver visto il mondo da un’altra prospettiva, senza quei colori vibranti, blu e verde, senza quella visione chiara come luce anche in piena notte; ma ora il cibo ora era il suo bisogno primario. Il continuo rifornimento di uva e nocciole sul davanzale di un aristocratico londinese lo aveva spinto ad intrufolarsi nelle case più profumate, nei cunicoli più maleodoranti e nelle campagne più sgargianti pur di dare a quell’uomo tutte le informazioni che desiderava sui tedeschi nascosti in Inghilterra, in cambio di tutto il cibo che desiderava.
Il tappeto di quell’abitazione odorava di tabacco, polvere da sparo, pioggia ma non gli parlava di alcun tipo di animale domestico. Si rizzò comunque sulle zampe posteriori, attento: una tazza tintinnò argentina contro il piattino di porcellana, il battito di un cuore agitato contro le stecche rigide di un bustino, una donna in sala da pranzo si lisciò il corpetto.
“Lord Richter vi ringrazio per avermi ricevuta nella vostra dimora…” iniziò, ma venne subito interrotta dalla voce dell’altro che le arrivò da dietro il giornale aperto.
“Herr Richter, signorina. Se la vostra sovrana mi consente di vivere qui cambiando titolo, ciò non cambia la mia essenza. Vi pregherei di usare questo titolo in casa mia”.
“Non siete altro che un traditore della vostra patria, e non meritate alcun titolo!” replicò la ragazza piccata.
L’uomo ripiegò il giornale in un fruscio gracchiante.
“Siete venuta ad insultarmi?” Le domandò lui di rimando, articolando la domanda in una serie di consonanti rigide, la tensione gli fece arricciare le labbra e i baffi sembrarono indurirsi.
“Sono qui per avere notizie di mio zio Sir Cole” intervenne, bloccando la replica dell’uomo.
“Non so niente di vostro zio, avevamo un appuntamento ma non si è mai presentato”
Ci fu un momento di silenzio e l’animale, che era intento a rotolarsi sui cibi nel carrello vicino al tavolo, vide la stanza riflessa nel servizio di posate d’argento accanto a lui in strani angoli, i due umani ridotti a figure oblunghe.
Forse sarebbe riuscito a sbocconcellare un po’ della salsiccia avanzata dal piatto di lei, prima che la nuova portata fosse servita.
“Forse signorina, dovreste leggere con più attenzione i giornali”, la rimproverò lui, con l’accento straniero molto marcato. Le indicò un articolo con il dito accusatore.
“C’è chi dice che topi londinesi siano quelli che stanno contribuendo di più alla disfatta dei miei connazionali. So che vostro zio passava ore a studiarli, vi siete chiesta se non sia proprio lui a saper qualcosa di questa notizia?”
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