Terriccio finto

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Racconto originale qui


Il pavimento del salotto è cosparso di terriccio, una pianta di ficus si è ribaltata sotto il suo stesso peso e giace a terra, con le radici in vista. Intorno ci sono vasi accatastati e attrezzi da giardino. La musica lirica è assordante e al centro della stanza nonna sta danzando a piedi nudi, con un trasporto eccessivo.
Mio fratello Luciano la guarda divertito, ogni tanto applaude.
«Vai nonna!» grida ed emette un fischio di approvazione.
Lascio cadere le buste del fioraio e piombo su di lui, afferrandolo per la spalla.
«Che hai fatto? Vi ho lasciato da soli un'ora!»
Mi guarda: ha gli occhi rossi e la bocca estesa in un sorriso che si espande in due ampie rughe.
«Dai, Annina, le ho solo dato la tisana che ti dicevo»
Lancio a nonna un'occhiata terrorizzata.
«Quella che hai comprato in India?»
Prima di arrivare da nonna io e Luciano abbiamo passato il tragitto in auto a discutere. Lui insisteva sull' offrirle la tisana che aveva comprato in India, durante un viaggio fatto per connettersi con la natura.
“Pensaci" ha detto "nonna racconta sempre della sua infanzia in campagna, del profumo dei fiori di pitosforo al mattino, delle volpi che volevano giocare con lei, delle gocce di resina dura…”
“...che il padre le regalava dicendo che erano gioielli di ambra preziosa” ho completato io, la storia l’ho ascoltata mille volte "Luciano, te l'ho detto, non sarà così che la aiuteremo".
Mia nonna Rosa ha sempre amato la campagna, da bambini ci portava tutti i fine settimana nella villa che era stata dei genitori e ci insegnava tante cose, da come si riproducono i fiori al riconoscere il richiamo dell'upupa. Da ragazza si era trasferita in città per seguire mio nonno, operaio di acciaieria, ma quanto ne soffriva! Diceva che l’aria lì puzzava di catrame.
Crescendo, quella campagna sempre uguale è andata a noia a me e mio fratello. Nonna si è poi ammalata di Alzheimer e ha smesso di andarci anche lei, ma la sua mente è rimasta lì. La signora Maria, la badante, dice che ormai parla solo di quello.
Per caso ho letto su internet che i malati di Alzheimer migliorano se circondati dai ricordi della loro gioventù, così io e Luciano abbiamo deciso di farle una sorpresa: riempire il salotto con i fiori e gli alberelli della sua infanzia.
Purtroppo ci siamo resi conto che non ricordavamo i nomi, di quelle piante, né riuscivamo a trovarli su internet, così siamo andati al supermercato e abbiamo comprato quel che c'era: qualche ficus, dei bonsai, fiori sfusi, un piccolo oleandro, una pianta carnivora (per Luciano), palme di plastica, una volpe pupazzo e del prato finto.
Questa mattina siamo entrati in casa di nonna badando a nascondere tutto. Io la distraevo in cucina e Luciano trascinava le piante nel salotto. Filava tutto liscio, poi sono uscita a comprare del terriccio, al mio ritorno nonna stava danzando sulle note della Carmen.
«Mentre eri via la volpe pupazzo è caduta e ha cominciato a suonare. Nonna voleva sapere cosa fosse, ci avrebbe scoperti!»
«Quindi l'hai drogata?!»
«No, è una tisana!»
«L'hai fatto apposta!»
«Piroetta!» esclama nonna all’improvviso.
«No, no!» la afferro prima che cada. «Dai, ti porto a letto» sussurro, mentre intimo a Luciano di continuare a sistemare il salotto.
Poche ore dopo è tutto pronto: la musica è spenta, il prato è steso alla perfezione, le palme sono fitte come in una giungla, i fiori emanano un profumo delizioso, il ficus è stato ristabilito in tutto il suo splendore e sul tavolino c'è l'oleandro.
Nonna si è svegliata e la guidiamo fino al salotto, coprendole gli occhi con le mani.
«Ecco!» esclamiamo, arrivati sulla soglia, «Ti piace?»
Lei apre gli occhi e sbircia dentro il salone, si leva piano le pattine e i piedi esitano al contatto col prato finto. Accarezza le foglie di plastica, osserva curiosa la volpe pupazzo, poi si volta verso di noi.
«Cos'è questo?» chiede.
«Nonnina» rispondo, paziente «è la tua campagna, quella che ti piace tanto e di cui parli sempre»
Si guarda intorno, strabuzza gli occhi.
«O...certo. È stupenda. Grazie» e mima un sorriso.
Luciano le dà una pacca sulla spalla.
«Allora nonna, ti lasciamo divertire, tra poco arriva anche Maria»
Lei annuisce.
«Certo. Ciao amori miei»
La baciamo e andiamo verso il parcheggio, fuori è buio. Luciano si volta verso di me pensieroso.
«Sembra che le sia piaciuta la sorpresa, ma non ha capito granché, sai l’Alzheimer fa questi scherzi, leggevo che...»
Lascio che le sue parole sfumino nei rumori del traffico. Ripenso allo sguardo di nonna mentre andavamo via. Ci guardava con apprensione, come se fossimo noi i poverini a non aver capito.
Interrompo mio fratello.
«Abbiamo sbagliato tutto»

È mattina e siamo tornati da nonna, stavolta intenti a portarla alla villa in campagna.
In auto lei guarda tutto il tempo fuori al finestrino, assorta.
«Fermati qui» dice a un certo punto, e Luciano accosta. Di fronte a noi c'è un grande campo di grano.
Nonna apre lo sportello e inizia a camminare, e la seguo con lo sguardo mentre si allontana tra le spighe. Arrivata al centro del campo si volta per chiamarci.
«Bambini, venite, il panorama qui è splendido!»
Faccio segno a Luciano di scendere.
Prima di seguirla prendo un quaderno dallo zaino: stavolta prendo appunti, per non fraintendere più.

Re: Terriccio finto

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Kiarka ha scritto: sab gen 02, 2021 3:58 pm Prima di seguirla prendo un quaderno dallo zaino: stavolta prendo appunti, per non fraintendere più.
Che tenerezza, Kiarka! Intanto grazie per avermi fatto scoprire i fiori di pitosforo, visti mille volte senza saperne che nome avessero. Come mai questi due nipoti si ritrovano a prendersi cura della nonna senza genitori in mezzo? Metterei anche solo una frase per sottolineare dove sono finiti.
Toglierei la domanda sull'India:
«Quella che hai comprato in India?»
Trovo che non serva e anzi, questo rimando all'India fa pensare che ci dirai di più, che abbia un ruolo nel racconto, ma io non celo vedo. Il protagonista qui è il rapporto tra nonna e nipoti, nel ricordo dell'infanzia, nella perdita dell'identità, nella lotta contro una malattia che non si capisce e contro cui non si può fare niente. Anche io l'ho passata con il mio nonno, capisco bene cosa significa.
Toglierei, nell'ultima frase, la ripetizione del verbo prendere, si sostituisce con facilità.
Bel racconto, molto toccante :)
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https://www.edizionipiuma.com/it/i-disobbedienti/
Linda e la montagna di fuoco
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