«Vattene, non puoi entrare» eruttò la voce dall’antro. Halim cadde in ginocchio, e si trascinò all'entrata della caverna. Dal buio lo fissarono due pupille glauche, cesellate fra una depressione di rughe. Due mani steccute s'aggrappavano alle rocce.
«Ti prego» balbettò. Il sangue gli incollava la lingua.
«Hai fallito la prova» la voce della vecchia era una serpe sulla polvere.
«Ho combattuto»
La vecchia schioccò le labbra.
«Ma quando la iena è uscita dall’erba hai gettato la lancia e sei fuggito. Lei, però, t’ha azzannato lo stesso» disse, e frugò con le dita sudice lo squarcio sul collo di Halim. Lui emise un pianto uggiolante.
«Sembri uno sciacallo»
«Anche il cucciolo dello sciacallo lascia un'orma, pure se muore senza aver ucciso una lepre» ribatté il ragazzo. La donna gli prese il capo fra le mani.
«È questo che vuoi?» gli sussurrò. Halim socchiuse le palpebre.
Un sobbalzo gli riattizzò il dolore nel petto, svegliandolo. La vecchia lo stava portando in spalla. Halim gemette.
«Taci. Se ci scoprono daranno anche me in pasto alle iene» disse la donna. Halim ne vide i capelli radi e grigi, la nuca coperta di croste. Si fermarono, e lei lo lasciò scivolare a terra. La sua schiena, però, restò una gobba di luna.
«Di qua non passiamo» disse. Halim voltò il capo seguendo la direzione del suo dito puntato. Attorno a un fuoco sedevano tre figure coperte di pelli irsute. Sfregavano pietra su pietra, sollevando un pulviscolo cangiante mentre mugugnavano una litania e tre bambini nudi si rincorrevano attorno a loro. La vecchia tornò a scrutargli la ferita e annuì.
«Morirai» disse, e lo sollevò di nuovo.
Quando riaprì gli occhi ad Halim parve d’essere di nuovo bambino, steso sotto un albero ai margini dell’accampamento, ma quando le lacrime si asciugarono comprese come la chioma che lo sovrastava non fosse fatta di foglie, bensì di mani, un intero stormo color carminio che s’apriva sulla parete sopra di lui.
Si premette, allora, la mano sulla ferita, e poi la guardò. Gocce di sangue gli picchiettarono la faccia. Rise, e si allungò verso la parete. La sfiorò, ma poi la vecchia gli afferrò il polso così forte che parve volesse spezzarglielo.
«Vorresti lasciare l'impronta addirittura al centro? – rise – No, figlio mio, tu hai comunque fallito»
Lo trascinò in un angolo, fermandosi di fronte a uno spazio vuoto.
«Qui» gracchiò. Halim premette la mano sulla roccia. La staccò quando il braccio cadde inerte, morto come il resto del corpo. Una mano rossa di sangue fu tutto ciò che rimase di lui.
«L'erba la porto io – le aveva detto Jean – diciotto van festeggiati bene». Adesso, però, Clare pensava che nome avrebbe mai fumato, e non perché mentre camminava nel bosco, al buio, non aveva visto la buca nel terreno ed era caduta in quella cavità oscura dalla quale, stesa sulla schiena, tutto quello che poteva vedere era una fessura di cielo troppo in alto per poterne uscire, ma perché, piuttosto, ore prima aveva origliato in una conversazione fra suo padre e il dottore le parole “malattia” e “degenerativa”, e aveva capito subito, perché anni prima, da dietro un'altra porta, aveva sentito le stesse parole dette a sua madre, e poi lei era morta. La malattia non l'avrebbe uccisa tanto presto, ma aveva deciso che le piaceva stare laggiù, e che ci sarebbe rimasta.
«Ti prego» balbettò. Il sangue gli incollava la lingua.
«Hai fallito la prova» la voce della vecchia era una serpe sulla polvere.
«Ho combattuto»
La vecchia schioccò le labbra.
«Ma quando la iena è uscita dall’erba hai gettato la lancia e sei fuggito. Lei, però, t’ha azzannato lo stesso» disse, e frugò con le dita sudice lo squarcio sul collo di Halim. Lui emise un pianto uggiolante.
«Sembri uno sciacallo»
«Anche il cucciolo dello sciacallo lascia un'orma, pure se muore senza aver ucciso una lepre» ribatté il ragazzo. La donna gli prese il capo fra le mani.
«È questo che vuoi?» gli sussurrò. Halim socchiuse le palpebre.
Un sobbalzo gli riattizzò il dolore nel petto, svegliandolo. La vecchia lo stava portando in spalla. Halim gemette.
«Taci. Se ci scoprono daranno anche me in pasto alle iene» disse la donna. Halim ne vide i capelli radi e grigi, la nuca coperta di croste. Si fermarono, e lei lo lasciò scivolare a terra. La sua schiena, però, restò una gobba di luna.
«Di qua non passiamo» disse. Halim voltò il capo seguendo la direzione del suo dito puntato. Attorno a un fuoco sedevano tre figure coperte di pelli irsute. Sfregavano pietra su pietra, sollevando un pulviscolo cangiante mentre mugugnavano una litania e tre bambini nudi si rincorrevano attorno a loro. La vecchia tornò a scrutargli la ferita e annuì.
«Morirai» disse, e lo sollevò di nuovo.
Quando riaprì gli occhi ad Halim parve d’essere di nuovo bambino, steso sotto un albero ai margini dell’accampamento, ma quando le lacrime si asciugarono comprese come la chioma che lo sovrastava non fosse fatta di foglie, bensì di mani, un intero stormo color carminio che s’apriva sulla parete sopra di lui.
Si premette, allora, la mano sulla ferita, e poi la guardò. Gocce di sangue gli picchiettarono la faccia. Rise, e si allungò verso la parete. La sfiorò, ma poi la vecchia gli afferrò il polso così forte che parve volesse spezzarglielo.
«Vorresti lasciare l'impronta addirittura al centro? – rise – No, figlio mio, tu hai comunque fallito»
Lo trascinò in un angolo, fermandosi di fronte a uno spazio vuoto.
«Qui» gracchiò. Halim premette la mano sulla roccia. La staccò quando il braccio cadde inerte, morto come il resto del corpo. Una mano rossa di sangue fu tutto ciò che rimase di lui.
«L'erba la porto io – le aveva detto Jean – diciotto van festeggiati bene». Adesso, però, Clare pensava che nome avrebbe mai fumato, e non perché mentre camminava nel bosco, al buio, non aveva visto la buca nel terreno ed era caduta in quella cavità oscura dalla quale, stesa sulla schiena, tutto quello che poteva vedere era una fessura di cielo troppo in alto per poterne uscire, ma perché, piuttosto, ore prima aveva origliato in una conversazione fra suo padre e il dottore le parole “malattia” e “degenerativa”, e aveva capito subito, perché anni prima, da dietro un'altra porta, aveva sentito le stesse parole dette a sua madre, e poi lei era morta. La malattia non l'avrebbe uccisa tanto presto, ma aveva deciso che le piaceva stare laggiù, e che ci sarebbe rimasta.
Provò a muovere le gambe. Funzionavano, anche se su quella sinistra sentiva un calore pastoso uguale a quando le usciva il sangue dal naso. Il walkman, invece, s’era rotto. Staccò le cuffiette e se le mise al collo. Nell’altra tasca le unghie cozzarono contro la plastica dell’accendino. Sorrise di non averlo perso nella caduta, lo aveva comprato apposta, uscita da scuola, per fumare con Jean.
Si tirò su, acquattandosi, e s’infilò nell’oscurità. Mentre avanzava carponi pensò che se fosse precipitata si sarebbe soltanto l’abbraccio del vuoto. D’improvviso le pareti opprimenti del cunicolo svanirono. Fece scattare l’accendino. Una scintilla, due, niente. Lo picchiettò sul dorso della mano e allora s’accese, effondendo un'effimera bolla di luce. Clare la protese davanti a sé, illuminando la roccia, ma poi fece un balzo indietro, rannicchiandosi. Gelida, la mano serrata sull’accendino, stette inspirando. Infine trovò il coraggio di alzarsi e tornare a guardare. Sulla parete di fronte a lei c’era l’impronta di una mano, cinque minuscole dita e un palmo color ocra. Fece scorrere la luce, e a ogni passaggio mani affioravano per inabissarsi quando la fiamma s’allontanava. Si fermò quando scoprì una mano diversa. Le altre erano immagini in negativo, labili contorni. Quella, invece, era un'impronta piena, anche se d’un rosso corroso, ma sbavata, come se chi l’aveva impressa fosse scivolato. L’aveva contemplata solo pochi secondi quando sentì qualcosa bagnarle la guancia. Si sfiorò e, alla luce tremula della fiamma, scoprì le dita velate da uno scintillio. Eppure non aveva pianto neanche sentendo parlare il dottore, o quando era morta mamma.
Tirò su col naso, e si premette la mano sulla gamba insanguinata. Quando l’ebbe tutta velata di rosso ve la sovrappose a quella sulla roccia. Ebbe appena il tempo di realizzare che erano identiche, poi un’emozione immensa le riempì il petto, e le lacrime proruppero, inondandole il volto. Rannicchiata nelle tenebre, ascoltando i suoi singhiozzi echeggiare, pensò che poi avrebbe cercato un'uscita.
Tirò su col naso, e si premette la mano sulla gamba insanguinata. Quando l’ebbe tutta velata di rosso ve la sovrappose a quella sulla roccia. Ebbe appena il tempo di realizzare che erano identiche, poi un’emozione immensa le riempì il petto, e le lacrime proruppero, inondandole il volto. Rannicchiata nelle tenebre, ascoltando i suoi singhiozzi echeggiare, pensò che poi avrebbe cercato un'uscita.