Bible Jon

1
A tante parole non si darà risposta?
O il loquace dovrà aver ragione?

I tuoi sproloqui faranno tacere la gente?

Ti farai beffe, senza che alcuno ti svergogni?

Tu dici: “Pura è la mia condotta,
io sono irreprensibile agli occhi di lui”.

Tuttavia, volesse Dio parlare

e aprire le labbra contro di te…

- Giobbe 11,1-5



Vorrei poter dire di essere un tipo interessante. Non è vero. Forse potrei dire di aver avuto una vita interessante, ma neanche di quello sono convinto. È stata per lo più travagliata, fastidiosa; roba che è successa mentre me ne stavo per fatti miei e che mi ha impedito di fare altro.

Ogni tanto ci ripenso mentre metto in ordine le carte sulla scrivania in ufficio: un foglio alla volta, uno sopra l’altro, impilati. Aspetto che qualcuno venga a firmarli, certo, non è che impilo fogli a caso, di mestiere. Vendo assicurazioni… ve l’avevo detto che non era interessante. Non di per sé, almeno, ma l’oggetto della vendita è curioso. Immagino sappiate che oggigiorno esiste un modulo d’assicurazione per qualunque cosa: c’è quella sulla vita, sugli incendi (quella si vende un sacco da queste parti), su furti, alluvioni, disastri naturali, incidenti domestici, incidenti sul lavoro… meglio assicurare tutto, non si sa mai. Sapevate che avete più probabilità di morire mentre avvitate una lampadina, al caldo a casa vostra, che non se camminate da soli, di notte, sulla interstatale? Già.



Sto aspettando un mio amico, Pedro Morales. Forse il mio unico amico. Ecco, lui sì che ha avuto una vita interessante. L’abbiamo vissuta quasi sempre assieme ma è come se, mentre facevamo quasi le stesse cose o visitavamo quasi gli stessi luoghi, la vita avesse scelto lui anziché me. Come se la vita avesse una materia propria, una coscienza, come fosse una persona. E quella persona aveva deciso che io non gli andavo a genio, lui sì.



Mi ha telefonato ieri notte, saranno state le tre antimeridiane. Non ci sentivamo da una decina d’anni e se n’è uscito fuori che voleva un’assicurazione! Certo che sì, gli ho detto. Vieni quando vuoi in ufficio e te ne faccio sottoscrivere una che ti copre anche dai morsi di zanzara, gli ho detto. Mi ha sorriso come faceva sempre, con la bocca sottile e larga. In realtà non so se mi abbia sorriso davvero, ma me lo sono immaginato così quando poi mi ha risposto che non voleva assicurarsi dalle zanzare. Voleva assicurare la sua immaginazione.

Uhm, gli ho detto. Questa mi sa che non ce l’abbiamo in catalogo. Non fa niente Jon, vengo domani e troviamo una soluzione.



Siamo nati a Vallejo, California, nella Baia di Frisco. Abbiamo studiato alla Thurgood Marshall High, tra St. Mary’s Park e il Bayview District, ogni giorno ci facevamo trentatré miglia: due ore e mezza tra due autobus, un traghetto e uno di quei tram colorati che si vendono sulle cartoline di questa zona. E al ritorno ce ne facevamo altre trentatré. Io indossavo sempre il pantalone di tela smesso da mio padre, la camicia di flanella che sarebbe stata adatta forse nel Wyoming, non certo qui dove a Natale fanno settantasette gradi, una cintura di pelle imbrunita e due paia di sandali consunti. Pedro sembrava uscito da un libro di favole per bambini. Vestiva quasi sempre con i pantaloni cerulei del pigiama e delle sneakers bianche con le strisce rosse. Aveva un gusto particolare per la moda, collezionava accessori femminili che per lo più sottraeva a sua madre. Ne era affascinato, non capiva com’è che alle donne servissero tutte quelle borse, scarpe, orecchini, cinture, anelli.

Gli piacevano quelle lunghe camminate, tutti quei cambi e quelle fermate. Osservava la gente che saliva e scendeva, che si stipava stretta stretta, i corpi uno addosso all’altro, le braccia alzate verso le maniglie dell’autobus, le ascelle nude, le gocce di sudore che piano piano scivolavano verso l’incavo del seno. Osservava soprattutto donne, ovviamente.

Io per lo più me ne stavo accovacciato a leggere, di solito testi sacri. Posavo lo zaino sul pavimento del bus, mi ci sedevo sopra e leggevo. Ogni tanto la mano che reggeva il libro sfiorava la gonna di una ragazza in precario equilibrio, e quando il conducente frenava con troppa foga, lo scroto di qualcun altro poteva tranquillamente finirmi sulla faccia.



Non avevamo un cent, entrambe le nostre famiglie erano emigrate in California da altri stati per esigenze di circostanza, senza un obiettivo preciso. Mia madre scappò di casa quando era al quinto mese di gravidanza e non poteva più nascondere il gonfiore sotto i maglioni di lana. Vagò per mesi e credo visse soprattutto per strada ma non gliel'ho mai chiesto; non le piace parlare di quegli anni. So solo quello che poi ho vissuto anch’io: trovò conforto fra i credenti della “Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli Ultimi Giorni”, o LDS, non fra i credenti della “Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni”, o LdS, non fraintendete, e in quella comunità trovò la famiglia che non aveva mai avuto. Lì nacqui io e anche Pedro.



Della famiglia di Pedro non so quasi niente, ma credo di ricordare che fossero fuggiti via dall’Arkansas o dall’Idaho perché il padre aveva ammazzato un negro che aveva guardato troppo a lungo sua moglie. Quando poi nei bagni dell’autogrill aveva intravisto le dimensioni dell’uccello del negro, aveva deciso che era troppo.



Finito il liceo sapevamo entrambi che avremmo dovuto dedicare due anni della nostra vita alle missioni dell’LDS, per portare la parola del Signore in tutti gli angoli del mondo e pronunziare la profezia della seconda venuta. Di solito non si sapeva mai dove ti avrebbero mandato o che lingua avresti dovuto imparare, ma Pedro fece tante di quelle moine alla perpetua di padre Ignacio che alla fine venimmo a sapere la destinazione: Glasgow, Scozia.



Pedro ci sapeva fare con le persone, aveva come un’aura ammaliante che emanava dal suo sorriso, dai corti capelli ricci, dalla pelle ambrata. Gli bastava fare due passi in più del normale verso di te, infrangere con noncuranza quello spazio d’aria sacro, personale, che ti eri costruito per tutta la vita, piegarsi impercettibilmente, guardarti dritto negli occhi e sorridere con uno smirk, un labbro un po’ di sbieco che ti ipnotizzava. Allora gli dicevi tutto quello che voleva sapere, andavi dove ti diceva di andare e facevi tutto quello che ti diceva di fare; non avevi difese.



Andammo ad abitare nella casa del diacono William Docker in Merchant City, a due passi dal fiume Clyde al centro di Glasgow. Viveva da solo con sua moglie Helena e ad entrambi faceva piacere ospitare due giovani credenti nella stanza della figlia che ormai era andata al college e non viveva più con loro. Passavamo le giornate a pregare alla St. Andrews, a discutere del secondo avvento con il signor Docker, ad ascoltare i problemi che le cosiddette Razor Gangs procuravano alla gente. Io giravo sempre con i miei scritti sacri, tanto che avevano cominciato a chiamarmi “Bible Jon”. Era il ‘68, l’anno che da quelle parti sarebbe rimasto come il ‘68 Scotland Storm, per via dell’uragano “Low Q” che devastò gran parte della zona periferica di Glasgow, con raffiche che toccarono i 270km all’ora. Avevamo diciannove anni.



Ad Aprile la figlia dei Docker tornò a casa per le vacanze di Primavera e noi ci trasferimmo sul divano di sotto. Me la ricordo ancora. Patricia, 25 anni. Stava finendo il Dottorato di Ricerca a Cambridge, studiava gli scritti di Joseph Smith e stava elaborando una sua teoria storico-religiosa basata su un parallelo tra Smith e Goethe. Non ricordo altro di quello che faceva perchè non ne capivo niente, ma capivo Patricia. Era esile, le mani nodose le scattavano in continuazione, sembrava non potesse stare mai ferma. Ma muoveva ogni cosa con grazia, e quando il sole la guardava in faccia le lentiggini sulle guance scintillavano, i capelli biondi diventavano ambrosia. Me ne innamorai subito.



Si unì a noi nei predicamenti quotidiani, nelle visite ai fedeli, nelle discussioni con il padre. Stringemmo un rapporto che a me sembrava viscerale, mentre Pedro veniva, per la prima volta in vita mia, relegato ai margini. Forse per questo era nervoso, cominciò a lamentarsi di tutto, non voleva più venire in giro con noi. Discuteva con Patricia delle cose più banali, lei si infervorava e io lo odiai per i suoi atteggiamenti. “Siete dei ragazzini” mi disse un giorno Patricia mettendo fine a qualunque velleità di uomo adulto che cominciava a passarmi per la testa. Smise di uscire con noi, ma ogni volta che rientravamo in casa e la incrociavamo, lei e Pedro si scambiavano sguardi in cagnesco. Cominciai a passare notti agitate, il divano sul quale dormivo e il caldo di quei giorni mi succhiavano via la pelle. Una notte mi svegliai particolarmente snervato e andai a prendere dell’acqua. Poi mi diressi in bagno al piano superiore e, mentre ripassavo per il salotto e guardavo distrattamente il divano, notai che Pedro non c’era. Salii i gradini con il passo ovattato dalla moquette. Sulle strette pareti ai lati della scalinata i santini incorniciati mi fissavano, ma era buio e io avevo troppo sonno. Passai la camera del signor Docker che era la prima sulla sinistra, vidi una striscia di luce tenue due, tre porte più in giù. Non so perchè pensai che quello fosse il bagno e mi diressi lì, ancora scosso dal sonno che m’era rimasto addosso. Oggi mi chiedo se forse sarebbe stato meglio entrare, interromperli, arrabbiarmi, svegliare il signor Docker, urlare, gonfiare di botte Pedro. Ma non avevo idea di tutto quello che sarebbe accaduto dopo. Lì per lì, vidi solo Pedro e Patricia avvinghiati. Avevano gettato a terra le coperte e scopavano sul materasso nudo. Lei come sempre non stava ferma, lo afferrava da tutte le parti, ma Pedro la scopava con rabbia, come se la stesse punendo delle discussioni di quei giorni. Ricordo che le tirò i capelli, la prese da dietro e le affondò la testa nel cuscino. Poi la girò di forza, le strinse le mani intorno al collo.



Me ne andai il più velocemente possibile senza fare rumore. Nei giorni seguenti non dissi nulla a nessuno dei due, ma Patricia tornò ad unirsi a noi per le visite ai fedeli. Neanche si parlavano, non si guardavano mai. Forse mi ero immaginato tutto. Se ci ripenso adesso, forse anch’io dovrei assicurare la mia immaginazione.



Patricia morì due giorni dopo. Un muratore che conoscevo e che stava lavorando su di una villetta nella stessa strada di quella dei Docker, arrivò al cantiere di prima mattina e trovò il corpo nudo fra i secchi di vernice e i calcinacci, sul lato della casa. Il medico che eseguì l’autopsia disse che la ragazza era stata prima stuprata e poi strangolata. Morte per asfissia. I vestiti erano stati strappati e gettati in un cassonetto all’angolo, le scarpe e la borsa non furono mai ritrovati.



Il giorno precedente Patricia, Pedro e io avevamo discusso della possibilità di andare a portare la parola del Signore nei luoghi di gioventù, quelli più complessi, quelli dove gli animi erano maggiormente sconvolti dalla brutalità di quegli anni scozzesi. Per Patricia, la scelta era tra la Majestic Ballroom e la Barrowland, i due locali principali. Pedro non era d’accordo, disse che aveva già fatto il giro dei club in centro e non c’era niente da salvare da quelle parti. Patricia ribattè che molte sue amiche frequentavano quei posti, e allora cosa stava dicendo? Che erano tutte puttane solo perchè ogni tanto andavano a ballare? Cominciarono a litigare sulla questione e Pedro disse che sì, se proprio lo voleva sapere, diverse sue amiche erano puttane e lui poteva provarglielo. Poteva andare lì e sceglierne una a caso e scoparsela, l’aveva già fatto. “Fai tanto la donna matura, ma ti piace anche a te fare la puttana”. Arrossii violentemente e credo che Pedro se ne accorse; non avevo detto nulla a nessuno dei due ma in quel momento entrambi capirono che li avevo visti, o che perlomeno sapevo qualcosa, perchè non avevo avuto la reazione di sorpresa che Pedro si aspettava. Nel mentre di tutti questi miei ragionamenti, Patricia aveva assestato un pugno dritto sul naso di Pedro, aveva girato i tacchi e se n’era andata. Provai a recuperarla, le corsi dietro per pochi metri, mentre Pedro s’era incamminato nella direzione opposta. Mi sentivo come un pezzo di chewing gum masticato e tirato, allungato, sfilacciato tra i due.



Non li rividi per tutto il giorno. La sera a tavola ero da solo con il signor Docker e sua moglie; mi chiesero se sapevo dov’erano Patricia e Pedro e risposi che mi sembrava di aver capito che Patricia era con delle amiche da qualche parte in centro. Pedro non ne avevo idea. La signora Docker mi chiese se dopo cena potevo fare un salto in centro e vedere se riuscivo a trovarla. Era preoccupata perchè Patricia si stava comportando stranamente in quei giorni, e saltare la cena senza preavviso non era da lei.

Provai prima al Majestic. La musica era assordante, e dovetti sgomitare tra cerchie di ragazzi stipati all’ingresso, quasi come se provassero il bisogno di dover starsene incollati l’uno all’altro, come se lo spazio all’esterno non sarebbe stato sufficiente a contenerli una volta che vi si fossero abituati e si fossero lasciati andare, o come se fossero tenuti insieme da una forza più grande di loro, da una mano enorme e invisibile che li ammucchiava lì e li stringeva. L’odore acre dell’erba era dappertutto e li avvolgeva come una nebbia d’inverno. Cominciò a girarmi la testa, non c’ero abituato. Ero combattuto tra il bisogno d’aria, la voglia di uscire di lì e la necessità di trovare Patricia.

Non la trovai, ma con mia grande sorpresa, vidi Pedro. Stava in mezzo a una di quelle mandrie accatastate, proprio al centro; conversava con due ragazze, due donne decisamente più grandi di lui che lo guardavano rapite. Aveva una luce che, ne ero sicuro, non veniva dai fari colorati che puntavano sulla pista da ballo. Sembrava totalmente parte di quell’ambiente. Sembrava il Dio della ballroom. Individuò il mio sguardo fra quello di tutti gli altri, mi fissò per un istante ma era come se fosse distratto, aveva gli occhi languidi e non si mosse di un passo. Forse anch’io avevo gli stessi occhi in quel momento, languidi, come se fossimo entrambi in un altro mondo, come se non fossimo più noi stessi, i due ragazzi squattrinati di Frisco che erano andati in Scozia a predicare e facevano progetti per il futuro. O forse, come se quella sera fossimo la stessa persona.



Non mi venne incontro. Pensai, in quel momento, di averlo perso per sempre; ma non provai a recuperare. Stavo per vomitare, avevo bisogno d’aria. Me ne andai.



Volevo trovare Patricia, gridarle che era stata una stupida, che avrebbe dovuto scegliere me, che io l’avrei rispettata, che l’amavo, che io ero un uomo, che io non l’avrei mai tradita, che per me poteva ballare quanto voleva, che non pensavo fosse una puttana.

La trovai due ore dopo all’entrata della Barrowland. Mi vide e fece per venirmi incontro. Io ero dall’altro lato della strada e stavo per attraversare. Un taxi giallo arrivò di punta e si fermò all'ingresso, nascondendomela alla vista. Come un trucco di magia. Capii che stava conversando con qualcuno dall’interno del taxi, ma non capii chi fosse.



La vidi salire sul taxi e andare via. O forse è quello che rivedo adesso, con l’occhio della mente, ripensando a quella sera. Immagino che non mi sia venuta incontro. Immagino che sia salita su quel taxi. Immagino di essermene tornato a letto.



Nel pomeriggio del giorno dopo, i corpi di altre due donne furono ritrovati in St. Vincent’s Street, dietro la Barrowland. Michelle, di 35 anni, e Sarah di 31. Il medico disse che le donne erano state stuprate e poi strangolate. Morte per asfissia.



«Siete aperti?» lo scampanellio della porta mi trascina via, mi fa scivolare lontano da quei ricordi. È arrivato Pedro. Non ci vediamo da dieci anni. È ingrassato, ma quel cazzo di sorrisetto smorzato ha ancora la sua forza. Non so chi dei due attacca a parlare.



«How you doin’, man?»

«All good. All good.»

«Vorrei assicurarmi. Vorrei confessare.»

«Immaginavo.»

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