[MI148] Cella senza cielo
Posted: Sun Apr 11, 2021 10:14 pm
commento
Traccia di mezzanotte
Varco la soglia della cella d’isolamento e un uomo identico a me entra dalla parte opposta. Ci guardiamo negli occhi, sbigottiti, mentre le porte si chiudono.
«Hey! Che significa?» Domandiamo nello stesso momento.
Lo guardo con diffidenza, e lo stesso fa lui. Le pareti bianche della stanza circolare sono senza finestre e l’unico arredamento è un piccolo pilastro tronco al centro del pavimento. «Che sta succedendo?» Chiediamo in perfetto sincrono.
Avanziamo di un paio di passi uno verso l’altro. Quegli occhi, quel naso, quelle labbra… sono io. Alzo la mano destra e lui fa lo stesso. Non mi sta imitando: i nostri movimenti sono specchiati.
«Che cosa si sono inventati, pur di...» Scuotiamo la testa, increduli, poi alziamo lo sguardo alla telecamera tonda al centro del soffitto. «Credete che gettarmi in cella con un mio clone mi farà cantare?»
«No, no, aspetta», torniamo a guardarci. «Forse hai sbagliato a capire». La voce mi arriva doppia alle orecchie. «Il clone sei tu». Ci puntiamo il dito contro e quasi si toccano.
Questo è troppo. Non solo mi hanno clonato, mi vogliono anche far credere che lui ora stia pensando esattamente come me. È inconcepibile: sono un essere umano, sono un pezzo unico, sono io, e non riusciranno a deumanizzarmi fino a farmene dubitare. Qualsiasi gioco stiano tentando, non riusciranno a... «piegarmi», sussurriamo in contemporanea. Stava seguendo il mio stesso filo di pensieri?
Prendo fiato e gli assesto un gancio destro in volto. Vengo sbalzato all’indietro, un dolore pulsante allo zigomo sinistro, e lo stesso accade a lui.
«Maledetto...» Ci portiamo una mano al viso e ci lanciamo un’occhiata furente.
Sulla colonnina compare un piccolo monitor che riporta un conto alla rovescia: 54 minuti. Passo a sinistra della colonna, e il clone mi passa accanto dall’altro lato; torniamo a guardare i monitor: identici, da una parte e dall’altra.
«Dove si nascondono i tuoi compagni?» Una voce metallica da qualche altoparlante nascosto. «È tutto ciò che vogliamo sapere. Chi di voi due confesserà avrà la grazia immediata invece della condanna a morte. Se non avremo risposta entro il tempo indicato sui monitor, morirete entrambi.»
La voce tace e noi ci guardiamo. «Non osare aprire bocca, o giuro che... Mi fa incazzare anche solo che pensi che possa farlo! Stai zitto!» Mi afferro la testa tra le mani. «Parla tu. No, parla tu. Ora io sto zitto e tu parlerai, okay?» Ci guardiamo l’un l’altro, in silenzio. Prendo fiato, ma lo stesso fa lui; allora taccio, ma lo stesso fa lui. «Ho detto di...» Diciamo in contemporanea. «Basta! Non abbiamo bisogno di dialogare, giusto? Ci sta solo mandando fuori di testa.»
Ci sediamo uno di fronte all’altro, la schiena poggiata contro la parete bianca. Calma. L’altro sta avendo i miei stessi pensieri, è nella mia stessa situazione – o meglio, crede di esserlo, ma è solo un clone – quindi non ho motivo di preoccuparmi. Non confesserò mai, quindi neanche lui lo farà.
Sorrido alla telecamera. Nei minuti che mi separano dalla morte ripercorro alcuni ricordi. Ogni tanto io e il clone ci rivolgiamo un sorriso malinconico e ne commentiamo qualcuno assieme: «oh, quella ragazza», oppure «quella volta me la sono vista brutta». Non c’è bisogno che esplicitiamo gli accaduti, ci stiamo pensando entrambi.
Arrivati sotto al minuto d’attesa ci alziamo in piedi. Non parliamo, non ce n’è bisogno, ma non riusciamo a trattenere le lacrime.
... 2, 1, 0.
La cima della colonna tronca si apre come una botola e un carrello emerge con un ronzio metallico. C’è posata una pistola. Fisso il buco nero della canna.
«Cosa volete fare?», alzo lo sguardo alla telecamera.
«E adesso?», chiede il clone, lo sguardo sull’arma.
Trasalisco.
«Ma certo...» Mormora lui.
«È la pistola», dico. «L’unico oggetto non simmetrico in questa cella è la pistola».
«Per questo la divergenza». Mi parla sopra.
«Cambio di piani», dice la voce beffarda all’altoparlante. «Solo uno di voi due è condannato a morte, e chi porta a termine l’esecuzione può sopravvivere. Prego, procedete.»
Mi irrigidisco. «Non farlo».
«Uno di noi dovrà».
«Messa in questi termini, è scontato chi dovrà morire».
«Già», conferma. «Il clone».
Annuisco. «Cioè tu».
«No, tu».
«Senti...» Faccio spallucce. «Tu sai tutto quello che ho passato, no? Ti hanno impiantato i miei ricordi, in fondo. E sai che tutta questa situazione» faccio un gesto largo col braccio «mi sta mandando fuori di testa. Perciò, ti prego; lo capisco, davvero, lo so che sei convinto di essere l’originale e pensi di avere diritto di vivere tanto quanto ne ho io, ma cerca di avere un minimo di compassione verso me – verso te stesso! Non ti sembra la scelta più giusta che sia il clone a morire?»
«Certamente è la scelta più giusta, ma come fai a dire di essere l’originale? Fino a prova contraria, l’unica cosa che so è che io» si batte un pugno sul petto «sono nato e cresciuto in questo corpo, io» si porta l’indice alla tempia «ho vissuto tutte le esperienze che ricordo, io ho lottato e ho sofferto e sono stato torturato. Io, non tu. E non c’è niente al mondo che possa farmi cambiare idea.»
Poso la mano destra sulla canna dell’arma, e lui sul calcio. «Non c’è altra scelta, vero?» Chiedo.
«Ce la giochiamo a sorte?»
Annuisco. «Morra cinese?»
Annuisce. «Subito». Alza il pugno sinistro.
Un momento, maledizione, lasciami pensare. La mia mossa più usata è sasso, quindi è anche la sua. Questo significa che dovrò usare carta per vincere. Ma se lui fa lo stesso ragionamento, allora...
«Subito!» Mi sorride.
Inizia a contare e sono costretto a fare lo stesso. Se lui userà carta, allora io userò...
Uso forbice. Lui sasso.
Alzo lo sguardo, inorridito. Strattono la pistola, ma lui è più rapido; rovino a terra e lui mi punta l’arma in fronte. «Mi dispiace».
«Aspetta!» Sbraito, e guardo la telecamera. «Il nostro quartier generale è sotto al vecchio municipio abbandonato! Vi prego, non lasciatemi morire.»
«Maledetto!» Alza l’arma al soffitto. «Non volevo ucciderti, pensavo lo sapessi, visto che siamo la stessa persona, stupido idiota!» Mira alla telecamera e preme il grilletto.
Clic. È scarica. Le porte della cella si aprono.
Traccia di mezzanotte
Varco la soglia della cella d’isolamento e un uomo identico a me entra dalla parte opposta. Ci guardiamo negli occhi, sbigottiti, mentre le porte si chiudono.
«Hey! Che significa?» Domandiamo nello stesso momento.
Lo guardo con diffidenza, e lo stesso fa lui. Le pareti bianche della stanza circolare sono senza finestre e l’unico arredamento è un piccolo pilastro tronco al centro del pavimento. «Che sta succedendo?» Chiediamo in perfetto sincrono.
Avanziamo di un paio di passi uno verso l’altro. Quegli occhi, quel naso, quelle labbra… sono io. Alzo la mano destra e lui fa lo stesso. Non mi sta imitando: i nostri movimenti sono specchiati.
«Che cosa si sono inventati, pur di...» Scuotiamo la testa, increduli, poi alziamo lo sguardo alla telecamera tonda al centro del soffitto. «Credete che gettarmi in cella con un mio clone mi farà cantare?»
«No, no, aspetta», torniamo a guardarci. «Forse hai sbagliato a capire». La voce mi arriva doppia alle orecchie. «Il clone sei tu». Ci puntiamo il dito contro e quasi si toccano.
Questo è troppo. Non solo mi hanno clonato, mi vogliono anche far credere che lui ora stia pensando esattamente come me. È inconcepibile: sono un essere umano, sono un pezzo unico, sono io, e non riusciranno a deumanizzarmi fino a farmene dubitare. Qualsiasi gioco stiano tentando, non riusciranno a... «piegarmi», sussurriamo in contemporanea. Stava seguendo il mio stesso filo di pensieri?
Prendo fiato e gli assesto un gancio destro in volto. Vengo sbalzato all’indietro, un dolore pulsante allo zigomo sinistro, e lo stesso accade a lui.
«Maledetto...» Ci portiamo una mano al viso e ci lanciamo un’occhiata furente.
Sulla colonnina compare un piccolo monitor che riporta un conto alla rovescia: 54 minuti. Passo a sinistra della colonna, e il clone mi passa accanto dall’altro lato; torniamo a guardare i monitor: identici, da una parte e dall’altra.
«Dove si nascondono i tuoi compagni?» Una voce metallica da qualche altoparlante nascosto. «È tutto ciò che vogliamo sapere. Chi di voi due confesserà avrà la grazia immediata invece della condanna a morte. Se non avremo risposta entro il tempo indicato sui monitor, morirete entrambi.»
La voce tace e noi ci guardiamo. «Non osare aprire bocca, o giuro che... Mi fa incazzare anche solo che pensi che possa farlo! Stai zitto!» Mi afferro la testa tra le mani. «Parla tu. No, parla tu. Ora io sto zitto e tu parlerai, okay?» Ci guardiamo l’un l’altro, in silenzio. Prendo fiato, ma lo stesso fa lui; allora taccio, ma lo stesso fa lui. «Ho detto di...» Diciamo in contemporanea. «Basta! Non abbiamo bisogno di dialogare, giusto? Ci sta solo mandando fuori di testa.»
Ci sediamo uno di fronte all’altro, la schiena poggiata contro la parete bianca. Calma. L’altro sta avendo i miei stessi pensieri, è nella mia stessa situazione – o meglio, crede di esserlo, ma è solo un clone – quindi non ho motivo di preoccuparmi. Non confesserò mai, quindi neanche lui lo farà.
Sorrido alla telecamera. Nei minuti che mi separano dalla morte ripercorro alcuni ricordi. Ogni tanto io e il clone ci rivolgiamo un sorriso malinconico e ne commentiamo qualcuno assieme: «oh, quella ragazza», oppure «quella volta me la sono vista brutta». Non c’è bisogno che esplicitiamo gli accaduti, ci stiamo pensando entrambi.
Arrivati sotto al minuto d’attesa ci alziamo in piedi. Non parliamo, non ce n’è bisogno, ma non riusciamo a trattenere le lacrime.
... 2, 1, 0.
La cima della colonna tronca si apre come una botola e un carrello emerge con un ronzio metallico. C’è posata una pistola. Fisso il buco nero della canna.
«Cosa volete fare?», alzo lo sguardo alla telecamera.
«E adesso?», chiede il clone, lo sguardo sull’arma.
Trasalisco.
«Ma certo...» Mormora lui.
«È la pistola», dico. «L’unico oggetto non simmetrico in questa cella è la pistola».
«Per questo la divergenza». Mi parla sopra.
«Cambio di piani», dice la voce beffarda all’altoparlante. «Solo uno di voi due è condannato a morte, e chi porta a termine l’esecuzione può sopravvivere. Prego, procedete.»
Mi irrigidisco. «Non farlo».
«Uno di noi dovrà».
«Messa in questi termini, è scontato chi dovrà morire».
«Già», conferma. «Il clone».
Annuisco. «Cioè tu».
«No, tu».
«Senti...» Faccio spallucce. «Tu sai tutto quello che ho passato, no? Ti hanno impiantato i miei ricordi, in fondo. E sai che tutta questa situazione» faccio un gesto largo col braccio «mi sta mandando fuori di testa. Perciò, ti prego; lo capisco, davvero, lo so che sei convinto di essere l’originale e pensi di avere diritto di vivere tanto quanto ne ho io, ma cerca di avere un minimo di compassione verso me – verso te stesso! Non ti sembra la scelta più giusta che sia il clone a morire?»
«Certamente è la scelta più giusta, ma come fai a dire di essere l’originale? Fino a prova contraria, l’unica cosa che so è che io» si batte un pugno sul petto «sono nato e cresciuto in questo corpo, io» si porta l’indice alla tempia «ho vissuto tutte le esperienze che ricordo, io ho lottato e ho sofferto e sono stato torturato. Io, non tu. E non c’è niente al mondo che possa farmi cambiare idea.»
Poso la mano destra sulla canna dell’arma, e lui sul calcio. «Non c’è altra scelta, vero?» Chiedo.
«Ce la giochiamo a sorte?»
Annuisco. «Morra cinese?»
Annuisce. «Subito». Alza il pugno sinistro.
Un momento, maledizione, lasciami pensare. La mia mossa più usata è sasso, quindi è anche la sua. Questo significa che dovrò usare carta per vincere. Ma se lui fa lo stesso ragionamento, allora...
«Subito!» Mi sorride.
Inizia a contare e sono costretto a fare lo stesso. Se lui userà carta, allora io userò...
Uso forbice. Lui sasso.
Alzo lo sguardo, inorridito. Strattono la pistola, ma lui è più rapido; rovino a terra e lui mi punta l’arma in fronte. «Mi dispiace».
«Aspetta!» Sbraito, e guardo la telecamera. «Il nostro quartier generale è sotto al vecchio municipio abbandonato! Vi prego, non lasciatemi morire.»
«Maledetto!» Alza l’arma al soffitto. «Non volevo ucciderti, pensavo lo sapessi, visto che siamo la stessa persona, stupido idiota!» Mira alla telecamera e preme il grilletto.
Clic. È scarica. Le porte della cella si aprono.