A life at the cinema / Una vita al cinema
Posted: Sat Jan 02, 2021 1:58 pm
The End.
Era finita così com’era cominciata, col buio prima della luce, gli occhi chiusi prima di riaprirli, il silenzio prima del boato. Come comincia una vita. Così come finisce.
Una volta sono andato in gita all’Apollo, giù la 125esima strada, tra la Clayton Powell Boulevard e la Douglass. Sembrava un carillon o un portagioie, come quello che aveva mia nonna sul comodino, ma a differenza di quello, come coperchio aveva il cielo. Anche in questo posto, sopra di noi, c’è solo il cielo, ma è l’unica cosa che ha in comune con l’Apollo. Non sono mai stato bravo in matematica, ma per quello che vi posso dire, è alto almeno quanto il Chrysler e lungo mille o più Central Parks.
Dal buio, luce. Colpisce in faccia come il pugno di un nero di Harlem incazzato con la vita che sta dando a te la colpa di tutte le sue sfighe.
Adesso che la proiezione è terminata, ho tempo per guardarmi attorno ed osservarne meglio le proporzioni: migliaia, forse milioni di poltrone vestite col velluto rosso. I confini non li vedo, forse neanche esistono. Accanto a me un tizio con un paio di baffi alla chevron, baffi da maschio vero, ha il volto rigato dalle lacrime. Mi somiglia.
Quando sono arrivato, ero da poco stato in ospedale per una diverticolite. Poi credo di essermene andato con una prescrizione medica e una pacca sulla spalla. Ero a piedi, ed ero da solo. Avrei anche preso un taxi, ma pioveva di quella pioggia sottile che trasforma le strade in specchi e non ho resistito ad una passeggiata. Forse ho anche canticchiato qualcosa, mi sono guardato intorno, avrò visto un’insegna luminosa. “La vita di Dominik Pavel - ultimo spettacolo”. Il nome non mi diceva nulla, ma era una giornata perfetta, di quelle che a New York si vedono sempre di meno, e quand’ero giovane si vedevano molto di più. Se proprio non sai che fare, qui, un film ti ricollega alla vita.
Alla mia sinistra sento echi di un lamento corale. Alle mie spalle, un gruppetto di persone discute di una scena del film in cui Dominik, il protagonista, viene coinvolto in un incidente d’auto la sera del prom, il ballo di fine anno del liceo. Siamo in molti qui, più di quanti ne riuscirei a contare. A guardarci bene, siamo quasi tutti uomini. Ho visto una donna dai capelli rossi circa dodici file più in giù, sarà stata sulla trentina, e un’altra sulla destra che nel momento dell’impatto si è tirata il maglione verde acqua sulla testa. Per il resto, più o meno ci somigliamo tutti. Ci si comincia ad alzare e a mettersi in fila, che per uscire da qui ce ne vorrà di tempo.
Gruppi di Jack, di Simòn, di Andrew, di Michele, di Peter, Stefano, Stephan, Stephen, Steve. Qualcuno da lontano grida «C’è un altro Carmichael, qui?». Nessuno. Ci guardiamo di sbieco con un sorrisetto imbarazzato. Poverino.
Ci ammassiamo tutti nell’interminabile foyer e alla luce dei lampadari mi rendo conto che, davvero, siamo fatti quasi dello stesso stampo. Qualcuno ha ancora i capelli lunghi, qualcun altro gli ha detto addio da tempo. Qualcuno ha la pelle raggrinzita come la mia, qualcun altro è stato meno fortunato. Qualcuno è bianco, qualcuno è nero, qualcuno è olivastro. Uno è blu, e la cosa sembra divertire molto quelli di noi che sono laureati in medicina. «Avrà sofferto di argiria» sento dire. «Di sicuro lui ce l’hanno invitato al “Ballo del Cobalto”». Risate.
Anne. Ognuno di noi ha avuto la sua Anne, a quanto pare. Poteva essere indiana, magrebina o di Salt Lake City. Capelli fulvi, lentiggini e occhiali troppo grandi. Almeno, la mia Anne era così. Si era trasferita al terzo anno di liceo, e ancora oggi mi chiedo perché avesse accettato il mio invito al ballo di fine anno. Quell’anno il tema erano le tonalità di blu… già, quando fai tre balli all’anno dall’inizio del secolo ti ritrovi presto a corto di idee. Il “Ballo del Cobalto”, così lo chiamarono. Quelli di noi che ci andarono, hai più probabilità di vederli adesso nascondersi a piangere in un angolo del foyer. Chi ci andò e non bevve mai quella birra di troppo, ha qualche probabilità in più di star sorridendo, ora.
«Ah, avremmo dovuto baciarla» disse un Artur identico a tutti gli altri salvo che per una marsina beige. Stava in piedi ma teneva la schiena curva, come se cercasse di raggomitolarsi su se stesso. Qualche cenno di assenso sommesso attorno a lui.
«Noi l’abbiamo baciata!» dissero quattro Mark di rimando, con gli occhi che brillavano, tutti nocciola.
«Sì, ma poi quella birra… e quel botto… a me l’auto è andata sottosopra» disse fra sé e sé un Antony, riportando un triste equilibrio tra i presenti.
Inizia il film. Dominik apre appena gli occhi, nocciola. Stringe forte i pugni rosa e vagisce. Dominik che va all’asilo, Dominik che toglie le rotelle alla bicicletta, Dominik che ad Halloween si veste da Chaplin, Dominik che arrotonda qualche soldo d’estate, Dominik che va al liceo, vai Dominik sei tutti noi! Dominik che va al “Ballo del Cobalto” con Anne, Dominik che beve troppo, Dominik e Anne che si schiantano, Dominik in ospedale, Dominik al college che studia legge, Dominik in chiesa con Jenny, Dominik in aula col colletto stirato, Dominik all’ospedale, Dominik sbattuto fuori di casa, Dominik che invecchia, Dominik di nuovo in chiesa, Dominik in ufficio, Dominik con dei nipotini, Dominik di nuovo all’ospedale, Dominik per l’ultima volta.
Esistono forse delle anime che sono legate fra loro, indissolubili, attorcigliate al centro della propria stessa essenza. E non importa quante vite uno possa vivere, quante volte si possa andare a sbattere da qualche parte, o magari non arrivarci neanche a sbattare da qualche parte. Magari, quel giorno hai preso l’autobus e non ci sei neanche salito in auto. Però Anne era lì, lo stesso. È stata lì per tutte le decine di migliaia di vite, e per tutte le decine di migliaia di film proiettati in questa sala. Anne. E New York. Perché in fondo vivere a New York è un po’ come vivere in un film, e se ti siedi in ultima fila, con il pulviscolo nel fascio di luce del proiettore che passa a pochi centimetri sopra la tua testa, forse quel film puoi anche guardartelo. O vivertelo. In pace.
https://www.writersdream.org/forum/for ... al-cinema/
Era finita così com’era cominciata, col buio prima della luce, gli occhi chiusi prima di riaprirli, il silenzio prima del boato. Come comincia una vita. Così come finisce.
Una volta sono andato in gita all’Apollo, giù la 125esima strada, tra la Clayton Powell Boulevard e la Douglass. Sembrava un carillon o un portagioie, come quello che aveva mia nonna sul comodino, ma a differenza di quello, come coperchio aveva il cielo. Anche in questo posto, sopra di noi, c’è solo il cielo, ma è l’unica cosa che ha in comune con l’Apollo. Non sono mai stato bravo in matematica, ma per quello che vi posso dire, è alto almeno quanto il Chrysler e lungo mille o più Central Parks.
Dal buio, luce. Colpisce in faccia come il pugno di un nero di Harlem incazzato con la vita che sta dando a te la colpa di tutte le sue sfighe.
Adesso che la proiezione è terminata, ho tempo per guardarmi attorno ed osservarne meglio le proporzioni: migliaia, forse milioni di poltrone vestite col velluto rosso. I confini non li vedo, forse neanche esistono. Accanto a me un tizio con un paio di baffi alla chevron, baffi da maschio vero, ha il volto rigato dalle lacrime. Mi somiglia.
Quando sono arrivato, ero da poco stato in ospedale per una diverticolite. Poi credo di essermene andato con una prescrizione medica e una pacca sulla spalla. Ero a piedi, ed ero da solo. Avrei anche preso un taxi, ma pioveva di quella pioggia sottile che trasforma le strade in specchi e non ho resistito ad una passeggiata. Forse ho anche canticchiato qualcosa, mi sono guardato intorno, avrò visto un’insegna luminosa. “La vita di Dominik Pavel - ultimo spettacolo”. Il nome non mi diceva nulla, ma era una giornata perfetta, di quelle che a New York si vedono sempre di meno, e quand’ero giovane si vedevano molto di più. Se proprio non sai che fare, qui, un film ti ricollega alla vita.
Alla mia sinistra sento echi di un lamento corale. Alle mie spalle, un gruppetto di persone discute di una scena del film in cui Dominik, il protagonista, viene coinvolto in un incidente d’auto la sera del prom, il ballo di fine anno del liceo. Siamo in molti qui, più di quanti ne riuscirei a contare. A guardarci bene, siamo quasi tutti uomini. Ho visto una donna dai capelli rossi circa dodici file più in giù, sarà stata sulla trentina, e un’altra sulla destra che nel momento dell’impatto si è tirata il maglione verde acqua sulla testa. Per il resto, più o meno ci somigliamo tutti. Ci si comincia ad alzare e a mettersi in fila, che per uscire da qui ce ne vorrà di tempo.
Gruppi di Jack, di Simòn, di Andrew, di Michele, di Peter, Stefano, Stephan, Stephen, Steve. Qualcuno da lontano grida «C’è un altro Carmichael, qui?». Nessuno. Ci guardiamo di sbieco con un sorrisetto imbarazzato. Poverino.
Ci ammassiamo tutti nell’interminabile foyer e alla luce dei lampadari mi rendo conto che, davvero, siamo fatti quasi dello stesso stampo. Qualcuno ha ancora i capelli lunghi, qualcun altro gli ha detto addio da tempo. Qualcuno ha la pelle raggrinzita come la mia, qualcun altro è stato meno fortunato. Qualcuno è bianco, qualcuno è nero, qualcuno è olivastro. Uno è blu, e la cosa sembra divertire molto quelli di noi che sono laureati in medicina. «Avrà sofferto di argiria» sento dire. «Di sicuro lui ce l’hanno invitato al “Ballo del Cobalto”». Risate.
Anne. Ognuno di noi ha avuto la sua Anne, a quanto pare. Poteva essere indiana, magrebina o di Salt Lake City. Capelli fulvi, lentiggini e occhiali troppo grandi. Almeno, la mia Anne era così. Si era trasferita al terzo anno di liceo, e ancora oggi mi chiedo perché avesse accettato il mio invito al ballo di fine anno. Quell’anno il tema erano le tonalità di blu… già, quando fai tre balli all’anno dall’inizio del secolo ti ritrovi presto a corto di idee. Il “Ballo del Cobalto”, così lo chiamarono. Quelli di noi che ci andarono, hai più probabilità di vederli adesso nascondersi a piangere in un angolo del foyer. Chi ci andò e non bevve mai quella birra di troppo, ha qualche probabilità in più di star sorridendo, ora.
«Ah, avremmo dovuto baciarla» disse un Artur identico a tutti gli altri salvo che per una marsina beige. Stava in piedi ma teneva la schiena curva, come se cercasse di raggomitolarsi su se stesso. Qualche cenno di assenso sommesso attorno a lui.
«Noi l’abbiamo baciata!» dissero quattro Mark di rimando, con gli occhi che brillavano, tutti nocciola.
«Sì, ma poi quella birra… e quel botto… a me l’auto è andata sottosopra» disse fra sé e sé un Antony, riportando un triste equilibrio tra i presenti.
Inizia il film. Dominik apre appena gli occhi, nocciola. Stringe forte i pugni rosa e vagisce. Dominik che va all’asilo, Dominik che toglie le rotelle alla bicicletta, Dominik che ad Halloween si veste da Chaplin, Dominik che arrotonda qualche soldo d’estate, Dominik che va al liceo, vai Dominik sei tutti noi! Dominik che va al “Ballo del Cobalto” con Anne, Dominik che beve troppo, Dominik e Anne che si schiantano, Dominik in ospedale, Dominik al college che studia legge, Dominik in chiesa con Jenny, Dominik in aula col colletto stirato, Dominik all’ospedale, Dominik sbattuto fuori di casa, Dominik che invecchia, Dominik di nuovo in chiesa, Dominik in ufficio, Dominik con dei nipotini, Dominik di nuovo all’ospedale, Dominik per l’ultima volta.
Esistono forse delle anime che sono legate fra loro, indissolubili, attorcigliate al centro della propria stessa essenza. E non importa quante vite uno possa vivere, quante volte si possa andare a sbattere da qualche parte, o magari non arrivarci neanche a sbattare da qualche parte. Magari, quel giorno hai preso l’autobus e non ci sei neanche salito in auto. Però Anne era lì, lo stesso. È stata lì per tutte le decine di migliaia di vite, e per tutte le decine di migliaia di film proiettati in questa sala. Anne. E New York. Perché in fondo vivere a New York è un po’ come vivere in un film, e se ti siedi in ultima fila, con il pulviscolo nel fascio di luce del proiettore che passa a pochi centimetri sopra la tua testa, forse quel film puoi anche guardartelo. O vivertelo. In pace.
https://www.writersdream.org/forum/for ... al-cinema/