A life at the cinema / Una vita al cinema

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The End.

Era finita così com’era cominciata, col buio prima della luce, gli occhi chiusi prima di riaprirli, il silenzio prima del boato. Come comincia una vita. Così come finisce.



Una volta sono andato in gita all’Apollo, giù la 125esima strada, tra la Clayton Powell Boulevard e la Douglass. Sembrava un carillon o un portagioie, come quello che aveva mia nonna sul comodino, ma a differenza di quello, come coperchio aveva il cielo. Anche in questo posto, sopra di noi, c’è solo il cielo, ma è l’unica cosa che ha in comune con l’Apollo. Non sono mai stato bravo in matematica, ma per quello che vi posso dire, è alto almeno quanto il Chrysler e lungo mille o più Central Parks.
Dal buio, luce. Colpisce in faccia come il pugno di un nero di Harlem incazzato con la vita che sta dando a te la colpa di tutte le sue sfighe.

Adesso che la proiezione è terminata, ho tempo per guardarmi attorno ed osservarne meglio le proporzioni: migliaia, forse milioni di poltrone vestite col velluto rosso. I confini non li vedo, forse neanche esistono. Accanto a me un tizio con un paio di baffi alla chevron, baffi da maschio vero, ha il volto rigato dalle lacrime. Mi somiglia.



Quando sono arrivato, ero da poco stato in ospedale per una diverticolite. Poi credo di essermene andato con una prescrizione medica e una pacca sulla spalla. Ero a piedi, ed ero da solo. Avrei anche preso un taxi, ma pioveva di quella pioggia sottile che trasforma le strade in specchi e non ho resistito ad una passeggiata. Forse ho anche canticchiato qualcosa, mi sono guardato intorno, avrò visto un’insegna luminosa. “La vita di Dominik Pavel - ultimo spettacolo”. Il nome non mi diceva nulla, ma era una giornata perfetta, di quelle che a New York si vedono sempre di meno, e quand’ero giovane si vedevano molto di più. Se proprio non sai che fare, qui, un film ti ricollega alla vita.



Alla mia sinistra sento echi di un lamento corale. Alle mie spalle, un gruppetto di persone discute di una scena del film in cui Dominik, il protagonista, viene coinvolto in un incidente d’auto la sera del prom, il ballo di fine anno del liceo. Siamo in molti qui, più di quanti ne riuscirei a contare. A guardarci bene, siamo quasi tutti uomini. Ho visto una donna dai capelli rossi circa dodici file più in giù, sarà stata sulla trentina, e un’altra sulla destra che nel momento dell’impatto si è tirata il maglione verde acqua sulla testa. Per il resto, più o meno ci somigliamo tutti. Ci si comincia ad alzare e a mettersi in fila, che per uscire da qui ce ne vorrà di tempo.

Gruppi di Jack, di Simòn, di Andrew, di Michele, di Peter, Stefano, Stephan, Stephen, Steve. Qualcuno da lontano grida «C’è un altro Carmichael, qui?». Nessuno. Ci guardiamo di sbieco con un sorrisetto imbarazzato. Poverino.



Ci ammassiamo tutti nell’interminabile foyer e alla luce dei lampadari mi rendo conto che, davvero, siamo fatti quasi dello stesso stampo. Qualcuno ha ancora i capelli lunghi, qualcun altro gli ha detto addio da tempo. Qualcuno ha la pelle raggrinzita come la mia, qualcun altro è stato meno fortunato. Qualcuno è bianco, qualcuno è nero, qualcuno è olivastro. Uno è blu, e la cosa sembra divertire molto quelli di noi che sono laureati in medicina. «Avrà sofferto di argiria» sento dire. «Di sicuro lui ce l’hanno invitato al “Ballo del Cobalto”». Risate.



Anne. Ognuno di noi ha avuto la sua Anne, a quanto pare. Poteva essere indiana, magrebina o di Salt Lake City. Capelli fulvi, lentiggini e occhiali troppo grandi. Almeno, la mia Anne era così. Si era trasferita al terzo anno di liceo, e ancora oggi mi chiedo perché avesse accettato il mio invito al ballo di fine anno. Quell’anno il tema erano le tonalità di blu… già, quando fai tre balli all’anno dall’inizio del secolo ti ritrovi presto a corto di idee. Il “Ballo del Cobalto”, così lo chiamarono. Quelli di noi che ci andarono, hai più probabilità di vederli adesso nascondersi a piangere in un angolo del foyer. Chi ci andò e non bevve mai quella birra di troppo, ha qualche probabilità in più di star sorridendo, ora.

«Ah, avremmo dovuto baciarla» disse un Artur identico a tutti gli altri salvo che per una marsina beige. Stava in piedi ma teneva la schiena curva, come se cercasse di raggomitolarsi su se stesso. Qualche cenno di assenso sommesso attorno a lui.

«Noi l’abbiamo baciata!» dissero quattro Mark di rimando, con gli occhi che brillavano, tutti nocciola.

«Sì, ma poi quella birra… e quel botto… a me l’auto è andata sottosopra» disse fra sé e sé un Antony, riportando un triste equilibrio tra i presenti.



Inizia il film. Dominik apre appena gli occhi, nocciola. Stringe forte i pugni rosa e vagisce. Dominik che va all’asilo, Dominik che toglie le rotelle alla bicicletta, Dominik che ad Halloween si veste da Chaplin, Dominik che arrotonda qualche soldo d’estate, Dominik che va al liceo, vai Dominik sei tutti noi! Dominik che va al “Ballo del Cobalto” con Anne, Dominik che beve troppo, Dominik e Anne che si schiantano, Dominik in ospedale, Dominik al college che studia legge, Dominik in chiesa con Jenny, Dominik in aula col colletto stirato, Dominik all’ospedale, Dominik sbattuto fuori di casa, Dominik che invecchia, Dominik di nuovo in chiesa, Dominik in ufficio, Dominik con dei nipotini, Dominik di nuovo all’ospedale, Dominik per l’ultima volta.



Esistono forse delle anime che sono legate fra loro, indissolubili, attorcigliate al centro della propria stessa essenza. E non importa quante vite uno possa vivere, quante volte si possa andare a sbattere da qualche parte, o magari non arrivarci neanche a sbattare da qualche parte. Magari, quel giorno hai preso l’autobus e non ci sei neanche salito in auto. Però Anne era lì, lo stesso. È stata lì per tutte le decine di migliaia di vite, e per tutte le decine di migliaia di film proiettati in questa sala. Anne. E New York. Perché in fondo vivere a New York è un po’ come vivere in un film, e se ti siedi in ultima fila, con il pulviscolo nel fascio di luce del proiettore che passa a pochi centimetri sopra la tua testa, forse quel film puoi anche guardartelo. O vivertelo. In pace.


https://www.writersdream.org/forum/for ... al-cinema/

Re: A life at the cinema / Una vita al cinema

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Ciao@Ton 

Comincio col dirti che questo racconto mi ha risucchiata nella lettura e che ho trovato interessante come lo hai strutturato.
Ton ha scritto: Era finita così com’era cominciata, col buio prima della luce, gli occhi chiusi prima di riaprirli, il silenzio prima del boato. Come comincia una vita. Così come finisce.
Ho riletto più volte l’incipit perché non riuscivo ad avere chiara la sequenza. Cosa era accaduto?  Quel “riaprirli” mi ha fatto immaginare una persona addormentata (a occhi chiusi, al buio), svegliata all’improvviso da un bagliore (prima della luce) e un boato (forse lo scoppio di un ordigno?).  Se fai la similitudine con la vita che nasce,  forse sarebbe preferibile dire “gli occhi chiusi prima di aprirli”.
Ton ha scritto: Una volta sono andato in gita all’Apollo, giù la 125esima strada, tra la Clayton Powell Boulevard e la Douglass. Sembrava un carillon o un portagioie, come quello che aveva mia nonna sul comodino, ma a differenza di quello, come coperchio aveva il cielo
Complimenti! Davvero originale 👏
Ton ha scritto: Anche in questo posto, sopra di noi, c’è solo il cielo, ma è l’unica cosa che ha in comune con l’Apollo. Non sono mai stato bravo in matematica, ma per quello che vi posso dire, è alto almeno quanto il Chrysler e lungo mille o più Central Parks.
Dal buio, luce. Colpisce in faccia come il pugno di un nero di Harlem incazzato con la vita che sta dando a te la colpa di tutte le sue sfighe.
Qui mi sono persa un po’ perchè mi hai riportata sulla scena “drammatica” iniziale, ma sono disorientata. Non riesco a capire dove vi  trovate. Te la dico così, possibile che tu stia parlando delle twin towers?  In parallelo, il ricordo del cinema all’aperto.
Ton ha scritto: Quando sono arrivato, ero da poco stato in ospedale per una diverticolite. Poi credo di essermene andato con una prescrizione medica e una pacca sulla spalla. Ero a piedi, ed ero da solo. Avrei anche preso un taxi, ma pioveva di quella pioggia sottile che trasforma le strade in specchi e non ho resistito ad una passeggiata. 
Qui inserisci di nuovo un flash di vita vissuta prima del dramma in cui sei rimasto coinvolto. La descrizione crea un’atmosfera intensa e mi è piaciuta molto.  
Ton ha scritto: Alla mia sinistra sento echi di un lamento corale. Alle mie spalle, un gruppetto di persone discute di una scena del film in cui Dominik, il protagonista, viene coinvolto in un incidente d’auto la sera del prom, il ballo di fine anno del liceo. Siamo in molti qui, più di quanti ne riuscirei a contare. A guardarci bene, siamo quasi tutti uomini. Ho visto una donna dai capelli rossi circa dodici file più in giù, sarà stata sulla trentina, e un’altra sulla destra che nel momento dell’impatto si è tirata il maglione verde acqua sulla testa. Per il resto, più o meno ci somigliamo tutti. Ci si comincia ad alzare e a mettersi in fila, che per uscire da qui ce ne vorrà di tempo.

Gruppi di Jack, di Simòn, di Andrew, di Michele, di Peter, Stefano, Stephan, Stephen, Steve. Qualcuno da lontano grida «C’è un altro Carmichael, qui?». Nessuno. Ci guardiamo di sbieco con un sorrisetto imbarazzato. Poverino.
Questa scena mi ha suscitato l’immagine dell’attesa dopo la morte. Tante anime che attendono di essere “smistate” . Un po’ alla “il paradiso può attendere” . Ti prego di scusarmi se sto travisando tutto🙏
Ton ha scritto: nocciola.

«Sì, ma poi quella birra… e quel botto… a me l’auto è andata sottosopra» disse fra sé e sé un Antony, riportando un triste equilibrio tra i presenti.
Le “anime” in attesa si [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]raccontano le proprie esperienze di morte. [/font]
Ton ha scritto: Inizia il film. Dominik apre appena gli occhi, nocciola. Stringe forte i pugni rosa e vagisce. Dominik che va all’asilo, Dominik che toglie le rotelle alla bicicletta, Dominik che ad Halloween si veste da Chaplin, Dominik che arrotonda qualche soldo d’estate, Dominik che va al liceo, vai Dominik sei tutti noi! Dominik che va al “Ballo del Cobalto” con Anne, Dominik che beve troppo, Dominik e Anne che si schiantano, Dominik in ospedale, Dominik al college che studia legge, Dominik in chiesa con Jenny, Dominik in aula col colletto stirato, Dominik all’ospedale, Dominik sbattuto fuori di casa, Dominik che invecchia, Dominik di nuovo in chiesa, Dominik in ufficio, Dominik con dei nipotini, Dominik di nuovo all’ospedale, Dominik per l’ultima volta.
Questo passaggio a loop è inquietante. Tutta una vita contenuta in poche righe.
Ton ha scritto: Esistono forse delle anime che sono legate fra loro, indissolubili, attorcigliate al centro della propria stessa essenza. E non importa quante vite uno possa vivere, quante volte si possa andare a sbattere da qualche parte, o magari non arrivarci neanche a sbattare da qualche parte. Magari, quel giorno hai preso l’autobus e non ci sei neanche salito in auto. Però Anne era lì, lo stesso. È stata lì per tutte le decine di migliaia di vite, e per tutte le decine di migliaia di film proiettati in questa sala. Anne. E New York. Perché in fondo vivere a New York è un po’ come vivere in un film, e se ti siedi in ultima fila, con il pulviscolo nel fascio di luce del proiettore che passa a pochi centimetri sopra la tua testa, forse quel film puoi anche guardartelo. O vivertelo. In pace.
E la chiusa, quel senso dì ineluttabilità degli eventi.  Mi è piaciuto quando dici “[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Esistono forse delle anime che sono legate fra loro, indissolubili, attorcigliate al centro della propria stessa essenza. ” [/font]
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]E infine l’invito all’azione, a non rimanere “in sala” e osservare la proiezione delle vite altrui, ma diventare protagonista della propria storia e viverti il film in pace. [/font]

[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]La forma grafica così frammentata è una scelta che trovo azzeccata per il genere di racconto che hai elaborato. Lo trovo un esperimento di scrittura interessante. Certo non è una lettura che si può lasciare “scorrere” e via. Invita a entrarci, produce delle emozioni.  Complimenti. Non avevo mai letto nulla scritto da te, ma ti seguirò ancora volentieri.👍[/font]

Re: A life at the cinema / Una vita al cinema

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Ciao @Ton ,
ho letto e riletto questo racconto con molto piacere. Amo le storie surreali e questa, anche se propone un'idea sfruttata, cambia molto nel modo in cui l'hai presentata. L'incipit da subito proietta in una direzione particolare, cattura e al tempo stesso invita a riflettere. Suggerisce con le ultime tre parole che si parlerà di morte. "Così come finisce"

Ho apprezzato molto il contrasto tra la similitudine Apollo-carillon e il luogo dove si trova adesso il protagonista anche se avrei lasciato Central Parks al singolare, essendo in inglese, l'effetto che vuoi non ne risentirebbe comunque. In questo paragrafo già si "assaporano" le vaste proporzioni della realtà in cui si trova il protagonista. Sembra di essere nell'onirico.

Il modo poi in cui esprimi l'inizio della proiezione rende bene l'idea di come questa investa lo spettatore con tutta la sua forza, resa anche dal paragone con il vicino di poltrona, a lui somigliante.

Il paragrafo della diverticolite è stato per me il più difficile da interpretare, mi ha lasciata nel dubbio tra due versioni. Nella prima, lui è vivo e passeggia per New York, è sopravvissuto all'ospedale ed entra in un cinema. Tuttavia mi sembra poco probabile visto la piega che la storia prende dopo e se fosse così questo racconto sarebbe una sorta di realismo magico.
Propendo più per la seconda (surreale), la versione in cui lui è morto.
Ton ha scritto: Quando sono arrivato, ero da poco stato in ospedale per una diverticolite. Poi credo di essermene andato con una prescrizione medica e una pacca sulla spalla. Ero a piedi, ed ero da solo. Avrei anche preso un taxi, ma pioveva di quella pioggia sottile che trasforma le strade in specchi e non ho resistito ad una passeggiata. Forse ho anche canticchiato qualcosa, mi sono guardato intorno, avrò visto un’insegna luminosa. “La vita di Dominik Pavel - ultimo spettacolo”. Il nome non mi diceva nulla, ma era una giornata perfetta, di quelle che a New York si vedono sempre di meno, e quand’ero giovane si vedevano molto di più. Se proprio non sai che fare, qui, un film ti ricollega alla vita.
"Quando sono arrivato" dove il qui sottinteso potrebbe essere una sorta di non luogo; "poi credo di essermene andato" nel senso che è morto e in qualche modo si è ritrovato a camminare per una New York fittizia con un cinema infinito sotto il cielo, dove ha assistito a una proiezione di un tizio il cui nome non gli ricorda niente (ma che credo che per ciascuno spettatore sia il proprio, dimenticato). Paragrafo poi chiuso da una splendida frase sibillina "Se proprio non sai che fare, qui, un film ti ricollega alla vita."
Sì scelgo la seconda interpretazione, dopo averla confrontata anche con le informazioni del secondo paragrafo dove ho verificato come ci si era ritrovato.


La parte centrale è meravigliosa, una sola storia per tante vite simili, con solo qualche dettaglio diverso che ha allungato o accorciato le esistenze, rese più o meno sopportabili. Uno stesso errore, in alcuni casi evitato. Ognuno ha vissuto quella sola vita possibile improntandola con scelte diverse. La velata ironia che accompagna le descrizioni dei personaggi (i gruppi di nomi e Carmichael) fa da contralto al nostro protagonista che sembra più "spettatore degli spettatori" che "tra" e in qualche modo distaccato da quello che sembra essere stato un percorso comune.

Anche l'amore per Anne è corale al punto che lascia sperare al lettore che qualcuna abbia avuto un destino migliore. E leggendo le riflessioni a voce alta degli spettatori su come hanno vissuto la sera cruciale, c'è sempre una coralità che consola; non sono mai soli.

Il paragrafo di Dominik accresce la tensione del racconto, mentre quello finale è un inno al destino: il protagonista afferma che per quanto si possa dirigere la propria vita verso un risultato diverso, c'è qualcosa chiamato legame che fa sì che certi incontri siano un destino non modificabile. Nel caso del protagonista non è poi così male vivere quel film che è pur sempre una vita.

Ho scritto un "papiro" perché, in caso avessi male interpretato alcuni punti, puoi sempre riflettere se può dipendere da qualche punto narrativo da rivedere. La tua storia mi è piaciuta tanto e l'ho trovata originale. Mi è piaciuto l'uso diffuso dei contrasti per sottolineare alcuni aspetti, come questo:
Ton ha scritto: Accanto a me un tizio con un paio di baffi alla chevron, baffi da maschio vero, ha il volto rigato dalle lacrime. Mi somiglia.
Tra le correzioni ti suggerisco queste:
Ton ha scritto: giù la 125esima strada
inserirei un "per" tra "giù" e "la"
Ton ha scritto: Sembrava un carillon o un portagioie, come quello che aveva mia nonna sul comodino, ma a differenza di quello, come coperchio aveva il cielo.
"come coperchio" è un inciso, virgola dopo "coperchio"

Central Parks - singolare non plurale
Ton ha scritto: Dal buio, luce. Colpisce in faccia come il pugno di un nero di Harlem incazzato con la vita che sta dando a te la colpa di tutte le sue sfighe.
vita virgola
Ton ha scritto: Adesso che la proiezione è terminata, ho tempo per guardarmi attorno ed osservarne meglio le proporzioni:
In questo caso non abbiamo una disgiuntiva eufonica, toglierei la d. Si legge meglio senza.

Ton ha scritto: Alla mia sinistra sento echi di un lamento corale. Alle mie spalle, un gruppetto di persone discute di una scena del film in cui Dominik, il protagonista, viene coinvolto in un incidente d’auto la sera del prom
prom -  lo indicherei in corsivo o tra virgolette, essendo un termine inglese.

Si tratta comunque di piccolezze. A rileggerti presto (y)
"Fare o non fare, non c'è provare." Yoda - Star Wars
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