[MI148] ...di quando persi il naso e non feci un dramma
Posted: Sun Apr 11, 2021 6:25 pm
...di quando persi il naso e non feci un dramma.
Buio. Un minuto di silenzio, poi l’occhio di bue illumina il sipario. Io dietro, mi concentro sugli esercizi di respirazione, le parole, il costume da Tonio/Taddeo, il trucco; tutto perfetto, tranne il caldo che avverto dentro il vestito imbottito di gommapiuma. Una goccia di sudore scivola dalla fronte sullo spazio fra gli occhi, devia sul lato destro del naso e s’infila nello spazio tra la gomma e la pelle infarinata del viso. Mi solletica la narice. Immagino il rigagnolo scuro sulla mia faccia, il percorso tragico di una valanga di montagna che spinge a valle ogni cosa. Cerco di pensare solo alla musica bassa che, in un crescendo moderato spinge al primo passo verso l’apertura centrale del telone.
Il prurito diventa quasi insopportabile, sento che sta per cedere, avrei dovuto mettere un elastico o qualcosa che lo tenesse ben fermo. La musica, intanto, è al momento in cui devo passare attraverso l’apertura della tenda, ora.
Sono illuminato, una stella in mezzo all’oscurità. Non vedo nulla oltre la mia ombra e il disegno luminoso che il tecnico delle luci ha regolato su di me. Mi sforzo di non pensare al calore e al sudore, faccio una grande fatica, apro la bocca e comincia il canto.
Si può? Si può?
Signore! Signori!
Scusatemi Se da sol mi presento. Io sono il Prologo
Ecco, la pallina rossa rimbalza ai miei piedi e rotola piano sulle assi del palcoscenico, verso il buio; istintivamente, sulla nota alta, mi tocco dove poco prima l’avevo piazzato, nessun dubbio: ho perso il mio naso.
Eppure era il mio naso! Osservo. Era nel medesimo posto, dove lo metto sempre, lo stesso colore, materiale, ma non uguale la taglia. Oppure la faccia, è la mia faccia ha perso del grasso in questi ultimi giorni di prove stressanti? Vorrei toccarmi, fremo al desiderio di indagare i lineamenti e scoprire se sono ancora io o se è lui a non essere lo stesso naso. Senza perdere il filo canto, intanto ripercorro con la mente ogni movimento che ho fatto prima di andare in scena.
Poiché in iscena ancor
Le antiche maschere mette l’autore,
In parte ei vuol riprendere
Le vecchie usanze, e a voi
Di nuovo inviami.
Continuo a pensare a quel maledetto pezzetto di plastica, mi distrae il pensiaro e mi assilla. più delle parole da ricordare o delle espressioni musicali da interpretare.
Faccio un breve passo: costringo il tecnico a seguirmi là, dove è rotolata la piccola protuberanza posticcia. Non basta, non la vedo, e io vorrei fuggire. Se non fosse per queste scarpe lunghe cinquanta centimetri e questa gommapiuma ingombrante, scapperei, oppure mi chinerei a raccogliere l’oggetto che si è defilato dalla scena lasciandomi orfano del mio personaggio. Davanti a me, un muro nero di occhi mi scrutano e aspettano che la mia voce s’involi sulle note più gradevoli. Io non li vedo ma so che sono lì e mi sento giudicato; faccio ancora due passi, la luce tonda mi segue e finalmente lo vedo. Il naso rosso è lì, sul limite della circonferenza illuminata. Tremo di rabbia e vorrei farlo sparire per sempre dalla mia vista, allo stesso tempo, vorrei prenderlo e stringerlo tra le dita, testarne il materiale, fargli pagare il fatto di non essere rimasto al suo posto, Trucidarlo sarebbe il minimo per un tale affronto. Al pubblico sembrerà che io stia recitando, ma ho lacrime vere all’orlo delle mie ciglia.
Ma non per dirvi come pria
“Le lacrime che noi versiam son false!
Degli spasimi e dei nostri martir
Non allarmatevi!” No. No.
L’autore ha cercato invece pingervi
Uno squarcio di vita.
Egli ha per massima sol che l’artista
È un uom, e che per gli uomini
Scrivere ei deve.
Ed al vero ispiravasi.
E se nello stesso posto dove il mio naso alloggia quando smetto gli abiti di Tonio/Taddeo ci fosse stato un altro naso? Quello non sarebbe il mio naso! Ma come, un naso può andarsene in giro per lasciarsi pigliare per sbaglio? Solo io e lei, Nedda/Colombina, che del camerino condiviso facciamo unico ripostiglio, sala trucco e, a volte, alcova che vede fiori, scintille, lampi e nubi del nostro amore da anni collaudato, possiamo sapere a chi appartiene una cosa o l’altra, e non ci si sbaglia mai, perché la femmina ha spazi grandi e disordinati dove io, in angusti ricettacoli, di lei avanzati, tengo in ordine anche il mio più piccolo oggetto. E in verità lei non possiede nasi finti!
Eppure il sudore, il caldo, e la gomma rossa e lucida non hanno mai sortito quest’effetto, tutto è sempre rimasto ben saldo!
Mi tengo anch’io, ancora le note son poche, incalzanti. Resisto dal chinarmi a raccoglier quel naso farabutto, non oso pensare a chi appartenga, ma nel formulare tale possibilità, ho appena steccato la strofa intera; il Leoncavallo avrebbe tirato giù l’ira di Dio se mi avesse ascoltato. Cribbio! Il naso, ognuno lo tenga, dove deve stare.
Un nido di memorie in fondo all’anima
Cantava un giorno, ed ei con vere lacrime
Scrisse, e i singhiozzi il tempo gli battevano!
Dunque, vedrete amar sì come s’amano
Gli esseri umani, vedrete dell’odio
I tristi frutti. Del dolor gli spasimi,
Non resisto e, nel pronunciar tali parole interpreto: dolore e spasimi e mi chino a tutto rischio; ballonzola, pericolose curve strozzate ai fianchi, la pancia di scena preme sui punti deboli sul vestito che cedono di schianto. Allungo le dita allo spasimo, lo afferro e nel tornare dritto perdo il canto.
Ma l’orchestra mi raggiunge: riprendo a cantare quando, tra gli attori ormai introdotti, alcuni, fuori tempo accelerano il passo, e vedo Canio senza il suo naso da pagliaccio.
Urli di rabbia, udrete, e risa ciniche!
E voi, piuttosto che le nostre povere
Gabbane d’istrioni, le nostr’anime
Considerate, poiché siam uomini
Di carne e d’ossa, e che di quest’orfano
Mondo al pari di voi spiriamo
l’aere! Il concetto vi dissi.
Or ascoltate Com’egli è svolto.
Mi avvicino, senza prestar più attenzione né agli sguardi né al copione, Canio, basito, ricambia l’occhiata truce mentre gli ficco il posticcio sull’originale. Lo stesso faccio con la canzone, alla quale aggiungo poche parole:
Sono il prologo e tutto mi è concesso
Non posso andar avanti ormai.
Ma adesso, per Il naso di Canio, Traditor beffardo
Stavolta non può finir che doppiamente male.
Un bell’inchino qui ci vuole e vado, a modo mio, a terminare la canzone.
Andate! Voi che potete, Incominciate!
E a questo punto vado via
Che più di recitare l’aver scoperto il fatto
Mi allieta e mi rende soddisfatto.
Capisco che per capire il dramma di perdere il naso e non farne una tragedia, bisogna conoscere l'opera I Pagliacci del Leoncavallo, però, spero che non faccia troppo schifo anche senza.