Di cosa parlano i vecchi
Posted: Wed Apr 07, 2021 10:11 am
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Se devo essere sincero non tutti i miei pomeriggi sono indimenticabili. A volte faccio anche tre gol di fila e Paolo rimane impalato con le braccia aperte a guardare il pallone che torna verso di me dopo aver capito che ho già tirato e lui è stato troppo lento, ma per lo più fino a sera gironzoliamo per le vie del paese a parlare di ragazze fino a stufarci. Le frasi che usiamo per descrivere quello che faremo con loro quando ci saremo fidanzati sono sempre le stesse e finisce che ci annoiamo.
Posso allontanarmi poco da casa perché il mio motorino consuma quanto un pittore dopo che gli hanno comprato una crosta, quindi se calcolo male le distanze rischio di rimanere a piedi tra un paese mezzo disabitato e la casa di un matto.
Siamo pieni di matti da queste parti. Davvero. A volte ne vedo passare uno da lontano e, se mio padre è nei paraggi, me lo indica e mi dice di starci attento e di girare al largo. Non ha mai tempo per darmi spiegazioni su quelle persone, oppure non vuole farlo, così io accenno un sì con la testa per fargli distogliere da me lo sguardo severo e riprendo a pensare ai fatti miei.
L’unica volta che mi ha descritto uno di questi matti ha detto solo che indossa gli stessi cenci da chissà quanti anni e che abita in una catapecchia umida con sua moglie. Ho immaginato che si riferisse al rudere del vecchio mulino, perché una volta mi è parso di vedere un’ombra che attraversava il portone scassato, ma io col cavolo che mi sono avvicinato per vedere chi fosse. Di sicuro quando piove forte quei due poveracci, ammesso che davvero vivano tra quelle macerie, devono rintanarsi altrove: quei muri scalcinati reggono a mala pena quel poco che è rimasto del tetto.
Al bar del paese avevo sentito di un altro tizio, un vecchio che collezionava vipere nei vasetti per le conserve e le teneva sulla mensola del caminetto finché non morivano di fame. Probabilmente gli piaceva, di sera, godersi una tazza di caffè e un telequiz in compagnia di quelle bestiole, mentre queste lo guardavano malevole e fredde attraverso i vetri. Per questo passava le mattinate a ribaltare massi e scrutare le pietraie, in cerca di compagnia e intrattenimento. Una sera sul tardi questo tizio per sbaglio ha fatto cadere a terra uno di questi vasetti, che è volato in pezzi. Chissà cosa doveva avere in testa: non credo stesse riordinando o pulendo casa perché di sicuro non è il genere di persona che sa che non è bello lasciar depositare due dita di polvere sui mobili, ad ogni modo non si ricordava più se quel vasetto fosse stato vuoto o pieno. Per terra si vedevano solo cocci, e le piastrelle del pavimento erano tutte sconnesse e irregolari, perciò alla luce del fuoco ogni ombra poteva essere il bordo di una pietra oppure un rettile pronto ad affondare i suoi denti in qualcosa di morbido. Per quel che ne sapeva poteva essersi rannicchiata dietro il water, oppure sotto il letto. Il matto decise che il vasetto doveva essere stato vuoto e si mise a raccogliere i vari frammenti a mani nude e poi, quando ebbe finito, se ne andò a dormire.
È per via di questa storia che gli hanno dato del matto; perché la mattina seguente la raccontò al bar tutto contento, e qualcuno è persino riuscito a vedere di persona i suoi vasetti con dentro serpenti rinsecchiti dalle bocche spalancate.
Ma adesso vengo al punto.
Un paio di anni fa se n’è andato mio nonno. Non era né un tipo simpatico ma nemmeno uno di quei vecchi brontoloni insopportabili. Non lo ricordo per qualcosa in particolare, ma piuttosto per come mio padre ha descritto a mia madre le sue ultime ore. Grazie papà, per avere marchiato per sempre la mia immaginazione dipingendo l’immagine di un anziano terrorizzato che cerca disperatamente l’ossigeno. È andato avanti così per tutto il pomeriggio, prima di cadere finalmente in coma e morire l’indomani. Mio padre lo ha potuto vedere attraverso un vetro, a intervalli di un paio d’ore.
Questa cosa è diventata una specie di ossessione per me, tenuto conto di come è cambiato mio padre da allora. Quel brutto spettacolo deve avergli rimescolato qualcosa dentro.
Questa storia mi ha fatto capire che Dio ha in serbo per ciascuno di noi un bel piatto di sterco fumante, giusto giusto a fine pasto. E la cosa mi fa arrabbiare e mi spaventa. Soprattutto mi spaventa. Non puoi vivere nella convinzione che, quando sarà la tua ora, finirai con una morte orribile. Soffocato. O affogato. O che subirai un altro tipo di morte, magari peggiore.
Avevo cominciato ad osservare con curiosità le persone anziane perché mi è venuta un’idea fissa che mi si è fissata in testa, riguardo alle persone di una certa età. Eccola qui. Di che accidente parlano tra di loro? Voglio dire: di cosa parlano realmente, magari quando i più giovani non ascoltano? Io ho una mia idea, e aspettate a dire che sono fuori di testa.
Quando non parlano di malattie e di medicinali, di cose capitate ai loro conoscenti e di notizie lette o riportate a voce, quando non parlano di calcio, di politica o di gente che se n’è andata all’altro mondo da anni, quando non ingannano il tempo con questi argomenti da quattro soldi, mi sono convinto del fatto che debbano parlare di come affrontare gli ultimi momenti della vita. E non si dicono di certo di raccomandare l’anima al Creatore o cose di questo genere. Seguite il mio ragionamento: è da millenni che la gente muore, non crederete che la gente, arrivata ad una certa età, si limiti ad aspettare la morte ingannando l’attesa cucinando e guardando la televisione. Perché mai dovrebbero farlo? Per amore della sorpresa? No. I vecchi sanno qualcosa, e si scambiano informazioni al riguardo. Magari sanno come spegnere il cervello prima che cominci l’agonia finale, oppure come vivere per sempre, solo per fare degli esempi.
Al vecchio matto delle vipere non mi ero mai avvicinato, più per paura che gli uscisse qualche serpente dalle maniche della giacca sbrindellata, che per paura degli scapaccioni di mio padre, ma mi è venuto in mente che forse avrebbe potuto essere così matto da infrangere il patto segreto degli anziani. Così matto da dirmi il loro segreto.
Ho parlato di tutte queste mie idee a Paolo, e quel cretino mi ha anticipato ed è andato al bar a cercare il vecchio. Dopo dieci minuti l’ho visto uscire di corsa e venirmi incontro con un entusiasmo che non gli avevo mai visto. Mi ha detto che aveva parlato della cosa al vecchio e che quello era disposto a rispondere a tutte le nostre domande sulla morte. Sarebbe bastato che l’indomani avessimo bussato alla sua porta nel primo pomeriggio e ci avrebbe rivelato tutto.
Tutta la mia curiosità evaporò in meno di un secondo. Mi sentii gelare. La prima cosa a cui pensai fu come l’avrebbe presa dopo aver capito che gli avevamo dato buca: perché col cavolo che avrei voluto trovarmi in una stanza da solo con lui, anche se con me ci sarebbe stato Paolo. Quella notte non chiusi occhio, immaginandomi tutto quello che il pomeriggio successivo avrei potuto vedere o ascoltare. Oppure, peggio, subire fisicamente. Mi venne in mente che quasi sicuramente a un matto come lui nessuno poteva aver rivelato un segreto così importante, e che io e Paolo eravamo destinati a fare un buco nell’acqua. Inoltre come avrebbe reagito mio padre, dopo aver saputo del nostro accordo?
La mattina dopo, quando ormai avevo preso la decisione che non mi sarei presentato a casa del vecchio, mentre scendevo in cucina per il pranzo, sentii mio padre raccontare a mia madre che i boscaioli avevano trovato il vecchio matto delle vipere in mezzo ai cespugli, con la faccia gonfia e due fori da morso su una guancia. Lo avevano portato in paese ma era troppo tardi. La prima cosa che mi venne in mente fu la combriccola di vecchi seduta ai tavoli del bar, sempre lì a giocare a carte bestemmiando e guardare male gli altri. Era stato protetto il segreto o ero stato protetto io?
Tirai un respiro di sollievo ma avevo comunque perso l’appetito.
Se devo essere sincero non tutti i miei pomeriggi sono indimenticabili. A volte faccio anche tre gol di fila e Paolo rimane impalato con le braccia aperte a guardare il pallone che torna verso di me dopo aver capito che ho già tirato e lui è stato troppo lento, ma per lo più fino a sera gironzoliamo per le vie del paese a parlare di ragazze fino a stufarci. Le frasi che usiamo per descrivere quello che faremo con loro quando ci saremo fidanzati sono sempre le stesse e finisce che ci annoiamo.
Posso allontanarmi poco da casa perché il mio motorino consuma quanto un pittore dopo che gli hanno comprato una crosta, quindi se calcolo male le distanze rischio di rimanere a piedi tra un paese mezzo disabitato e la casa di un matto.
Siamo pieni di matti da queste parti. Davvero. A volte ne vedo passare uno da lontano e, se mio padre è nei paraggi, me lo indica e mi dice di starci attento e di girare al largo. Non ha mai tempo per darmi spiegazioni su quelle persone, oppure non vuole farlo, così io accenno un sì con la testa per fargli distogliere da me lo sguardo severo e riprendo a pensare ai fatti miei.
L’unica volta che mi ha descritto uno di questi matti ha detto solo che indossa gli stessi cenci da chissà quanti anni e che abita in una catapecchia umida con sua moglie. Ho immaginato che si riferisse al rudere del vecchio mulino, perché una volta mi è parso di vedere un’ombra che attraversava il portone scassato, ma io col cavolo che mi sono avvicinato per vedere chi fosse. Di sicuro quando piove forte quei due poveracci, ammesso che davvero vivano tra quelle macerie, devono rintanarsi altrove: quei muri scalcinati reggono a mala pena quel poco che è rimasto del tetto.
Al bar del paese avevo sentito di un altro tizio, un vecchio che collezionava vipere nei vasetti per le conserve e le teneva sulla mensola del caminetto finché non morivano di fame. Probabilmente gli piaceva, di sera, godersi una tazza di caffè e un telequiz in compagnia di quelle bestiole, mentre queste lo guardavano malevole e fredde attraverso i vetri. Per questo passava le mattinate a ribaltare massi e scrutare le pietraie, in cerca di compagnia e intrattenimento. Una sera sul tardi questo tizio per sbaglio ha fatto cadere a terra uno di questi vasetti, che è volato in pezzi. Chissà cosa doveva avere in testa: non credo stesse riordinando o pulendo casa perché di sicuro non è il genere di persona che sa che non è bello lasciar depositare due dita di polvere sui mobili, ad ogni modo non si ricordava più se quel vasetto fosse stato vuoto o pieno. Per terra si vedevano solo cocci, e le piastrelle del pavimento erano tutte sconnesse e irregolari, perciò alla luce del fuoco ogni ombra poteva essere il bordo di una pietra oppure un rettile pronto ad affondare i suoi denti in qualcosa di morbido. Per quel che ne sapeva poteva essersi rannicchiata dietro il water, oppure sotto il letto. Il matto decise che il vasetto doveva essere stato vuoto e si mise a raccogliere i vari frammenti a mani nude e poi, quando ebbe finito, se ne andò a dormire.
È per via di questa storia che gli hanno dato del matto; perché la mattina seguente la raccontò al bar tutto contento, e qualcuno è persino riuscito a vedere di persona i suoi vasetti con dentro serpenti rinsecchiti dalle bocche spalancate.
Ma adesso vengo al punto.
Un paio di anni fa se n’è andato mio nonno. Non era né un tipo simpatico ma nemmeno uno di quei vecchi brontoloni insopportabili. Non lo ricordo per qualcosa in particolare, ma piuttosto per come mio padre ha descritto a mia madre le sue ultime ore. Grazie papà, per avere marchiato per sempre la mia immaginazione dipingendo l’immagine di un anziano terrorizzato che cerca disperatamente l’ossigeno. È andato avanti così per tutto il pomeriggio, prima di cadere finalmente in coma e morire l’indomani. Mio padre lo ha potuto vedere attraverso un vetro, a intervalli di un paio d’ore.
Questa cosa è diventata una specie di ossessione per me, tenuto conto di come è cambiato mio padre da allora. Quel brutto spettacolo deve avergli rimescolato qualcosa dentro.
Questa storia mi ha fatto capire che Dio ha in serbo per ciascuno di noi un bel piatto di sterco fumante, giusto giusto a fine pasto. E la cosa mi fa arrabbiare e mi spaventa. Soprattutto mi spaventa. Non puoi vivere nella convinzione che, quando sarà la tua ora, finirai con una morte orribile. Soffocato. O affogato. O che subirai un altro tipo di morte, magari peggiore.
Avevo cominciato ad osservare con curiosità le persone anziane perché mi è venuta un’idea fissa che mi si è fissata in testa, riguardo alle persone di una certa età. Eccola qui. Di che accidente parlano tra di loro? Voglio dire: di cosa parlano realmente, magari quando i più giovani non ascoltano? Io ho una mia idea, e aspettate a dire che sono fuori di testa.
Quando non parlano di malattie e di medicinali, di cose capitate ai loro conoscenti e di notizie lette o riportate a voce, quando non parlano di calcio, di politica o di gente che se n’è andata all’altro mondo da anni, quando non ingannano il tempo con questi argomenti da quattro soldi, mi sono convinto del fatto che debbano parlare di come affrontare gli ultimi momenti della vita. E non si dicono di certo di raccomandare l’anima al Creatore o cose di questo genere. Seguite il mio ragionamento: è da millenni che la gente muore, non crederete che la gente, arrivata ad una certa età, si limiti ad aspettare la morte ingannando l’attesa cucinando e guardando la televisione. Perché mai dovrebbero farlo? Per amore della sorpresa? No. I vecchi sanno qualcosa, e si scambiano informazioni al riguardo. Magari sanno come spegnere il cervello prima che cominci l’agonia finale, oppure come vivere per sempre, solo per fare degli esempi.
Al vecchio matto delle vipere non mi ero mai avvicinato, più per paura che gli uscisse qualche serpente dalle maniche della giacca sbrindellata, che per paura degli scapaccioni di mio padre, ma mi è venuto in mente che forse avrebbe potuto essere così matto da infrangere il patto segreto degli anziani. Così matto da dirmi il loro segreto.
Ho parlato di tutte queste mie idee a Paolo, e quel cretino mi ha anticipato ed è andato al bar a cercare il vecchio. Dopo dieci minuti l’ho visto uscire di corsa e venirmi incontro con un entusiasmo che non gli avevo mai visto. Mi ha detto che aveva parlato della cosa al vecchio e che quello era disposto a rispondere a tutte le nostre domande sulla morte. Sarebbe bastato che l’indomani avessimo bussato alla sua porta nel primo pomeriggio e ci avrebbe rivelato tutto.
Tutta la mia curiosità evaporò in meno di un secondo. Mi sentii gelare. La prima cosa a cui pensai fu come l’avrebbe presa dopo aver capito che gli avevamo dato buca: perché col cavolo che avrei voluto trovarmi in una stanza da solo con lui, anche se con me ci sarebbe stato Paolo. Quella notte non chiusi occhio, immaginandomi tutto quello che il pomeriggio successivo avrei potuto vedere o ascoltare. Oppure, peggio, subire fisicamente. Mi venne in mente che quasi sicuramente a un matto come lui nessuno poteva aver rivelato un segreto così importante, e che io e Paolo eravamo destinati a fare un buco nell’acqua. Inoltre come avrebbe reagito mio padre, dopo aver saputo del nostro accordo?
La mattina dopo, quando ormai avevo preso la decisione che non mi sarei presentato a casa del vecchio, mentre scendevo in cucina per il pranzo, sentii mio padre raccontare a mia madre che i boscaioli avevano trovato il vecchio matto delle vipere in mezzo ai cespugli, con la faccia gonfia e due fori da morso su una guancia. Lo avevano portato in paese ma era troppo tardi. La prima cosa che mi venne in mente fu la combriccola di vecchi seduta ai tavoli del bar, sempre lì a giocare a carte bestemmiando e guardare male gli altri. Era stato protetto il segreto o ero stato protetto io?
Tirai un respiro di sollievo ma avevo comunque perso l’appetito.