Laugh Tale / Fori

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HAHAHA… HAHAHAH coff HAHA coff coff HHHHH… HAHAHAHAHA ghhh… ghhh…


- Cefalometro, cefalometro… dove l’ho messo? Ah, eccolo. Vediamo… 12,4.

- Non credo possiamo lasciarlo così com’è…

- Dipendesse da me ce lo lascerei, ma dobbiamo controllare. Dobbiamo essere sicuri.

- Già.

- Non è mica la prima volta, dai.

- Per me lo è. Su di una bambina, per lo meno.

- Visto un cranio visti tutti, dai. Passami la sega e tieniti pronto con il raschiatomo.



Eravamo appena rientrati dalla Nuova Guinea per un rapid check sul campo. Le voci si rincorrevano da qualche settimana e ai piani alti avevano bisogno di assoluta certezza, o non avrebbero mosso un dito. Ci eravamo spinti attraverso la giungla guineana fino le pendici dei monti Wanevinti e avevamo tirato sù una tenda da campo, di quelle che quando fuori è caldo dentro si brucia e quando fuori è freddo dentro prima si suda e poi si brucia lo stesso, tanto lì non è mai freddo. Fin dentro l’angusto biplano col quale avevamo attraversato il Solomon sea dall’Australia, ci eravamo muniti delle adeguate protezioni: tute ignifughe, sigillature PAPRs, respiratori N95 e maschere totali per il volto. Avevamo poi allestito un piccolo laboratorio con una lettiga fatta di stuoie imbrunite all’aria aperta, e un’infinità di strumenti di precisione, coltelli e ammennicoli vari di cui forse non avremmo neanche avuto bisogno. Il contrasto tra il metallo brillante sui tavoli e la polvere arida per terra rendeva bene l’idea di quanto tutto ciò fosse ridicolo.

Sorvolando le province dell’Eastern Highlands, avevamo avuto modo di osservare l’intera filiera della coltivazione caffearia, motivo principale per cui in realtà ci trovavamo lì: se c’è un problema dove si coltiva il caffè, c’è un problema per l’azienda ad importare e rivendere quel caffè.

Dei malati, se c’erano, non fregava un cazzo a nessuno.


- Hahaha e allora niente hahahah dice “è andato giù così, come una bacca dal ramo e s’è schiantato…” hahahaha - Ci avevano affiancato un interpreted ed era arrivato due settimane prima per un banale errore di comunicazione. Aveva avuto modo di acclimatarsi alla presenza dei Fori. Adesso ci stava raccontando dell’ultimo, presunto, morto di risate. Un ragazzo di vent’anni. Stava raccogliendo delle bacche di caffè appena un paio di metri più in sù e gli è preso da ridere ed è andato giù. Almeno così dice la guida.

- E tu cos’hai da ridere?

- Hahahah e chi ride hahahah. Una tragedia. Hahahaha.

Un anziano si era avvicinato all’interprete per ricordagli qualcosa all’orecchio. Probabile si chiedessero chi eravamo e perché eravamo lì, se non glie l’aveva ancora spiegato. Anche il vecchio rideva.

- Cosa ha detto?

- Hahahah, ha chiesto siete Dei hahahah.

- Potrebbe essere utile se la pensassero così.

- Hahaha ma va, i Fori non hanno Dei. Non sono selvaggi, solo antiquati. Credono più nei Nagaiya.

- E allora? Cosa significa?

- Hahahah i Dei sono stupidi. Ecco.

- Dì un po’, sei solo un buffone o tra un po’ ti schianti a terra anche te?

- Hahaha mi schianto mi schianto. Quanto vorrei piangere, altroché… hahahah.


Iniziammo a visitare tutti gli abitanti uno ad uno. I Fori non avevano una classe sociale particolarmente sviluppata, né un regime patriarcale vero e proprio. Per lo più si dividevano in “vecchi” e “bambini”. Le donne contavano un po’ meno degli uomini, tutto qua. È buffo, quello non cambia mai.

Per lo più, comunque, non rilevammo tracce di infezioni in corso. Niente febbre, escoriazioni, rush cutanei o altro. Cominciammo a pensare sempre più a qualche elaborata truffa ai danni dell’azienda per la quale svolgevamo i controlli.

- Lei come si chiama?

- Shava.

- Sintomi?

- Assolutamente nessuno.

- … -

- Così dice.

- E allora perché è qui?

- Meglio stare qui anziché fuori. Non sopporta le risate. Hahahahah.

- Qui dentro invece siamo messi bene… insomma cosa vuole?

- Niente. Hahaha. È la Nagaiya di quello morto l’altro giorno.

- La…?

- La Nagaiya. La sorella, più o meno.

- È la sorella più o meno?

- Eh.

- Sì o no? Potrebbe esserci una correlazione genetica.

- Hahahah ma no. Qui se ne fregano della genetica. I Nagaiya sono una famiglia, sì. Una specie. Parenti, ecco. Ma si scelgono tra di loro. Non vengono dallo stesso ceppo.

- Cosa sta dicendo adesso?

- Non sopporta gli altri del villaggio. Ridono di suo fratello perché non è morto durante la cerimonia.

- Quale cerimonia?

- La cerimonia dei Fori, no?

- Non capisco.

- Hahaha qui muoiono solo durante le cerimonie, o almeno ci provano. È importante per loro.

- E cosa succede durante queste cerimonie?

- Ah non lo so, non mi ci hanno mai invitato.


Non so se avete mai provato la sensazione di uno specchio riflesso. Intendo uno specchio che sembra riflettere se stesso anziché il resto della scena. Per capirci, è un po’ come quando siete nel pieno della giornata. Tutto va bene, avete del lavoro da terminare e siete belli carichi. Poi il collega di fianco a voi fa uno sbadiglio e tutto va in malora. Niente più lavoro, niente più vitalità. Vi prende solo un sonno tremendo e, di riflesso, iniziate a sbadigliare.

Immaginavo la stessa cosa per i Fori. Chissà per quale motivo, un giorno uno si era messo a ridere a crepapelle e tutti gli altri non avevano potuto far niente per impedirsi di scoppiare a ridere anche loro, e alla fine scoppiavano per davvero. Ne ero convinto.

Shava si era sistemata in un angolo dell’accampamento e non accennava a voler uscire, giorno dopo giorno. All’inizio comunicavo con lei attraverso l’interprete, ma negli ultimi giorni era diventato insopportabile e fui costretto a sbatterlo fuori. Allora io e lei iniziamo a comunicare usando gesti, espressioni. I nostri corpi. Possedeva un’espressività come non avevo mai visto in nessun’altra donna. Tentai di ricavare qualche informazione utile attraverso il dialogo corporeo visti i pessimi risultati dopo le varie visite effettuate.

Ogni volta ponevo una domanda sulla temporalità della presunta malattia, e ogni volta lei rispondeva congiungendo i polpastrelli delle mani a creare un cerchio. Tentavo di chiederle quando ricordava di aver visto la prima persona ridere, e lei formava un cerchio con le mani. Riuscivo a capirla in tante altre cose, ma quando si toccava l’argomento malattia, la sua unica risposta era quella di formare un cerchio con le mani.

- Centra col sesso? S-e-s-s-o. - le prendevo i fianchi delicatamente e muovevo il bacino per farmi capire.

- Perché avevi scelto di essere la sua Nagaiya? - troppo complicato.

- Centra con le cerimonie? - mani congiunte. Cerchio.



Una notte mi portò con sé fuori dall’accampamento. Sentivo l’aria carica di suoni sordi, convessi. La polvere sulla terra vibrava percettibilmente e la luna stagliava ombre indescrivibili sulle tende aggrappate ai tiranti. Mi inoltrai con lei oltre lo spiazzato ricoperto di acacie.

I Fori stavano in cerchio, e al centro una ragazzina che ballava attorno ad un piccolo fuoco e sussultava, sobbalzava e agitava le membra come una forsennata. E intanto rideva. Rideva forte.

Non appena il fuoco attorno a lei si ridusse a cenere, mentre la luce andava via e portava con sé il chiarore della verità, vedevo i Fori avvicinarsi alla ragazzina al ritmo sordo dei tamburi. Un passo. Poi un altro. E le furono addosso.



- Cristo di Dio.

- Ne hai mai visto uno così?

- No. Tu?

- No. È… è pieno di… di…

- Fori.

- Ha. È… sì… è pieno di fori.

- … -

- HAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH.

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