Il legno vibra sotto i colpi di nocca dell’ufficiale giudiziario. Ha bussato, ci ha provato, ma dall’appartamento si sente solo un fortissimo ronzio e nessuna risposta. La Signora non se ne vuole andare, il palazzo sta crollando e lui non ha nessuna intenzione di crepare sotto qualche calcinaccio. Se la sbrigheranno gli infermieri.
Questione di adattabilità, aveva detto la Signora. La prima volta gli addetti del comune avevano gli occhiali appannati, le orecchie rintronate dal ronzio di un centinaio di acquari in funzione. Ricoprivano le pareti, le finestre, si espandevano verso l’interno della stanza, collegati da intrichi complicatissimi di prolunghe e ciabatte elettriche. I timpani faticavano ad assestarsi sui gorgoglii, borbottii e gargarismi dei filtri, ed era stato difficile per gli ufficiali far valere le proprie ragioni, o capire quelle di lei. La Signora era rimasta seduta su un vecchio divanetto con la tappezzeria floreale leggermente ammuffita, non aveva sollevato la guancia dallo schienale. Fissava una delle grandi vasche addossate alla finestra, nella quale grossi pesci striati sembravano nuotare insieme alle rondini sopra le tegole dei tetti.
Signora, avevano provato a dirle, la palazzina è inabitabile, inagibile, pericolante, impraticabile. Le troveremo una struttura adeguata, c’è tanta gente della sua età, si troverà bene.
Il volto di lei era rimasto appoggiato allo schienale, mentre gli occhi erano rotolati fino ai due ufficiali.
«Adeguata? Non ci si adegua a nulla. Un salto di temperatura, un eccesso di sale, un avvelenamento da nitriti e si è morti, kaput, finiti. Finirò a galleggiare a pancia all’aria in una di quelle vostre strutture adeguate. E loro con me. Cosa ne sapete voi di adeguamento?».
Poi aveva parlato di ciclidi, di anabatidi, di guppy, di caridine, e di quanto fosse stato difficile trovare l’equilibrio perfetto per ognuno dei propri ospiti. Aveva continuato a parlare anche mentre si alzava, si avvicinava ai due impiegati e li sospingeva gentilmente verso l’uscita.
«Io so quanta fatica e quanto amore serva per trovare uno spazio e dei valori adeguati.»
E con questo la porta si era richiusa.
Ora però è il momento di andare. Il piccolo bus del centro anziani ha già il motore acceso, mentre gli infermieri tengono d’occhio l’ingresso. L’ufficiale esce di volata, ma la vecchia non c’è.
«Andatela a prendere», gli dice l’uomo. Ha le spalle spolverate d’intonaco e il fiato corto. Gli infermieri spengono le sigarette, fanno un primo passo. Poi si fermano.
«Ma ha i mortaretti, la vecchia?».
In effetti, dall’ultimo piano del palazzo si sentono dei piccoli scoppi. Sfrigolii, lampi, esplosioni sempre più forti; la figura della Signora alla finestra è avvolta dal nuoto di grossi pesci striati. Stringe le dita ossute agli angoli della vasca e tira: quattrocentocinquanta litri d’acqua si rovesciano sull’intrico di cavi, che scoppiettano, s’infiammano, fanno esplodere altre vasche che provocano altri fuochi. Un ultimo boato e la palazzina crolla del tutto, mentre nelle orecchie di tutti si sente fastidioso un ronzio.
[ Mi 147] La signora
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Ultima modifica di Garrula il lun mar 29, 2021 12:01 am, modificato 1 volta in totale.