[MI147] L'ora di Modugno
Posted: Sun Mar 28, 2021 11:49 pm
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Traccia di mezzanotte: "La musica come il sale conserva meglio"
L'ora di Modugno.
Giancarlo la aspettava ogni giorno.
Più che un'ora era un'idea.
Sarebbero bastati dieci minuti o anche tre: il tempo di una canzone.
Giancarlo, 59 anni, attendeva quel momento tutti i giorni fin da quando era piccolo: il giradischi che gracchiava e lui che giocava. “La lontananza” era la sua preferita, la mamma la ascoltava tutti i giorni. E lui anche.
Il tempo passava, la mamma invecchiava. Giancarlo no, lui no.
Voleva solo ascoltare Modugno. Quando lo vide per la prima volta alla televisione se ne innamorò subito. Quel primo piano in bianco e nero, l'emozione trasmessa dalle parole e lui con lo sguardo fisso incantato ad ammirarlo.
Usciva poco di casa anche se avrebbe voluto farlo spesso, a volte non andava neanche a scuola: la mamma era una maestra elementare e aveva la presunzione che poteva insegnargli tutto; aveva anche interrotto precocemente la sua carriera scolastica proprio per questo.
La sua scuola era detta “speciale”. Chiamata così perché i bambini che la frequentavano erano “speciali”.
Che fantasia.
Avere una copia di un cromosoma non prevista può dare brutti scherzi, anche se lo scherzo era già noto. Uno dei pochi casi in cui nessuno avrebbe ambito ad avere qualcosa in più degli altri.
La mamma che aveva un'età decisamente sopra la media quando mise in luce Giancarlo, ebbe presto bisogno di assistenza dopo una vita dedicata al suo “pucci”, lo definiva così; ed essendo rimasta sola, qualcun altro avrebbe dovuto prendersi cura del figlio.
33 anni, quelli di Cristo, ma per lui rappresentavano un inizio.
Aspettava sempre Modugno; avrebbe voluto che lo prendesse e lo portasse via, lassù, come diceva lui.
Quando arrivò nella nuova casa, qualcuno sistemò nell'armadio i vestiti che la mamma aveva amorevolmente piegato nella valigia. Sul fondo in una tasca interna chiusa da una lampo, trovarono alcuni 45 giri: “Nel blu dipinto di blu” “Vecchio Frack” “La lontananza” “Meraviglioso” insieme a diverse musicassette, che vennero messe in un cassetto e dimenticate.
Era una forza della natura: ballava, cantava, declamava. Aspettava Modugno ma nessuno lo aveva capito, e poi i dischi non si ascoltavano più.
Un giorno arrivò Gabriele che chiese a Giancarlo e ad altri suoi compagni: “Che musica vi piace?”
Una domanda così banale ma che nessuno aveva mai fatto: “Madonna!” disse uno “Like a Virgin” “Una ragione di più di Ornella Vanoni” un altro. “La favola mia di Renato Zero” “Gli Abba” “Albano”.
“E tu Giancarlo?”
“Domenico Modugno, La lontananza.”
Esaudì i loro desideri, aiutato dalla tecnologia, e mise in sequenza i pezzi richiesti: raramente gli era capitato di vedere qualcuno così felice.
Giancarlo con gli occhi lucidi cantava sovrapponendo la voce a quella di Modugno, con le sue parole che a volte incespicavano, a venti centimetri dallo schermo del primo piano del cantante, in un crescendo fino al finale in cui esplodeva: “Ciao amore, non piangere, ritornerò, ritornerò! Perché ti amo, ti amo!” Poi, preso dal pathos, continuava con i pugni chiusi in alto: “Modugno! Modugno! Ti amo! Non mi lasciare, Modugno mio!”
Un travolgere di emozioni che si ripetevano sempre con la stessa intensità, come fosse la prima volta. Anche Gabriele si lasciava trasportare investito da quell'ondata. Faceva visita solo il martedì e Giancarlo pazientemente aspettava la sua dose di Modugno. I due avevano stabilito una relazione così forte che quel legame musicale era associato solo alla sua presenza.
Della mamma aveva perso apparentemente il ricordo. Non ne aveva mai parlato e quello che aveva fatto nei primi trentatré anni rimase un buio totale. Riaffiorava solo Modugno.
La mente era quella di un bambino ma la variante cromosomica non faceva sconti: accorciava la durata e la stabilità delle funzioni vitali, e la memoria era tra le prime.
Ma lui persisteva senza indugi, anche se la parola debolmente la stava perdendo, all'attesa di quella presenza. Alla soglia dei sessant'anni stava sfondando il limite della longevità media; aspettava l'ora di Modugno e l'avrebbe sempre aspettata.
Un giorno, all'inizio dell'estate, Gabriele decise di fare una gita al mare con Giancarlo, insieme ad altri suoi compagni. Partirono con un pulmino e dopo alcune ore arrivarono nel luogo che aveva pensato: una banchina di fronte a uno splendido mare con vicino delle case bianche a picco sulla spiaggia. Si sedettero su una panchina con un caldo sole e una fresca brezza.
“Modugno!” esclamò Giancarlo. Ebbe un sussulto e si alzò imitando il gesto di quando cantava uno dei suoi brani più famosi.
Era da diverso tempo che non proferiva più parola e quel lampo lasciò tutti di stucco.
Non era una visione fantastica: Mister Volare era di fronte a lui con le braccia aperte, per accoglierlo e portarlo con sé. Un colosso di bronzo, non di eccelsa fattura artistica, ma per Giancarlo era vedere esaudire il desiderio di una vita.
Traccia di mezzanotte: "La musica come il sale conserva meglio"
L'ora di Modugno.
Giancarlo la aspettava ogni giorno.
Più che un'ora era un'idea.
Sarebbero bastati dieci minuti o anche tre: il tempo di una canzone.
Giancarlo, 59 anni, attendeva quel momento tutti i giorni fin da quando era piccolo: il giradischi che gracchiava e lui che giocava. “La lontananza” era la sua preferita, la mamma la ascoltava tutti i giorni. E lui anche.
Il tempo passava, la mamma invecchiava. Giancarlo no, lui no.
Voleva solo ascoltare Modugno. Quando lo vide per la prima volta alla televisione se ne innamorò subito. Quel primo piano in bianco e nero, l'emozione trasmessa dalle parole e lui con lo sguardo fisso incantato ad ammirarlo.
Usciva poco di casa anche se avrebbe voluto farlo spesso, a volte non andava neanche a scuola: la mamma era una maestra elementare e aveva la presunzione che poteva insegnargli tutto; aveva anche interrotto precocemente la sua carriera scolastica proprio per questo.
La sua scuola era detta “speciale”. Chiamata così perché i bambini che la frequentavano erano “speciali”.
Che fantasia.
Avere una copia di un cromosoma non prevista può dare brutti scherzi, anche se lo scherzo era già noto. Uno dei pochi casi in cui nessuno avrebbe ambito ad avere qualcosa in più degli altri.
La mamma che aveva un'età decisamente sopra la media quando mise in luce Giancarlo, ebbe presto bisogno di assistenza dopo una vita dedicata al suo “pucci”, lo definiva così; ed essendo rimasta sola, qualcun altro avrebbe dovuto prendersi cura del figlio.
33 anni, quelli di Cristo, ma per lui rappresentavano un inizio.
Aspettava sempre Modugno; avrebbe voluto che lo prendesse e lo portasse via, lassù, come diceva lui.
Quando arrivò nella nuova casa, qualcuno sistemò nell'armadio i vestiti che la mamma aveva amorevolmente piegato nella valigia. Sul fondo in una tasca interna chiusa da una lampo, trovarono alcuni 45 giri: “Nel blu dipinto di blu” “Vecchio Frack” “La lontananza” “Meraviglioso” insieme a diverse musicassette, che vennero messe in un cassetto e dimenticate.
Era una forza della natura: ballava, cantava, declamava. Aspettava Modugno ma nessuno lo aveva capito, e poi i dischi non si ascoltavano più.
Un giorno arrivò Gabriele che chiese a Giancarlo e ad altri suoi compagni: “Che musica vi piace?”
Una domanda così banale ma che nessuno aveva mai fatto: “Madonna!” disse uno “Like a Virgin” “Una ragione di più di Ornella Vanoni” un altro. “La favola mia di Renato Zero” “Gli Abba” “Albano”.
“E tu Giancarlo?”
“Domenico Modugno, La lontananza.”
Esaudì i loro desideri, aiutato dalla tecnologia, e mise in sequenza i pezzi richiesti: raramente gli era capitato di vedere qualcuno così felice.
Giancarlo con gli occhi lucidi cantava sovrapponendo la voce a quella di Modugno, con le sue parole che a volte incespicavano, a venti centimetri dallo schermo del primo piano del cantante, in un crescendo fino al finale in cui esplodeva: “Ciao amore, non piangere, ritornerò, ritornerò! Perché ti amo, ti amo!” Poi, preso dal pathos, continuava con i pugni chiusi in alto: “Modugno! Modugno! Ti amo! Non mi lasciare, Modugno mio!”
Un travolgere di emozioni che si ripetevano sempre con la stessa intensità, come fosse la prima volta. Anche Gabriele si lasciava trasportare investito da quell'ondata. Faceva visita solo il martedì e Giancarlo pazientemente aspettava la sua dose di Modugno. I due avevano stabilito una relazione così forte che quel legame musicale era associato solo alla sua presenza.
Della mamma aveva perso apparentemente il ricordo. Non ne aveva mai parlato e quello che aveva fatto nei primi trentatré anni rimase un buio totale. Riaffiorava solo Modugno.
La mente era quella di un bambino ma la variante cromosomica non faceva sconti: accorciava la durata e la stabilità delle funzioni vitali, e la memoria era tra le prime.
Ma lui persisteva senza indugi, anche se la parola debolmente la stava perdendo, all'attesa di quella presenza. Alla soglia dei sessant'anni stava sfondando il limite della longevità media; aspettava l'ora di Modugno e l'avrebbe sempre aspettata.
Un giorno, all'inizio dell'estate, Gabriele decise di fare una gita al mare con Giancarlo, insieme ad altri suoi compagni. Partirono con un pulmino e dopo alcune ore arrivarono nel luogo che aveva pensato: una banchina di fronte a uno splendido mare con vicino delle case bianche a picco sulla spiaggia. Si sedettero su una panchina con un caldo sole e una fresca brezza.
“Modugno!” esclamò Giancarlo. Ebbe un sussulto e si alzò imitando il gesto di quando cantava uno dei suoi brani più famosi.
Era da diverso tempo che non proferiva più parola e quel lampo lasciò tutti di stucco.
Non era una visione fantastica: Mister Volare era di fronte a lui con le braccia aperte, per accoglierlo e portarlo con sé. Un colosso di bronzo, non di eccelsa fattura artistica, ma per Giancarlo era vedere esaudire il desiderio di una vita.