[MI147] Tommy ricorda
Posted: Sun Mar 28, 2021 7:56 pm
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Traccia: Storie di traslochi.
«Il pranzo non era male», pensava Tommy.
«Addirittura anche un sigaro alla fine. Lo fumo, sì. E anche il vino non è male, con tutto che qui non sono capaci a farlo come da noi».
Su una parete immagini di santi, una palma benedetta rinsecchita e una foto di suo padre e sua madre con lui ancora bambino a un lato. Era stata fatta tanti anni fa, appena scesi dalla nave.
«Guarda Tommasino, guarda! Siamo in America adesso!» gli diceva sua madre felice, mentre suo padre non riusciva a trattenere una lacrima fino ai baffoni.
«Allora mi chiamavo Tommasino. Adesso tutti mi dicono Tommy. Ho fatto grandi progressi».
Sorrideva gustandosi il sigaro, osservando il fumo che saliva in alto mischiandosi alla lama di luce che passava dalla finestra fino al suo viso. Ah, la luce del sole!
Ricordava che durante il viaggio nell’Oceano era tutto grigio, il mare, il cielo, la nave, i vestiti. Tanto che si chiedeva se in America esistesse il sole come da loro. Il sole c’era, eccome.
Lo avevano svegliato una mattina per fargli vedere che stavano per arrivare. Si erano ammassati tutti sulle ringhiere di quel ponte pieno di povera gente e guardavano in silenzio la costa che si avvicinava. Altro cielo grigio sopra distese di palazzi in lontananza, alti come montagne, rumori di sirene nel porto e in mezzo al mare. Su un’isola staccata da tutto si ergeva solitaria e maestosa la statua immensa di una donna con la corona, che teneva un braccio alzato a reggere una fiaccola. Il sole era comparso in quel momento e sua madre si era fatto il segno della croce guardando la statua. Tommasino aveva guardato anche lui e un brivido gli era sceso nella schiena, gli aveva chiuso lo stomaco. Quel viso… quel viso era chino nella sua direzione. Guardava lui. Quella donna non era la Madonna che ha pietà e perdona. Il suo viso era severo. Si aspettava qualcosa da chi entrava nel suo regno. Cosa voleva? Era esigente. Sembrava sapere tutto. Tommasino ricordava di non riuscire a distogliere lo sguardo da quella statua. Poi si era lasciato prendere dall’odore della nuova terra e una euforia mista anche a paura lo aveva preso. Stava attaccato alla gonna di sua madre mentre suo padre si faceva dignitosamente strada con la valigia di cartone seguendo le indicazioni di uomini in uniforme che urlavano in una lingua mai sentita. Altri uomini ben vestiti parlavano il loro dialetto e traducevano dicendo dove andare. Suo padre si era attaccato disperatamente a uno di questi uomini e avrebbe voluto che lo accompagnasse in tutta quella baraonda, ma l’uomo lo aveva sgarbatamente spinto assieme agli altri in una lunga fila, verso un capannone dove li aspettavano altri uomini seduti a dei tavoli che prendevano i loro nomi. A Tommasino era sembrato di diventare sordo. Non capiva le parole e quando sentiva qualche termine conosciuto aguzzava l’attenzione, sperando che tutti continuassero a farsi capire… che cosa strana, che ostica quella lingua diversa!
Erano passati tanti anni da allora. Tommasino aveva imparato l’inglese, suo padre e sua madre non ci riuscivano, solo qualche parola e sembravano soffrire quando erano costretti a dirla. D’altronde, se non si usciva da Little Italy si poteva vivere anche senza parlare inglese.
«Non vi preoccupate. Penserò io a tutto» diceva sempre Tommasino mano a mano che cresceva. Aveva conosciuto altri paesani che si erano integrati, si era unito a loro, vestiva bene e fumava sigari costosi. «Mi farò strada, vedrete. Ho capito come funziona qui».
«Sono venuto, Tommasino»
Padre Gualtiero era della sua terra, parlava il suo dialetto e lo chiamava con il suo vero nome.
«Posso offrirvi un bicchiere di vino padre? È molto buono, davvero»
«Certo Tommasino. Volentieri»
Gli uomini in uniforme aspettavano in silenzio dentro le loro uniformi scure, i visi bianchi come la luna. Quando il prete posò il bicchiere sul tavolo uno di loro disse «Le mani, Tommy»
Tommasino allungò le mani, che furono chiuse dentro due catene.
«Il Signore è il mio pastore: nulla mi mancherà», cominciò a pregare padre Gualtiero, indossando la stola viola. Si incamminarono in un lungo corridoio bianco e grigio con tante porte chiuse, mani che sporgevano da piccoli finestrini, mani che battevano ritmicamente sulla porta una tazza o un piatto di peltro, ad accompagnare i loro passi.
«Godd luck, Tommy!» disse qualcuno.
«Anche se camminassi in una valle oscura, non temerei alcun male…»
Tommasino guardò estasiato una grande porta in fondo al corridoio che si spalancava. Altri uomini in uniforme e in borghese si unirono a loro, ma Tommasino era avanti a tutti, con don Gualtiero e le guardie al suo fianco. Arrivarono in una piccola sala illuminata a giorno; in un angolo buio stavano sedute delle persone. Lo guardavano. Al centro della sala una sedia di ferro. Sopra, sospesa, una corona di cuoio attaccata a un filo. Era per lui.
Tommasino sentì sulla schiena e sullo stomaco la stessa sensazione che aveva provato da bambino sbarcando in America. Sorrise triste ricordando. Ecco cosa voleva dirgli la statua della Libertà, dunque! Lo stava avvisando!
«Oh madre mia! O padre mio! Avete visto? Vostro figlio è diventato un uomo importante! Quanta gente oggi per me! Tutti mi guardano! Tutti!»
Due lacrime scesero sul suo volto.
«Madre mia! Padre mio! Perdonatemi! Voi non lo sapevate cosa c’era in America per Tommasino!»
«… E rimarrò nella casa del Signore per lunghi anni»
«Amen»
Amen, Tommasino.
Traccia: Storie di traslochi.
«Il pranzo non era male», pensava Tommy.
«Addirittura anche un sigaro alla fine. Lo fumo, sì. E anche il vino non è male, con tutto che qui non sono capaci a farlo come da noi».
Su una parete immagini di santi, una palma benedetta rinsecchita e una foto di suo padre e sua madre con lui ancora bambino a un lato. Era stata fatta tanti anni fa, appena scesi dalla nave.
«Guarda Tommasino, guarda! Siamo in America adesso!» gli diceva sua madre felice, mentre suo padre non riusciva a trattenere una lacrima fino ai baffoni.
«Allora mi chiamavo Tommasino. Adesso tutti mi dicono Tommy. Ho fatto grandi progressi».
Sorrideva gustandosi il sigaro, osservando il fumo che saliva in alto mischiandosi alla lama di luce che passava dalla finestra fino al suo viso. Ah, la luce del sole!
Ricordava che durante il viaggio nell’Oceano era tutto grigio, il mare, il cielo, la nave, i vestiti. Tanto che si chiedeva se in America esistesse il sole come da loro. Il sole c’era, eccome.
Lo avevano svegliato una mattina per fargli vedere che stavano per arrivare. Si erano ammassati tutti sulle ringhiere di quel ponte pieno di povera gente e guardavano in silenzio la costa che si avvicinava. Altro cielo grigio sopra distese di palazzi in lontananza, alti come montagne, rumori di sirene nel porto e in mezzo al mare. Su un’isola staccata da tutto si ergeva solitaria e maestosa la statua immensa di una donna con la corona, che teneva un braccio alzato a reggere una fiaccola. Il sole era comparso in quel momento e sua madre si era fatto il segno della croce guardando la statua. Tommasino aveva guardato anche lui e un brivido gli era sceso nella schiena, gli aveva chiuso lo stomaco. Quel viso… quel viso era chino nella sua direzione. Guardava lui. Quella donna non era la Madonna che ha pietà e perdona. Il suo viso era severo. Si aspettava qualcosa da chi entrava nel suo regno. Cosa voleva? Era esigente. Sembrava sapere tutto. Tommasino ricordava di non riuscire a distogliere lo sguardo da quella statua. Poi si era lasciato prendere dall’odore della nuova terra e una euforia mista anche a paura lo aveva preso. Stava attaccato alla gonna di sua madre mentre suo padre si faceva dignitosamente strada con la valigia di cartone seguendo le indicazioni di uomini in uniforme che urlavano in una lingua mai sentita. Altri uomini ben vestiti parlavano il loro dialetto e traducevano dicendo dove andare. Suo padre si era attaccato disperatamente a uno di questi uomini e avrebbe voluto che lo accompagnasse in tutta quella baraonda, ma l’uomo lo aveva sgarbatamente spinto assieme agli altri in una lunga fila, verso un capannone dove li aspettavano altri uomini seduti a dei tavoli che prendevano i loro nomi. A Tommasino era sembrato di diventare sordo. Non capiva le parole e quando sentiva qualche termine conosciuto aguzzava l’attenzione, sperando che tutti continuassero a farsi capire… che cosa strana, che ostica quella lingua diversa!
Erano passati tanti anni da allora. Tommasino aveva imparato l’inglese, suo padre e sua madre non ci riuscivano, solo qualche parola e sembravano soffrire quando erano costretti a dirla. D’altronde, se non si usciva da Little Italy si poteva vivere anche senza parlare inglese.
«Non vi preoccupate. Penserò io a tutto» diceva sempre Tommasino mano a mano che cresceva. Aveva conosciuto altri paesani che si erano integrati, si era unito a loro, vestiva bene e fumava sigari costosi. «Mi farò strada, vedrete. Ho capito come funziona qui».
«Sono venuto, Tommasino»
Padre Gualtiero era della sua terra, parlava il suo dialetto e lo chiamava con il suo vero nome.
«Posso offrirvi un bicchiere di vino padre? È molto buono, davvero»
«Certo Tommasino. Volentieri»
Gli uomini in uniforme aspettavano in silenzio dentro le loro uniformi scure, i visi bianchi come la luna. Quando il prete posò il bicchiere sul tavolo uno di loro disse «Le mani, Tommy»
Tommasino allungò le mani, che furono chiuse dentro due catene.
«Il Signore è il mio pastore: nulla mi mancherà», cominciò a pregare padre Gualtiero, indossando la stola viola. Si incamminarono in un lungo corridoio bianco e grigio con tante porte chiuse, mani che sporgevano da piccoli finestrini, mani che battevano ritmicamente sulla porta una tazza o un piatto di peltro, ad accompagnare i loro passi.
«Godd luck, Tommy!» disse qualcuno.
«Anche se camminassi in una valle oscura, non temerei alcun male…»
Tommasino guardò estasiato una grande porta in fondo al corridoio che si spalancava. Altri uomini in uniforme e in borghese si unirono a loro, ma Tommasino era avanti a tutti, con don Gualtiero e le guardie al suo fianco. Arrivarono in una piccola sala illuminata a giorno; in un angolo buio stavano sedute delle persone. Lo guardavano. Al centro della sala una sedia di ferro. Sopra, sospesa, una corona di cuoio attaccata a un filo. Era per lui.
Tommasino sentì sulla schiena e sullo stomaco la stessa sensazione che aveva provato da bambino sbarcando in America. Sorrise triste ricordando. Ecco cosa voleva dirgli la statua della Libertà, dunque! Lo stava avvisando!
«Oh madre mia! O padre mio! Avete visto? Vostro figlio è diventato un uomo importante! Quanta gente oggi per me! Tutti mi guardano! Tutti!»
Due lacrime scesero sul suo volto.
«Madre mia! Padre mio! Perdonatemi! Voi non lo sapevate cosa c’era in America per Tommasino!»
«… E rimarrò nella casa del Signore per lunghi anni»
«Amen»
Amen, Tommasino.