H.Q.

1
«Alè! Sveglia, sveglia! E’ il giorno!»
«Mmh... grazie tesoro. Jeff... Jeff alzati, su. La sveglia non ha suonato.»
Jeff si rigirò tra le lenzuola bianche, scansò con un gesto della mano quella di Sarah, sprofondò con la schiena nel morbido materasso e sbuffò
«Non sono più sicuro di volerci andare.»
«Ne abbiamo già parlato, dai. Te l’ha chiesto di persona, devi andarci.»
«Lo so, lo so.» guardò la moglie come faceva di solito appena svegliatosi, trasognante, come se non fosse reale. Il profumo di lei lo destava del tutto: mela cotogna e cannella.

Si alzò affondando le mani nelle fibre di cotone delle lenzuola e cercò con un piede la pantofola sotto il letto, operazione che gli richiese qualche buon minuto. Poi si vestì e si diresse in cucina per la colazione.

«E’ che non capisco cosa dovrei farci io in mezzo a quella gente.»
«Senti. Se Charles ha detto che potrebbe esserti utile, si vede che è così. E poi, se mi sono innamorata io, perché non dovrebbe lui? Si vede che hai del potenziale.»
«Si. Lo so io che potenziale ha visto, quello.»
«Jeff, ti prego. Abbiamo faticato tanto. Ho! Ho faticato tanto per farci arrivare fino qui. Per la casa, per la scuola di Sally... tu puoi andare ad un colloquio, no?»
«Non è un colloquio, te l’ha anche detto. Insistevi che era un colloquio, invece ha solo detto che mi avrebbe fatto bene fargli compagnia in una visita a non so chi.»
«Sicuramente una visita a qualcuno di importante, comunque.»
«Dio, Sarah. Non so perché insisti con questi signorotti impomatati dalla mano facile.»
«Fino all’altro giorno eri più gasato di me all’idea di visitare l’Aloth.»
«Lo sono, lo sono. Ma Parmington dice che a volte ti portano li, e se fai una mossa sbagliata o dai fastidio a qualcuno, o guardi qualcosa di troppo che non dovevi guardare, ti ci lasciano dentro e non ti fanno più uscire.»
«Ma che scemenze, ci sono stata anch’io non ti ricordi? E’ un posto di lavoro come un altro, fanno ricerche o robe simili.»
«Si ma tu non guardi mai dove non ti dicono di guardare.»
«E allora non farlo neanche tu, per favore. Ah! Eccolo di già e tu sei ancora in pigiama. Cristo, Jeff.»

Dal vialetto che dava sul patio d’ingresso arrivavano colpi di clacson secchi e perentori. Il suono degli ordini. Sarah si sistemò i capelli nel riflesso di un pensile in cucina, si affacciò a mezzo busto dalla finestra che dava sulla stradina e sulla Bentley parcheggiata li davanti, sfoggiò un sorriso che rifletteva i raggi del sole, alzò il braccio sinuoso e sventolò la mano al signor Ghidebaud.
«Arriva subito, Charles!»

Jeff Budd uscì dal bagno dopo due minuti, zompettando per infilarsi i calzini con una mano, mentre con l’altra tentava di annodarsi la cravatta. Un ultimo sguardo a sua moglie, e constatato che questa gli dava ancora le spalle, uscì sul vialetto e montò nella Bentley accanto all’uomo grassoccio che l’aveva invitato.

L’Aloth era in realtà un complesso di edifici, anche se tutti vi si riferivano come fosse un’entità unica. Dislocato appena al di fuori dai confini del cerchio urbano, cinto dal raccordo autostradale che collegava le facilities al resto del mondo e fungeva da ponte di comunicazione tra i due. I ricercatori, murati nei vari prefabbricati bianchi ai margini del campus, inventavano il mondo e da lì lo comunicavano ai suoi abitanti. Questi, chi più chi meno, semplicemente si adeguavano. Un giorno il mondo poteva essere in espansione, e allora tutti correvano ad investire i propri risparmi nell’acquisto di nuove terre, nell’esplorazione delle risorse naturali dei continenti appena creati, e tutti si sentivano un po’ più piccoli e un po’ più felici, perché abitavano un mondo più grande di quello di ieri. Il giorno dopo il mondo poteva essere caritatevole, e allora chi aveva guadagnato con le nuove terre e i commerci di spezie, donava il proprio patrimonio ai più bisognosi, costruiva centri per sfamare i barboni e case per alloggiarli, e tutti si sentivano più grandi e più felici, perché abitavano un mondo più giusto. A volte i ricercatori trovavano che un po’ di cattiveria, di egoismo, fossero propedeutici all’equilibrio mentale della società. Così chi aveva costruito gli alloggi per i barboni ora li sfollava a manganellate, chi aveva donato le proprie terre ai bisognosi ora li metteva in schiavitù, e tutti si sentivano più normali e più felici, perché abitavano un mondo più prevedibile.

Procedendo sull’autostrada, a bordo della Bentley, Jeff e il signor Ghidebaud osservavano l’Aloth attraverso i vetri fumè.
«Devo dire che quest’ultima è stata proprio una bella idea, non trovi?»
«Non so» disse Jeff scaricando con uno sbadiglio gli ultimi residui di sonno. «Perché proprio il teatro? Esistono tante attività che un uomo potrebbe condurre per elevare il proprio spirito e per meglio esprimere l’essenza creativa della sua coscienza: scrivere, dibattere; anche correre, volendo. Mettersi al centro di un palco a recitare qualcosa che ha scritto qualcun altro, che non è scritta neanche per te poi, ma in generale per quello che potrebbe dire un uomo di ceto medio alla soglia dei trent’anni, appena brizzolato, con una moglie, una casa e una figlia piccola... anche Parmington è così, ma io non mi ci vedo a dire le stesse cose che dice Parmington. A pensare le stesse cose. Siamo diversi, no?». Il signor Ghideabud diede un colpetto allo sterzo e la Bentley svoltò per la rampa discensionale all’uscita “Aloth Central”.
«Non afferri il punto, ragazzo mio! Salire una volta al mese, al centro del palco, abbracciato dalla luce dei riflettori, che sono lì solo per te, come gli sguardi di chi sta in platea e ancora di più, di chi è collegato da casa. L’occhio della telecamera che si restringe e si sporge oltre per catturare meglio i tuoi lineamenti fieri, i tuoi occhi commossi, le tue parole profonde. E l’aspettativa? L’attesa? Un mese intero: ti arriva il copione solo qualche giorno prima. Allora sai che toccherà a te. Ti prepari. Ti sintonizzi sul canale e studi gli altri, sperando di trovarne uno come te. Che interpretazione ne dà? Come ha inteso quelle parole? Che inclinazione della voce userà qui, e dove porrà più forza e dove meno? Aaah, un’idea geniale, si. La società mette in discussione i suoi temi comuni attraverso l’interpretazione personale dei propri individui. Che intuizione! Che bella attività!».

Arrivarono all’ingresso di un palazzo in granito bianco alto circa sei piani; al centro un’enorme porta di vetro che arrivava fin sù quasi a metà dell’altezza e su entrambe le ante recava una lettera. Su quella sinistra, H. Su quella destra, Q. Uscirono dall’abitacolo che proseguì in autonomia fino ai parcheggi. Entrarono nell’atrio maestoso, ricavato da un unico blocco di marmo rosa venato di bianco che stonava con l’aspetto esterno dell’edificio. All’interno sembrava più una grotta.
«Strano» disse Jeff «Mi aspettavo un posto pieno di gente in camiciotti bianchi che andava e veniva»
«Che?» Ghidebaud non si voltava mai a guardarlo.
«I ricercatori, sa.»
«Ah! Ha ha... si, si. I ricercatori. Beh, quelli stanno negli altri edifici, no?»

Ghidebaud accellerò il passo e Jeff gli tenne dietro. Doveva seguirlo senza perdersi, non avendo a disposizione un tesserino di riconoscimento.
«Mi dispiace, non sono riuscito a procurartelo. Non è proprio una visita ufficiale, la tua.»
«Lo capisco, si figuri.»
«Ti sarai chiesto perché ti ho portato qui, oggi.»
«Beh, si signore, me lo sono chiesto. Mi sono anche preparato, in un certo senso.»
«Ah si? E a cosa ti sei preparato, ragazzo?»
«Beh, girano tante storie, sa. Non tutti possono visitare l’Aloth e ancora meno sono quelli a cui è concesso di visitare l’HQ. Il signor Brìm ci ha sempre portato Parmington, e lui quando rientrava mi raccontava di quello che vedeva.» si fermò di colpo e gettò un’occhiata nervosa a Ghidebaud.
«Ecco... volevo dire...»
«Oh, so quello che volevi dire, caro Budd. Non ti preoccupare, non rinchiudiamo mica tutti quelli che raccontano dell’Aloth! Ci mancherebbe!»
«Ah no?»
«Ma certo che no, ragazzo mio. L’Aloth è un centro di interesse pubblico. Un’istituzione per il cittadino. E come potrebbe esserlo, se noi negassimo proprio ai cittadini l’accesso alle meraviglie che qui amorevolmente custodiamo?»
«Ah si, questo lo dice anche il signor Brìm.». Gli occhi di Ghidebaud si illuminarono per un rapidissimo istante che lui subito ricacciò indietro, ma non abbastanza velocemente perché Jeff non lo notasse.
«Si... il signor Brìm. Esatto. Da quanto lavori per lui, ragazzo?»
«Da circa tre anni, signore.»
«E hai detto che non ti ha mai portato con se?»
«No, signore.»
«Neanche una volta?»
«No.»
«Che uomo bizzarro. Oh, non fraintendermi ragazzo. Il signor Brìm è un dirigente di massimo rispetto, e io spesso lo invito sempre alle festicciuole che tengo di tanto in tanto a casa mia. Ma insomma... tre anni di mondo, di mondo reale, bada bene, e neanche una volta all’Aloth.»
«Il signor Brìm dice che non sono pronto».
«Ma Sarah, la tua cara Sarah voglio dire, dice che sei una persona molto intelligente e che sai stare al tuo posto. Dice che hai del potenziale. Oh, io naturalmente l’avevo notato sai? Sissignore. Ti ho osservato ad ogni festa negli ultimi due anni.»

Svoltarono per una porta senza didascalia sul lato di una parete che sembrava leggermente più piccola delle altre. Ghidebaum sfiorò il cicalino sul muro con il tesserino e la porta si spalancò. Davanti a loro, una ragazza dai capelli rossi, il signor Brìm e Parmington. Senza neanche degnarli di uno sguardo, incurante della sorpresa dipintasi sul volto di Jeff, il signor Ghidebaum si diresse verso l’unica porta d’acciaio presente nella stanza.

Se ne stavano tutti e quattro in piedi e a turno osservavano dalla piccola finestrella ritagliata nella porta, come se stessero guardando un film in una lingua straniera. Jeff se ne stava in disparte.
«Ah, sisì. Questa me l’appunto. Ottimo. Ottimo.» disse Ghidebaum.
«Non credo voglia dire quello che hai scritto» disse la signorina dai capelli rossi osservando gli scarabocchi sul taccuino di Guidebaum.
«Ah no, eh? A me invece sembra chiarissimo, Meg.»
«Mi perdoni, signor Ghidebaum. Sono d’accordo con la signorina Allister. E’ chiaramente il contrario. Ecco, vede?»
«Brìm, richiama il pappagallo. Non ho bisogno di un traduttore, io!»
«Mi chiedo, allora, perché tu abbia portato qui quel ragazzo.» disse Brìm. «Lavora per me. Avrei dovuto decidere io se farlo venire oppure no.»
«Ah, va al diavolo Brìm. Di questo ne parleremo dopo. Ma guardatelo! Insomma, guardatelo! E’ ovvio che è come dico io.»
Si voltarono a guardare Jeff ma subito tornarono a spiare dalla fessura nella porta. Gli sembrava che ogni qual volta uno dei quattro vi si avvicinasse per guardarvi attraverso, avvenisse nell’aria come uno scoppiettio, come fuochi d’artificio invisibili che incanalassero energia in ognuno di loro. Avrebbe voluto guardare anche lui per capirci qualcosa, ma per il momento quella sembrava una questione importante per i quattro e nessuno aveva chiesto il suo parere.
«Si, si. Una lotteria. Ottimo! Questa è addirittura meglio di quella del teatro!»
«Ma che stai dicendo. E’ chiaramente lotta greco-romana. Suvvia.»
«Vi dico che sta pescando bussolotti da un’urna.»
Incaponiti e infiammati in volto, i quattro cominciarono a discutere animatamente. Jeff non conosceva la ragazza dai capelli rossi, ma il signor Ghidebaum l’aveva chiamata per nome. Ne dedusse che tra i quattro Parmington fosse quello con meno autorità. Eppure era quello più infervorato: menava calci nervosi nel marmo rosa e quando non riusciva a sovrastare la discussione con la sua voce, si prendeva a schiaffi.
«Stia calmo, Parmington. Insomma! Non ha imparato nulla?»
«Ah! L’hai addestrato proprio bene, Brìm. Si sì, proprio la scelta giusta» disse il signor Ghidebaum con una risatina.
«Beh» disse Brìm con un tono che Jeff non capì, quasi adesso si scusasse con gli altri presenti «Gesticolare gesticola. Si prende anche a schiaffi! A me sembra un buon passo avanti.»
«Hai cannato, Brìm. Al presidente non piacerà. Ma insomma, hai visto lì dentro? Quanto pensi che potrà durare?»

I quattro continuavano a discutere di cose che sembravano capire solo loro, mentre Jeff se ne stava in penombra da un lato. Senza un motivo apparente pensò all’odore di Sarah: mela cotogna e cannella. Adesso lo sentiva forte, anche in quello stanzino. Lo stava immaginando? L’aveva sentito anche prima o si stava semplicemente annoiando e la mente lo ingannava? Veniva da quella porta?

Cercò di guardare attraverso la fessura, con un movimento che sarebbe dovuto sembrare impercettibile agli altri, quasi noncurante. Si staccò dalla parete e avvertì l’aria acquistare peso nello stanzino. Gli sguardi fissi su di lui. Persino Parmington si era calmato e ora seguiva ogni suo passo. Per un fulmineo istante, un’idea passò per la testa di Jeff. Come un prurito dietro al collo. “Lo stanzino è piccolo. Potrebbero fermarmi. Perché nessuno mi ferma?”. Ma la tentazione di guardare attraverso la fessura lo aveva completamente annebbiato. Si sporse quel tanto che bastava, gettò uno sguardo, e in quel momento il dentro e il fuori si mischiarono. Il dentro dello stanzino, il dentro dietro la porta d’acciaio, il fuori dello stanzino e il fuori della porta d’acciaio si mescolarono nella testa di Jeff.

Quello che vide fu un uomo. Un uomo da solo nello stanzino al di là della porta. Un uomo vecchio, incanutito, con enormi peli nelle orecchie, pelle sbiadita e denti marci. Il vecchio si muoveva di continuo, e aveva poche cose attorno a se: qualche pastello di cera dalla punta arrotondata, una maschera di seta nera, un libro. Ora disegnava sulle pareti dello stanzino, tanto che questo era completamente coperto dai più vari graffiti, ora indossava la mascherina e si sdraiava a terra. Sembrava sognare. Ma qualunque cosa facesse, il punto era che la condiva di gesti spasmodici e continui, scoordinati. Non stava mai fermo. Ora arrotolava la lingua, ora menava le braccia, saltava, faceva capriole, muoveva la testa e tutto il corpo quasi che le membra fossero indipendenti e non andassero d’accordo tra di loro.

Mentre l’osservava, inconsciamente, il labbro superiore di Jeff cominciò a tremare. Un tremolio stentato che immediatamente però si diffuse per tutto il corpo. Era cosciente di quanto stesse guardando ma non riusciva a metterlo in relazione con la realtà di quello che stava accadendo. Cominciò a tremare ancora più forte, sentiva le braccia reclamare vita propria, i piedi litigare su che direzione prendere. L’uomo lì dentro sembrava il suo specchio distorto, tarantolato come lui.

In quel momento capì. Non c’erano ricercatori. Non c’erano studi di settore, campioni di ricerca, trial di laboratorio. I dirigenti dell’Aloth si recavano lì, una volta al mese, guardavano il vecchio, e per qualche strana ragione, qualunque cosa il vecchio facesse loro la interpretavano. Da quei movimenti sconclusionati traevano le forme del mondo, le leggi, le ragioni della società moderna.
Adesso, la società aveva bisogno di carne fresca; di gesti più vigorosi, vibrati nell’aria come colpi d’ascia sferzati. Sentì ancora profumo di mela e cannella.

«Sarah me l’aveva detto che saresti stato adatto. Quella ragazza sa fare tante cose oltre a scopare, sai Brìm?». Ghidebaud ghignava.

Aprirono la porta, tirarono fuori il vecchio che si era messo la mascherina e sembrava essersi addormentato per sempre: aveva smesso di gesticolare. Spinsero Jeff dentro. Richiusero la porta. Già l’osservavano dalla fessura, prendevano appunti.

Non lo fecero più uscire.


----

https://www.writersdream.org/forum/foru ... /42096-hq/

Re: H.Q.

2
(Commento del 13-9-20, già presente nel WD: https://www.writersdream.org/forum/foru ... ent=856988)

Notevolissimo questo tuo racconto, @Ton . Senza dubbio, a mio parere, il migliore di quelli che hai scritto qui. Noto che risale a circa un anno e mezzo fa, e ciò mi induce a due considerazioni: dal punto di vista formale presenta piccole imperfezioni, assenti nei brani successivi; dal punto di vista del contenuto li supera tutti.
Un'idea brillante va a braccetto con una schiettezza di grande fascino: non vi sono superfetazioni né artifici di sorta a gonfiare la trama narrativa, e si respira un'aria fresca che diventa man mano vento impetuoso. Quello che dovrebbe essere esito di considerazioni etiche volte al bene comune si rivela frutto del caso. E solo alla fine si scopre quanta anacronistica assurdità vi sia in questo "caso": i boss del racconto praticano una mantica moderna, un'arte della divinazione in un mondo e in un'epoca in cui essa non può che essere superstizione, pseudoscienza. La descrizione seguente mi è piaciuta moltissimo perché essa spiazza il lettore, preparato a qualche mistero ma non a una follia di tali dimensioni:
ricercatori, murati nei vari prefabbricati bianchi ai margini del campus, inventavano il mondo e da lì lo comunicavano ai suoi abitanti. Questi, chi più chi meno, semplicemente si adeguavano. Un giorno il mondo poteva essere in espansione, e allora tutti correvano ad investire i propri risparmi nell’acquisto di nuove terre, nell’esplorazione delle risorse naturali dei continenti appena creati, e tutti si sentivano un po’ più piccoli e un po’ più felici, perché abitavano un mondo più grande di quello di ieri. Il giorno dopo il mondo poteva essere caritatevole, e allora chi aveva guadagnato con le nuove terre e i commerci di spezie, donava il proprio patrimonio ai più bisognosi, costruiva centri per sfamare i barboni e case per alloggiarli, e tutti si sentivano più grandi e più felici, perché abitavano un mondo più giusto. A volte i ricercatori trovavano che un po’ di cattiveria, di egoismo, fossero propedeutici all’equilibrio mentale della società. Così chi aveva costruito gli alloggi per i barboni ora li sfollava a manganellate, chi aveva donato le proprie terre ai bisognosi ora li metteva in schiavitù, e tutti si sentivano più normali e più felici, perché abitavano un mondo più prevedibile.
Espresso in una modalità che ha dell'ingenuo, il senso dell'estratto precedente trae proprio da questo "candore" la sua forza: essa si manifesta sia nell'espediente narrativo della schietta presa d'atto dell'anomala realtà, in quanto, come scrivevo sopra, tale "innocenza" cambia le carte in tavola e mette in allerta chi legge; sia nella dolorosa istanza, che emerge chiara tra le righe, di chi sa che nulla può fare per cambiare gli eventi che governano le nostre vite, resi volutamente imperscrutabili. Come un bambino, costretto a obbedire al genitore anche se quest'ultimo è cattivo. Se poi la manipolazione degli eventi è affidata ai movimenti inconsulti di un povero disgraziato tenuto prigioniero, e non, come un tempo, ai più innocui esami delle viscere animali da parte degli auruspici, o del volo degli uccelli dagli àuguri, o ai responsi della Pizia, allora mi viene da paragonare il tuo racconto, con tutte le ovvie differenze, alla poetica di Buzzati. Ho riscontrato qui infatti quelle tematiche che gli erano care e lo caratterizzarono: il senso del mistero e il surreale, innanzitutto, ma anche l’angoscia della sconfitta e la normalità solo apparente della realtà.
Passo ora a un'analisi puntuale del testo, anticipandoti che ho molto gradito i dialoghi e cercando di non ripetere le giuste osservazioni di Andrea.
«Alè! Sveglia, sveglia! E’ il giorno!»
Qui, forse, per far capire che è la piccola figlia a dare la sveglia ai genitori, come spieghi nel tuo commento a te stesso, sarebbe sufficiente aggiungere un pa' e/o ma'.
Il profumo di lei lo destava del tutto: mela cotogna e cannella
Ottima scelta: anche per l'olfatto di un uomo un aroma riconoscibile.
operazione che gli richiese qualche buon minuto.
Più che "qualche buon", ridondante, scriverei soltanto "qualche" o, ancora meglio, "più di un minuto" (ed è già molto tempo). Da qui parte un dialogo tra i coniugi molto ben strutturato: incuriosisce, e getta fili sparsi che il lettore annoderà solo alla fine.
Sarah si sistemò i capelli nel riflesso di un pensile in cucina
Un gesto molto femminile.
sfoggiò un sorriso che rifletteva i raggi del sole
Espressione allegra, molto piacevole.
fin sù
"Su" senza accento.
Ha ha
Ah ah.
Ah, sisì. Questa me l’appunto. Ottimo. Ottimo.» disse Ghidebaum.
«Non credo voglia dire quello che hai scritto» disse la signorina dai capelli rossi osservando gli scarabocchi sul taccuino di Guidebaum.
«Ah no, eh? A me invece sembra chiarissimo, Meg.»
«Mi perdoni, signor Ghidebaum. Sono d’accordo con la signorina Allister. E’ chiaramente il contrario. Ecco, vede?»
«Brìm, richiama il pappagallo. Non ho bisogno di un traduttore, io!»
Questa sezione l'ho trovata sorprendente. Non mi è chiaro però chi interviene dicendo "Mi perdoni": Parmington? Ovviamente non può essere Jeff.
e in quel momento il dentro e il fuori si mischiarono. Il dentro dello stanzino, il dentro dietro la porta d’acciaio, il fuori dello stanzino e il fuori della porta d’acciaio si mescolarono nella testa di Jeff.
Eccellente descrizione. È chiara e delinea a perfezione il senso del caos, della perdita di punti di riferimento. Il finale, sorprendente e angoscioso, è perfetto e consequenziale con il racconto intero. Una bella lettura, di cui mi complimento e ti ringrazio.
https://www.amazon.it/rosa-spinoZa-gust ... B09HP1S45C

Re: H.Q.

3
Ton ha scritto: sab gen 02, 2021 1:49 pm «Alè! Sveglia, sveglia! E’ il giorno!»
«Mmh... grazie tesoro. Jeff... Jeff alzati, su. La sveglia non ha suonato.»
Jeff si rigirò tra le lenzuola bianche, scansò con un gesto della mano quella di Sarah, sprofondò con la schiena nel morbido materasso e sbuffò
«Non sono più sicuro di volerci andare.»
«Ne abbiamo già parlato, dai. Te l’ha chiesto di persona, devi andarci.»
«Lo so, lo so.» guardò la moglie come faceva di solito appena svegliatosi, trasognante, come se non fosse reale. Il profumo di lei lo destava del tutto: mela cotogna e cannella.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

A ben guardare la normalità familiare che traspare da questa scena, mai avrei pensato a cosa sarebbe capitato a Jeff. Il misterioso incipit per il momento appare messo da parte, in attesa. Mi pare di assistere ad una normale relazione a due, dove il giorno inizia con la solita sveglia, il solito brontolio di chi non se ne vuole alzare. Jeff che pensa all'odore di lei, alle sue parole che non gli facilitano il risveglio dalla notte passata. Poi la dolce colazione nella cucina, luogo chiaramente indicativo della quotidianità.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------



«Fino all’altro giorno eri più gasato di me all’idea di visitare l’Aloth.»
«Lo sono, lo sono. Ma Parmington dice che a volte ti portano li, e se fai una mossa sbagliata o dai fastidio a qualcuno, o guardi qualcosa di troppo che non dovevi guardare, ti ci lasciano dentro e non ti fanno più uscire.»
«Ma che scemenze, ci sono stata anch’io non ti ricordi? E’ un posto di lavoro come un altro, fanno ricerche o robe simili.»
«Si ma tu non guardi mai dove non ti dicono di guardare.»
«E allora non farlo neanche tu, per favore. Ah! Eccolo di già e tu sei ancora in pigiama. Cristo, Jeff.»

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Qui si comincia a entrare nella trama: una visita guidata ad Aloth ( nome dal richiamo biblico?), ma per la quale non se ne capisce lo scopo.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

L’Aloth era in realtà un complesso di edifici, anche se tutti vi si riferivano come fosse un’entità unica. Dislocato appena al di fuori dai confini del cerchio urbano, cinto dal raccordo autostradale che collegava le facilities al resto del mondo e fungeva da ponte di comunicazione tra i due. I ricercatori, murati nei vari prefabbricati bianchi ai margini del campus, inventavano il mondo e da lì lo comunicavano ai suoi abitanti. Questi, chi più chi meno, semplicemente si adeguavano. Un giorno il mondo poteva essere in espansione, e allora tutti correvano ad investire i propri risparmi nell’acquisto di nuove terre, nell’esplorazione delle risorse naturali dei continenti appena creati, e tutti si sentivano un po’ più piccoli e un po’ più felici, perché abitavano un mondo più grande di quello di ieri. Il giorno dopo il mondo poteva essere caritatevole, e allora chi aveva guadagnato con le nuove terre e i commerci di spezie, donava il proprio patrimonio ai più bisognosi, costruiva centri per sfamare i barboni e case per alloggiarli, e tutti si sentivano più grandi e più felici, perché abitavano un mondo più giusto. A volte i ricercatori trovavano che un po’ di cattiveria, di egoismo, fossero propedeutici all’equilibrio mentale della società. Così chi aveva costruito gli alloggi per i barboni ora li sfollava a manganellate, chi aveva donato le proprie terre ai bisognosi ora li metteva in schiavitù, e tutti si sentivano più normali e più felici, perché abitavano un mondo più prevedibile.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Adesso si intravede chiaramente l'ambientazione di stampo futuristico in cui si muovono i protagonisti. Devo notare che solo con l'uso dell'ipotetico si possono portare avanti certe visioni. Quando si fanno previsioni sulla società a venire, tutto appare possibile e teorizzabile. Certo qui si estremizza parecchio, ma data anche l'impronta satirica del futuro che dai, tutto mi pare coerente al racconto.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Aaah, un’idea geniale, si. La società mette in discussione i suoi temi comuni attraverso l’interpretazione personale dei propri individui. Che intuizione! Che bella attività!».
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

qui ti è scappato l'accento sul sì! scherzi a parte, hai una scrittura ottima. Buona anche la padronanza nel far sì che tutto venga ben disteso e compreso.
Comunque comincio a intravedere la tematica del controllo delle masse, tanto caro a Orwell, oltre che essere un tema molto dibattuto.

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------



Arrivarono all’ingresso di un palazzo in granito bianco alto circa sei piani; al centro un’enorme porta di vetro che arrivava fin sù quasi a metà dell’altezza e su entrambe le ante recava una lettera. Su quella sinistra, H. Su quella destra, Q. Uscirono dall’abitacolo che proseguì in autonomia fino ai parcheggi. Entrarono nell’atrio maestoso, ricavato da un unico blocco di marmo rosa venato di bianco che stonava con l’aspetto esterno dell’edificio. All’interno sembrava più una grotta.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Il blocco di marmo simile a una grotta mi riporta all'idea del monolite di Kubrick, dove si mette in forte contrasto passato arcaico e futuro. Non sveli però il significato delle lettere H.Q. Parrebbe un richiamo di Aloth, ma non saprei...
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Si voltarono a guardare Jeff ma subito tornarono a spiare dalla fessura nella porta. Gli sembrava che ogni qual volta uno dei quattro vi si avvicinasse per guardarvi attraverso, avvenisse nell’aria come uno scoppiettio, come fuochi d’artificio invisibili che incanalassero energia in ognuno di loro. Avrebbe voluto guardare anche lui per capirci qualcosa, ma per il momento quella sembrava una questione importante per i quattro e nessuno aveva chiesto il suo parere.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Tutta l'attenzione su quella finestra: sinceramente non mi prende e non cattura la mia attenzione.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Cercò di guardare attraverso la fessura, con un movimento che sarebbe dovuto sembrare impercettibile agli altri, quasi noncurante. Si staccò dalla parete e avvertì l’aria acquistare peso nello stanzino. Gli sguardi fissi su di lui. Persino Parmington si era calmato e ora seguiva ogni suo passo. Per un fulmineo istante, un’idea passò per la testa di Jeff. Come un prurito dietro al collo. “Lo stanzino è piccolo. Potrebbero fermarmi. Perché nessuno mi ferma?”. Ma la tentazione di guardare attraverso la fessura lo aveva completamente annebbiato. Si sporse quel tanto che bastava, gettò uno sguardo, e in quel momento il dentro e il fuori si mischiarono. Il dentro dello stanzino, il dentro dietro la porta d’acciaio, il fuori dello stanzino e il fuori della porta d’acciaio si mescolarono nella testa di Jeff.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Idem
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Quello che vide fu un uomo. Un uomo da solo nello stanzino al di là della porta. Un uomo vecchio, incanutito, con enormi peli nelle orecchie, pelle sbiadita e denti marci. Il vecchio si muoveva di continuo, e aveva poche cose attorno a se: qualche pastello di cera dalla punta arrotondata, una maschera di seta nera, un libro. Ora disegnava sulle pareti dello stanzino, tanto che questo era completamente coperto dai più vari graffiti, ora indossava la mascherina e si sdraiava a terra....

Cominciò a tremare ancora più forte, sentiva le braccia reclamare vita propria, i piedi litigare su che direzione prendere. L’uomo lì dentro sembrava il suo specchio distorto, tarantolato come lui...

In quel momento capì...
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Ma cosa avrebbe capito, Jeff? Di essere finito in una trappola? tale passo non è ben drammatizzato.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

«Sarah me l’aveva detto che saresti stato adatto. Quella ragazza sa fare tante cose oltre a scopare, sai Brìm?». Ghidebaud ghignava.

Aprirono la porta, tirarono fuori il vecchio che si era messo la mascherina e sembrava essersi addormentato per sempre: aveva smesso di gesticolare. Spinsero Jeff dentro. Richiusero la porta. Già l’osservavano dalla fessura, prendevano appunti.

Non lo fecero più uscire.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Non c''è di che. Un finale che arriva in modo improvviso e che finalmente spiega tutto il racconto. Generalmente a metà storia si lascia intravedere una possibile doppia traccia sul finale, in modo che il lettore abbia almeno l'idea del finale, ed elabori la sua lettura, nell'attesa di vedere quale sarà poi delle due, a risultare. Questi finali a sorpresa, come lo proponi te, Ton, benché apprezzabili, hanno il problema che si rimane in attesa di capire, di elaborare la trama, come già ti dicevo sopra. Comunque rimane un racconto ottimo, anche se ricalchi le tematiche del controllo delle masse. Questa volta magari aggiungendo un elemento nuovo: la ricerca della divinizzazione e della verità, attraverso un focus diverso dalla solita strumentalizzazione della storia umana e dei principi su cui si basa la società moderna. Il tutto condito da un po di pazzia e di tragedia, in salsa Orwuelliana, distopica. Alla fine, Jeff, non ha resistito a mettere il naso dove non doveva; ma era destinato al sacrificio per il bene della società .. ciao a rileggerti :asd:
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: H.Q.

4
@bestseller2020 non so se hai letto il thread originale sul WD, comunque questo probabilmente avrei dovuto lasciarlo morire in pace :D

È la prima cosa che ho scritto in assoluto in vita mia, dal cellulare, nel mezzo di una festa, e senza un minimo di revisione.

Spero di esser migliorato un po' nel frattempo :D hai ragione su tutto.

Grazie!
Rispondi

Torna a “Racconti”