[MI146] Samsara
Posted: Sun Mar 07, 2021 8:02 pm
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Traccia di mezzanotte
I vicini stanno litigando ancora. Tengo gli occhi spalancati sul soffitto buio e non riesco a dormire. Ogni tanto tacciono – e posso lasciarmi cullare dal suono della pioggia sulla finestra – per poi riprendere più forte di prima. Domattina ho un esame e se non riesco a prendere sonno questa è la volta buona che mi trasferisco. Lo dico ogni volta, ma di chiedere soldi ai miei non mi va, che figura ci farei?
Lui sta abbaiando furioso e lei strilla con la voce rotta dal pianto. Qualcosa di pesante s’infrange contro la parete. Mi stringo alle coperte, atterrito. Il silenzio che segue è ancor più agghiacciante. A quest’ora della notte tutto il condominio avrà sentito. Provo a non pensarci, indifferente come la pioggia che continua a scrosciare sul vetro, ma non ci riesco.
Accendo la luce, mi infilo un cappotto sopra al pigiama ed esco sul pianerottolo. Suono il citofono della porta accanto. Passi strascicati, poi la voce del marito che chiede: «Chi è?»
«Sono il vostro vicino. Ho sentito un rumore e... È tutto okay?»
«Vaffanculo», sbotta.
Inizio a parlare prima che possa pentirmene: «Forse non ha capito, lei ora mi fa entrare e mi fa vedere che sua moglie sta bene, o chiamo i carabinieri.»
La porta si apre. L’uomo ha il volto paonazzo e profonde occhiaie. «Figlio di puttana», mormora. Lo seguo dentro. «Sta bene».
Al centro del soggiorno c’è un tavolo colmo di bottiglie vuote. A terra, tra i pezzi di una sedia rotta, vedo riversa una donna. Mi irrigidisco. Con la mano tremante raggiungo il telefono in tasca. L’uomo sorride. Poi con un gesto rapido afferra una bottiglia dal tavolo e, prima che possa reagire, me la cala su una tempia.
Apro gli occhi e la luce mi manda una fitta di dolore cervello. Sono nel loro soggiorno, su una sedia. China su di me, la donna mi sta fasciando la testa. Non posso fare a meno di notare i lividi che ha in viso.
«È sveglio», dice con tono piatto. Provo ad alzarmi, ma i miei polsi sono legati dietro la sedia. Cerco di divincolarmi, ma è inutile. Quando la donna ha finito, si siede di fronte a me, accanto al marito.
È l’uomo a rompere il silenzio. «Ti chiedo scusa, mi sono fatto prendere dal panico e quindi, be’...»
«E quindi mi hai legato».
La moglie abbassa lo sguardo. Lui sorride. «Ma no, tranquillo, tra poco ti lascio libero. Ecco, ho solo bisogno che mi dia la tua parola che non mi denuncerai.»
«Te lo prometto, uscito da qui dimenticherò tutto, okay? Puoi lasciarmi andare, non sentirai mai più parlare di me, lo giuro.»
Si alza in piedi. «Che sollievo». Si china a terra e raccoglie una gamba della sedia rotta. «Peccato che non mi fido». Un movimento rapido del braccio e si ferma poco prima che il pezzo di legno mi colpisca in volto. Poi scoppia a ridere.
«Non puoi denunciarlo. Non fargli questo, ti prego.» La moglie alza lo sguardo su di me.
«”Fargli questo”? Siete voi che mi avete...»
«Ti ho forse interpellata?» Chiede lui, e una luce sinistra gli attraversa gli occhi.
«Scusami, io...»
«Mia moglie ha ragione», prosegue l’uomo. «Non sai niente di me, della mia storia, del mio matrimonio. Con che coraggio ti presenti alla mia porta, dall’alto di chissà quale cazzo di piedistallo morale? Sono una bravissima persona, io. Rispettato, amato. Non ti puoi permettere di piombare qui nel cuore della notte e rovinare la mia reputazione.»
«Ma ho promesso...» Tremo e il panico prende il controllo del mio corpo.
«Scusami, non volevo spaventarti». Posa il pezzo di legno sul tavolo e si siede. «Voglio solo che tu mi aiuti a fidarmi di te. Sembri un ragazzo sveglio, sono sicuro che insieme troveremo un modo per risolvere questa brutta situazione. Non sono al massimo della lucidità», fa un cenno alle bottiglie, «e mia moglie, be’, a certe cose non ci arriva.»
«Ti prego, lasciami andare...» Biascico.
«Non voglio farti del male, davvero. Ti porto un bicchiere d’acqua, che dici?» Si alza in piedi. «Sì, non mi sembri molto in te.»
Nel momento in cui esce dalla stanza mi sporgo verso la donna. «Ti prego, liberami».
Lei scuote la testa, ma evita il mio sguardo. «Mio marito ha bisogno di fidarsi di te. Se lo denunci, che ne sarà di noi?»
Apro la bocca e per un istante non so cosa ribattere. «Stai... Stai scherzando, spero. Come puoi difenderlo, dopo quello che ti ha fatto?»
Si porta i capelli a coprirsi i lividi in volto.
«Non sono cieco né stupido. È stato lui a lanciarti addosso quella sedia, no?»
Lei sorride. «Tutti sbagliano, quando crescerai lo capirai. Non è sempre stato così, sai? Da giovane era l’uomo più romantico del mondo. Mi faceva sentire come, come la persona più speciale che esista. E anche adesso non è quello che tu pensi che sia.»
«Pensi che non lo senta urlarti contro tutte le notti? Non so niente di voi, è vero, ma non ce n’è bisogno per dirti che questa situazione non ti sta facendo bene e non ci vorrà molto prima che le cose vadano irrimediabilmente un po’ più storte del solito.» Tiro su col naso. «Ti prego, non permettergli di farmi del male. Puoi pensare di non aver scelta, ma non è così, c’è sempre una scelta.»
«Una scelta?!» Il marito scaglia il bicchiere d’acqua verso di noi e va a rompersi contro il muro. «Come cazzo dovrei fidarmi di te, brutto pezzo di merda... Una scelta, eh?» Si avvicina a grandi passi, riprende la gamba della sedia e la usa per spaccare una bottiglia sul tavolo. «Pensi forse che io sia un mostro?»
«Sì, cazzo, sì, guardati attorno! Come altro ti definiresti?»
Lascia cadere a terra il pezzo di legno e scoppia in lacrime. «Tu non capisci... Non sono una brutta persona, ho solo una brutta personalità. Non è colpa mia. Tu non hai idea di cos’ho dovuto passare, tutta la mia vita, come sono arrivato a questo punto. E ti permetti di giudicarmi? Pensi che abbia scelto di fare del male alla donna che amo, eh? Pensi veramente che abbia scelto, dopo essere cresciuto in una società del genere e averla respirata per tutta la mia esistenza?» Allarga le braccia, poi le lascia cadere mollemente lungo i fianchi. «Non so neanche perché sto dicendo queste cose. Cazzo, ma dovevi proprio presentarti alla mia porta? Guarda cosa mi hai portato a dire, sto persino piangendo, vaffanculo... Devo bere di meno.»
«Penso che ogni tua scelta sia responsabilità tua», dico lentamente, «e lo stesso vale per tua moglie. Prenditi le tue responsabilità. Non importa cosa hai passato, importa come questo si riflette nelle azioni che scegli di compiere. E tu hai scelto di fare del male a tua moglie, fare del male a me, legarmi a questa sedia e...»
«Non ho scelto un cazzo!» Sbotta l’uomo. «Né io, né tu, né lei. Siamo foglie mosse dal vento. Ogni cosa che facciamo è il risultato di quello che ci è successo, tutto qui. Pensi di aver deciso tu di venire a bussare alla mia porta? No, eri preoccupato, e lo eri perché devi aver ricevuto un’educazione che ti ha portato all’altruismo, o cazzate simili, fatto sta che ora quel tuo gesto ci ha portati in questa situazione di merda. È tutto già scritto, capisci? Ogni goccia di pioggia che cade dal cielo, ogni passo che muoviamo, ogni pensiero che facciamo.» Afferra una bottiglia dal tavolo. «È già scritto che tu muori dalla voglia di correre a denunciarmi, te lo leggo negli occhi. Ma è anche già scritto che tu non lascerai questo appartamento. Chiudi gli occhi, non preoccuparti. È tutto già successo, fidati di me.» Solleva la bottiglia.
«Fermati!» Urlo, e chiudo gli occhi. Il suono di un colpo secco, un peso morto che mi cade addosso. L’uomo è riverso su di me, sua moglie è dietro di lui e tiene in mano la gamba della sedia.
«Io...»
«Non dire niente». Il suo sguardo duro mi turba. «Mio marito ha ragione».
«Che cosa?»
«Ha ragione. Sei stato tu a convincermi, prima. E lui, in tutti questi anni, mi ha portato a un punto che... Insomma, era inevitabile avrei reagito, no? Nessuno a questo mondo è libero.» Si china a slegarmi i polsi. «Torna a casa ora».
«Tu che cosa farai?»
«Non lo so. Ma so che lo amo ancora. Perché, ti starai chiedendo? Non c’è un perché. Solo una catena che non si può rompere.»
Traccia di mezzanotte
I vicini stanno litigando ancora. Tengo gli occhi spalancati sul soffitto buio e non riesco a dormire. Ogni tanto tacciono – e posso lasciarmi cullare dal suono della pioggia sulla finestra – per poi riprendere più forte di prima. Domattina ho un esame e se non riesco a prendere sonno questa è la volta buona che mi trasferisco. Lo dico ogni volta, ma di chiedere soldi ai miei non mi va, che figura ci farei?
Lui sta abbaiando furioso e lei strilla con la voce rotta dal pianto. Qualcosa di pesante s’infrange contro la parete. Mi stringo alle coperte, atterrito. Il silenzio che segue è ancor più agghiacciante. A quest’ora della notte tutto il condominio avrà sentito. Provo a non pensarci, indifferente come la pioggia che continua a scrosciare sul vetro, ma non ci riesco.
Accendo la luce, mi infilo un cappotto sopra al pigiama ed esco sul pianerottolo. Suono il citofono della porta accanto. Passi strascicati, poi la voce del marito che chiede: «Chi è?»
«Sono il vostro vicino. Ho sentito un rumore e... È tutto okay?»
«Vaffanculo», sbotta.
Inizio a parlare prima che possa pentirmene: «Forse non ha capito, lei ora mi fa entrare e mi fa vedere che sua moglie sta bene, o chiamo i carabinieri.»
La porta si apre. L’uomo ha il volto paonazzo e profonde occhiaie. «Figlio di puttana», mormora. Lo seguo dentro. «Sta bene».
Al centro del soggiorno c’è un tavolo colmo di bottiglie vuote. A terra, tra i pezzi di una sedia rotta, vedo riversa una donna. Mi irrigidisco. Con la mano tremante raggiungo il telefono in tasca. L’uomo sorride. Poi con un gesto rapido afferra una bottiglia dal tavolo e, prima che possa reagire, me la cala su una tempia.
Apro gli occhi e la luce mi manda una fitta di dolore cervello. Sono nel loro soggiorno, su una sedia. China su di me, la donna mi sta fasciando la testa. Non posso fare a meno di notare i lividi che ha in viso.
«È sveglio», dice con tono piatto. Provo ad alzarmi, ma i miei polsi sono legati dietro la sedia. Cerco di divincolarmi, ma è inutile. Quando la donna ha finito, si siede di fronte a me, accanto al marito.
È l’uomo a rompere il silenzio. «Ti chiedo scusa, mi sono fatto prendere dal panico e quindi, be’...»
«E quindi mi hai legato».
La moglie abbassa lo sguardo. Lui sorride. «Ma no, tranquillo, tra poco ti lascio libero. Ecco, ho solo bisogno che mi dia la tua parola che non mi denuncerai.»
«Te lo prometto, uscito da qui dimenticherò tutto, okay? Puoi lasciarmi andare, non sentirai mai più parlare di me, lo giuro.»
Si alza in piedi. «Che sollievo». Si china a terra e raccoglie una gamba della sedia rotta. «Peccato che non mi fido». Un movimento rapido del braccio e si ferma poco prima che il pezzo di legno mi colpisca in volto. Poi scoppia a ridere.
«Non puoi denunciarlo. Non fargli questo, ti prego.» La moglie alza lo sguardo su di me.
«”Fargli questo”? Siete voi che mi avete...»
«Ti ho forse interpellata?» Chiede lui, e una luce sinistra gli attraversa gli occhi.
«Scusami, io...»
«Mia moglie ha ragione», prosegue l’uomo. «Non sai niente di me, della mia storia, del mio matrimonio. Con che coraggio ti presenti alla mia porta, dall’alto di chissà quale cazzo di piedistallo morale? Sono una bravissima persona, io. Rispettato, amato. Non ti puoi permettere di piombare qui nel cuore della notte e rovinare la mia reputazione.»
«Ma ho promesso...» Tremo e il panico prende il controllo del mio corpo.
«Scusami, non volevo spaventarti». Posa il pezzo di legno sul tavolo e si siede. «Voglio solo che tu mi aiuti a fidarmi di te. Sembri un ragazzo sveglio, sono sicuro che insieme troveremo un modo per risolvere questa brutta situazione. Non sono al massimo della lucidità», fa un cenno alle bottiglie, «e mia moglie, be’, a certe cose non ci arriva.»
«Ti prego, lasciami andare...» Biascico.
«Non voglio farti del male, davvero. Ti porto un bicchiere d’acqua, che dici?» Si alza in piedi. «Sì, non mi sembri molto in te.»
Nel momento in cui esce dalla stanza mi sporgo verso la donna. «Ti prego, liberami».
Lei scuote la testa, ma evita il mio sguardo. «Mio marito ha bisogno di fidarsi di te. Se lo denunci, che ne sarà di noi?»
Apro la bocca e per un istante non so cosa ribattere. «Stai... Stai scherzando, spero. Come puoi difenderlo, dopo quello che ti ha fatto?»
Si porta i capelli a coprirsi i lividi in volto.
«Non sono cieco né stupido. È stato lui a lanciarti addosso quella sedia, no?»
Lei sorride. «Tutti sbagliano, quando crescerai lo capirai. Non è sempre stato così, sai? Da giovane era l’uomo più romantico del mondo. Mi faceva sentire come, come la persona più speciale che esista. E anche adesso non è quello che tu pensi che sia.»
«Pensi che non lo senta urlarti contro tutte le notti? Non so niente di voi, è vero, ma non ce n’è bisogno per dirti che questa situazione non ti sta facendo bene e non ci vorrà molto prima che le cose vadano irrimediabilmente un po’ più storte del solito.» Tiro su col naso. «Ti prego, non permettergli di farmi del male. Puoi pensare di non aver scelta, ma non è così, c’è sempre una scelta.»
«Una scelta?!» Il marito scaglia il bicchiere d’acqua verso di noi e va a rompersi contro il muro. «Come cazzo dovrei fidarmi di te, brutto pezzo di merda... Una scelta, eh?» Si avvicina a grandi passi, riprende la gamba della sedia e la usa per spaccare una bottiglia sul tavolo. «Pensi forse che io sia un mostro?»
«Sì, cazzo, sì, guardati attorno! Come altro ti definiresti?»
Lascia cadere a terra il pezzo di legno e scoppia in lacrime. «Tu non capisci... Non sono una brutta persona, ho solo una brutta personalità. Non è colpa mia. Tu non hai idea di cos’ho dovuto passare, tutta la mia vita, come sono arrivato a questo punto. E ti permetti di giudicarmi? Pensi che abbia scelto di fare del male alla donna che amo, eh? Pensi veramente che abbia scelto, dopo essere cresciuto in una società del genere e averla respirata per tutta la mia esistenza?» Allarga le braccia, poi le lascia cadere mollemente lungo i fianchi. «Non so neanche perché sto dicendo queste cose. Cazzo, ma dovevi proprio presentarti alla mia porta? Guarda cosa mi hai portato a dire, sto persino piangendo, vaffanculo... Devo bere di meno.»
«Penso che ogni tua scelta sia responsabilità tua», dico lentamente, «e lo stesso vale per tua moglie. Prenditi le tue responsabilità. Non importa cosa hai passato, importa come questo si riflette nelle azioni che scegli di compiere. E tu hai scelto di fare del male a tua moglie, fare del male a me, legarmi a questa sedia e...»
«Non ho scelto un cazzo!» Sbotta l’uomo. «Né io, né tu, né lei. Siamo foglie mosse dal vento. Ogni cosa che facciamo è il risultato di quello che ci è successo, tutto qui. Pensi di aver deciso tu di venire a bussare alla mia porta? No, eri preoccupato, e lo eri perché devi aver ricevuto un’educazione che ti ha portato all’altruismo, o cazzate simili, fatto sta che ora quel tuo gesto ci ha portati in questa situazione di merda. È tutto già scritto, capisci? Ogni goccia di pioggia che cade dal cielo, ogni passo che muoviamo, ogni pensiero che facciamo.» Afferra una bottiglia dal tavolo. «È già scritto che tu muori dalla voglia di correre a denunciarmi, te lo leggo negli occhi. Ma è anche già scritto che tu non lascerai questo appartamento. Chiudi gli occhi, non preoccuparti. È tutto già successo, fidati di me.» Solleva la bottiglia.
«Fermati!» Urlo, e chiudo gli occhi. Il suono di un colpo secco, un peso morto che mi cade addosso. L’uomo è riverso su di me, sua moglie è dietro di lui e tiene in mano la gamba della sedia.
«Io...»
«Non dire niente». Il suo sguardo duro mi turba. «Mio marito ha ragione».
«Che cosa?»
«Ha ragione. Sei stato tu a convincermi, prima. E lui, in tutti questi anni, mi ha portato a un punto che... Insomma, era inevitabile avrei reagito, no? Nessuno a questo mondo è libero.» Si china a slegarmi i polsi. «Torna a casa ora».
«Tu che cosa farai?»
«Non lo so. Ma so che lo amo ancora. Perché, ti starai chiedendo? Non c’è un perché. Solo una catena che non si può rompere.»