[MI146] Desio
Posted: Sun Mar 07, 2021 6:52 pm
(Traccia di mezzogiorno)
Commento: QUI
Si dice le bugie abbiano le gambe corte. La verità è che se anche non resistono in eterno, possono reggere una vita intera finché qualcuno non taglia loro le gambe.
Mi chiamo Milena Bordotti e se la penna non continuasse a scivolarmi dalle mani, scriverei che ho 92 anni compiuti oggi, festeggiando con due candeline rosa glitterate a forma di 9 e 2.
Ho guardato tutta la famiglia: i miei figli, i loro figli e i figli dei figli, tutti accompagnati da qualcuno, e mi pareva ci fosse anche qualcuna incinta. Ognuno di loro negli occhi quello sguardo in bilico fra l’ammirazione e la compassione per la vecchina della casa di riposo che se la cava ancora bene. E mi sono chiesta se mi conoscono davvero.
Il fatto che io mi sia rattrappita, che alle volte confonda il calorifero con la TV e che porti con fierezza una mirabolante gobba sulle mie gambette malferme, non significa che non sia una donna che riserva ancora alcune sorprese.
La prima fra tutte il mio desiderio di scrivere. Certo le mani nodose con le dita storte non sembrano proprio adatte, ma le suorine mi hanno consegnato il quaderno e la biro esattamente come si esaudisce il desiderio di una persona che non sa bene cosa stia facendo.
Invece io lo so cosa voglio fare.
Tutto per colpa del giornale. Mi ero appena leccata il dito per voltare pagina che mi cade l’occhio su un trafiletto che titolava “Il parcheggio sotterraneo di via 1. Maggio: ristrutturazione totale.” Sottotitolo “Infiltrazioni d’acqua e crepe nei piloni.”
Sono passati circa 60 anni dalla costruzione di quel parcheggio. All’epoca ero sposata da 5 anni con Desio da cui avevo avuto tre figli maschi di 10, 8 e 6 anni. Mio marito era ragioniere e io facevo piccoli lavori di sartoria per un negozio di abbigliamento.
La nostra vita scorreva scandita dal programma di mio marito. Sveglia per tutti alle 6. Prima in bagno tutti i maschi in ordine di età a partire da lui e io preparavo la colazione in cucina. Mentre loro consumavano caffè e panini alla marmellata, potevo andare in bagno io, che si sa che le donne ci impiegano un pochino di più. Poi controllava che tutti fossimo a posto con le unghie pulite, il rossetto poco vistoso e le scarpe lucide. Dopodiché tutti fuori casa ognuno con la propria merenda. Io accompagnavo a scuola i figli, poi passavo dal negozio a ritirare gli orli da fare e tornavo a casa. Mattinata alla macchina da cucire fino alle 11.30 , poi pranzo composto di una pasta, una fettina di carne e una verdura. Poi Desio tornava in ufficio, i bambini facevano i compiti e io mi dedicavo alla casa. Per ogni giorno era previsto un preciso compito oltre alle pulizie quotidiane. Alle 18.00 fine dei lavori e alle 19.00 la cena doveva essere in tavola: una minestra con un poco di pane che a letto ci si va leggeri.
Mio marito era anche consapevole di dover riservare del tempo per la coppia, per cui dopo aver messo a letto i bambini, noi due facevamo una passeggiata di mezz’ora prima di coricarci a nostra volta. Quello era il momento in cui potevamo scambiare due parole in pace. In realtà parlava mio marito. Mi ricordava quando dovevo fare la tinta e le prossime visite mediche dei figli, oltre a controllare che durante la giornata avessi rispettato gli orari previsti. Non che fosse proprio manesco, ma diciamo che non amava le eccezioni e me lo sapeva ricordare.
Mi ero innamorata di lui, perché aveva un’aria così solida. Lui sì che sapeva cosa fare in ogni occasione. Sembrava che mai nulla lo potesse cogliere alla sprovvista. Inoltre era un gran lavoratore. Grazie a lui, dopo che il padre era morto per un incidente sul lavoro, i suoi due fratelli minori avevano potuto laurearsi. Certo Desio si aspettava un poco di gratitudine, invece i fratelli appena laureati si erano defilati per dedicarsi alla propria carriera. Questo era uno degli argomenti preferiti di mio marito. In fondo Desio non si aspettava solo un grazie, ma anche la restituzione almeno parziale di ciò che aveva speso per loro. Uno era diventato architetto, l’altro invece aveva aperto uno studio da commercialista. Solo Desio era rimasto al palo, con il suo lavoro da ragioniere che ci permetteva una vita dignitosa, ma nulla più. Certo negli anni era stato promosso. Era diventato capoufficio rispettato e temuto.
I tre fratelli si sentivano in occasione dei compleanni e delle feste comandate. Per vedersi invece ci volevano funerali e matrimoni.
Mio marito soleva ripetere: ”Che importa! Ne ho fatti studiare due, farò studiare anche questi tre!” .
La sera che scomparve, non volle salire in casa con me dopo la passeggiata, ma disse che voleva fare ancora quattro passi. Come d’abitudine, mi preparai e mi coricai, perché ritenevo che solo lui potesse fare eccezioni e che io fossi tenuta a rispettare le nostre abitudini in ogni caso.
Il mattino dopo alle 6, Desio non era al mio fianco nel letto e nemmeno si trovava in cucina o in bagno. Proprio non c’era.
Mi sentivo disorientata. Dopo aver portato i figli a scuola, mi consultai con la padrona del negozio, che mi disse di aspettare almeno ancora un giorno. Gli uomini a volte avevano delle esigenze che noi mogli non potevano comprender e tantomeno soddisfare. Mi consolò dicendomi che per cena, al massimo per il giorno seguente Desio sarebbe tornato. Ma così non fu. Ne denunciai la scomparsa, furono fatte indagini. Sembrava svanito nel nulla senza lasciare alcuna traccia. I suoi fratelli per aiutarmi ogni mese mi versavano una somma che superava ampiamente lo stipendio di Desio. A sette anni dalla scomparsa fu dichiarato morto e finalmente l’azienda per la quale Desio aveva sempre lavorato mi versò ciò che mi spettava. Nel frattempo ero riuscita a mettermi in proprio. Con l’aiuto della padrona del negozio aprii una piccola sartoria con due lavoranti. Ora non avrei più aggiustato orli e stretto gonne, ora creavo anche degli abiti per le mie clienti. Avevo un futuro per me e per i miei figli. Desio non è mai più ricomparso, ma, a parte questo grande dolore, ho goduto di una vita serena e soddisfacente.
Ecco l’ho rifatto di nuovo, ho allungato le gambe della bugia.
Quella sera Desio non è tornato sotto casa con me e non ha nemmeno proseguito per fare quattro passi.
Quella sera Desio voleva vedere i lavori del parcheggio sotterraneo. Avevano finito gli scavi, le fondamenta erano gettate e stavano costruendo i piloni. Guardava interessato l’autobotte che attraverso un tubo riversava il cemento in negli scatoloni a forma di pilone. Mi spiegava che era un modo innovativo di costruire. L’operaio che eseguiva tutta l’operazione assieme a un suo collega ogni tanto rispondeva alle domande di mio marito e annuiva spesso. Finito il lavoro, i due operai ci salutarono. Il loro turno era finito e fino a domani non avrebbero fatto altro. Era necessario che il cemento budinoso si solidificasse per proseguire i lavori. Desio era entusiasta, al punto da salire sul bordo dello scatolotto per spiegarmi meglio tutta la procedura.
È stato uno sgambetto, un banale sgambetto. Desio cadde dritto nel cemento dopo aver sbattuto la testa e forse anche le braccia. Questi piloni erano davvero larghi e profondi. Desio sporgeva ancora con tutto il busto e affondava lentamente. Pensavo di dover cercare qualcosa per spingerlo sotto, invece funzionava come con le sabbie mobili: più ci si agita, più in fretta si affonda. E Desio era davvero molto agitato, mulinava con le braccia e immagino anche con le gambe. Mi promise che mai più avrebbe usato lo straccio bagnato su di me, che ogni domenica ci avrebbe portato in gita e ci avrebbe offerto un gelato. Arrivò addirittura a dirmi che non avrebbe mai più controllato i miei orari.
Ci stava impiegando troppo tempo, e io dovevo tornare a casa dai bambini. Li vicino c’era un tubo collegato a un silo, c’era anche una corda. La tirai e scese altro cemento fresco, tanto quanto bastò a riempirgli la bocca e coprire la testa.
Tutto questo solo nel caso in cui Desio dovesse spuntare dai lavori di ristrutturazione del parcheggio.
Commento: QUI
Si dice le bugie abbiano le gambe corte. La verità è che se anche non resistono in eterno, possono reggere una vita intera finché qualcuno non taglia loro le gambe.
Mi chiamo Milena Bordotti e se la penna non continuasse a scivolarmi dalle mani, scriverei che ho 92 anni compiuti oggi, festeggiando con due candeline rosa glitterate a forma di 9 e 2.
Ho guardato tutta la famiglia: i miei figli, i loro figli e i figli dei figli, tutti accompagnati da qualcuno, e mi pareva ci fosse anche qualcuna incinta. Ognuno di loro negli occhi quello sguardo in bilico fra l’ammirazione e la compassione per la vecchina della casa di riposo che se la cava ancora bene. E mi sono chiesta se mi conoscono davvero.
Il fatto che io mi sia rattrappita, che alle volte confonda il calorifero con la TV e che porti con fierezza una mirabolante gobba sulle mie gambette malferme, non significa che non sia una donna che riserva ancora alcune sorprese.
La prima fra tutte il mio desiderio di scrivere. Certo le mani nodose con le dita storte non sembrano proprio adatte, ma le suorine mi hanno consegnato il quaderno e la biro esattamente come si esaudisce il desiderio di una persona che non sa bene cosa stia facendo.
Invece io lo so cosa voglio fare.
Tutto per colpa del giornale. Mi ero appena leccata il dito per voltare pagina che mi cade l’occhio su un trafiletto che titolava “Il parcheggio sotterraneo di via 1. Maggio: ristrutturazione totale.” Sottotitolo “Infiltrazioni d’acqua e crepe nei piloni.”
Sono passati circa 60 anni dalla costruzione di quel parcheggio. All’epoca ero sposata da 5 anni con Desio da cui avevo avuto tre figli maschi di 10, 8 e 6 anni. Mio marito era ragioniere e io facevo piccoli lavori di sartoria per un negozio di abbigliamento.
La nostra vita scorreva scandita dal programma di mio marito. Sveglia per tutti alle 6. Prima in bagno tutti i maschi in ordine di età a partire da lui e io preparavo la colazione in cucina. Mentre loro consumavano caffè e panini alla marmellata, potevo andare in bagno io, che si sa che le donne ci impiegano un pochino di più. Poi controllava che tutti fossimo a posto con le unghie pulite, il rossetto poco vistoso e le scarpe lucide. Dopodiché tutti fuori casa ognuno con la propria merenda. Io accompagnavo a scuola i figli, poi passavo dal negozio a ritirare gli orli da fare e tornavo a casa. Mattinata alla macchina da cucire fino alle 11.30 , poi pranzo composto di una pasta, una fettina di carne e una verdura. Poi Desio tornava in ufficio, i bambini facevano i compiti e io mi dedicavo alla casa. Per ogni giorno era previsto un preciso compito oltre alle pulizie quotidiane. Alle 18.00 fine dei lavori e alle 19.00 la cena doveva essere in tavola: una minestra con un poco di pane che a letto ci si va leggeri.
Mio marito era anche consapevole di dover riservare del tempo per la coppia, per cui dopo aver messo a letto i bambini, noi due facevamo una passeggiata di mezz’ora prima di coricarci a nostra volta. Quello era il momento in cui potevamo scambiare due parole in pace. In realtà parlava mio marito. Mi ricordava quando dovevo fare la tinta e le prossime visite mediche dei figli, oltre a controllare che durante la giornata avessi rispettato gli orari previsti. Non che fosse proprio manesco, ma diciamo che non amava le eccezioni e me lo sapeva ricordare.
Mi ero innamorata di lui, perché aveva un’aria così solida. Lui sì che sapeva cosa fare in ogni occasione. Sembrava che mai nulla lo potesse cogliere alla sprovvista. Inoltre era un gran lavoratore. Grazie a lui, dopo che il padre era morto per un incidente sul lavoro, i suoi due fratelli minori avevano potuto laurearsi. Certo Desio si aspettava un poco di gratitudine, invece i fratelli appena laureati si erano defilati per dedicarsi alla propria carriera. Questo era uno degli argomenti preferiti di mio marito. In fondo Desio non si aspettava solo un grazie, ma anche la restituzione almeno parziale di ciò che aveva speso per loro. Uno era diventato architetto, l’altro invece aveva aperto uno studio da commercialista. Solo Desio era rimasto al palo, con il suo lavoro da ragioniere che ci permetteva una vita dignitosa, ma nulla più. Certo negli anni era stato promosso. Era diventato capoufficio rispettato e temuto.
I tre fratelli si sentivano in occasione dei compleanni e delle feste comandate. Per vedersi invece ci volevano funerali e matrimoni.
Mio marito soleva ripetere: ”Che importa! Ne ho fatti studiare due, farò studiare anche questi tre!” .
La sera che scomparve, non volle salire in casa con me dopo la passeggiata, ma disse che voleva fare ancora quattro passi. Come d’abitudine, mi preparai e mi coricai, perché ritenevo che solo lui potesse fare eccezioni e che io fossi tenuta a rispettare le nostre abitudini in ogni caso.
Il mattino dopo alle 6, Desio non era al mio fianco nel letto e nemmeno si trovava in cucina o in bagno. Proprio non c’era.
Mi sentivo disorientata. Dopo aver portato i figli a scuola, mi consultai con la padrona del negozio, che mi disse di aspettare almeno ancora un giorno. Gli uomini a volte avevano delle esigenze che noi mogli non potevano comprender e tantomeno soddisfare. Mi consolò dicendomi che per cena, al massimo per il giorno seguente Desio sarebbe tornato. Ma così non fu. Ne denunciai la scomparsa, furono fatte indagini. Sembrava svanito nel nulla senza lasciare alcuna traccia. I suoi fratelli per aiutarmi ogni mese mi versavano una somma che superava ampiamente lo stipendio di Desio. A sette anni dalla scomparsa fu dichiarato morto e finalmente l’azienda per la quale Desio aveva sempre lavorato mi versò ciò che mi spettava. Nel frattempo ero riuscita a mettermi in proprio. Con l’aiuto della padrona del negozio aprii una piccola sartoria con due lavoranti. Ora non avrei più aggiustato orli e stretto gonne, ora creavo anche degli abiti per le mie clienti. Avevo un futuro per me e per i miei figli. Desio non è mai più ricomparso, ma, a parte questo grande dolore, ho goduto di una vita serena e soddisfacente.
Ecco l’ho rifatto di nuovo, ho allungato le gambe della bugia.
Quella sera Desio non è tornato sotto casa con me e non ha nemmeno proseguito per fare quattro passi.
Quella sera Desio voleva vedere i lavori del parcheggio sotterraneo. Avevano finito gli scavi, le fondamenta erano gettate e stavano costruendo i piloni. Guardava interessato l’autobotte che attraverso un tubo riversava il cemento in negli scatoloni a forma di pilone. Mi spiegava che era un modo innovativo di costruire. L’operaio che eseguiva tutta l’operazione assieme a un suo collega ogni tanto rispondeva alle domande di mio marito e annuiva spesso. Finito il lavoro, i due operai ci salutarono. Il loro turno era finito e fino a domani non avrebbero fatto altro. Era necessario che il cemento budinoso si solidificasse per proseguire i lavori. Desio era entusiasta, al punto da salire sul bordo dello scatolotto per spiegarmi meglio tutta la procedura.
È stato uno sgambetto, un banale sgambetto. Desio cadde dritto nel cemento dopo aver sbattuto la testa e forse anche le braccia. Questi piloni erano davvero larghi e profondi. Desio sporgeva ancora con tutto il busto e affondava lentamente. Pensavo di dover cercare qualcosa per spingerlo sotto, invece funzionava come con le sabbie mobili: più ci si agita, più in fretta si affonda. E Desio era davvero molto agitato, mulinava con le braccia e immagino anche con le gambe. Mi promise che mai più avrebbe usato lo straccio bagnato su di me, che ogni domenica ci avrebbe portato in gita e ci avrebbe offerto un gelato. Arrivò addirittura a dirmi che non avrebbe mai più controllato i miei orari.
Ci stava impiegando troppo tempo, e io dovevo tornare a casa dai bambini. Li vicino c’era un tubo collegato a un silo, c’era anche una corda. La tirai e scese altro cemento fresco, tanto quanto bastò a riempirgli la bocca e coprire la testa.
Tutto questo solo nel caso in cui Desio dovesse spuntare dai lavori di ristrutturazione del parcheggio.