Una serata Tipica

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Col primo boccone non accade nulla, ma quando afferro il secondo mi becco la lezioncina, e solo perché ho osato chiamarlo sushi.
«Makizushi. È il termine che identifica il comune sushi arrotolato». Lo spiega puntandomi le bacchette. Poi con grazia ne prende uno e me lo mette di fronte agli occhi.
Si avvia quell'effetto a catena tipico di Lisa, fatto di argomenti a profusione apparentemente legati tra loro da un filo conduttore. In questo caso il tema prescelto è l'Anisakis, e mentre fa la maestra mi disegno sul volto quell'espressione che ha imparato a conoscere e rispettare, e che significa: non te l'ho chiesto.
Si blocca un attimo, nei suoi occhi blu osservo l'insistenza annegarvi poco alla volta. Infine desiste e mangia il... com'è che si chiamava? Makizushi, sì. Un altro termine made in Lisa che posso fare mio. Ti ringrazio, Lisa.
«Non ti sarai mica offesa, vero?»
Ha la bocca piena, mastica e scuote la testa, mi ricorda una scena da cartone animato, ma non so quale.
«Tranquilla, è normale. Non devi sforzarti, è più una questione di liberarsi, ecco». Sembro sempre un po' scemo quando le do consigli. Nell'istante in cui parlo mi domando come avrebbe formulato lei la frase.
Lisa va forte in queste cose: parole, argomenti, conoscenza in generale e via discorrendo.
«No, certo. Hai ragione, devo liberarmi, liberarmi, liberarmi». In realtà ripete per tre volte la parola emanciparmi, ma la traduco automaticamente.
Mi offre il suo sorriso, il solito sorriso strano tutto sbagliato. Un sorriso lezioso, affettato. Sinonimi che mi ha insegnato lei la prima volta che me l'ha mostrato; volevo fare il romantico, approfittare di quel diastema che appariva quando schiudeva le labbra, e dirle che era carino.
“Cioè... Non intendo solo lo spazio tra i denti, cioè, il tuo sorriso, ecco”, avevo detto.
Lei non aveva capito il complimento, più che altro si era fissata sui suoi incisivi centrali superiori, ma in compenso mi ero reso conto della presenza di una nota strana, stonata. Sorriso, sguardo, movimenti, tutto stonato. Tutto made in Lisa.

Il sushi è terminato da un po'. Il ristorante è un continuo tintinnare di bicchieri, di piatti, e di borbottii sommessi.
Lisa non parla, non resiste più. Lo capisco dalle posizioni stereotipate che assume. Ogni movimento è un'azione copiata da qualcuno che ha osservato, dalla scena di un film, o da chissà cos'altro. Si stiracchia e sembra imitare chi lo fa per davvero. Anche lo sguardo è meccanico; i suoi occhi si muovono circospetti, alla ricerca di schemi comportamentali, e sempre pronti a nascondersi dai miei.
«Se ti dà fastidio il rumore possiamo andarcene».
Silenzio.
«Non sarebbe mica un fallimento. Al Solstizio potrai...», mi guarda, in qualche modo sa già cosa sto per dire, «... emanciparti?».
Si alza furibonda ed esce dal ristorante. Pago il conto e la raggiungo. Poi, senza rivolgerci la parola, ci incamminiamo in direzione del Solstizio.

Bravo, l'hai trattata come un'aliena, penso. E mi chiedo anche se lei avrebbe compreso questo pensiero.
Lisa non va forte con queste cose: sarcasmo, ironia, e tutte quelle sfumature che si insinuano dietro le parole, dietro la logica nuda e cruda.
Ho imparato a privarmi del sarcasmo, me lo tengo per me. Mi tengo per me tutte quelle cose che possono dividerci.
Una volta ha detto che per i medici lei è semplicemente una neuroatipica, mentre per il resto del mondo è Sheldon Cooper . Poi mi ha chiesto chi fosse per me, e io le ho risposto che, tutt'al più, è la ragazza di Sheldon Cooper.
Complimenti, coglione, un vero genio!
Ovviamente non l'ha presa per niente bene, ma in compenso ho capito che, da quel momento, le parole avrebbero avuto un peso non indifferente.

«Sei ancora arrabbiata?»
Ha gli occhi puntati sul marciapiede. Non piange, non l'ho mai vista piangere.
«Vuoi davvero andarci? Non ti perdi nulla, anzi, il Solstizio è tra le peggiori discoteche. Gente che si muove strana, musica assordante... ».
Si ferma e sbotta: «Non è necessario che tu dica: “gente che si muove strana”. Comprendo bene che ballano, non sono oligofrenica. E ti rammento che ho fatto una promessa e, in quanto tale, intendo mantenerla».
Quando si arrabbia troppo si irrigidisce. Le braccia sono abbandonate lungo i fianchi, gambe e piedi uniti. È tutta un unico pezzo con la bocca che si agita impazzita. Gli occhi sempre che mi stanno a sondare, sembra che a loro non gliene importi un fico secco del sottoscritto, freddi e distaccati, come se stessero sempre a fare altro. Guardatemi e basta, non chiedo molto.
«Non devi dimostrarmi nulla, a me neanche piacciono quei posti», dico.
Riprende il cammino decisa.
Nessuna parola, sbagliata o meno. Solo il silenzio. Quel tipo di silenzio che si crea tra due persone troppo diverse. Mi dico che sono innamorato di una aliena, e mi sento in colpa. Me la figuro dentro la discoteca, che impazzisce. Adesso cammina come un soldato, ha lo sguardo determinato.
Da quando ha detto che non era mai stata in una discoteca non si è data pace, diceva che avevo fatto una faccia troppo sorpresa, troppo brutta.
Io non sono stato in tantissimi posti, le avevo detto, l'importante è essere se stessi e quelle cavolate lì. Ma lei voleva provare. Forse in quel posto ci vede una scappatoia; tutti i suoi più grandi mali raggruppati in un'unica sala: luci, urla, bassi a tutto spiano, confusione, e ancora luci, e ancora urla, bassi, confusione, tutto insieme, tutto sparato al massimo, un caos impossibile da analizzare e schematizzare.
Forse è questo ciò a cui sta pensando adesso, non lo so, ma questa è la sua serata, e così sarà.

Quando arriviamo alla meta notiamo che sono già tutti dentro. Da fuori, la musica techno è attutita dalle mura del locale e assume i contorni di quello che a me sembra un richiamo diabolico. Sarà per via di Lisa che, una volta all'entrata, infila il suo braccio attorno al mio. Sarà perché questi posti li odio e maledico il giorno in cui ne abbiamo parlato. Oppure ho semplicemente paura, paura di vergognarmi di lei.
«Forza, entriamo», dice Lisa.
Le porte si aprono e tutto ci investe. Il suo braccio diventa una morsa. In faccia è sconvolta; la bocca spalancata, gli occhi sgranati e impietriti. Per un attimo perdo il controllo e inizio a tremare. Non riesco a smettere di fissarla. Davanti a noi un caleidoscopio di luci strobo immortala corpi di fricchettoni impazziti che saltano, urlano, gioiscono, a tempo di musica.
Bum, bum, bum, Lisa osserva tutto questo, e io osservo lei.
Mi lascia il braccio e si porta le mani alle orecchie, dopodiché inizia una nenia che le ho visto fare una sola volta; quando, imbottigliati nel traffico, siamo stati travolti dal rumore dei clacson.
La-la-la-la-la-la-la.
L'impulso di prenderla per le braccia e scuoterla è forte, ma non lo faccio. Vedo solo una bambina che emette lallazioni, e ciò mi fa sorridere.
Poi, come per magia, i suoi occhi incontrano i miei, mi guardano per davvero. Il mio sorriso la calma, e le sue mani scendono.
Le apre e le chiude, come a voler raccogliere tutta quella luce invadente che la colpisce.
Passo dopo passo, i movimenti del corpo vanno a tempo di musica. Chiude gli occhi e, infine, si scatena. Con le mani inizia a graffiare l'aria, scoppio a ridere perché mi fa pensare a una sorta di marionetta.
Allora decido di buttarmi, ballo anch'io.
Intere ore ci passano davanti scandite dai bassi. Rimaniamo soli, nel nostro pianeta, senza alcun bisogno di comprenderci, liberi dagli schemi, dalle regole e, soprattutto, dalle persone attorno a noi. Tiene fisso lo sguardo su di me e capisco che non è cambiato niente, che sta ancora fingendo, e tutto questo lo fa per noi. Solo adesso mi è chiaro cos'è che guardano quegli occhi: un alieno.
«Certo che sei bravo a ballare», mi sussurra all'orecchio.
«Grazie».
«Era sarcasmo», aggiunge, con una strana intonazione, e sempre con quella risata sbagliata, tutta sua: made in Lisa.

Re: Una serata Tipica

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Ciao @Dougie (Rhomer?), non ricordo se sul WD ho letto qualcosa di tuo, ma voglio rompere il ghiaccio qui e... spero di farti un commento utile.

Inizio a provare i "quote" per vedere come si commenta qui. Giusto un paio di appunti perché non ho trovato molto da dirti sulla forma o sui refusi.
Dougie ha scritto:Il sushi è terminato da un po'. Il ristorante è un continuo tintinnare di bicchieri, di piatti, e di borbottii sommessi.
Credo che ci siano un po' troppi "di", li avrei proprio tolti.
Una volta ha detto che (virgola) per i medici (virgola) lei è semplicemente una neuroatipica, mentre per il resto del mondo è Sheldon Cooper .
Avrei messo un paio di virgole.
Poi mi ha chiesto chi fosse per me, e io le ho risposto che, tutt'al più, è la ragazza di Sheldon Cooper.
Fino alla settima-ottava serie sono molto simili... poi lei diventa un po' più naturale. :P

Bene, cerco di lasciarti un parere generale - non commento da molto, ci credi che in questo momento mi sto dicendo «e ora cosa scrivo?». D'altra parte sono un po' alieno anch'io ogni tanto...
Tornando al racconto, posso dirti che in prima lettura l'ho letto d'un fiato. Mi ha conquistato questo contrasto tra "lui" - un po' il punto di vista della normalità - e Lisa, una ragazza che viene considerata strana ed... è anche lei a farlo notare e a ironizzarci su. Dal comportamento in realtà più che al generico "neuroatipico" ho pensato in modo direttico all'Asperger: le puntualizzazioni, la paura della folla, la gestualità e la riflessione continua sui dettagli che non le sconfinferano (tipo all'inizio). Tutti aspetti perfettamente integrati nel racconto e che rendono l'idea del contrasto tra i due e del sentimento che muove il protagonista maschile.
Una cosa potrei dire di non aver apprezzato, questa ripetizione - non solo tra le righe :P - del sentimento di lui nei confronti della ragazza. Visto che il lettore lo ha capito fin da subito, non ripeterei troppe volte che è innamorato o che cerca attenzione o che la asseconda (per via del sentimento).

In generale credo che si tratti di un buon racconto anche se, per me, è incompleto. Nel senso che lo vedo bene come parte di qualcosa di più ampio, sembra che manchi qualcosa; da lettore mi sono chiesto «e ora?», sperando magari che sbocciasse qualcosa di concreto tra i due.
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Re: Una serata Tipica

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Ciao, @bwv582 , grazie per il feedback. Tornare sui vecchi racconti è sempre utile, soprattutto perché si riesce a essere più lucidi e si notano elementi che inizialmente possono sfuggire. Nello specifico mi riferisco alla tua percezione di incompiuto. Quando scrissi questo racconto non avevo la più pallida idea di cosa scrivere riguardo al genere sentimentale (per via di un contest), e mi affascinò la possibilità di descrivere un rapporto apparentemente semplice ma di fatto minato dalle differenze che possono insorgere tra neuroatipici e neurotipici (ne approfitto pure per fare un po' di chiarezza in tal senso: sì, volevo far intendere al lettore la sindrome di Asperger, che comunque rientra nella sfera neuroatipica, ma non volevo specificarlo).
Comunque, tornando sulla questione, rileggendo il racconto mi trovo d'accordo con te. Cioè, potrei spezzare una lancia a mio favore dicendo che i limiti dei caratteri erano quelli e bla bla bla, ma la verità è che volevo a tutti i costi creare un finale che invertisse i ruoli, giocandoci un po', sulla questione "alieno/a", facendo intendere che i punti di vista sono due e che ognuno, indipendentemente da tutto, può essere un alieno per qualcun altro. Ecco, forse per dar spazio a questo elemento ho creato una specie di buco, non saprei, una sorta di non-finale.

Va beh, mi ha fatto piacere il tuo commento, se un giorno dovessi riprendere in mano questa storia (ne dubito visto che non è il mio genere e poi tendo a provare una forte idiosincrasia nei riguardi dei lavori passati) terrò conto della tua osservazione. Un saluto.

Re: Una serata Tipica

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Infatti Dougie, anch'io sono rimasta molto sorpresa da questo racconto atipico rispetto al tuo solito genere.
Ero passata per fare un commento per poter partecipare al MI e: sorpresa! mi trovo un spaccato di storia d'amore.
I personaggi sono ben delineati e anche i dialoghi mi sono molto piaciuti. Ho faticato un poco a comprendere la neuroatipicità di cui trattavi, forse perché non ho nemmeno mai visto la serie a cui ti riferisci. Questo potrebbe essere un neo per questo racconto, perché lo rende un racconto per insider.
Ma parte questo piccolo dettaglio, si coglie perfettamente il senso di inadeguatezza sociale della ragazza.
Trovo che il racconto sia ben costruito e inviti il lettore a proseguire fino alla fine. Non ci sono momenti di "stanca" per intenderci.
Il ragazzo fa bene a ripetere e precisare di essere innamorato, perché non deve essere per niente facile rinunciare a diversi aspetti di sé per entrare in contatto con una persona dalle percezioni tanto diverso.
Ho apprezzato anche molto come hai fatto trasparire il coraggio della ragazza, che decide per amore di affrontare una situazione per lei potenzialmente disastrosa, e di come riesca alla fine anche a fare una battuta, pur di essere conforme a ciò che vede negli altri, senza peraltro coglierlo davvero.
L'ho letto con molto piacere e curiosità e mi ha soddisfatto, che é la cosa più importante che un racconto debba fare.

Re: Una serata Tipica

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Ciao, @Almissima e grazie per il commento. Ti garantisco che anch'io rimango sorpreso al pensiero di essere riuscito a buttare giù quattro righe a tema senza andare nel panico. Molto probabilmente è stata fortuna, dubito che riuscirei a scrivere un altro racconto appartenente a questo genere senza risultare banale, o stucchevole.
Riguardo invece al neo che hai evidenziato, posso garantirti che non sei stata la sola a farlo; all'epoca un paio di utenti avevano sollevato il problema se ben ricordo. Quello che posso dirti è che nelle mie intenzioni non c'era di certo quella di mettere da parte nessuno, infatti la citazione riguardo al personaggio della serie tv (The big bang theory) è, appunto, una citazione, nulla di più. Però posso capire che possa facilmente sfuggire la sindrome specifica che volevo far intuire al lettore in quanto non ho voluto esplicitarla in modo netto. Sicuramente avrei potuto essere più chiaro e risparmiarmi questa rogna, prendo nota.
Comunque, sono contento che, nonostante ciò, tu abbia apprezzato il racconto. Alla prossima. ( :

Re: Una serata Tipica

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Ciao @Dougie
"mi tengo per me tutte quelle cose che possono dividerci" è una frase amara, di quelle che pensiamo ogni giorno, ma non abbiamo il coraggio di dire ad alta voce.
Sai, ho riletto il tuo racconto e non c'ho visto una storia d'amore tra due fidanzati, ma la storia di un amico, di un fratello, di qualcuno che cerca di comprendere e voler bene a una persona neuroatipica, che prova tenerezza per lei e le sue stranezze.
Mi piace anche il finale, quando lui si accorge che anche quella normalità di Lisa è solo apparenza.

È vero, è incompleto, ma puoi sempre lavorarci su :)

Re: Una serata Tipica

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Ciao, @Kiarka . Grazie per aver letto e commentato. Di storie d'amore ne capisco poco, dunque mi va bene anche la sensazione di un rapporto fraterno o di amicizia. Ciò che importa è invece il senso della storia. Alla fine, come detto in precedenza, volevo un po' ribaltare la situazione e far passare il messaggio che, neurotipici o meno, siamo tutti sulla stessa barca. Un messaggio semplice ma che mi ha aiutato a scrivere un racconto di questo genere (a me poco congeniale). Infatti mi fa piacere che tu abbia apprezzato il finale. Alla prossima. ( : 

Re: Una serata Tipica

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Ciao @Dougie e complimenti per questa storia. Mi è piaciuta moltissimo. 
È una storia in cui gli occhi e lo sguardo sono il punto forte.
Dougie ha scritto: Poi con grazia ne prende uno e me lo mette di fronte agli occhi.
Metterei con grazia tra due virgole. Poi, con grazia, né prende uno. Compaiono gli occhi 👀 
Dougie ha scritto: nei suoi occhi blu osservo l'insistenza annegarvi poco alla volta. In
ancora una frase visiva. La costruzione mi pare un filino impervia. Ho dovuto rileggere più volte 
Dougie ha scritto: Anche lo sguardo è meccanico; i suoi occhi si muovono circospetti, alla ricerca di schemi comportamentali, e sempre pronti a nascondersi dai miei.
inquietanti e molto belli questi occhi...
Dougie ha scritto: Ha gli occhi puntati sul marciapiede. Non piange, non l'ho mai vista piangere.
Frase che rende perfettamente sia l’immagine che lo stato d’animo di Lisa.
Dougie ha scritto: Gli occhi sempre che mi stanno a sondare, sembra che a loro non gliene importi un fico secco del sottoscritto, freddi e distaccati, come se stessero sempre a fare altro. Guardatemi e basta, non chiedo molto.
Lisa è i suoi occhi
Dougie ha scritto: ha lo sguardo determinato.
ancora...
Dougie ha scritto: Oppure ho semplicemente paura, paura di vergognarmi di lei.
Questa frase è davvero potente. Aver paura di vergognarsi di lei... È davvero una immagine forte. Complimenti 👍
Dougie ha scritto: gli occhi sgranati e impietriti.
Dougie ha scritto: Poi, come per magia, i suoi occhi incontrano i miei, mi guardano per davvero. Il
Dougie ha scritto: Tiene fisso lo sguardo su di me e
Dougie ha scritto: Solo adesso mi è chiaro cos'è che guardano quegli occhi: un alieno
Lisa è una ragazza strana, non c’è dubbio, ma anche il tuo innominato protagonista non è da meno. 

Ossessionato dallo sguardo di lei, impaurito dal farsi vedere in pubblico con una persona che potrebbe recargli imbarazzo, alla ricerca di sensazioni “normali” e che, tuttavia, risultano anomale per questa strana coppia.
Una storia distopica, un amore non amore. Avrei cambiato il titolo, qualcosa che ricordi lo sguardo o l’ossessione. 
Bella la tensione narrativa che aggancia il lettore anche se, alla fine, lo lascia con un po’ di amaro in bocca.
Ma forse è un effetto voluto.

A rileggerti!👀👀
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