Quel giorno che persi il mio corpo

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Racconto scritto per il mezzogiorno d'inchiostro di ottobre 2020. Testo qui


Se Irving è riuscito a scrivere un romanzo su un cavaliere senza testa, allora io posso raccontarvi di quella volta che ho perduto il resto del mio corpo.
Un mattina mi accorsi che ciò che avevo dal collo in giù era sparito: di me era rimasta solo la testa. Qualche avvisaglia l’avevo avuta, da mesi gli arti erano evanescenti e il mio torso era trasparente: rimirandomi allo specchio riuscivo a vedere i polmoni espandersi e il cuore pompare sangue nel groviglio delle vene.
Così quando, appena sveglia, mi accorsi che il mio corpo era invisibile non ne feci un dramma, in quel periodo poi avevo già troppi pensieri e non avevo tempo per badare a un corpo che voleva fare ciò che gli pareva. Mi alzai dal letto e come ogni giorno mi preparai per andare a lavoro. Infilai guanti e scarponi, giacca invernale e cappello, e mi addentrai nella nebbia che attanagliava la città. Percorsi una via del Corso deserta, non c’era neanche traffico, ma bastavano i miei pensieri ad affollarla.
“Sei in ritardo di nuovo” pensai
“Lo so” risposi
Mamma ha perso il lavoro, non puoi farti licenziare”
“Lo so”
“Papà se ne è anche andato dieci anni fa”
“Me lo ricordo bene”
“Poi il riscaldamento globale ci ucciderà tutti”
“E questo che c’entra?”
“Dovresti mangiare meno carne, stai mangiando meno carne? Non mi sembra”
“Gli hamburger vegani sanno di cibo per gatti
“Mamma mia che egoismo, il pianeta va a rotoli e tu ti preoccupi del palato, brava, aveva ragione quel tuo ex che diceva che pensavi solo a te stessa”
Mi infilai in ufficio e appena entrata timbrai il cartellino. Saverio mi passò accanto per caso, come faceva tutte le mattine da quando aveva una cotta per me. Lo guardai mentre per sorridermi non si accorgeva di una scrivania, centrandola in pieno e mandando all’aria un cumulo di pratiche.
«Scusatemi!» esclamò ad alta voce, tra l’ilarità generale. Aveva sempre la testa tra le nuvole, cosa che gli era valsa la nomea dello scemo.
Saverio l’altro giorno ti ha chiesto di uscire, perché non accetti?” suggerì il mio cervello.
“Perché non si distingue per intelligenza” risposi.
“Ok ma ha un posto fisso, tu hai trentadue anni e sei a progetto”
Sai che sorpresa se finiamo a letto e scopre che sono solo una testa mozzata?” ridacchiai.
Mi sedetti alla scrivania e iniziai a sbrigare delle pratiche, ma la mia mente continuò a borbottare per tutte le otto ore successive.
“Magari gli piace il cervello di una donna. E poi di recente avevi troppe smagliature quindi è meglio che il tuo corpo sia sparito. Pensaci bene. Fai un pro e contro: Saverio è single, tu pure, anzi sei sola come un cane. Lui è il figlio del direttore ed è di famiglia ricca, tu no. Sembra un bravo ragazzo anche”
Ok, ok! Basta che stai zitto!”

Lo vidi passare casualmente nel corridio.
«Saverio!» lo chiamai, e si voltò pronto e sorridente.
«Dimmi»
«Sai che forse potremmo tornare a casa insieme, ti va?»
«Certo!» rispose entusiasta, e rimase a fissarmi in silenzio.
«Alle cinque» annuii dopo qualche minuto, facendoli gesto di andar via.
«Oh, certo certo, alle cinque» inciampò contro la stampante, trattenendo un grido di dolore. Alzai gli occhi al cielo.
Alle fine del turno mi infilai sciarpa e cappello e attesi vicino all’ascensore.
«Aspetta!» sentii gridare in lontananza, e quando mi voltai mi prese un colpo: il corpo mozzato di Saverio in giacca e cravatta era alle mie spalle e aspettava calmo col badge in mano, ma senza la testa.
«Saverio...dove è la tua....?»
«Mi ha lasciato qui!» sentii ribadire da una scrivania in fondo al corridio, e subito quel corpo mozzato ebbe un sussulto, e tornò indietro a recuperarla.
«Scusami» mi disse, al ritorno «Sono capace di perderla con una facilità incredibile»
«Ho notato»
Camminammo per la via alberata, era autunno inoltrato e l’asfalto era una distesa di foglie umidicce e rossastre. Stavo in silenzio con gli occhi fissi sulle mie scarpe, mentre Saverio si guardava attorno. Passammo accanto al fiumiciattolo che costeggiava il parco cittadino, scorreva silenzioso, quieto, il rumore era ogni tanto intervallato dai passi di qualche jogger.
«Che bel rosso intenso che hanno questi alberi, non trovi?» mi disse con quel suo tono da bambino.
«Beh, è autunno»
«Tu non ti stupisci mai di niente?»
«Non molto» sbuffai.
«Dovresti»
«Devo tante cose…»
«La chiave per essere felici è guardare il cielo e stupirsene»
Mi snervai. «Saverio, ok, lo ripetono come un mantra che bisogna pensare meno per essere felici, ma non è così semplice se si hanno tanti casini a cui badare»
Mi fermai a guardarlo negli occhi, con sfida. «Non tutti sono nati nella bambagia, sai?»
Lui mi osservò in silenzio senza mostrarsi sorpreso o contrariato, sembrava mi stesse analizzando.
Distolsi lo sguardo, colpevole.
«Ora possiamo per favor» Non feci in tempo a finire la frase. Saverio mi spinse tra le foglie e io caddi di schiena nella terra umida.
«Ma sei impazzito?!» urlai.
Mi guardai i guanti e il giaccone macchiati di melma, feci per rimettere a posto la maglietta bianca che si era sollevata, quando notai il torace sporco di fango: per la prima volta dopo tanto tempo rividi la linea dei miei fianchi.
«Ho pensato ne avessi bisogno, sai?» mi disse, mentre se la rideva come un bambino che aveva fatto un dispetto.
«Ma rifletti sulle cose?»
Però non avevo mai pensato di colorarmi il corpo. Alzai la maglietta, presi della fanghiglia e me la spalmai verso l’ombelico, poi tolsi i guanti, concentrata...che bello riavere il proprio corpo, per un momento mi ero dimenticata quanto fosse fantastico tastare. Avevo udito, olfatto, gusto e vista, eppure mi era mancato così tanto quel quinto senso: il tatto.
Mi alzai ancora un po’ dolorante e lo guardai.
«Guardati come sei sporca!» ripeteva.
Risi, poi mi bloccai e gli lanciai un’occhiata maliziosa. Iniziai a spogliarmi davanti a lui. Mi tolsi lentamente i jeans, la sciarpa, il cappello, il giaccone e la maglietta, restando solo con reggiseno e mutande bianche di cotone. Ridendo presi la rincorsa e lo spinsi tra la melma gelata, e capitolammo entrambi nel fango. Il tonfo gli fece saltare di netto la testa.
«Oh Dio! mi dispiace!» esclamai, afferrandola al volo.
«Tranquilla! mi capita spesso» rispose il capo monco tra le mie braccia. Il corpo intanto si alzò e cominciò a cercare la testa irrequieto, dopo essersi scrollato le foglie di dosso.
Ridemmo. Vidi il mio corpo riacquistare il colore rosa pallido di sempre. Forse mi ci voleva solo una bella risata e smetterla di vivere solo con la testa. Rimanemmo supini l’uno accanto all’altra a guardare il cielo d’autunno e le foglie, macchiandoci di fango come due bambini che giocano, fino a quando qualcuno chiamò la polizia e dovemmo scappare a gambe levate.
Quella notte rimase a dormire da me e da allora non se ne è più andato via.
Ogni tanto la testa la perdiamo ancora, insieme, e la lasciamo sul cuscino, ma non ci pesa: pensiamo entrambi sia meglio così.

Re: Quel giorno che persi il mio corpo

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«Dovresti»
«Devo tante cose…»

eh, quant'è vero!

Mi era piaciuto allora e mi ripiace adesso che lo rileggo per poter comprendere il lavoro di @Sunday Times per caronte (è un nuovo utente, vero, non siete la stessa persona, mi pare di capire?)
bello franco, dritto, ben scritto, schietto. Il riscoprire l'importanza del corpo... per noi che scriviamo, sempre tanto mentali, quanto è importante! Ben fatto @Kiarka
Scrittore maledetto due volte

Re: Quel giorno che persi il mio corpo

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Edu ha scritto: dom gen 31, 2021 12:59 am «Dovresti»
«Devo tante cose…»

eh, quant'è vero!

Mi era piaciuto allora e mi ripiace adesso che lo rileggo per poter comprendere il lavoro di @Sunday Times per caronte (è un nuovo utente, vero, non siete la stessa persona, mi pare di capire?)
bello franco, dritto, ben scritto, schietto. Il riscoprire l'importanza del corpo... per noi che scriviamo, sempre tanto mentali, quanto è importante! Ben fatto @Kiarka
Ciao Edu,
sono un utente seminuovo. Vengo dal WD ma ancora non avevo scritto niente. Mi è piaciuto questo racconto di Kiarka, così ben articolato, con la storia ben espressa in un ritmo che tiene. Quindi l'ho rivista con la mia immaginazione, cambiando il punto di vista e le tappe, ma lasciando il finale puntato sulla leggerezza. Ci possono essere diversi modi di perdere il corpo, perderlo nella sua consistenza, o perderlo davvero come nel mio racconto, per poi ritrovarlo con una diversa consapevolezza.

Re: Quel giorno che persi il mio corpo

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Ciao Kiarka,

Questo racconto mi è piaciuto di più rispetto a quello dell'eyeliner.
Alcuni suggerimenti per rendere più fluido il testo: occhio sempre alle rime interne in una stessa frase (voleva - pareva), alle allitterazioni (Percorsi via del Corso), alla punteggiatura mancante quando chiudi i caporali (scegli tu se mettere il punto all'interno o all'esterno dei caporali).
Potresti rendere la frase "Così quando,appena svegliata,..." più fluida togliendo "così".

Spero di esserti stato utile!
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