[MI145] 29 ottobre 1962
Posted: Sun Feb 21, 2021 11:32 pm
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Traccia di mezzogiorno Il Labirinto
Turi è in piedi al centro di una grande sala. La luce potente di un riflettore gli ferisce gli occhi e lo costringe di tanto in tanto ad abbassare lo sguardo. Tiene la coppola in mano e cerca con fatica di mettere a fuoco la figura in controluce di cui percepisce solo il contorno.
“Osso, Mastrosso e Calcagnosso: i tre cavalieri spagnoli. Li hai mai sentiti nominare?”
La voce roca prodotta da quella sagoma gli ha fatto una domanda, ma lui non sa cosa rispondere
Un’altra voce sembra venire in suo soccorso da un luogo imprecisato di quella stessa stanza.
“Che c’entra? Il picciotto qui presente ha fatto il suo dovere.”
Stanno parlando di lui. Non gli piace che lo chiamino picciotto.
“Così pensi che basti questo per poterci fidare?”
“Luciano così disse.”
A Luciano, Turi deve un sacco di soldi, ma lui gli ha sempre detto di non preoccuparsi, che avrebbe trovato il modo di far sì che si potesse sdebitare.
Turi fa il meccanico all’aeroporto di Catania. L’altro ieri due aerei privati si preparavano per il decollo: due Morane Saulnier identici che aspettavano una persona importante. Luciano gli aveva dato un pacco e gli aveva detto di incastrarlo nel meccanismo del carrello di uno dei due aerei. Solo uno dei due, e gli aveva mostrato quale. Gli aveva anche mostrato come fare perché non si notasse.
Aveva detto che sarebbero partiti per Milano e che a Linate qualcuno avrebbe ritirato il pacco, Lui non doveva preoccuparsi che quello era un lavoro pulito pulito, e che gli amici sarebbero stati riconoscenti.
Turi non si poteva rifiutare.
Al tavolo di poker nel locale di Luciano si era lasciato andare e se non fosse stato per lui ora i suoi figli sarebbero in mezzo a una strada. Quando si era messo a giocare con quelle tre brutte facce gli aveva dato una scoppola sulla nuca. “Tu sei proprio uno scimunito a metterti con questi” gli aveva detto. Aveva guardato appena gli altri giocatori; aveva detto loro che era a posto così, dopo di che i tre se l’erano squagliata in fretta. “Non ti preoccupare per loro,” gli aveva detto, “ma ora, tu a me devi qualcosa.”
Turi è fermo davanti a quella luce fastidiosa, tormenta con l’unghia dell’indice la visiera della coppola. Sa di essere di fronte al giudizio e maledice sé stesso. Sa di aver varcato una soglia, e che da quel momento il suo percorso sarà segnato. Dal momento in cui ha accettato la protezione di Luciano è entrato in un labirinto e qualsiasi percorso avesse preso lo avrebbe condotto comunque al medesimo punto.
La voce roca si rivolge ancora a lui.
“Sai cosa vuol dire far parte dell’onorata famiglia?”
Turi non può far altro che assentire.
“Sai che significa la Punciuta? Hai imparato il giuramento?”
Luciano glielo aveva detto: “Ora non puoi più tirarti indietro. Questa sarà la tua nuova famiglia.”
Turi non pensava. Turi non voleva. Certo, aveva capito chi era Luciano ma certe cose non sarebbero mai dovute succedere. E poi invece erano successe.
“Che c’è? T’hanno tagliato la lingua?”
Turi prende un respiro per cercare di rispondere, ma sente la gola chiudersi e riesce solo a tossire.
L’altra voce si fa presente.
“Il picciotto se la sta facendo nei calzoni.”
“E noi dovremmo dar retta a quel gran cornuto di Luciano?”
“Non dire così. Dopo il servizio che ci ha fatto non possiamo non dagli una bella ricompensa.”
“E bravo Turi” gli aveva detto Luciano mentre sfogliava il Giornale di Sicilia. C’era la foto in prima pagina dei resti di quel Morane Saulnier precipitato in un paesino del nord dal nome buffo: Bascapé. “Vedi, hai fatto contenti gli americani.” gli aveva detto.
Turi era diventato bianco in volto; aveva cercato di balbettare qualcosa, ma l’altro lo aveva subito preso per il braccio. Una presa salda e inequivocabile. Magicamente nel locale di Luciano erano di nuovo spuntati quelle tre brutte facce, quei tre giocatori di poker, ma era chiaro che ora la partita sarebbe stata diversa.
“Luciano lo ha mandato a fare un lavoro da uomini, ma non sappiamo se è un uomo veramente. A vederlo così mi sembra un cacasotto.”
“Non tutti sono capaci di tenere in mano la lupara, ma per il servizio che ci ha reso, il signor Turi qui presente si merita il nostro rispetto.”
“Mi sembra giusto.” dice la voce roca.
Turi sbircia di lato per cercare di orientarsi in quella stanza. C’è una porta sulla destra. Probabilmente ce n’è un’altra dietro, ma non vuole girarsi per non dare l’idea di mancare di rispetto.
La voce amichevole parla in tono conciliante: “Forse il signor Turi vorrebbe poter scegliere. Ho l’impressione che Luciano lo abbia trattato un po’ troppo duramente.”
“E va bene,” dice la voce roca, “del resto che se ne può fare la famiglia di un cacasotto? Ma hai ragione, facciamolo scegliere.” Poi rivolgendosi a Turi: “ Se prendi la porta a destra te ne torni a casa e nessuno ti verrà più a cercare, se no fai un passo avanti con la mano distesa per offrirti alla famiglia. Decidi liberamente.”
Turi pensa in fretta. Nessuno lo lascerebbe andare via così dopo quello che ha fatto. Tutti i giornali parlano di un incidente, solo lui sa la verità. Lui e le persone che gli stanno davanti. Senza Cosa Nostra la sua vita non varrebbe più nulla. Prende coraggio. Mostra il palmo della mano e fa un passo avanti.
Dall’ombra dietro il faro vede qualcuno muoversi. Appena entra nel fascio di luce vede Luciano che gli sorride.
“E bravo Turi. Hai fatto la scelta giusta.”
Prende uno spillo che aveva appuntato sul bavero della giacca e gli punge il dito. Prende un santino dalla tasca e lo imbratta con il suo sangue. Prende l’accendino e dà fuoco al santino. Sarebbe il momento di pronunciare il giuramento, ma Luciano gli fa segno di tacere.
“Non ce n’è bisogno.” gli dice “Sarai ricordato come un uomo d’onore.”
L’espressione sul viso di Luciano è delle più solenni mentre Turi sente che qualcuno da dietro gli ha girato un laccio attorno al collo e ora sta stringendo sempre più forte.
Mentre sente cedere le gambe riesce ancora a sentire la voce roca.
“Mi dispiace picciotto, ma da qui c’è una sola via d’uscita”.
Traccia di mezzogiorno Il Labirinto
Turi è in piedi al centro di una grande sala. La luce potente di un riflettore gli ferisce gli occhi e lo costringe di tanto in tanto ad abbassare lo sguardo. Tiene la coppola in mano e cerca con fatica di mettere a fuoco la figura in controluce di cui percepisce solo il contorno.
“Osso, Mastrosso e Calcagnosso: i tre cavalieri spagnoli. Li hai mai sentiti nominare?”
La voce roca prodotta da quella sagoma gli ha fatto una domanda, ma lui non sa cosa rispondere
Un’altra voce sembra venire in suo soccorso da un luogo imprecisato di quella stessa stanza.
“Che c’entra? Il picciotto qui presente ha fatto il suo dovere.”
Stanno parlando di lui. Non gli piace che lo chiamino picciotto.
“Così pensi che basti questo per poterci fidare?”
“Luciano così disse.”
A Luciano, Turi deve un sacco di soldi, ma lui gli ha sempre detto di non preoccuparsi, che avrebbe trovato il modo di far sì che si potesse sdebitare.
Turi fa il meccanico all’aeroporto di Catania. L’altro ieri due aerei privati si preparavano per il decollo: due Morane Saulnier identici che aspettavano una persona importante. Luciano gli aveva dato un pacco e gli aveva detto di incastrarlo nel meccanismo del carrello di uno dei due aerei. Solo uno dei due, e gli aveva mostrato quale. Gli aveva anche mostrato come fare perché non si notasse.
Aveva detto che sarebbero partiti per Milano e che a Linate qualcuno avrebbe ritirato il pacco, Lui non doveva preoccuparsi che quello era un lavoro pulito pulito, e che gli amici sarebbero stati riconoscenti.
Turi non si poteva rifiutare.
Al tavolo di poker nel locale di Luciano si era lasciato andare e se non fosse stato per lui ora i suoi figli sarebbero in mezzo a una strada. Quando si era messo a giocare con quelle tre brutte facce gli aveva dato una scoppola sulla nuca. “Tu sei proprio uno scimunito a metterti con questi” gli aveva detto. Aveva guardato appena gli altri giocatori; aveva detto loro che era a posto così, dopo di che i tre se l’erano squagliata in fretta. “Non ti preoccupare per loro,” gli aveva detto, “ma ora, tu a me devi qualcosa.”
Turi è fermo davanti a quella luce fastidiosa, tormenta con l’unghia dell’indice la visiera della coppola. Sa di essere di fronte al giudizio e maledice sé stesso. Sa di aver varcato una soglia, e che da quel momento il suo percorso sarà segnato. Dal momento in cui ha accettato la protezione di Luciano è entrato in un labirinto e qualsiasi percorso avesse preso lo avrebbe condotto comunque al medesimo punto.
La voce roca si rivolge ancora a lui.
“Sai cosa vuol dire far parte dell’onorata famiglia?”
Turi non può far altro che assentire.
“Sai che significa la Punciuta? Hai imparato il giuramento?”
Luciano glielo aveva detto: “Ora non puoi più tirarti indietro. Questa sarà la tua nuova famiglia.”
Turi non pensava. Turi non voleva. Certo, aveva capito chi era Luciano ma certe cose non sarebbero mai dovute succedere. E poi invece erano successe.
“Che c’è? T’hanno tagliato la lingua?”
Turi prende un respiro per cercare di rispondere, ma sente la gola chiudersi e riesce solo a tossire.
L’altra voce si fa presente.
“Il picciotto se la sta facendo nei calzoni.”
“E noi dovremmo dar retta a quel gran cornuto di Luciano?”
“Non dire così. Dopo il servizio che ci ha fatto non possiamo non dagli una bella ricompensa.”
“E bravo Turi” gli aveva detto Luciano mentre sfogliava il Giornale di Sicilia. C’era la foto in prima pagina dei resti di quel Morane Saulnier precipitato in un paesino del nord dal nome buffo: Bascapé. “Vedi, hai fatto contenti gli americani.” gli aveva detto.
Turi era diventato bianco in volto; aveva cercato di balbettare qualcosa, ma l’altro lo aveva subito preso per il braccio. Una presa salda e inequivocabile. Magicamente nel locale di Luciano erano di nuovo spuntati quelle tre brutte facce, quei tre giocatori di poker, ma era chiaro che ora la partita sarebbe stata diversa.
“Luciano lo ha mandato a fare un lavoro da uomini, ma non sappiamo se è un uomo veramente. A vederlo così mi sembra un cacasotto.”
“Non tutti sono capaci di tenere in mano la lupara, ma per il servizio che ci ha reso, il signor Turi qui presente si merita il nostro rispetto.”
“Mi sembra giusto.” dice la voce roca.
Turi sbircia di lato per cercare di orientarsi in quella stanza. C’è una porta sulla destra. Probabilmente ce n’è un’altra dietro, ma non vuole girarsi per non dare l’idea di mancare di rispetto.
La voce amichevole parla in tono conciliante: “Forse il signor Turi vorrebbe poter scegliere. Ho l’impressione che Luciano lo abbia trattato un po’ troppo duramente.”
“E va bene,” dice la voce roca, “del resto che se ne può fare la famiglia di un cacasotto? Ma hai ragione, facciamolo scegliere.” Poi rivolgendosi a Turi: “ Se prendi la porta a destra te ne torni a casa e nessuno ti verrà più a cercare, se no fai un passo avanti con la mano distesa per offrirti alla famiglia. Decidi liberamente.”
Turi pensa in fretta. Nessuno lo lascerebbe andare via così dopo quello che ha fatto. Tutti i giornali parlano di un incidente, solo lui sa la verità. Lui e le persone che gli stanno davanti. Senza Cosa Nostra la sua vita non varrebbe più nulla. Prende coraggio. Mostra il palmo della mano e fa un passo avanti.
Dall’ombra dietro il faro vede qualcuno muoversi. Appena entra nel fascio di luce vede Luciano che gli sorride.
“E bravo Turi. Hai fatto la scelta giusta.”
Prende uno spillo che aveva appuntato sul bavero della giacca e gli punge il dito. Prende un santino dalla tasca e lo imbratta con il suo sangue. Prende l’accendino e dà fuoco al santino. Sarebbe il momento di pronunciare il giuramento, ma Luciano gli fa segno di tacere.
“Non ce n’è bisogno.” gli dice “Sarai ricordato come un uomo d’onore.”
L’espressione sul viso di Luciano è delle più solenni mentre Turi sente che qualcuno da dietro gli ha girato un laccio attorno al collo e ora sta stringendo sempre più forte.
Mentre sente cedere le gambe riesce ancora a sentire la voce roca.
“Mi dispiace picciotto, ma da qui c’è una sola via d’uscita”.