[MI145] La vera storia di Adolfo Ladring
Posted: Sun Feb 21, 2021 8:49 pm
Traccia di mezzanotte: una volta per uno non fa male a nessuno.
Commento: viewtopic.php?p=9118#p9118
La vera storia di Adolfo Ladring, il Rapinatore Inafferrabile, me l'ha raccontata proprio lui quando mi è capitato di incontrarlo per caso in banca.
Ho detto “per caso”, ma dovete sapere che in questa vicenda le banche c'entrano, e come. Sto parlando delle due che fanno il bello e cattivo tempo in questa meravigliosa valle alpina, un tempo dedita solo alla fame e al contrabbando, e ora prospera e frequentata dai turisti.
Ma comincerò dall'inizio, da quando venni ricevuto dal rag. Eleuterio Paganoni, funzionario di una di esse, al quale chiedevo un mutuo per acquistare un appartamento per la mia pensione.
Sulla sua scrivania, in bella mostra, c'era uno di quei patetici oggetti di ceramica che si vendono nei bazar di paese, nei mercatini e nelle stazioni ferroviarie.
C'era scritto:
Muore la pecora, muore l'agnello
muoiono il bue e l'asinello
muore la gente piena di guai
ma i rompicoglioni non muoiono mai
«Bello, vero? Me l'ha regalato il mio capo!» mi disse orgogliosamente.
Così fui certo che, anche se l’interessato sembrava proprio non averlo capito, era lui il destinatario del messaggio.
«Un pensiero affettuoso e un oggettino veramente di classe!» dissi in tono suadente «Grazie tante, ragioniere, per avermi ricevuto con così poco anticipo.»
«Ma si figuri!» mi rispose «Qui non siamo a Milano e il nostro approccio con i potenziali clienti è molto più familiare.»
Per la cronaca, il mutuo non mi fu concesso. Per cui, se l’approccio con i potenziali clienti in Valle poteva essere definito più familiare, il risultato fu identico a quello che avrei ottenuto nella metropoli.
In quel momento notai, seduto in un angolo della stanza, un settantenne magrissimo, ma ancora fiero e volitivo, con un vestito di foggia antiquata che gli ballava addosso. A tal punto che, quando si alzò per andarsene, la giacca si aprì scoprendo una fondina ascellare pur priva di pistola.
In quel momento squillò il telefono e il rag. Paganoni si profuse in scuse dicendo che mi avrebbe lasciato per qualche minuto per un’emergenza. Quando uscì, però, l'altra persona non se ne andò, ma si rimise a sedere. Così mi accomodai anch'io.
«Forse mi riconosce perché non sono nuovo alle cronache» mi disse con una voce resa roca da milioni di sigarette «cronache nere, intendo, ma di parecchio tempo fa, degli anni Ottanta.»
Feci un segno di diniego con la testa e lui continuò, piuttosto deluso. «Il mio nome è Adolfo Ladring, una volta meglio noto come "il Rapinatore Inafferrabile". Il mio autista, che attende in strada al posto di guida della mia Mercedes ormai d'epoca, mi portava al lavoro in tutta la Valle facendomi anche da palo. Con quell'auto conducevo a termine le rapine in banca che fecero notizia ovunque. Nel lato di destra si possono ancora notare i fori delle pallottole che un maledetto Capitano dei Carabinieri mi esplose contro il giorno disgraziato della mia cattura.»
Qui si interruppe per bere un sorso d'acqua dal bicchiere posato sul tavolino. Il suo viso, attraversato dalla classica cicatrice che un tempo tutti i malviventi amavano esibire, aveva un che di minaccioso, ma anche di triste perché ricordava un'epoca finita ormai da tempo.
«Ben saprà come in Valle le due banche locali siano sempre state in aperta e strenua lotta tra loro. A un certo punto, uno dei due Presidenti – un individuo malvagio e privo di scrupoli - pensò che sarebbe stata un’ottima cosa se le filiali dell'altra banca avessero iniziato a subire delle rapine, magari talmente gravi e ripetute da determinarne il fallimento. Così sarebbe riuscito ad eliminare l’unico istituto concorrente.
Nessuno dei malviventi locali sapeva da dove cominciare, perché mancava completamente il know-how, e solo io accettai di svolgere uno stage a Milano. Dopo qualche tempo di dura gavetta tornai, ormai rapinatore fatto e finito, e un emissario segreto del Presidente della Banca iniziò ad indicarmi le filiali da rapinare: quelle dove un basista prezzolato dell'altra banca assicurava che vi sarebbero stati molti contanti e minimi rischi da correre.
Il piano stava funzionando alla grande e andava avanti ormai da tempo con piena soddisfazione del mandante, quando avvenne un fatto assolutamente imprevisto che rimescolò completamente le carte. Molti correntisti della banca non rapinata, infatti, iniziarono a trasferire i loro risparmi nelle filiali di quella rapinata. Cos’era successo, erano forse impazziti? Macché, dopo che un apicoltore aveva riferito che le sue api si posavano a colpo sicuro sui fiori pieni di nettare trascurando gli altri, era iniziata a circolare la voce che quella rapinata doveva trovarsi in stato di floridezza, mentre l'altra doveva di sicuro essere in difficoltà. La notizia colse il Presidente che aveva ordinato le rapine come un fulmine a ciel sereno ed egli non poté far altro, per arginare le voci malevole, che ordinarmi di tralasciare le filiali della banca concorrente per iniziare a rapinare quelle della sua. Ben presto, però, anche il Presidente della banca che non veniva più rapinata riuscì a contattarmi e, per lo stesso motivo, mi supplicò di riprendere le rapine anche nelle sue filiali.
Per me quelli furono anni eccezionali, pieni di lusinghieri successi che consolidarono e ingigantirono la mia fama. Certo, a quel punto i due Presidenti avrebbero potuto ordinare la fine delle rapine nelle rispettive filiali, ma nessuno dei due poteva essere sicuro del fatto che anche l'altro avrebbe agito nello stesso modo, e prendeva l’iniziativa. Inoltre, avevo iniziato a depositare i frutti delle rapine nelle stesse filiali che rapinavo facendo felici i direttori che li rilevavano nelle situazioni periodiche; così che nessuno ne poteva lamentare alcun danno effettivo, ma anzi solo vantaggi in quanto i furti venivano coperti dalle assicurazioni. Le rapine andavano a fagiolo pure ai Carabinieri, alla Polizia e ai Magistrati che facevano di tutto per non catturarmi. Prima di me, infatti, i soggetti che operavano in Valle venivano visti come professionisti di serie "B", alle prese con misfatti che non richiedevano nessuna competenza per essere risolti, per cui le loro carriere ne soffrivano. Il mio avvento, che aveva alzato enormemente il numero, il livello e la qualità degli eventi criminosi, fu quindi visto come una benedizione. Ed era una pacchia anche per le testate giornalistiche e per le TV locali le quali, abituate com'erano a servizi su incidenti di bici e furti di zucche, erano ben contente di poter contare su un personaggio del mio calibro. Per finire, aveva anche avuto inizio una sorte di turismo del week-end legato alle mie imprese e molti volevano vedere, per poi descriverli agli amici, i luoghi dove erano avvenute le rapine. Insomma, se non fossi esistito, sarebbe stato proprio il caso di inventarmi: ero la cosa migliore che fosse capitata alla Valle dai tempi d'oro del contrabbando.»
«Ma insomma, se tutti erano felici e contenti, come avvenne la sua cattura?» intervenni io.
«Un tragico errore, un colpo di sfortuna che fece crollare tutto in un attimo. Artefice ne fu un Capitano dei Carabinieri il quale, in vacanza in una località turistica della Valle, assistette a una mia rapina e, nonostante fosse fuori servizio, intervenne, mi sparò addosso mentre salivo in auto e mi arrestò fra l'incredulità e il disappunto dei funzionari di banca, dei suoi stessi colleghi, dei giornalisti e dei cameramen, subito accorsi. Qualcuno provò a rimediare in qualche modo al danno, ma era troppo tardi e la Giustizia, questa volta veramente cieca, dovette seguire il suo corso: la pacchia era finita. Dopo una lunga permanenza nelle patrie galere, ho finito di saldare il mio debito, sono tornato in libertà e oggi sono qui per salutare il mio nipote acquisito Eleuterio, che lei ha appena conosciuto.»
Poi, mentre il Ladring si soffiava il naso, commosso per aver dato la stura ai ricordi, il rag. Paganoni rientrò nella stanza. Così il vecchio rapinatore ci salutò tutti e due, uscì a testa alta dalla stanza e, da allora, non mi capitò mai più di vederlo.
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La vera storia di Adolfo Ladring, il Rapinatore Inafferrabile, me l'ha raccontata proprio lui quando mi è capitato di incontrarlo per caso in banca.
Ho detto “per caso”, ma dovete sapere che in questa vicenda le banche c'entrano, e come. Sto parlando delle due che fanno il bello e cattivo tempo in questa meravigliosa valle alpina, un tempo dedita solo alla fame e al contrabbando, e ora prospera e frequentata dai turisti.
Ma comincerò dall'inizio, da quando venni ricevuto dal rag. Eleuterio Paganoni, funzionario di una di esse, al quale chiedevo un mutuo per acquistare un appartamento per la mia pensione.
Sulla sua scrivania, in bella mostra, c'era uno di quei patetici oggetti di ceramica che si vendono nei bazar di paese, nei mercatini e nelle stazioni ferroviarie.
C'era scritto:
Muore la pecora, muore l'agnello
muoiono il bue e l'asinello
muore la gente piena di guai
ma i rompicoglioni non muoiono mai
«Bello, vero? Me l'ha regalato il mio capo!» mi disse orgogliosamente.
Così fui certo che, anche se l’interessato sembrava proprio non averlo capito, era lui il destinatario del messaggio.
«Un pensiero affettuoso e un oggettino veramente di classe!» dissi in tono suadente «Grazie tante, ragioniere, per avermi ricevuto con così poco anticipo.»
«Ma si figuri!» mi rispose «Qui non siamo a Milano e il nostro approccio con i potenziali clienti è molto più familiare.»
Per la cronaca, il mutuo non mi fu concesso. Per cui, se l’approccio con i potenziali clienti in Valle poteva essere definito più familiare, il risultato fu identico a quello che avrei ottenuto nella metropoli.
In quel momento notai, seduto in un angolo della stanza, un settantenne magrissimo, ma ancora fiero e volitivo, con un vestito di foggia antiquata che gli ballava addosso. A tal punto che, quando si alzò per andarsene, la giacca si aprì scoprendo una fondina ascellare pur priva di pistola.
In quel momento squillò il telefono e il rag. Paganoni si profuse in scuse dicendo che mi avrebbe lasciato per qualche minuto per un’emergenza. Quando uscì, però, l'altra persona non se ne andò, ma si rimise a sedere. Così mi accomodai anch'io.
«Forse mi riconosce perché non sono nuovo alle cronache» mi disse con una voce resa roca da milioni di sigarette «cronache nere, intendo, ma di parecchio tempo fa, degli anni Ottanta.»
Feci un segno di diniego con la testa e lui continuò, piuttosto deluso. «Il mio nome è Adolfo Ladring, una volta meglio noto come "il Rapinatore Inafferrabile". Il mio autista, che attende in strada al posto di guida della mia Mercedes ormai d'epoca, mi portava al lavoro in tutta la Valle facendomi anche da palo. Con quell'auto conducevo a termine le rapine in banca che fecero notizia ovunque. Nel lato di destra si possono ancora notare i fori delle pallottole che un maledetto Capitano dei Carabinieri mi esplose contro il giorno disgraziato della mia cattura.»
Qui si interruppe per bere un sorso d'acqua dal bicchiere posato sul tavolino. Il suo viso, attraversato dalla classica cicatrice che un tempo tutti i malviventi amavano esibire, aveva un che di minaccioso, ma anche di triste perché ricordava un'epoca finita ormai da tempo.
«Ben saprà come in Valle le due banche locali siano sempre state in aperta e strenua lotta tra loro. A un certo punto, uno dei due Presidenti – un individuo malvagio e privo di scrupoli - pensò che sarebbe stata un’ottima cosa se le filiali dell'altra banca avessero iniziato a subire delle rapine, magari talmente gravi e ripetute da determinarne il fallimento. Così sarebbe riuscito ad eliminare l’unico istituto concorrente.
Nessuno dei malviventi locali sapeva da dove cominciare, perché mancava completamente il know-how, e solo io accettai di svolgere uno stage a Milano. Dopo qualche tempo di dura gavetta tornai, ormai rapinatore fatto e finito, e un emissario segreto del Presidente della Banca iniziò ad indicarmi le filiali da rapinare: quelle dove un basista prezzolato dell'altra banca assicurava che vi sarebbero stati molti contanti e minimi rischi da correre.
Il piano stava funzionando alla grande e andava avanti ormai da tempo con piena soddisfazione del mandante, quando avvenne un fatto assolutamente imprevisto che rimescolò completamente le carte. Molti correntisti della banca non rapinata, infatti, iniziarono a trasferire i loro risparmi nelle filiali di quella rapinata. Cos’era successo, erano forse impazziti? Macché, dopo che un apicoltore aveva riferito che le sue api si posavano a colpo sicuro sui fiori pieni di nettare trascurando gli altri, era iniziata a circolare la voce che quella rapinata doveva trovarsi in stato di floridezza, mentre l'altra doveva di sicuro essere in difficoltà. La notizia colse il Presidente che aveva ordinato le rapine come un fulmine a ciel sereno ed egli non poté far altro, per arginare le voci malevole, che ordinarmi di tralasciare le filiali della banca concorrente per iniziare a rapinare quelle della sua. Ben presto, però, anche il Presidente della banca che non veniva più rapinata riuscì a contattarmi e, per lo stesso motivo, mi supplicò di riprendere le rapine anche nelle sue filiali.
Per me quelli furono anni eccezionali, pieni di lusinghieri successi che consolidarono e ingigantirono la mia fama. Certo, a quel punto i due Presidenti avrebbero potuto ordinare la fine delle rapine nelle rispettive filiali, ma nessuno dei due poteva essere sicuro del fatto che anche l'altro avrebbe agito nello stesso modo, e prendeva l’iniziativa. Inoltre, avevo iniziato a depositare i frutti delle rapine nelle stesse filiali che rapinavo facendo felici i direttori che li rilevavano nelle situazioni periodiche; così che nessuno ne poteva lamentare alcun danno effettivo, ma anzi solo vantaggi in quanto i furti venivano coperti dalle assicurazioni. Le rapine andavano a fagiolo pure ai Carabinieri, alla Polizia e ai Magistrati che facevano di tutto per non catturarmi. Prima di me, infatti, i soggetti che operavano in Valle venivano visti come professionisti di serie "B", alle prese con misfatti che non richiedevano nessuna competenza per essere risolti, per cui le loro carriere ne soffrivano. Il mio avvento, che aveva alzato enormemente il numero, il livello e la qualità degli eventi criminosi, fu quindi visto come una benedizione. Ed era una pacchia anche per le testate giornalistiche e per le TV locali le quali, abituate com'erano a servizi su incidenti di bici e furti di zucche, erano ben contente di poter contare su un personaggio del mio calibro. Per finire, aveva anche avuto inizio una sorte di turismo del week-end legato alle mie imprese e molti volevano vedere, per poi descriverli agli amici, i luoghi dove erano avvenute le rapine. Insomma, se non fossi esistito, sarebbe stato proprio il caso di inventarmi: ero la cosa migliore che fosse capitata alla Valle dai tempi d'oro del contrabbando.»
«Ma insomma, se tutti erano felici e contenti, come avvenne la sua cattura?» intervenni io.
«Un tragico errore, un colpo di sfortuna che fece crollare tutto in un attimo. Artefice ne fu un Capitano dei Carabinieri il quale, in vacanza in una località turistica della Valle, assistette a una mia rapina e, nonostante fosse fuori servizio, intervenne, mi sparò addosso mentre salivo in auto e mi arrestò fra l'incredulità e il disappunto dei funzionari di banca, dei suoi stessi colleghi, dei giornalisti e dei cameramen, subito accorsi. Qualcuno provò a rimediare in qualche modo al danno, ma era troppo tardi e la Giustizia, questa volta veramente cieca, dovette seguire il suo corso: la pacchia era finita. Dopo una lunga permanenza nelle patrie galere, ho finito di saldare il mio debito, sono tornato in libertà e oggi sono qui per salutare il mio nipote acquisito Eleuterio, che lei ha appena conosciuto.»
Poi, mentre il Ladring si soffiava il naso, commosso per aver dato la stura ai ricordi, il rag. Paganoni rientrò nella stanza. Così il vecchio rapinatore ci salutò tutti e due, uscì a testa alta dalla stanza e, da allora, non mi capitò mai più di vederlo.