Il presente di Brando
Inviato: ven gen 01, 2021 11:32 pm
Brando pensa.
Pensare è utile, perché fa sentire meno il freddo. È bello, perché fa quasi dimenticare la fame.
Brando è capace di far correre il tempo quando pensa, lasciando fuori ogni brutta sensazione. Riesce a pensare senza ricordare.
Ricordare è pericoloso: più del freddo, di sicuro. Ed è anche più brutto che sentire la fame.
Pensare è come muoversi in un luogo disseminato di pericoli: quei pericoli sono i ricordi e Brando non vuole ricordare.
Preferisce piuttosto pensare al proprio aspetto trasandato, alla barba lunga e incolta, ai capelli sporchi che non riesce a nascondere sotto la cuffia di lana trovata in strada. Ai suoi guanti bucati.
Quando passa davanti a una vetrina Brando cerca di non guardarsi, ma in città ci sono ancora così tante vetrine. Intercalate a serrande chiuse. Nelle serrande non ci si può specchiare, però Brando, piuttosto, preferisce guardare le vetrine. Brando un tempo aveva un negozio e il giorno in cui lo ha chiuso per l’ultima volta ha avuto la sensazione che da quel momento in poi ogni serranda chiusa sarebbe stata, per lui, una cosa diversa. Ma era già tutto diverso.
Ecco, Brando adesso sta ricordando. Si scuote, torna a pensare alla sua immagine riflessa nei vetri. «Potrebbe essere peggio», dice tra sé e si accorge che da tutta la vita pensa che potrebbe andare peggio.
Nella vetrina c’è un acquario e abbassandosi un poco Brando vi ci trova la propria immagine. Passa del tempo e lui non riesce a staccare gli occhi da quella visione. È davvero strano essere in mezzo a tutti quei colori, assieme a pesci saettanti, oppure lenti, oppure fermi da sembrare finti.
Brando è sicuro che i pesci non hanno memoria. Un’infinita schiera di ieri uguali a oggi, ubriacati di colori e di correnti fresche, che non mutano né si fermano, non sono passato: sono un continuo presente.
Forse in un acquario è possibile vivere senza fare tanta fatica. Esplorarne ogni anfratto senza pericoli, senza paure. La superficie dell’acqua rifrange la luce e sul fondo la danza delle piccole onde è una cadenza che divide gli istanti, ma non li lascia distinguere uno dall’altro.
L’immagine dell’uomo nell’acquario sorride e Brando è rapito, ma la magia non dura: il sorriso si spegne e lui ora si rivede. Come se il tempo davvero si fosse fermato, il pensiero riprende da dove si era interrotto.
Potrebbe andare peggio. Dopotutto ha un cappotto, pantaloni di lana. Cuffia e guanti, e di giorno questo inverno non è così freddo.
La fame lo svuota, la disperazione lo piega, ma lui, tutto questo, è capace di non ascoltarlo.
Pensa, Brando.
Talvolta pensando si addormenta. Ha imparato a dormire seduto. Non sogna, e se sogna si sveglia. Sa svegliarsi appena inizia a sognare. Sognare è più che ricordare: è rivivere. Per rivivere un momento felice corre il rischio di sognare tutto il resto. Allora non ha la forza per lasciarsi andare nel sonno profondo. Non ha l’animo di sognare, perché al risveglio il sogno interrotto può fare più male del freddo.
«Senta, buon uomo, non si offenda…»
Una donnina che pare una vecchia strega, ma ben vestita e con una luce negli occhi che spicca in un volto freddo e incerto, gli sta davanti e allunga una mano. Brando tarda un istante ad accorgersi che gli sta porgendo qualcosa.
Dieci Euro.
«… mi creda, è poco, ma ho pensato che…»
Brando li prende, le sorride, col capo fa un cenno che vorrebbe dire grazie, oppure che non sa cosa dire.
«Buon Natale» dice la vecchia, che poi si volta e va via veloce, come se fosse lei a doversi vergognare.
«Grazie» risponde allora Brando con un filo di voce, ma lei non sente già più.
Brando pensa a quelle parole: gli fa piacere che la donnina abbia detto “Non si offenda”, gli fa sembrare di avere ancora una dignità.
Brando sa di essere in condizioni miserevoli, ogni vetrina glielo dice. E gli pare di averlo sempre saputo che era questo il suo destino.
Ma via: ecco che i ricordi tornano a minacciarlo. Si alza a fatica. Vorrebbe vedersi, mentre tenta di alzarsi. Si chiede se sia più penoso o ridicolo. A Brando non piace vedersi, ma non ha paura di pensare al proprio aspetto e ai propri movimenti goffi. Il presente è più desiderabile del passato. È meno buio del futuro.
Si alza e va verso il McDonald. Qualcuno gli ha detto che con un Euro si può comprare un hamburger.
Brando entra, per fortuna c’è poca gente. Alla sua destra ci sono il bancone del bar e la vetrina dei dolci, allegra e colorata: gli pare un altro acquario. Lui prova a cercare la propria immagine riflessa e vorrebbe perdersi di nuovo, però appena la trova si ricorda perché è lì, e non c’è tempo da perdere: deve far fruttare al massimo quei dieci Euro. Potrebbe non usarli tutti e comprarsi anche le sigarette, forse. Ma di cicche per terra ne può sempre trovare. Panini, no.
C’è anche la mensa dei poveri, dove danno sempre qualcosa, senza chiedere nulla in cambio, ma lui cerca di frequentarla il meno possibile. Ci andava a servire sua figlia, tanti anni fa. La mensa dei poveri lo precipita nel ricordo di lei e dopo non riesce più a mangiare.
Di nuovo i ricordi…
Basta. Brando sente di avere un sistema sicuro per sfuggire al ricordo: guarda la ragazza al bancone della cassa. Giovanissima, minuta. Pare uno scricciolo. Però lo ha già notato e lo guarda male. Grazie ragazzina, pensa Brando.
Ora deve affrontare la vergogna del proprio aspetto agli occhi di lei e di ciò le è grato. Lei continua a guardarlo male e lui, che adesso le è di fronte, può abbassare gli occhi. Ha ottenuto ciò che voleva: ogni affanno presente è un modo per trascinare avanti il tempo di un poco senza ricordare, senza pensare al futuro remoto, che sarebbe poi questa sera stessa, sui cartoni, al freddo, con il rischio di sognare.
«Dieci hamburger da un Euro» e porge la banconota allo scricciolo, che la prende con due dita e la infila in cassa con una smorfia. Appoggia lo scontrino sul banco, poi si volta, prende un sacchetto, si dirige all’espositore degli hamburger, ne conta dieci di quelli più piccoli, avvolti nella carta, li mette nel sacchetto che poi richiude. Torna verso il bancone.
«Ecco. Non li mangia qua, vero?»
Lui fa cenno di no. E intanto grazie, pensa. Ma non solo perché mi hai servito. Non solo perché non hai chiamato il responsabile del negozio appena mi hai visto: grazie perché mi hai tenuto incollato a questo momento.
Il presente di Brando è tutto qui: soffrire del male che fa meno male.
La vita non è un acquario e non ci sono colori, non più. Ogni istante grigio che Brando riesce a strappare al tempo che passa gli sembra chiaro, in una vita che è nera.
Potrebbe andare peggio.
Brando esce dal locale e va via veloce. Accanto al bancone del bar, nell’acquario, nuotano ordinati tanti dolci colorati.
Pensare è utile, perché fa sentire meno il freddo. È bello, perché fa quasi dimenticare la fame.
Brando è capace di far correre il tempo quando pensa, lasciando fuori ogni brutta sensazione. Riesce a pensare senza ricordare.
Ricordare è pericoloso: più del freddo, di sicuro. Ed è anche più brutto che sentire la fame.
Pensare è come muoversi in un luogo disseminato di pericoli: quei pericoli sono i ricordi e Brando non vuole ricordare.
Preferisce piuttosto pensare al proprio aspetto trasandato, alla barba lunga e incolta, ai capelli sporchi che non riesce a nascondere sotto la cuffia di lana trovata in strada. Ai suoi guanti bucati.
Quando passa davanti a una vetrina Brando cerca di non guardarsi, ma in città ci sono ancora così tante vetrine. Intercalate a serrande chiuse. Nelle serrande non ci si può specchiare, però Brando, piuttosto, preferisce guardare le vetrine. Brando un tempo aveva un negozio e il giorno in cui lo ha chiuso per l’ultima volta ha avuto la sensazione che da quel momento in poi ogni serranda chiusa sarebbe stata, per lui, una cosa diversa. Ma era già tutto diverso.
Ecco, Brando adesso sta ricordando. Si scuote, torna a pensare alla sua immagine riflessa nei vetri. «Potrebbe essere peggio», dice tra sé e si accorge che da tutta la vita pensa che potrebbe andare peggio.
Nella vetrina c’è un acquario e abbassandosi un poco Brando vi ci trova la propria immagine. Passa del tempo e lui non riesce a staccare gli occhi da quella visione. È davvero strano essere in mezzo a tutti quei colori, assieme a pesci saettanti, oppure lenti, oppure fermi da sembrare finti.
Brando è sicuro che i pesci non hanno memoria. Un’infinita schiera di ieri uguali a oggi, ubriacati di colori e di correnti fresche, che non mutano né si fermano, non sono passato: sono un continuo presente.
Forse in un acquario è possibile vivere senza fare tanta fatica. Esplorarne ogni anfratto senza pericoli, senza paure. La superficie dell’acqua rifrange la luce e sul fondo la danza delle piccole onde è una cadenza che divide gli istanti, ma non li lascia distinguere uno dall’altro.
L’immagine dell’uomo nell’acquario sorride e Brando è rapito, ma la magia non dura: il sorriso si spegne e lui ora si rivede. Come se il tempo davvero si fosse fermato, il pensiero riprende da dove si era interrotto.
Potrebbe andare peggio. Dopotutto ha un cappotto, pantaloni di lana. Cuffia e guanti, e di giorno questo inverno non è così freddo.
La fame lo svuota, la disperazione lo piega, ma lui, tutto questo, è capace di non ascoltarlo.
Pensa, Brando.
Talvolta pensando si addormenta. Ha imparato a dormire seduto. Non sogna, e se sogna si sveglia. Sa svegliarsi appena inizia a sognare. Sognare è più che ricordare: è rivivere. Per rivivere un momento felice corre il rischio di sognare tutto il resto. Allora non ha la forza per lasciarsi andare nel sonno profondo. Non ha l’animo di sognare, perché al risveglio il sogno interrotto può fare più male del freddo.
«Senta, buon uomo, non si offenda…»
Una donnina che pare una vecchia strega, ma ben vestita e con una luce negli occhi che spicca in un volto freddo e incerto, gli sta davanti e allunga una mano. Brando tarda un istante ad accorgersi che gli sta porgendo qualcosa.
Dieci Euro.
«… mi creda, è poco, ma ho pensato che…»
Brando li prende, le sorride, col capo fa un cenno che vorrebbe dire grazie, oppure che non sa cosa dire.
«Buon Natale» dice la vecchia, che poi si volta e va via veloce, come se fosse lei a doversi vergognare.
«Grazie» risponde allora Brando con un filo di voce, ma lei non sente già più.
Brando pensa a quelle parole: gli fa piacere che la donnina abbia detto “Non si offenda”, gli fa sembrare di avere ancora una dignità.
Brando sa di essere in condizioni miserevoli, ogni vetrina glielo dice. E gli pare di averlo sempre saputo che era questo il suo destino.
Ma via: ecco che i ricordi tornano a minacciarlo. Si alza a fatica. Vorrebbe vedersi, mentre tenta di alzarsi. Si chiede se sia più penoso o ridicolo. A Brando non piace vedersi, ma non ha paura di pensare al proprio aspetto e ai propri movimenti goffi. Il presente è più desiderabile del passato. È meno buio del futuro.
Si alza e va verso il McDonald. Qualcuno gli ha detto che con un Euro si può comprare un hamburger.
Brando entra, per fortuna c’è poca gente. Alla sua destra ci sono il bancone del bar e la vetrina dei dolci, allegra e colorata: gli pare un altro acquario. Lui prova a cercare la propria immagine riflessa e vorrebbe perdersi di nuovo, però appena la trova si ricorda perché è lì, e non c’è tempo da perdere: deve far fruttare al massimo quei dieci Euro. Potrebbe non usarli tutti e comprarsi anche le sigarette, forse. Ma di cicche per terra ne può sempre trovare. Panini, no.
C’è anche la mensa dei poveri, dove danno sempre qualcosa, senza chiedere nulla in cambio, ma lui cerca di frequentarla il meno possibile. Ci andava a servire sua figlia, tanti anni fa. La mensa dei poveri lo precipita nel ricordo di lei e dopo non riesce più a mangiare.
Di nuovo i ricordi…
Basta. Brando sente di avere un sistema sicuro per sfuggire al ricordo: guarda la ragazza al bancone della cassa. Giovanissima, minuta. Pare uno scricciolo. Però lo ha già notato e lo guarda male. Grazie ragazzina, pensa Brando.
Ora deve affrontare la vergogna del proprio aspetto agli occhi di lei e di ciò le è grato. Lei continua a guardarlo male e lui, che adesso le è di fronte, può abbassare gli occhi. Ha ottenuto ciò che voleva: ogni affanno presente è un modo per trascinare avanti il tempo di un poco senza ricordare, senza pensare al futuro remoto, che sarebbe poi questa sera stessa, sui cartoni, al freddo, con il rischio di sognare.
«Dieci hamburger da un Euro» e porge la banconota allo scricciolo, che la prende con due dita e la infila in cassa con una smorfia. Appoggia lo scontrino sul banco, poi si volta, prende un sacchetto, si dirige all’espositore degli hamburger, ne conta dieci di quelli più piccoli, avvolti nella carta, li mette nel sacchetto che poi richiude. Torna verso il bancone.
«Ecco. Non li mangia qua, vero?»
Lui fa cenno di no. E intanto grazie, pensa. Ma non solo perché mi hai servito. Non solo perché non hai chiamato il responsabile del negozio appena mi hai visto: grazie perché mi hai tenuto incollato a questo momento.
Il presente di Brando è tutto qui: soffrire del male che fa meno male.
La vita non è un acquario e non ci sono colori, non più. Ogni istante grigio che Brando riesce a strappare al tempo che passa gli sembra chiaro, in una vita che è nera.
Potrebbe andare peggio.
Brando esce dal locale e va via veloce. Accanto al bancone del bar, nell’acquario, nuotano ordinati tanti dolci colorati.