La Pubblica Moglie
Posted: Wed Feb 17, 2021 10:53 pm
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“Mamma!”
“Mamma!”. Sento gli occhi bruciare, gonfiarsi. Ho perso la mamma.
Mi guardo attorno, ma la folla del mercato m'impedisce di vedere. Corro, sbatto nelle gambe delle persone, cado a terra. Sanguino da un ginocchio. Un pollo strilla da una una gabbia, salto via impaurita. Qualcuno mi afferra il polso, ma non è mia madre. È una donna alta, magra, un turbante bianco le nasconde i capelli. Sorride.
“Stai calma” mi dice. Prende un manciata di piccoli frutti rossi da uno dei banchi accanto a noi, me li porge.
Esito un attimo, poi li accetto. Mi appiccicano le dita. È in quel momento che torna mia madre. Mi afferra per l'altro braccio. Le due donne restano un attimo immobili a guardarsi, una bolla silenziosa nel caos della piazza. Infine la donna dal turbante bianco mi lascia andare, e scompare fra la folla. Mi tuffo in bocca uno dei frutti. Non ha pagato la frutta.
Apro la porta e me lo trovo davanti. È tornato. Per l’ennesima volta. Dicono che è bello. Ha occhi grandi, braccia e gambe forti, e una voce come il tamburo. Così dicono.
“Ti piace" dice mia madre mentre lui e mio padre parlano attorno al vino. Dovrebbe essere una domanda, ma lei non ha chiesto. Io, però, lo so cos'ha davvero quest’uomo. Molti vacche e molto oro.
“Vai, va di là a farti vedere, anche tu sei molto bella". Dice mia madre, e torna a curare i fornelli. Lascio la cucina, ma non vado dagli uomini, me ne vado fuori. Mi perdo ai margini del borgo, dove le strade diventano piste. Si fa notte.
Il turbante bianco appare d’un tratto, sotto le fronde d’un sicomoro, come la luce di una lanterna. La donna si stacca dal tronco e s’allontana canticchiando. La seguo. Si ferma all’ingresso di un gruppo di case, un piccolo quartiere isolato dal resto. Si volta, mi guarda.
“Ti piace perderti” mi dice. Sono passati anni da quel giorno al mercato, ma si ricorda ancora.
“A casa ti staranno cercando "
“Tu non sei sposata?" le chiedo. Scuote la testa. Oltre di noi, nel cortile, una donna si affanna a caricare cose su un piccolo corretto.
“Oggi hanno portato un uomo per me, per questo sono" mi fermo, solo ora realizzo che sono scappata di casa. Ci sediamo in una nella sua casa. C'è un tappeto a terra, odore d'incenso. Dalle altre cose s'insinuano gemiti e grida soffocate.
La donna del turbante bianco indica il cortile, la donna che carica il corretto.
"Lei se ne va – mi dice porgendomi del vino – se non vuoi sposarti puoi prendere il suo posto". Mi guardo attorno. “Ma cos'è che fate qui?". Il vino è aspro, mi sembra che un serpente mi strisci sulla lingua. Lei butta giù in una volta sola.
“Lo sai quanti uomini ci sono in questo paese?”. Non rispondo.
“Settecento – dice – e quante donne?”
“No” dico, e butto giù un altro piccolo sorso.
“Trecento. E molti uomini ne tengono in casa più d’una. Noi, allora, siamo le mogli per tutti quelli che rimangono soli”. Bevemmo per un po’ in silenzio.
“Come si diventa” esito
“Pubblica moglie? Ascolta”. Si versa ancora vino e racconta.
Le gocce mi colpiscono testa, spalle, braccia. La folla osserva mentre mi tingo di rosso. L’anatra sgozzata muore poco più in là nel disinteresse di tutti, mischiando il sangue che le avanza alla polvere.
Il vecchio si piazza in piedi di fronte a me. Ha un bastone, un occhio bianco e il suo alito puzza di di sudore.
“Accetterai tutti gli uomini del paese” dice
“Accetterò tutti gli uomini del paese”
“Per non più di tre monete”
“Per non più di tre monete”
“E anche coloro con cui condividi il sangue”. Guardo l’anatra. È morta, due uomini se ne stanno litigando il corpo. Sento schioccare uno schiaffo, una bestemmia, vedo esplodere uno sbuffo di piume. Un bambino e una donna ridono.
“Donna!” grida il vecchio, e mi alza il bastone sopra la testa.
“E anche coloro con cui condivido il sangue” ripeto. Su un lato del cerchio di folla, il gruppo dei giovani uomini grida di gioia, pesta i piedi per terra., alzando una nube rossa di polvere.
Altre donne vengono da me. Mi imbrattano di argilla e gesso, m’infilano bracciali e cavigliere.
La più anziana estrae da una cesta un lungo panno bianco, me lo intreccia sul capo.
“Adesso che sai, vuoi vedere quale sarebbe la tua casa?” mi chiede. Mentre ci alziamo giunge un urlo da una casa vicina. Lei sparisce nell’altra stanza. Torna e qualcosa le luccica nella mano. Un coltello. Esce, e io le vado dietro.
"Ma lei dove va?" le chiedo, mentre cammina furiosa, indicando la donna del carro.
“In città – mi risponde senza fermarsi – Anche lì c'è lavoro".
Quando rientro in casa le guance mi bruciano e sento un dolore fra le costole. Il mio corpo immagina da solo le botte di mio padre. Invece è tutto quieto. Il mio promesso sposo e mio padre dormono sui tappeti, avvolti dall’odore del vino, che spilla ancora da una coppa rovesciata. Dalla camera viene il singhiozzare stanco di mia madre. La ignoro,
Raccolgo le mie cose ed esco di nuovo. Torno al quartiere delle donne.
Al carretto ora è aggiogato un cavallo. Entro nella casa della donna dal turbante bianco. Il lungo pezzo di tela è disciolto sui cuscini. Dall'altra stanza viene un russare profondo. Il russare di un uomo.
Torno fuori. Nel cortile la donna sta salendo sul carro.
“Posso venire con te?" le chiedo.
“Mamma!”
“Mamma!”. Sento gli occhi bruciare, gonfiarsi. Ho perso la mamma.
Mi guardo attorno, ma la folla del mercato m'impedisce di vedere. Corro, sbatto nelle gambe delle persone, cado a terra. Sanguino da un ginocchio. Un pollo strilla da una una gabbia, salto via impaurita. Qualcuno mi afferra il polso, ma non è mia madre. È una donna alta, magra, un turbante bianco le nasconde i capelli. Sorride.
“Stai calma” mi dice. Prende un manciata di piccoli frutti rossi da uno dei banchi accanto a noi, me li porge.
Esito un attimo, poi li accetto. Mi appiccicano le dita. È in quel momento che torna mia madre. Mi afferra per l'altro braccio. Le due donne restano un attimo immobili a guardarsi, una bolla silenziosa nel caos della piazza. Infine la donna dal turbante bianco mi lascia andare, e scompare fra la folla. Mi tuffo in bocca uno dei frutti. Non ha pagato la frutta.
Apro la porta e me lo trovo davanti. È tornato. Per l’ennesima volta. Dicono che è bello. Ha occhi grandi, braccia e gambe forti, e una voce come il tamburo. Così dicono.
“Ti piace" dice mia madre mentre lui e mio padre parlano attorno al vino. Dovrebbe essere una domanda, ma lei non ha chiesto. Io, però, lo so cos'ha davvero quest’uomo. Molti vacche e molto oro.
“Vai, va di là a farti vedere, anche tu sei molto bella". Dice mia madre, e torna a curare i fornelli. Lascio la cucina, ma non vado dagli uomini, me ne vado fuori. Mi perdo ai margini del borgo, dove le strade diventano piste. Si fa notte.
Il turbante bianco appare d’un tratto, sotto le fronde d’un sicomoro, come la luce di una lanterna. La donna si stacca dal tronco e s’allontana canticchiando. La seguo. Si ferma all’ingresso di un gruppo di case, un piccolo quartiere isolato dal resto. Si volta, mi guarda.
“Ti piace perderti” mi dice. Sono passati anni da quel giorno al mercato, ma si ricorda ancora.
“A casa ti staranno cercando "
“Tu non sei sposata?" le chiedo. Scuote la testa. Oltre di noi, nel cortile, una donna si affanna a caricare cose su un piccolo corretto.
“Oggi hanno portato un uomo per me, per questo sono" mi fermo, solo ora realizzo che sono scappata di casa. Ci sediamo in una nella sua casa. C'è un tappeto a terra, odore d'incenso. Dalle altre cose s'insinuano gemiti e grida soffocate.
La donna del turbante bianco indica il cortile, la donna che carica il corretto.
"Lei se ne va – mi dice porgendomi del vino – se non vuoi sposarti puoi prendere il suo posto". Mi guardo attorno. “Ma cos'è che fate qui?". Il vino è aspro, mi sembra che un serpente mi strisci sulla lingua. Lei butta giù in una volta sola.
“Lo sai quanti uomini ci sono in questo paese?”. Non rispondo.
“Settecento – dice – e quante donne?”
“No” dico, e butto giù un altro piccolo sorso.
“Trecento. E molti uomini ne tengono in casa più d’una. Noi, allora, siamo le mogli per tutti quelli che rimangono soli”. Bevemmo per un po’ in silenzio.
“Come si diventa” esito
“Pubblica moglie? Ascolta”. Si versa ancora vino e racconta.
Le gocce mi colpiscono testa, spalle, braccia. La folla osserva mentre mi tingo di rosso. L’anatra sgozzata muore poco più in là nel disinteresse di tutti, mischiando il sangue che le avanza alla polvere.
Il vecchio si piazza in piedi di fronte a me. Ha un bastone, un occhio bianco e il suo alito puzza di di sudore.
“Accetterai tutti gli uomini del paese” dice
“Accetterò tutti gli uomini del paese”
“Per non più di tre monete”
“Per non più di tre monete”
“E anche coloro con cui condividi il sangue”. Guardo l’anatra. È morta, due uomini se ne stanno litigando il corpo. Sento schioccare uno schiaffo, una bestemmia, vedo esplodere uno sbuffo di piume. Un bambino e una donna ridono.
“Donna!” grida il vecchio, e mi alza il bastone sopra la testa.
“E anche coloro con cui condivido il sangue” ripeto. Su un lato del cerchio di folla, il gruppo dei giovani uomini grida di gioia, pesta i piedi per terra., alzando una nube rossa di polvere.
Altre donne vengono da me. Mi imbrattano di argilla e gesso, m’infilano bracciali e cavigliere.
La più anziana estrae da una cesta un lungo panno bianco, me lo intreccia sul capo.
“Adesso che sai, vuoi vedere quale sarebbe la tua casa?” mi chiede. Mentre ci alziamo giunge un urlo da una casa vicina. Lei sparisce nell’altra stanza. Torna e qualcosa le luccica nella mano. Un coltello. Esce, e io le vado dietro.
"Ma lei dove va?" le chiedo, mentre cammina furiosa, indicando la donna del carro.
“In città – mi risponde senza fermarsi – Anche lì c'è lavoro".
Quando rientro in casa le guance mi bruciano e sento un dolore fra le costole. Il mio corpo immagina da solo le botte di mio padre. Invece è tutto quieto. Il mio promesso sposo e mio padre dormono sui tappeti, avvolti dall’odore del vino, che spilla ancora da una coppa rovesciata. Dalla camera viene il singhiozzare stanco di mia madre. La ignoro,
Raccolgo le mie cose ed esco di nuovo. Torno al quartiere delle donne.
Al carretto ora è aggiogato un cavallo. Entro nella casa della donna dal turbante bianco. Il lungo pezzo di tela è disciolto sui cuscini. Dall'altra stanza viene un russare profondo. Il russare di un uomo.
Torno fuori. Nel cortile la donna sta salendo sul carro.
“Posso venire con te?" le chiedo.