Arco di curva

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Arco di curva

Avevano fatto l'amore, ora fumavano nel silenzio, lasciando correre i pensieri, il fumo disegnava arabeschi complessi sul soffitto della camera.
Lui sedeva ai piedi del letto, le lenzuola sparse a giacere sul pavimento:
un campo di battaglia silenzioso, il teatro quieto di una disfatta.
L'orologio a parete segnava le 15,48: il tempo era volato nelle ultime due ore, decise che si sarebbe alzato per la doccia, entro dodici minuti.
Lei distesa, nuda e assorta, stava adagiata mollemente alla testiera del letto: due cuscini sotto la nuca, la testa rivolta alla finestra i pensieri altrove, gli rammentava una donna di un quadro di Courbet.
La luce del mezzo pomeriggio di inizio ottobre, scemava lenta nella penombra della stanza.
Gli era sempre piaciuta quell'aria di morbido abbandono che scendeva sul corpo di lei, quando finivano di amarsi.
Fuori l'autunno incendiava di rosso, le foglie dei platani lungo il viale.
Pensò quanto fosse lontana da lui, da quel luogo e da quel letto, mentre seguiva i suoi pensieri: una distanza siderale, attraverso quel velo azzurro, lento e mobile che si alzava dalla sigaretta tra le sue dita.
Si accorse che da qualche minuto non stava più aspirando: lasciava che il tabacco si consumasse per inerzia.
Pensò a quei loro incontri, sempre brevi e clandestini, al loro ripetersi uguali da troppo tempo ormai, avevano consumato la passione e il resto, ora lasciavano in bocca un sapore conosciuto, senza sorprese ne magia.
Conosceva il rito puntuale dei gesti, delle posture che scandivano ognuno di quei momenti: erano fotogrammi fissati nella mente.
Avrebbe potuto farli scorrere ad occhi chiusi, come un film passato alla moviola: il modo in cui era solita raccogliere i capelli dietro l'orecchio, la ciocca lunga che lambiva il rilievo morbido del seno, quel vezzo di mordersi il labbro, segnando un'emozione.
Il suo profilo dagli zigomi alti, il collo sottile e candido, lo sguardo farsi languido, sulla soglia del sonno imminente: erano frammenti di lei rimasti scritti nel profondo, cose che gli appartenevano, tracce durature che avrebbe portato con sé.
Avrebbe conservato anche la memoria del suo profumo, che aveva colorato l'aria di quella stanza, il calore del suo corpo e del sesso fatto lo avrebbero accompagnato, confortando la strada del ritorno.

Tra le sue dita, la lingua contorta e avvizzita della cenere, aveva raggiunto il filtro, guardò l'ora sulla parete, pensò che il tempo stava finendo: essiccato in quel silenzio anestetico.
Sentì una stanchezza profonda gravargli le membra: avrebbe voluto dormire almeno un poco, ma bisognava andare.
Seguì con lo sguardo i contorni della stanza, come se li osservasse per la prima volta: il verde acido del tendaggio, strideva col rosa antico delle pareti.
In gusto ordinario e gli accostamenti improbabili erano la cifra costante di quegli alberghetti della mezza collina: ricoveri abituali di amori irregolari, in bilico sul margine stretto dello squallore.
Sempre così appartati da risultare invisibili ad occhi indiscreti, negligenti nel servizio di camera e disponibili nell'omettere la richiesta di documenti alla clientela di passaggio.
Coppie anonime, che giungevano separate, con due macchine diverse, occultate nel parcheggio che le piante coprivano alla vista della strada: amanti restii a lasciare traccia del loro passaggio sulle pagine di un registro d'albergo.

Un fremito, come un brivido di freddo lo scosse: la cenere si staccò dalla cicca e lieve come zucchero a velo, si sparse sul bouclé bruno della moquette.
Chiuse gli occhi, respiro a fondo e rivide la strada nella mente.
Un lungo rettilineo che dalla tangenziale portava all'autostrada e da li al mare, 80 km più a sud. Lo avevano percorso insieme decine di volte, nei fine settimana d’estate, quando il marito volava all'estero per i suoi affari lontani: era il tempo delle corse in auto con la capote aperta, il piede a fondo sull'acceleratore e la lancetta a sfiorare il limite del tachimetro.
L'aria calda turbinava, giocando con i suoi capelli e già sapeva di salmastro marino.
La conosceva bene quella strada. Una lingua nera d'asfalto stesa tra le colline, solcata al centro dalla linea bianca di mezzeria, aveva a mente ogni metro del suo manto scuro come un velluto e del paesaggio che le scorreva intorno.
C’erano campi col frumento maturo piegato dal vento estivo e boschetti di faggi, che salivano ai fianchi morbidi dei declivi, a tratti incontravi ruderi in abbandono persi fra le sterpaglie dei dossi, vedevi case coloniche con tetti di lavagna e grandi aie bianche di sole.
Ci potevi filare veloce su quella strada: era come un lungo drappo, lucido e nero, su cui le ruote aderivano morbide, come in un bacio di amanti.
Le labbra si incresparono di amaro, il filo dei ricordi cadeva sul disordine di lenzuola del letto, come foglie esauste sul tappetto giallo dell'autunno.

Al fondo della strada si apriva la parabolica di un viadotto: una mezza luna di cemento e bitume, sospesa nel vuoto a trenta metri di altezza,
sotto, in una gola buia, il letto del torrente: un rivolo misero e asciutto, interrato tra sassi e arbusti in quella stagione dell'anno.
Oggi era stata l'ultima volta che avevano fatto l'amore, un addio non detto, ma era nelle cose: dirselo non sarebbe servito.
Le aveva domandato quando avrebbero potuto incontrarsi ancora: lei non aveva risposto, abbassando gli occhi si era guardata intorno, come avesse smarrito qualcosa.
Poi senza guardarlo negli occhi, aveva trovato il fiato e le parole: troppe cose da fare, era un periodo complicato, lo avrebbe cercato lei quando veniva il momento, gli aveva detto.
Non era brava a mentire, gli leggevi la bugia in quel mordersi il labbro inferiore, come avveniva a volte nei bambini.
Era tardi, sentiva il tempo scivolare tra le dita come sabbia, gli mancava la volontà di serrarle per trattenerla.
Conosceva la strada e la curva.
Sapeva a quale velocità era giusto imboccarla: il punto esatto in cui si sarebbe generata la corda di un arco di curva, nel semicerchio d'asfalto.
In quell’ istante avrebbe corretto, con una pressione leggera sullo sterzo, la traiettoria dell'auto.
A quella velocità il veicolo avrebbe seguito la proiezione del suo moto, liberandosi dalla gravità lungo una retta in fuga nello spazio.
Avrebbe chiuso gli occhi, con le mani strette al volante, proseguendo la sua corsa in quel tramonto silenzioso nell’ imbrunire dorato.

Lo sapeva da due mesi: una tac cerebrale metteva un punto al futuro.
Gli erano rimasti il conto alla rovescia dei giorni, dei ricordi e dei respiri restanti.
Fece una doccia calda, poi iniziò a rivestirsi, senza fretta, quando fu pronto guardò ancora il corpo di lei che riposava sul letto: si era assopita in una posizione raccolta, un sonno infantile, il respiro lieve e sereno.
Un raggio di sole dava tenui riflessi biondi al castano dei capelli di lei.
Pensò a quella luce come a una carezza gentile.
Uscì, chiudendo piano la porta, per non svegliarla.

Re: Arco di curva

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Ciao @Nightafter,
un racconto perfetto per la malinconia di una domenica sera, il tuo. Non ho grandi appunti da fare al contenuto: triste, umano, giusto. Forse lei è un po' assente, ma direi che è normale, è lui il protagonista, lui che ha scelto su quale ultima scena lasciare il palcoscenico, lei fa parte della scenografia, è un accessorio.

Mi soffermerò dunque sulla forma, in particolare una notevole quantità di virgole tra soggetto e predicato verbale o tra verbo e complemento oggetto, poi su obiezioni meno oggettive, ma che secondo me sono sensate :)
Lui sedeva ai piedi del letto, le lenzuola sparse a giacere sul pavimento:
"a giacere" non aggiunge nulla alla comprensione e appesantisce l'immagine, secondo me.
due cuscini sotto la nuca, la testa rivolta alla finestra i pensieri altrove,
credi ci voglia qualcosa a separare "finestra" e "i pensieri": una e, o una virgola
La luce del mezzo pomeriggio di inizio ottobre, scemava lenta
prima virgola da eliminare: la luce eccetera è il soggetto di scemava, la virgola non ci deve stare
Fuori l'autunno incendiava di rosso, le foglie
qui sono le foglie a essere il complemento oggetto di "incendiava": via la virgola
senza sorprese ne magia.
qui ci va il né con l'accento
Avrebbe conservato anche la memoria del suo profumo, che aveva colorato l'aria di quella stanza, il calore del suo corpo e del sesso fatto
forse sono noiosa io, ma anche qui come il "a giacere" dell'inizio, quel "fatto" mi sembra superfluo e ridondante: è chiaro che è il calore del sesso che hanno fatto, non serve l'aggettivo a chiarirlo
Tra le sue dita, la lingua contorta e avvizzita della cenere, aveva raggiunto il filtro,
anche qui c'è una virgola tra il soggetto "la lingua eccetera" e "aveva"
il verde acido del tendaggio, strideva col rosa antico delle pareti.
ancora una virgola abusiva tra il soggetto e il verbo ;)
In gusto ordinario
refuso: in invece di il
negligenti nel servizio di camera e disponibili nell'omettere la richiesta di documenti alla clientela di passaggio.
Coppie anonime, che giungevano separate, con due macchine diverse, occultate nel parcheggio che le piante coprivano alla vista della strada: amanti restii a lasciare traccia del loro passaggio sulle pagine di un registro d'albergo.
ho sempre sentito "servizio in camera" ma forse è una lacuna mia. Ometterei "alla clientela di passaggio" perché tanto è chiaro a chi non chiedano i documenti, e così eviti la ripetizione, visto che c'è di nuovo "passaggio" due righe dopo.
Un fremito, come un brivido di freddo lo scosse: la cenere si staccò dalla cicca e lieve come zucchero a velo, si sparse
qui due virgole di troppo o due virgole mancanti: come hai scritto tu le virgole stanno tra soggetti e predicati (fremito-scosse; cenere-si sparse), se invece ne aggiungi una dopo "freddo" e una prima di "lieve" chiudi le due similitudini in due incisi e la sintassi è salva :)
respiro a fondo
refuso: manca l'accento
da li al mare
refuso: manca l'accento
già sapeva di salmastro marino.
ma è necessario l'aggettivo? quale altro salmastro potrebbe essere?
L'aria calda turbinava, giocando con i suoi capelli e già sapeva di salmastro marino.
anche qui: manca una virgola dopo "capelli", a chiudere l'inciso
il filo dei ricordi cadeva sul disordine di lenzuola del letto
ho tolto "di lenzuola", ma puoi lasciarle e togliere "del letto" se preferisci: insieme no, perché hai detto all'inizio che le lenzuola sono per terra, quindi non possono anche essere in disordine sul letto. A meno che lui non si sia alzato a raccoglierle, ma non mi sembra dell'umore giusto ;)
Oggi era stata l'ultima volta che avevano fatto l'amore, un addio non detto, ma era nelle cose: dirselo non sarebbe servito.
Le aveva domandato quando avrebbero potuto incontrarsi ancora: lei non aveva risposto, abbassando gli occhi si era guardata intorno, come avesse smarrito qualcosa.
Poi senza guardarlo negli occhi, aveva trovato il fiato e le parole: troppe cose da fare, era un periodo complicato, lo avrebbe cercato lei quando veniva il momento, gli aveva detto.
secondo me questo passaggio potrebbe essere migliorato: ti ho evidenziato le parti che in fondo ripetono lo stesso concetto: non se lo sono detti ma era chiaro che. Potresti asciugare un po', introducendo il concetto una volta sola. Tipo: non hanno avuto bisogno di dirlo: era chiaro nel suo sguardo basso, nel prendere tempo nel "ti cercherò io"... insomma, vedi tu
Non era brava a mentire, gli leggevi la bugia in quel mordersi il labbro inferiore,
Un raggio di sole dava tenui riflessi biondi al castano dei capelli di lei.
Sulla distribuzione dei contenuti, forse non farei la digressione sul fatto che fosse l'ultima volta che s'incontravano proprio nel mezzo del suo ripassarsi la strada perché confonde un po' le idee: siamo nella stanza, lui si perde in un figurarsi la strada in cui ha deciso di morire, fa una parentesi sull'addio non detto, poi torna alla strada, e poi dice del tumore.
Magari potresti iniziare dall'ultima volta che si incontrano, poi pensa che sarà l'ultima volta che percorre quella strada, pensiamo che sia perché non verrà più all'albergo e invece pian piano ci spiega che ha deciso di suicidarsi e perché. Ma è solo la mia opinione, puoi fregartene tranquillamente :)

Molto tenero, e visivo, forse un po' troppe similitudini per i miei gusti, ma è proprio questione di gusti, e sono io a peccare di lirismo :)
Una lettura davvero piacevole (ma mannaggia alle virgole!)
I intend to live forever, or die trying.
(Groucho Marx)

Re: Arco di curva

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@Nightafter il tuo pezzo ha diversi refusi..., ma chi se ne frega. Sono rimasta stregata dalla voce narrante. Mirabili le descrizioni sia della scena nella stanza sia della strada; hai usato in modo magistrale lo spirito di osservazione di chi, solo quando tutto sta per finire, riesce a mettere a fuoco ogni dettaglio. Quel senso di storia finita mi è arrivato con tutta la melanconia possibile. Ho visto immagini e provato sensazioni. Un racconto coinvolgente con un finale amaro, amarissimo. Come può essere solo la fine di una vita. Bravo, bravo, bravo.
Grazie per questo bellissimo racconto.

Re: Arco di curva

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Carissima Adel J. Pellitteri,

ma grazie a te per questo generosissimo giudizio.
Viene voglia di stamparlo e mettermelo in cornice sul muro del soggiorno, affinché tutti quelli che mi vengono a trovare sappiano di quali entusiastici riconoscimenti vengano gratificati i mie scalcinati racconti.
Soprattutto quell'ingrata di mia moglie, che, anche dopo anni, me li snobba brutalmente, sostenendo che Fabio Volo potrebbe mangiare la minestra col piatto sulla mia testa.
Deve cascargli un volume della Treccani su un alluce a quella perfida donna.
Grazie ancora per avermi letto.

Un abbraccio grande, amica mia :)

Re: Arco di curva

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Ciao @Nightafter. Devo dire che è un racconto molto bello, soprattutto nella scelta del linguaggio, che è molto evocativo, suadente.

Mi sono segnato alcune cose.
pensieri, il fumo
Qui sostituirei la virgola con il punto.
le lenzuola sparse a giacere sul pavimento:
A me questo verbo "giacere" piace molto. Dà l'idea che anche le coperte siano stanche, e accentua l'aura sfatta della stanza. Io, piuttosto, toglierei "sparse". Se le coperte sono sul pavimento mi pare ovvio che siano buttate lì, non certo ripiegate. Aggiungo che secondo me dovresti togliere tutti questi due punti. Accennano a un linguaggio tecnico che secondo me stona tantissimo col tono del racconto.
decise che si sarebbe alzato per la doccia, entro dodici minuti.
Io cambierei in "decise che, entro dodici minuti, si sarebbe alzato per la doccia". E, in generale, da come descrivi questo personaggio, non mi sembra uno da contare i minuti in modo così preciso.
Lei distesa, nuda e assorta,
"Lei, distesa nuda e assorta"
stava adagiata mollemente
Forse togliere "mollemente". È una sensazione che già emana da tutta la scena, forse non c'è bisogno di esplicitarla.
avevano consumato la passione e il resto,
Toglierei "il resto", attaccandomi direttamente alla frase successiva. Cos'è questo resto? È qualcosa di importante, un amore reale che va oltre la passione? Allora "il resto" è riduttivo. È qualcosa di scarsa importanza, un quotidianità abituale? Allora non c'è bisogno di citarlo.
Avrebbe conservato anche la memoria del suo profumo, che aveva colorato l'aria di quella stanza, il calore del suo corpo e del sesso fatto lo avrebbero accompagnato, confortando la strada del ritorno.
Questa frase proprio non mi torna. Leverei del tutto il verbo all'inizio, lasciando le sensazioni come ricordi che lo accompagnano.
il filtro, guardò
Qui metterei il punto anziché la virgola.
Coppie anonime, che giungevano separate, con due macchine diverse, occultate nel parcheggio che le piante coprivano alla vista della strada: amanti restii a lasciare traccia del loro passaggio sulle pagine di un registro d'albergo.
In generale una bella descrizione, ma io cambierei in "Con macchine diverse, occultate nel parcheggio da piante che coprivano la vista della strada". In più specificherei di quali piante si tratta, perché secondo me dire di quali piante si tratta aiuta ad ancorare la fantasia del lettore. Che piante stanno nelle piazzole di un parcheggio? Io non sono esperto, ma mi sono immaginato delle palme rachitiche, o delle agavi (credo).
Un fremito, come un brivido di freddo
Sono un po' la stessa cosa, io ne sceglierei una.
La conosceva bene quella strada. Una lingua nera
Io cambierei in "La strada era una lingua nera". Che lui la conosca bene mi sembra una ridondanza inutile.
solcata al centro dalla linea bianca di mezzeria,
Leverei "al centro". Mezzeria è un bel termine, e contenendo "mezz" dice già che è al centro. Inoltre è una cosa che tutti vediamo ogni giorno, sappiamo dove sta.
era come un lungo drappo,
Io direi "era un lungo drappo", via il come.
sul disordine di lenzuola del letto
Ne sceglierei una, o le lenzuola o il letto.
Oggi era stata l'ultima volta che avevano fatto l'amore, un addio non detto,
Leverei "oggi", così a senso mi sembra che non torni. Magari lo cambierei con "quella".
dei capelli di lei.
Quel "di lei" va tolto.
Uscì, chiudendo piano la porta, per non svegliarla.
"Chiudendo piano la porta per non svegliarla".

Scusami per le mille osservazioni, ma credo che un paio di aggiustamenti ne venga fuori davvero un bel testo. In generale ti consiglierei di lascerei fluire più liberamente la scrittura. Un racconto come questo ha bisogno di lasciar correre il linguaggio. Diciamo che, riprendendo anche un commento più su, asciugherei, sì, ma senza esagerare. È un racconto fatto di pensieri, e i pensieri spesso sono confusi e ridondanti. Occhio comunque a non esagerare eh.

Re: Arco di curva

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Ciao Tracker,

mi ha fatto davvero piacere che il racconto ti sia piaciuto, ti ringrazio per il commento ricco di note interessanti e utili,
ne farò tesoro rimettendo mano a questo vecchio racconto, che è lo stesso con cui debuttai alla mia iscrizione in WD, oltre due anni fa.

Sei stato molto puntuale nel segnalarmi i punti deboli della storia, devo dire che mi ha molto colpito l'accenno alle piante del parcheggio nell'alberghetto.
In effetti non mi era mai venuto in mente che la cosa potesse suscitare interrogativi nel lettore: a esempio a te è venuto in mente che si potesse trattare di "palme".
E' interessante poiché questo mi fa pensare che tu viva in un luogo di riviera o del cento-sud italiano, mentre io nello scrivere avevo in mente un piccolo albergo a ore all'interno della collina torinese, infatti il luogo è immerso in una vegetazione con alte siepi, ippocastani e salici piangenti, per cui dalla strada che percorre la collina, risulta occultato alla vista.
Pare un particolare irrilevante, ma giustamente nel raccontare di un luogo, per darne una idea plausibile, vale sempre la pena di aggiungere due parole in più per non creare vuoti di senso alla lettura.

Quindi ti ringrazio moltissimo per tutto e non ultimo per gli apprezzamenti di cui mi gratifichi.
A presto rileggerti e buone cose. Ciao.

Re: Arco di curva

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Pensavo fosse un addio fra amanti.
Credevo che lui si fosse stufato, mi pareva di scoprire che fosse lei a non volere più quella relazione clandestina.
E invece é la storia di un uomo che vuole farla finita prima che la vita finisca lui.

Mi é piaciuto molto, mi ha trasmesso il giusto grado di malinconia, ma soprattutto mi é piaciuto il fatto che sia un racconto privo di giudizio sia rispetto alla storia clandestina che rispetto alla scelta di togliersi la vita.
Tutta l'atmosfera ha una patina polverosa, come una foto vecchia, come se tutto fosse già passato senza ancora essere passato.

Non oso mettermi nei panni della donna che dopo aver dato una mezza risposta verrà a sapere dell'incidente.

Molto bello!

Re: Arco di curva

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Grazie Almissima

Per la lettura e i complimenti.
Direi che hai colto molto bene lo spirito che ho desiderato infondere alla storia: quello di una estrema stanchezza del vivere, di chi sa di non avere più futuro né motivi per desiderare il presente.
Con gli occhi di chi si è già congedato del mondo, le cose e i ricordi appaiono come una foto virata seppia di cose e momenti già remoti e inutili.

Grazie della lettura e del commento gratificante.

Un abbraccio e felici cose carissima. :)
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