Come un osso spolpato

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Racconto pubblicato qui per il contest di Natale dell’anno scorso.

Come un osso spolpato

Poco prima dell’alba abbiamo sedato il detenuto ancora addormentato, per trasferirlo in sala operatoria. Una craniotomia ha permesso ai medici di esporre il cervello e procedere con la rimozione del Dispositivo Relazionale. Ho personalmente assistito a tutte le fasi dell’intervento e memorizzato i dettagli degni di nota. Dopo essermi assicurato che tutto si fosse svolto senza intoppi, mi sono affrettato a lasciare il luogo prima del risveglio del soggetto.

Delio si svegliò in una stanza grigia, circondato da uomini vestiti di grigio.
«Bene, è pronto per tornare a casa» esordì il più anziano, servendosi di numerose contrazioni dei muscoli facciali. Le labbra si erano separate e ricongiunte più volte, disegnando sul volto smorfie fugaci e sempre nuove. Per la prima volta in oltre vent’anni, Delio aveva visto e sentito qualcuno parlare con la propria voce, non attraverso il Dispositivo Relazionale. D’istinto portò la mano alla tempia e massaggiò il cranio rasato di fresco. Me lo hanno strappato via, pensò, non sono più collegato al DR.
Cercava ancora di riordinare i pensieri quando in due lo presero sotto braccio per aiutarlo a scendere dal letto. Evidentemente avevano fretta di liberarsi di lui. Sostenuto dai due uomini, uscì dalla stanza per imboccare un corridoio dello stesso grigio. Non aveva mai visto un luogo così vuoto, privo di banner pubblicitari alle pareti e binari guida sul pavimento. Solo ora prendeva davvero coscienza del fatto che l’intero stato era coperto di ologrammi. Disconnesso dal DR, il suo occhio percepiva solo lo scheletro nudo che era il mondo materiale. Il pensiero si sciolse in una vertigine e Delio perse l’equilibrio.
«Non svenga, su!»
Era di nuovo la voce dell’anziano. La pronuncia imprecisa e le continue variazioni di tono tradivano la disabitudine a sfruttare l’apparato fonatorio. Gli altri che lo accompagnavano restavano muti, probabilmente perché privi delle stesse abilità. Erano forse medici o agenti di polizia. Rimossi dagli indumenti le tinte e le fogge olografiche, non restava che la stessa tuta grigio chiaro indossata da ogni cittadino.
Dopo averlo condotto fino all’uscita, gli fecero cenno di proseguire per la sua strada. Delio guardò in faccia l’anziano e pensò una dozzina di domande, ma pensarle non era più abbastanza. Non si decise a schiudere le labbra e aspettò in silenzio che gli uomini in grigio rientrassero senza di lui. Quell’edificio poteva essere l’ospedale o forse una struttura della prigione stessa. Quel che vedeva era solo un parallelepipedo alto e incolore. Si guardò intorno: sulla strada si affacciavano monoliti di diverse dimensioni, ma tutti spogli e grigi allo stesso modo. Viveva in quella città da tutta la vita, ma ora non avrebbe distinto il bar in cui era diventato un assassino dal tribunale che lo aveva condannato.

Ho seguito il soggetto dal momento in cui l’ho visto uscire dall’ospedale. Sembrava smarrito, non sapeva scegliere la direzione da prendere. Ha girato a vuoto per circa mezz’ora. Gli sono stato dietro tenendo sempre una distanza più che prudente, ma senza il Dispositivo Relazionale non avrebbe comunque potuto visualizzare l’uniforme e identificarmi. Spesso si è fermato fissando un punto nel vuoto, come cercasse di consultare una mappa virtuale. È passato tre volte davanti casa sua senza riconoscerla, finché non ha incontrato un vicino che ha quindi seguito fino al civico giusto.

Delio avvicinò l’occhio allo spioncino per mettere in funzione la serratura. Per fortuna il portone era di quelli che ancora si aprivano con la scansione dell’iride. Aveva discusso con Anna la possibilità di sostituirlo con un modello collegato al loro DR, ma non si erano mai decisi ad affrontare la spesa.
Entrò in casa e, tradito dall’abitudine, tentò di avvisare la moglie inviandole un breve trillo, prima di ricordarsi di non esserne più capace. E nessun binario luminoso lo avrebbe condotto nella stanza giusta.
Cercò Anna in salotto e in cucina, ma quando non la trovò neanche in camera si disse che doveva essere uscita. Sedette sul bordo del letto, con la faccia tra le mani. Non aveva avuto il coraggio di soffermarsi a osservare ogni stanza, ma rapide occhiate erano bastate a farlo sentire un estraneo. Non sembrava casa sua senza le piante olografiche a ravvivare il salotto né il canto artificiale degli uccelli in cucina. E le pareti, i tappeti, le tende, il divano: senza i filtri applicati dal DR tutto era grigio pallido come un osso spolpato.
Scattò in piedi per lo spavento quando sentì il rumore dello scarico. Anna uscì dal bagno e, trovandosi davanti il marito, riuscì solo a boccheggiare e strabuzzare gli occhi. Poi sorrise e gli saltò addosso con le guance già bagnate. Si fissarono a lungo e Delio capì che Anna cercava di comunicare con lui. Di certo gli stava chiedendo come mai lo avessero rilasciato; gli avevano dato vent’anni e invece eccolo qua, a casa con lei, appena un mese dopo aver ucciso a pugni un ubriacone.
Delio aprì la bocca ed emise un latrato che non somigliava affatto all’attacco del discorso che aveva preparato tornando a casa. Allora mostrò ad Anna la cucitura sul cranio calvo e lei capì subito di aver perso per sempre la connessione telepatica con il marito. Si ritrasse come graffiata dalla scoperta, e quando lui tornò a far vibrare le corde vocali per storpiare il suo nome, scosse la testa rifugiandosi in un angolo della stanza, con i palmi ben pressati sulle orecchie. Delio decise di non insistere. Sedette ancora sul letto e guardò davanti a sé: sul comò ornamentale, una cornice in stile antico ospitava un rettangolo grigio al posto della foto del loro matrimonio.

Questa mattina la moglie del soggetto è uscita con il volto arrossato e una borsa da viaggio, dirigendosi a est. Non l’ho seguita per non perdere d’occhio il soggetto, ma suppongo si sia trasferita dalla sorella. Qualche ora più tardi è uscito anche lui, diretto a ovest.

Non trovava la piazza delle scale. Da quel punto sarebbe riuscito a raggiungere la stazione anche senza i binari guida di cui si serviva da tutta la vita. Ma ad ogni nuovo incrocio sceglieva con meno decisione e ormai era certo di non essere sulla strada giusta. Cercava suggerimenti nelle proporzioni degli edifici, ma proprio non riusciva a orientarsi. Gli sembrava di vagare tra lapidi immense di un cimitero senza fiori. Guardava la gente in grigio filare sicura e infilarsi negli anonimi parallelepipedi. Non avrebbe chiesto indicazioni: era una cosa che non si faceva da decenni, ma soprattutto sapeva che non sarebbe riuscito a farsi capire. E loro come avrebbero potuto aiutarlo? Le sfumature cangianti del municipio, il sole rotante sopra il casinò Solstizio, le statue animate al centro delle piazze: la maggior parte dei punti di riferimento era a lui invisibile.
Vagabondava ormai da ore nell’ossario che era stata la sua città, prima che un pugno di troppo in una rissa strappasse via tutta la carne che teneva in piedi la sua vita. Non poteva restare. Il treno lo avrebbe portato oltre il confine nazionale, dove i mobili erano ancora pieni di vestiti. In quelle terre più primitive avrebbe imparato a usare la voce per bisbigliare, come si addice a un latitante, e se mai Anna si fosse convinta a raggiungerlo, lui avrebbe saputo chiamare il suo nome senza spaventarla.
Svoltò ancora e ancora. Ormai si infilava tra quelle vertebre sparse senza pensare. Si fermò solo quando, spuntato da un vicolo stretto, non trovò alla sua destra la scalinata della piazza che cercava.

Il soggetto ha raggiunto la stazione prima del tramonto. Ho subito avvertito la sicurezza affinché evitassero di fermarlo. È quindi partito con un treno che lo porterà oltre il confine. Reputo positivi i risultati dell’esperimento: in seguito all’estrazione del Dispositivo Relazionale, il senso di estraneità e isolamento può condurre i criminali a lasciare di propria volontà il territorio sotto la nostra giurisdizione. Applicata su larga scala, la pena abbatterrebbe i costi del sistema penitenziario.
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