Per scaldare il motore

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Dal Writer's Dream
[MI 124] Traccia di mezzanotte: la strada

Per scaldare il motore

Anni 90


La signora Palmira, vedova di un capitano di lungo corso, quella mattina si era dedicata a dipingere, con quattro tubetti a tempera, un girasole, due margheritine e un papavero, per mimetizzare tre schegge nelle piastrelle della cucina. L’arte applicata al bricolage domestico. Un’emanazione della gentilezza che copre i difetti. Analogamente, la settimana prima aveva nascosto la vecchia crepa della parete in salotto con un bell’arcobaleno: soltanto di quattro colori ma efficace il giusto.
Il figlio Giorgio, che viveva con lei, quel giorno a mezzogiorno aveva messo l’acqua sul fuoco per gli spaghetti, in attesa della madre, ma era stato chiamato al portone da un conoscente che chiedeva un’informazione. Aveva lasciato un biglietto, “no sale in acqua” ed era sceso per accompagnare il tizio a destinazione. Una volta tornato, la madre aveva servito gli spaghetti, scipiti.
La signora Palmira aveva deplorato la mentalità maschile che trasponeva “no sale in acqua” o “sì sale in acqua” volendo dire, nell’ordine, “mettilo tu” e “l’ho già messo io”.
Una donna avrebbe scritto “acqua già salata” o “acqua da salare”.
“Tu non puoi ordinarmi di non mettere il sale e poi spiegarmi che volevi dire di metterlo!”
Il figlio: “Ma potevi assaggiarli! E poi io non avevo mica messo il punto esclamativo!”
Occhi levati al cielo e scuotimento di teste, ma null’altro, fra il tonno e i fagiolini: aveva prevalso la comprensione e la tolleranza, come sempre.
Quel pomeriggio, la signora Palmira aveva giocato a carte con le tre vicine di pianerottolo (il torneo mensile di burraco del terzo piano) mentre Giorgio, visto il tempo brutto, da ghiaccio sulla strada, non era andato al solito bar a giocare a biliardo con gli amici, ma aveva guardato il calcio alla televisione.
Le quattro donne, in passato e per anni, avevano mantenuto cortesi ma formali rapporti di vicinato, finché un Giorgio ragazzino, scambiando un sabato sera gli zerbini davanti ai loro usci, le aveva costrette a parlarsi di qualcosa di diverso dal tempo e, col farle ridere del suo scherzo, le aveva avvicinate, sino a farle diventare amiche.

Adesso è sera.
Palmira rigoverna in cucina e dice: “Sai, Giorgio, l’amministratore ci ha dato ragione con la Clelia. Sul regolamento del condominio è stabilito che non si possono fare immissioni moleste a danno del vicinato, per cui siamo tranquilli, e lei se ne farà una ragione, Però… è anziana, non ci sta tanto con la testa, prima o poi dovresti scusarti…”
“Sì, mamma.”
La faccenda riguardava l’uso bisettimanale della signora Clelia, del quarto piano, di stendere le lenzuola per il lungo, oscurando in tal modo la luce diurna e la visuale a Giorgio ed alla mamma, giù al terzo piano.
Erano state inutili le gentili proteste della signora Palmira al riguardo, finché un giorno Giorgio si era soffiato il naso nel lembo estremo del lenzuolo, e il fastidio era finito, ma la Clelia non li salutava più.

La domenica sera, come d’abitudine, non guardano la televisione. Entrambi apprezzano la qualità del tempo passato a chiacchierare insieme o il piacere di un libro che Giorgio legge ad alta voce mentre lei cuce.
Se il figlio, vent’anni prima, aveva sperato di trovare una donna in gamba e piena di spirito come la madre, ora sapeva trattarsi di un’impresa quasi impossibile. Inoltre, era basso, esile e bruttino, con la voce in falsetto, e da ragazzo era stato canzonato d’abitudine. La sua fortuna era di possedere un buon carattere e di essere ottimista per natura, di animo buono, semplice, nonché di non avere colleghi sul lavoro.
Palmira termina di rammendare una gonna.
“Vado a dormire, ricordati di scaldare il motore alla macchina, un giro di almeno un quarto d’ora, son due giorni che non la usi e potresti avere problemi domani con l’accensione… È il tuo primo giorno con le nuove mansioni, sarebbe brutto arrivassi in ritardo… buonanotte caro…”
La signora Palmira è fiera del figlio, promosso capo-servizio dopo quindici anni di lavoro nella Ditta di contabilità Rossi & Figlio, ma solo perché quest’ultimo si era preso un anno sabbatico per andare in Australia da un amico allevatore e Giorgio aveva accettato il carico doppio di lavoro per poche lire in più.
Giorgio indossa il pigiama di lana coi bruchi (non buchi, bruchi) e i calzerotti di lana. Mentre si lava i denti, gli sovviene della macchina fredda. “Accidenti!” dice, mordendosi la lingua. Non ha voglia di cambiarsi. Come fare? È quasi mezzanotte, ha fatto tardi a guardare una delle cassette di Stanlio e Ollio che da sempre lo rilassano, e ne ha avuto bisogno in vista dell’importante prova sul lavoro l’indomani.
Idea! Dalla scarpiera recupera gli zoccoli della madre, dall’attaccapanni la pelliccia rosa di lei, più calda del suo loden, il di lei basco in tinta e, così bardato, raggiunge il portone. Nessuno lo vedrà.

La sua vecchia Fiat “tramonto” (così ne definisce il colore la madre) è posteggiata proprio lì davanti.
Di originario colore arancione, questo si è via via sbiadito e adesso è segnata di striscio da “righe d’espressione” sulle fiancate anteriori; questi segni sono stati mimetizzati dall’arte di Palmira, coi contorni di due nuvole sghembe sulle portiere anteriori del guidatore e del passeggero, così fungendo egregiamente da segnaposto per gli strambi occupanti.
In quel mentre arriva un taxi, attrezzato con le catene, e accosta al marciapiede poco più in là. Ne scende il signor Zeni, l’inquilino del sesto piano, di ritorno con la moglie da un viaggio in Cina, con in mano una valigia e un piccolo bagaglio coi souvenir, tra cui un vaso Ming debitamente autenticato, che aveva tenuto in braccio per tutto il viaggio aereo, e che, chissà come, aveva superato le dogane senza problemi.
Si accorge del vicino. Dalla sorpresa, apre le mani e i bagagli cadono al suolo, il più piccolo con un rumore sospetto: “Ma allora è vero… speriamo che sia falso” , pensa l’ex preside riferendosi alla fattura del vaso Ming e alle stupide chiacchiere di vicinato su Giorgio, e non necessariamente in quest’ordine…
Giorgio non si accorge nemmeno del freddo, si affretta a salire in macchina senza salutare, ancorché impedito dagli zoccoli, sperando utopisticamente di non essere stato riconosciuto, senza pensare che la sua auto lo identifica chiaramente.
(“E che c^^zo… la sfiga… ma non era a Shanghai, a milioni di chilometri fino a ieri e doveva trovarsi qui, alle ventitré e cinquantadue, contemporaneamente a me, puntuale come la morte?! C^^zo-mi^^hia-sfiga…”)
Grato per i finestrini appannati, finge comunque di parlare concitatamente al cellulare (che non ha), girato verso la strada, per non incrociare gli occhi dei vicini che di certo stanno entrando nel portone a lato, mentre si sforza di far partire il motore e di accendere il riscaldamento, e ci mette un bel po’.
Dopo il nevischio dei giorni precedenti, la temperatura in giornata è scesa di parecchi gradi e sull’asfalto si è formato uno strato di ghiaccio. Il sale sarebbe stato sparso all’alba del giorno dopo.
“No sale sulla strada” si dice lui amaro, tra il sarcastico e lo stizzito…
Mette la freccia, con l’intenzione di portare l’auto a fare il giro di tre isolati per scaldare il motore.
La carreggiata scende con un leggero dislivello, ma da subito, anche se in prima, si trova in difficoltà a mantenere l’auto sotto controllo. Fortuna che non c’è traffico. Frena, un po’ impedito dagli zoccoli, ma è peggio, slitta e acquista velocità. Spaventato, sterza bruscamente a sinistra, finendo in un vialetto in discesa dove la velocità raddoppia, infine divelle una recinzione fragile di legno e la sua corsa, fortunatamente non mortale, finisce contro un albero del giardino della peggior ciarliera e pettegola del paese e del di lei marito, finto sordo per legittima difesa.

Questo il racconto della giornata pre-carriera di Giorgio, e del suo termine di gran carriera, lungo una stradina, culminato con lui, fasciato di rosa, tra le nuvole materne della sua sfasciata Fiat tramonto.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: Per scaldare il motore

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Ciao @Poeta Zaza  ,
il tuo racconto mi ha avvolto con il suo tono garbato, come quello di una brava persona che ti racconta quello che le é capitato nascondendo le rasate con la mano. Un garbo d'altri tempi.
Secondo me dovresti fare attenzione a non cadere, qua e là, il forme espressive, come dire..., da verbale di polizia, forme eccessivamente curate. Mi rendo conto che é difficile perché hai scelto uno stile che fa della misura (nel senso di equilibrio) la propria cifra, quindi cercherò di farmi capire meglio.

Poeta Zaza ha scritto: finché un Giorgio ragazzino
Secondo me é aggrovigliato, interrompe la piacevolezza della lettura.

Poeta Zaza ha scritto: da ragazzo era stato canzonato d’abitudine
Non mi convince, semplificherei con "veniva spesso preso in giro" o qualcosa di simile.

Poeta Zaza ha scritto: Giorgio indossa il pigiama di lana coi bruchi (non buchi, bruchi)
Qui mi ha fatto ridere perché giuro di aver letto "buchi", la prima volta. In effetti il tuo stile invita ad una lettura lenta e il fatto che tu ne sia consapevole e vada incontro al lettore con questa piccola cortesia mi é piaciuto.
Poeta Zaza ha scritto: e doveva trovarsi qui, alle ventitré e cinquantadue, contemporaneamente a me, puntuale come la morte?! C^^zo-mi^^hia-sfiga…”
Inutile allungare la battuta, mi fermerei al primo punto.

Poeta Zaza ha scritto: e del di lei marito
Ecco cosa intendevo con "espressioni da verbale di polizia". Semplificherei perché il tono generale del racconto é già leggero, non rincarerei la dose cercando ulteriore umorismo giocando con il linguaggio giuridico (Brrr! Non mi ci far pensare...), tanto più che la forza di questo racconto sta nella sua immediatezza, come il racconto di qualcuno che ti conosce da tempo ma con cui non sei proprio amico.


A rileggerti!

RC

Re: Per scaldare il motore

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RicMan ha scritto: Ciao @Poeta Zaza  ,
il tuo racconto mi ha avvolto con il suo tono garbato, come quello di una brava persona che ti racconta quello che le é capitato nascondendo le rasate con la mano. Un garbo d'altri tempi.
Secondo me dovresti fare attenzione a non cadere, qua e là, il forme espressive, come dire..., da verbale di polizia, forme eccessivamente curate. Mi rendo conto che é difficile perché hai scelto uno stile che fa della misura (nel senso di equilibrio) la propria cifra, quindi cercherò di farmi capire meglio.
Hai proprio ragione, e ti ringrazio di avermi fatto notare questa cosa!
RicMan ha scritto: Ecco cosa intendevo con "espressioni da verbale di polizia". Semplificherei perché il tono generale del racconto é già leggero, non rincarerei la dose cercando ulteriore umorismo giocando con il linguaggio giuridico (Brrr! Non mi ci far pensare...), tanto più che la forza di questo racconto sta nella sua immediatezza, come il racconto di qualcuno che ti conosce da tempo ma con cui non sei proprio amico.
Davvero ho scritto: "il di lei marito"?  :o
Ti dirò, a mia parziale scusante, che questo racconto è uno dei primi che ho scritto sul vecchio forum, e dovevo ancora imparare tante cose dagli altri amici di penna. 

Avevo un modo di scrivere "desueto", a tratti "aulico" che ad oggi spero di avere cambiato.
Usavo anche tante forme passive verbali, come questa che mi hai segnalato tu:
"da ragazzo era stato canzonato". Che non si fa. :no:

Sono lieta di conoscerti e grata del bel commento, @RicMan :)
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


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