[Caronte] Le ombre nere danzano sul muro
Posted: Sun Jan 31, 2021 11:57 am
Il racconto traghettato: Le scarpette rosse
commento
Le ombre nere sul muro. Abbracciata alle gambe, la testa inclinata da un lato, Angela segue i contorni di quello che ai suoi occhi appare come la figura di un bambino. Ecco il nasino, la bocca, il ciuffetto ribelle sulla fronte. D'istinto vorrebbe accarezzarlo, ma dopo qualche fugace avvicinamento, la mano batte in ritirata e si ricongiunge con l'altra, chiudendo il cerchio intorno alle ginocchia. Angela sospira.
L'ennesima notte insonne. Per quelli come lei, che hanno il gelo nelle vene al posto di sangue, la pace è soltanto un miraggio lontano. Angela appoggia il mento sul ginocchio e come se da un momento all'altro dovesse apparire un messaggio importante fissa lo sguardo sul muro. Sospinta dal vento, la tapparella sbatte contro la finestra. Il rumore scuote Angela. Le ombre nere danzano ancora.
«Mi parli di Stefano.»
«Non c'è molto da dire.»
«Non è quello che lui sostiene. L'ha definita suo grande amore.»
La bocca di Angela trema, prima di incurvarsi in una smorfia appena accennata. Dopo un lungo silenzio, durante il quale il suo volto passa da un'espressione disgustata a una dai tratti più morbidi, Angela incrocia le braccia e si sporge in avanti. Ora il suo viso è all'altezza di quello della donna e sono così vicine che basterebbe un sussurro per comunicare. Nonostante un leggero tremolio nella voce, l'incertezza di Angela si trasforma presto in una sfida.
«Se sa già tutto, possiamo pure finirla qui.»
In fondo non sa nemmeno cosa ci faccia un'altra volta in quella stanza priva di colori e vita. Se non l'avessero costretta, non sarebbe mai venuta di sua spontanea volontà. E poi chi la conosce quella? È soltanto un'estranea e non può pretendere che le confidi i fatti personali come se fossero amiche di lunga data. Al pensiero di ribellarsi, Angela rilassa le spalle e sorride. La dottoressa, intanto, scarabocchia qualcosa nel suo quaderno.
«Prima o poi dovremo affrontare l'argomento» dice con fermezza.
«Forse — Angela abbassa lo sguardo —, ma non oggi.»
«Angela, la prego, mi guardi. Ne abbiamo già parlato. È un peso troppo grande per una donna come lei.»
«Una donna come me…una pazza, quindi? Gliel'ho detto, dottoressa, non c'è nulla da raccontare.»
«Un matrimonio in crisi e una paternità mancata non è proprio nulla.»
Questa volta Angela non ce la fa a trattenersi. Scatta in piedi rovesciando all'indietro la sedia. Soffocata a lungo nel petto, la sua voce si leva furiosa.
«Una paternità mancata? È stato un tentato omicidio, dottoressa. Un omicidio! Sa almeno cosa vuol dire? Quell'uomo mi ha tolto tutto, tutto!»
Ai piedi nudi di Angela, un quaderno a righe aperto alla prima pagina su cui è appoggiata una penna stilografica. Nell'angolo destro, annotata con una calligrafia nitida, svetta orgogliosa la data odierna; nessun pensiero, nessuna emozione che vale la pena di ricordare. Secondo la dottoressa è il primo passo verso la guarigione, il resto verrà col tempo. Per quanto quella donna ne sia convinta, si vede che non conosce i fantasmi di Angela, la loro caparbietà e il potere che esercitano sulla sua psiche.
Può urlare, strappare i capelli uno a uno, fare finta che non sia successo, ma non si libererà mai della loro presenza e, forse, non lo vuole nemmeno. Sono i fantasmi a nutrire la sua anima e ad alimentare la memoria. Se scomparissero del tutto, porterebbero con sé i ricordi e senza di quelli, Angela non sarebbe più la stessa. Anche se non riesce ancora ad avvicinare la mano e ad accarezzare il visino paffuto, non è pronta a rinunciare a lui. Almeno può scrivergli. Non è, forse, quello che la dottoressa si aspetta da lei?
Avevo sempre pensato che saresti arrivato in un giorno di pioggia, forse in primavera o in autunno. Quando piove sono triste e a volte pure irascibile, il tuo arrivo mi avrebbe regalato una gioia immensa. In attesa di tenerti tra le braccia, nell'intimità della nostra stanza, immaginavo i tuoi piedini, le manine, la bocca piccola, piccola, e due occhioni curiosi e scuri. Avevo scelto già il nome, i vestitini, i giocattoli. Era tutto...
Angela si ferma e lascia cadere la stilografica dietro a un sospiro. Non può farlo. Non è ancora pronta per tornare così indietro nel tempo. Una volta scrivere era un semplice gioco da ragazzi; oggi è una tortura. Gliel'aveva detto, ma quella donna era sorda alle suppliche e ora per colpa sua si trova con un taccuino in mano che deve per forza riempire. Avrebbe altre storie da raccontare, più semplici e allegri, di quando la sua vita aveva almeno un senso, ma nessuna ha per protagonista il bambino ed è di lui che la dottoressa vuole sapere. Potrebbe provare a essere evasiva, oppure cambiare il destinatario.
Angela strappa il foglio e lo accartoccia, prima di scaraventarlo per terra e rendersi conto che è stata una pessima idea. Aveva giurato a sé stessa che si sarebbe dimenticata di Bastardo. Meno lo nomina, più si sente al sicuro. Non si fida. Come potrebbe? L'aveva dipinta come una donna instabile che aveva orchestrato tutto per incastrare un uomo per bene, un marito affettuoso, un futuro padre di famiglia. Angela sorride, il sapore amaro in bocca. La voce ovattata della dottoressa irrompe da un angolo remoto della testa, superando ogni barriera.
«Dice che è stato un tentato omicidio. Si spieghi meglio.»
«Lui non la voleva. Non la voleva, capisce?»
«Non voleva chi?»
«Serena. Non la voleva. Fosse dipeso da lui, non sarebbe mai nata.»
«Mi parli di lei.»
La bocca di Angela si allarga in un sorriso.
«Di Serena?
La dottoressa annuisce.
«L'avevo sognata dapprima che ci sposassimo e non appena avevo scoperto di essere incinta, nonostante tutto, mi sono messa subito a preparare la sua stanzetta. L'avevo dipinta io stessa in rosa e le avevo anche fatto le scarpette di lana, così non prendeva freddo. Avrebbe dovuto nascere a gennaio, come il padre.»
Al rimarcare la parola padre, la voce di Angela s'indurisce.
«Suo marito era felice?»
Non volevi diventare madre? Allora perché stai frignando ora? Il ricordo di quella sera di maggio arriva ad Ange la in uno schiaffo. È talmente forte da scuoterla come se qualcuno le mettesse le mani addosso in quel momento. Non ha il coraggio di rispondere con sincerità alla domanda. Se lo facesse, se le parlasse della violenza subita e di tutte le umiliazioni a cui Bastardo l'aveva sottoposta da quella sera in poi, la verità uscirebbe subito allo scoperto e non se la sente ancora di raccontare dei dettagli così intimi a una sconosciuta.
«Credo di sì» dice con poca convinzione.
«Crede o ne è certa?»
Angela fa spallucce. Come se facesse alcuna differenza.
«E poi cos'è successo?»
«Abbiamo scoperto che non era una femminuccia, ma un maschietto.»
«Suo marito era al settimo cielo, immagino.»
Il labbro di Angela trema. Si porta una mano sulla bocca e abbassa la testa.
«Angela, le ho fatto una domanda. Come aveva reagito suo marito in quella occasione?»
Angela non risponde. La dottoressa scarabocchia qualcosa nel suo quaderno.
La ombre nere sul muro. Abbracciata alle gambe, la testa inclinata da un lato, Angela segue con lo sguardo quelli che per lei sono i contorni di un volto infantile. Allunga una mano per accarezzarlo, ma non appena le dita sono così vicine da toccare quasi una guancia, la ritrae subito e se la passa nei capelli. Un altro tentativo miseramente fallito. Angela sospira.
A metà mattinata, in ginocchio davanti all'armadio, Angela fruga nei cassetti con foga finché non trova un involucro di seta. Gli angoli della sua bocca si allargano in un sorriso trionfante mentre ne svela lentamente il contenuto. Per fortuna la lana è ancora morbida al tocco e profuma di detersivo. Angela accosta le scarpette rosse alle labbra e le bacia come se fossero i piedini del suo bebè. Le ombre nere danzano ancora.
commento
Le ombre nere sul muro. Abbracciata alle gambe, la testa inclinata da un lato, Angela segue i contorni di quello che ai suoi occhi appare come la figura di un bambino. Ecco il nasino, la bocca, il ciuffetto ribelle sulla fronte. D'istinto vorrebbe accarezzarlo, ma dopo qualche fugace avvicinamento, la mano batte in ritirata e si ricongiunge con l'altra, chiudendo il cerchio intorno alle ginocchia. Angela sospira.
L'ennesima notte insonne. Per quelli come lei, che hanno il gelo nelle vene al posto di sangue, la pace è soltanto un miraggio lontano. Angela appoggia il mento sul ginocchio e come se da un momento all'altro dovesse apparire un messaggio importante fissa lo sguardo sul muro. Sospinta dal vento, la tapparella sbatte contro la finestra. Il rumore scuote Angela. Le ombre nere danzano ancora.
«Mi parli di Stefano.»
«Non c'è molto da dire.»
«Non è quello che lui sostiene. L'ha definita suo grande amore.»
La bocca di Angela trema, prima di incurvarsi in una smorfia appena accennata. Dopo un lungo silenzio, durante il quale il suo volto passa da un'espressione disgustata a una dai tratti più morbidi, Angela incrocia le braccia e si sporge in avanti. Ora il suo viso è all'altezza di quello della donna e sono così vicine che basterebbe un sussurro per comunicare. Nonostante un leggero tremolio nella voce, l'incertezza di Angela si trasforma presto in una sfida.
«Se sa già tutto, possiamo pure finirla qui.»
In fondo non sa nemmeno cosa ci faccia un'altra volta in quella stanza priva di colori e vita. Se non l'avessero costretta, non sarebbe mai venuta di sua spontanea volontà. E poi chi la conosce quella? È soltanto un'estranea e non può pretendere che le confidi i fatti personali come se fossero amiche di lunga data. Al pensiero di ribellarsi, Angela rilassa le spalle e sorride. La dottoressa, intanto, scarabocchia qualcosa nel suo quaderno.
«Prima o poi dovremo affrontare l'argomento» dice con fermezza.
«Forse — Angela abbassa lo sguardo —, ma non oggi.»
«Angela, la prego, mi guardi. Ne abbiamo già parlato. È un peso troppo grande per una donna come lei.»
«Una donna come me…una pazza, quindi? Gliel'ho detto, dottoressa, non c'è nulla da raccontare.»
«Un matrimonio in crisi e una paternità mancata non è proprio nulla.»
Questa volta Angela non ce la fa a trattenersi. Scatta in piedi rovesciando all'indietro la sedia. Soffocata a lungo nel petto, la sua voce si leva furiosa.
«Una paternità mancata? È stato un tentato omicidio, dottoressa. Un omicidio! Sa almeno cosa vuol dire? Quell'uomo mi ha tolto tutto, tutto!»
Ai piedi nudi di Angela, un quaderno a righe aperto alla prima pagina su cui è appoggiata una penna stilografica. Nell'angolo destro, annotata con una calligrafia nitida, svetta orgogliosa la data odierna; nessun pensiero, nessuna emozione che vale la pena di ricordare. Secondo la dottoressa è il primo passo verso la guarigione, il resto verrà col tempo. Per quanto quella donna ne sia convinta, si vede che non conosce i fantasmi di Angela, la loro caparbietà e il potere che esercitano sulla sua psiche.
Può urlare, strappare i capelli uno a uno, fare finta che non sia successo, ma non si libererà mai della loro presenza e, forse, non lo vuole nemmeno. Sono i fantasmi a nutrire la sua anima e ad alimentare la memoria. Se scomparissero del tutto, porterebbero con sé i ricordi e senza di quelli, Angela non sarebbe più la stessa. Anche se non riesce ancora ad avvicinare la mano e ad accarezzare il visino paffuto, non è pronta a rinunciare a lui. Almeno può scrivergli. Non è, forse, quello che la dottoressa si aspetta da lei?
Avevo sempre pensato che saresti arrivato in un giorno di pioggia, forse in primavera o in autunno. Quando piove sono triste e a volte pure irascibile, il tuo arrivo mi avrebbe regalato una gioia immensa. In attesa di tenerti tra le braccia, nell'intimità della nostra stanza, immaginavo i tuoi piedini, le manine, la bocca piccola, piccola, e due occhioni curiosi e scuri. Avevo scelto già il nome, i vestitini, i giocattoli. Era tutto...
Angela si ferma e lascia cadere la stilografica dietro a un sospiro. Non può farlo. Non è ancora pronta per tornare così indietro nel tempo. Una volta scrivere era un semplice gioco da ragazzi; oggi è una tortura. Gliel'aveva detto, ma quella donna era sorda alle suppliche e ora per colpa sua si trova con un taccuino in mano che deve per forza riempire. Avrebbe altre storie da raccontare, più semplici e allegri, di quando la sua vita aveva almeno un senso, ma nessuna ha per protagonista il bambino ed è di lui che la dottoressa vuole sapere. Potrebbe provare a essere evasiva, oppure cambiare il destinatario.
Angela strappa il foglio e lo accartoccia, prima di scaraventarlo per terra e rendersi conto che è stata una pessima idea. Aveva giurato a sé stessa che si sarebbe dimenticata di Bastardo. Meno lo nomina, più si sente al sicuro. Non si fida. Come potrebbe? L'aveva dipinta come una donna instabile che aveva orchestrato tutto per incastrare un uomo per bene, un marito affettuoso, un futuro padre di famiglia. Angela sorride, il sapore amaro in bocca. La voce ovattata della dottoressa irrompe da un angolo remoto della testa, superando ogni barriera.
«Dice che è stato un tentato omicidio. Si spieghi meglio.»
«Lui non la voleva. Non la voleva, capisce?»
«Non voleva chi?»
«Serena. Non la voleva. Fosse dipeso da lui, non sarebbe mai nata.»
«Mi parli di lei.»
La bocca di Angela si allarga in un sorriso.
«Di Serena?
La dottoressa annuisce.
«L'avevo sognata dapprima che ci sposassimo e non appena avevo scoperto di essere incinta, nonostante tutto, mi sono messa subito a preparare la sua stanzetta. L'avevo dipinta io stessa in rosa e le avevo anche fatto le scarpette di lana, così non prendeva freddo. Avrebbe dovuto nascere a gennaio, come il padre.»
Al rimarcare la parola padre, la voce di Angela s'indurisce.
«Suo marito era felice?»
Non volevi diventare madre? Allora perché stai frignando ora? Il ricordo di quella sera di maggio arriva ad Ange la in uno schiaffo. È talmente forte da scuoterla come se qualcuno le mettesse le mani addosso in quel momento. Non ha il coraggio di rispondere con sincerità alla domanda. Se lo facesse, se le parlasse della violenza subita e di tutte le umiliazioni a cui Bastardo l'aveva sottoposta da quella sera in poi, la verità uscirebbe subito allo scoperto e non se la sente ancora di raccontare dei dettagli così intimi a una sconosciuta.
«Credo di sì» dice con poca convinzione.
«Crede o ne è certa?»
Angela fa spallucce. Come se facesse alcuna differenza.
«E poi cos'è successo?»
«Abbiamo scoperto che non era una femminuccia, ma un maschietto.»
«Suo marito era al settimo cielo, immagino.»
Il labbro di Angela trema. Si porta una mano sulla bocca e abbassa la testa.
«Angela, le ho fatto una domanda. Come aveva reagito suo marito in quella occasione?»
Angela non risponde. La dottoressa scarabocchia qualcosa nel suo quaderno.
La ombre nere sul muro. Abbracciata alle gambe, la testa inclinata da un lato, Angela segue con lo sguardo quelli che per lei sono i contorni di un volto infantile. Allunga una mano per accarezzarlo, ma non appena le dita sono così vicine da toccare quasi una guancia, la ritrae subito e se la passa nei capelli. Un altro tentativo miseramente fallito. Angela sospira.
A metà mattinata, in ginocchio davanti all'armadio, Angela fruga nei cassetti con foga finché non trova un involucro di seta. Gli angoli della sua bocca si allargano in un sorriso trionfante mentre ne svela lentamente il contenuto. Per fortuna la lana è ancora morbida al tocco e profuma di detersivo. Angela accosta le scarpette rosse alle labbra e le bacia come se fossero i piedini del suo bebè. Le ombre nere danzano ancora.