“Lo senti anche tu?” domandai. Le mani di Mario smisero di tamburellare sulla tastiera, la testa si girò nella mia direzione.
“Che cosa?”
“Questo sibilo.”
“Sarà l’acqua che gira nei tubi, immagino” si rimise in posizione con un sospiro.
L’acqua nei tubi, forse, era possibile, del resto chi avrebbe potuto stabilire con certezza l’origine di un suono così debole? Eppure più la mia mente correva ad individuare la causa e più quello pareva aumentare di intensità. Un comportamento peculiare.
Nel corso della giornata cercai di immergermi nelle solite faccende che scandivano le ore dedicate al lavoro. Una riunione, la stesura del riassunto di questa, parlare con il capo. Mansioni che tenevano la mia testa occupata, incapace di concentrarsi su futilità di varia natura. E fu così che dimenticai di quel fastidioso suono.
“Buonaserata, ci vediamo domani” dissi a Mario già sull’uscio.
“A domani” rispose lui che faceva del lavoro l’unica ragione di vita.
Una volta in auto, nel grigio e scuro garage aziendale, il silenzio svelò quello che mai avrei potuto credere possibile: il sibilo mi aveva seguito. Rimasi fermo con le mani sul volante, quasi come se mi trovassi fermo al semaforo.
Come diamine era possibile una stranezza del genere, qualcuno forse mi aveva giocato un brutto scherzo? Tastai il colletto della camicia ma le mie dita trovarono solo tessuto. Per un istante avevo pensato che qualcuno avesse potuto installare una qualche diavoleria tecnologica in grado di disturbarmi con quel rumore.
Accesi il motore dell’auto e quello parve scomparire, come per magia. Forse alcune frequenze sonore avevano il potere di cancellarlo, almeno per un po’. Il traffico era il solito, le festività natalizie si avvicinavano a grandi passi, con il loro carico di zuccheri e incombenze sociali.
“Sono a casa” le consuete tre parole che proferivo sull’uscio non appena rientrato.
“Com’è andata al lavoro?” domandò Sonia dal salone.
“Tutto bene” avevo deciso di tenere celata quell’inquietudine che mi rodeva dentro come uno scoiattolo il legno.
“E tu, i bambini sono pronti con i regalini per i genitori?”
“Ci stanno ancora lavorando ma finiranno di sicuro per venerdì, sai che non lascio le cose a metà” sorrise quando presi posto al suo fianco sul divano.
“A proposito di questioni lasciate a metà, forse è arrivato il momento di preparare la cena. Questa sera ho una fame” strinse i capelli nel consueto elastico. La seguii in cucina.
Preparammo tutto con cura, era un nostro momento che avevamo imparato ad apprezzare. Qualcuno da fuori avrebbe visto una piccola brigata pronta ad eseguire i compiti nel modo migliore.
Il profumo del cibo aveva il potere di distendere i miei nervi tesi come elastici prossimi a raggiungere il punto di rottura. Fu proprio durante il taglio delle cipolle che la mia disattenzione fu punita.
“Cazzo, mi sono tagliato” fu tutto ciò che riuscii a dire prima di gettare il coltello.
“Fa vedere.” Sonia mi afferrò la mano e i suoi occhi nocciola osservarono con attenzione la ferita “Per fortuna non è nulla di grave. Ci mettiamo subito un cerotto, dopo aver disinfettato.”
La notte passò senza chiudere occhio. Una volta spenta la luce ci trovavamo io e il fischio testa a testa, lui era deciso a non andarsene prima di avermi fatto impazzire. Le palpebre non volevano rimanere serrate, ero costretto ad osservare quella stanza che conoscevo come le mie tasche eppure pareva del tutto aliena in mancanza di adeguate fonti di luce.
Come poteva essere accaduto un fatto così disgraziato senza che potessi prendere delle contromisure? Avevo sbagliato qualcosa? Avrei potuto fare diversamente? Dopotutto era difficile colpevolizzarsi senza nemmeno comprendere a fondo la causa.
“Lei ha l’acufene” disse laconico l’otorino, la mano che si apprestava a scrivere una ricevuta per i duecento secondi di visita.
“E cosa posso fare?”
“Se lo deve tenere, al momento ci sono pochissime possibilità di cura e, in più, non conosciamo nemmeno la causa. Se proprio vuole indagare potrà farlo tranquillamente con degli esami più approfonditi. Le lascio una lista di quelli principali” mi porse un foglio già stampato che di sicuro mollava a tutti i disperati come me.
Lo stomaco rimase stretto nella sua morsa anche all’uscita di quella stanza bianca. Avevo sognato per mesi di risolvere tutti i miei problemi, la soglia era stata varcata, eppure mi trovavo al punto di partenza.
Ogni notte era peggio della precedente. Una notte accadde l’irreparabile. Sonia accese la luce all’improvviso e mi trovò con gli occhi spalancati.
“Mi avevi detto che ora riesci a dormire.”
“Beh, non è vero. Non ce la faccio da mesi, mi addormento sul posto di lavoro. Talvolta Mario deve svegliarmi o corro il rischio di essere scoperto dal capo.”
“Io vado a dormire sul divano, non voglio stare con te sdraiato come Nosferatu.” afferrò il cuscino e uscì dalla camera da letto.
“Lo senti anche tu?” domandai. Le mani di Mario smisero di tamburellare sulla tastiera, la testa si girò nella mia direzione.
“Che cosa?”
“Questo sibilo.”
Fu solo in quel momento che afferrai la pistola dallo zaino alla mia sinistra.