Arrivo a casa e sto ancora da schifo. Allora mi viene in mente mamma.
All’epoca in cui io e mia sorella prendevamo molto sul serio cose come Date Un Nome al pesciolino rosso, sottovalutando, al contempo, cose come Cambiate L’Acqua Spesso a Geordi, mamma aveva messo in piedi questa società no profit. Credo che l’idea le fosse venuta guardando un film.
Uno dei protagonisti raccontava di un modo con cui truffare i lettori abituali di certe riviste per uomini birichini in cerca di cose da uomini birichini. L’idea era più o meno questa:
- Fondare una società e darle due nomi. Un nome piuttosto esplicito e un altro normale.
- Pubblicare un’inserzione reclamizzando l’ultima trovata in fatto di protesi per penetrazioni anali. Con tanto di promesse su piaceri mai provati prima.
La protesi anale ti farà toccare vette di piacere inaudite.
Risultati garantiti o soldi restituiti.
- Chi avesse voluto comprare questa protesi, avrebbe dovuto mandare un assegno intestato al nome “normale” della società.
- La società avrebbe intascato i soldi.
- Poi avrebbe spedito al mittente un assegno di pari importo. L’assegno sarebbe stato accompagnato da una letterina. Una cosa tipo: “Ci dispiace, il suo ordine è esaurito. Ecco i vostri soldi”.
- Solo che l’assegno sarebbe stato inviato usando il nome sconcio della società.
- Nessuno avrebbe incassato l’assegno inviato dalla società con il nome esplicito. Chi vorrebbe far conoscere i propri gusti più intimi all’ingrigito sportellista di una banca di provincia?
L’idea di mamma non aveva niente a che fare con le protesi anali. Mamma non intendeva frodare nessuno. Non nel senso più stretto del termine. Però anche la società di mamma aveva l’obiettivo di rimestare nel torbido mondo postale di ignare famiglie felici.
Mamma era una donna con i capelli ossigenati. Guardava un sacco di film. Il suo piatto forte erano le Speedy Pizza. Aveva queste unghie con residui di smalto viola.
Ma mamma ci voleva così bene. Ci aveva comprato Geordi e pure il cibo con cui nutrirlo.
Era il giorno dopo il Natale e faceva un freddo da rischiare di spaccarsi gli incisivi. Per tutta la mattina mamma era stata china sul tavolo della cucina, intenta a scarabocchiare una pila di fogli. Quando mia sorella le aveva chiesto cosa stesse facendo, mamma aveva risposto Vedrai amore, presto vedrai.
Mia sorella aveva stretto le spalle e poi si era infilata nella sua porzione del letto. Mia sorella ricordava un coniglio. Per via del suo pigiama con le orecchie di pelo.
Poi mamma concluse il suo lavoro e ci disse di restare al calduccio sotto il piumone. Disse che presto sarebbe tornata e avremmo mangiato qualcosa di buono e, forse, avrebbe avuto una sorpresa per noi. Anche se Natale era passato.
Aspettammo così tanto che quando mamma tornò, mia sorella mi si era attaccata alla gamba come un koala.
Mamma disse Oh Oh Oh, ci accarezzò i capelli e cucinò delle ottime Speedy Pizza. Poi tornammo a letto e guardammo un cartone della Disney.
Il giorno seguente, quando mi svegliai, mamma non era a casa. Pensai che fosse partita per un viaggio in America e che si fosse dimenticata di me e di mia sorella, come in quel film.
Poi pensai Sì, e con quali soldi?
Cercai di svegliare mia sorella, che per tutta risposta iniziò a vorticare le mani davanti alla sua faccia da coniglio. Dissi Sveglia, mamma è sparita. Mia sorella aprì gli occhi. Disse Oh.
Dissi a mia sorella di contare fino a duecento e se quando avesse finito mamma non fosse tornata, avremmo chiamato quel numero scritto con il pennarello sul foglietto appiccicato al frigo.
Mia sorella era quella forte in matematica.
Io ero forte nel tranquillizzare quelli bravi in matematica.
Mia sorella iniziò a piangere. Poi si mise a contare. Per ogni secondo snocciolato dalla voce tremolante di mia sorella ne trascorrevano almeno cinque reali.
Ecco un esempio di come il tempo si dilata quando proprio non sarebbe il caso, pensai.
Diedi alcuni colpetti sulla schiena di mia sorella. Tossì e si mise a contare con maggiore convinzione. Neanche il tempo di arrivare a settanta, che mamma rincasò. Portava in spalla un sacco di patate.
No, ancora patate, pensai.
Poi pensai che le patate erano meglio delle Speedy Pizza. Sorrisi.
Saltai fuori dal piumone con i pugni al cielo e dissi Sì, le patate!
Mamma scoppiò a ridere e disse Non sono patate! Sono la vostra sorpresa speciale.
Venne fuori che mamma aveva scritto delle lettere a nome di una società inesistente e le aveva imbucate nelle cassette postali dei nostri vicini di casa. Cittadini benestanti, che venivano a trascorrere Vigilia e tutto il resto nella seconda casa, nel clima invernale, da Natale Vero, del nostro piccolo paese di montagna. Con la neve, le urla degli ubriachi, i boscaioli senza dita.
Gente che aveva la seconda casa dove noi avevamo l’unica casa.
In quelle lettere mamma aveva scritto: “Non gettare via ciò che non vuoi. Ricicla i tuoi doni. Pensa al prossimo. Perché cancellare, quando puoi donare?”
In pratica aveva lanciato una piccola campagna di quello che, oggigiorno, definiremmo “crowfounding”. Una speciale raccolta di regali brutti.
Come la letterina di Babbo Natale, ma al contrario.
Nelle lettere di restituzione regali mamma aveva indicato un indirizzo dove spedire gli scarti: l’indirizzo della vecchia casa di nonna.
Scriveva che chi avesse spedito gli indesiderata all’indirizzo specificato, avrebbe contribuito a regalare un sorriso a qualche bambino meno fortunato.
Ecco come io e mia sorella ci siamo trovati la casa invasa da regali.
Credo fossimo i due bambini con più versioni di Barbie e Tartarughe Ninja di tutto il paese.
Trascorremmo quel pomeriggio a inventarci mondi in cui i nostri nuovi pupazzi erano chiunque volevamo che fossero.
Le cose si complicarono il giorno seguente. Quando mamma, dopo essere passata a casa di nonna, tornò con il sacco di patate in spalla. Spiegò che la raccolta sarebbe durata diversi giorni.
Molte persone, disse, aspettano un po’ prima di disfarsi di ciò che detestano.
Gli occhi di mamma erano tremolanti. Sembravano di gelatina. Pensai che se non si stavano sciogliendo in una secchiata di lacrime era solo per via del freddo maledetto.
Ringraziai i termosifoni guasti.
Come il giorno precedente, io, mia sorella e mamma cominciammo a rovistare nel sacco di Juta. Una macchina telecomandata. Che bomba!
Una videocassetta di Cenerentola. Che palle!
Altre Barbie. Olé!
Presi un orsacchiotto peluche con un bottone al posto del naso. Mamma lo vide, me lo strappò di mano e disse Ehi, ma questo è il nostro regalo per la nuova figlia di vostro padre.
Disse Ma che cazzo?!
Disse Scusate, non si dicono le parolacce.
Disse Va be’, pazienza.
Poi trovammo anche un trattore giocattolo. Non telecomandato (quello costava troppo). Mamma disse Ehi, ma questo è il nostro regalo per il figlio di Marina (una sua collega).
Venne fuori che mamma aveva risparmiato mesi per comprare dei regali alle persone a lei care, e quelle non ci avevano pensato un secondo a gettarli via.
Certe cose ti fanno male, anche se non capisci il perché.
Il terzo giorno la scena si ripetè identica. Solo che, questa volta, i regali indesiderati erano ancora più strambi. Bambole senza occhi. Action man senza braccia. Barbie con i capelli rasati a zero. Una pistola. Alcune bottiglie di birra senza birra.
Mamma disse Ok, possiamo finirla qua. Chiese a me e a mia sorella di aiutarla a scegliere i regali più belli. Disse Mettete nell’angolo quella roba stramba. Obbedimmo. Poi mamma prese i giocattoli intatti, li mise nel sacco di patate e uscì di casa dicendo Oh Oh Oh.
Quando rincasò, il sacco di Juta era vuoto. Mia sorella chiese Dove sono i nostri regali?
Mamma rispose che li aveva portati al centro raccolta per bisognosi.
Mia sorella disse che anche noi eravamo bisognosi.
Mamma si mise a piangere.
Mia sorella disse che noi non eravamo poi così bisognosi, in fondo.Poi ci mettemmo tutti assieme a guardare una cassetta della Disney.