Commento: buono da Labocontest n.5
Traccia 7: La Belva - Bestialità, Rabbia, Sopraffazione
A tutti gli utenti di Costruttori di Mondi,
Scusate la premessa, cercherò di essere il più conciso possibile. Come avevo menzionato nell'Off Topic, ero a corto di idee per questo contest. Non sono la migliore delle persone nella gestione del proprio tempo; a scanso di brusche deviazioni, sono abbastanza avviato verso la ricerca, e l’università mi sta lasciando poche energie.
Ciononostante, quasi come un segnale dal Cielo, mi è capitato tra le mani il materiale che vi sto per sottoporre e a cui sto tuttora cercando spiegazione. Ho ricevuto quanto segue come corpo di una E-mail. Il mittente era il mio stesso indirizzo, ma non credo che l’account sia stato violato. Quando ho letto il testo ivi contenuto, tuttavia, questi dubbi sono passati completamente in secondo piano.
Non sono sicuro di poter proseguire, né se questo sia il luogo idoneo. In caso negativo, chiedo agli staffer di fare quanto ritengono più opportuno. D'altronde, non è stato scritto da me; o almeno, non ancora, non in questa linea temporale, né so sia classificabile come racconto. Potrebbe violare il punto 2 della sezione Testi e Commenti del regolamento del forum. Come sempre, ringrazio Anglares e Poldo per la pazienza.
Un'ultima postilla. Sottolineo che non solo io, ma la maggioranza della comunità scientifica, ritenga che il viaggio nel tempo sia impossibile; non solo il salto su singola linea, che implica paradossi scientifici e logici, ma anche nel caso della teoria del multiverso. Secondi alcuni, un percorso tramite un ponte di Einstein-Rosen potrebbe rappresentare una curva di tipo tempo ed essere perciò definibile timehole.
Supponendo però che le due estremità del ponte siano un buco nero e un buco bianco, risulta chiaro che la materia complessa, e perciò gli esseri viventi, non potrebbe mai attraversarlo inalterata. Ma le particelle elementari sì. Le onde sì. Non sto necessariamente dicendo di aver ricevuto questa E-mail dal futuro, ma quale altra spiegazione può esserci?
Vi ho tediato a sufficienza, ora sta a voi giudicare.
Mina
Tre ore fa siamo entrati con successo nell’atmosfera di Sun-5-VI. È difficile descrivere a parole le emozioni che sto provando. Fin oltre l’orizzonte si stendono oceani gelati, montagne frastagliate e crepacci di ghiaccio, infinitamente più grandi e maestosi di quelli terrestri.
Stiamo entrando nella più grande delle bande di questa luna. L’obiettivo non deve essere lontano. La parete di ghiaccio luccica di blu mentre l’astronave scende accanto a essa. Venti chilometri più in là, l’altra parete che delimita il crepaccio. Il cielo è quasi del tutto occupato da Sun-5, il pianeta attorno cui Sun-5-VI ruota, che con le sue striature bianche e arancioni osserva la nostra discesa verso abissi ignoti.
Più tardi. È esattamente come teorizzato da Wilson e Head e come mostrato dai droni di ricognizione. All’imbocco della gargantuesca caverna, le stalattiti e stalagmiti, immense per l’effetto della bassa gravità, somigliano a fauci di una belva senza nome. Appena assicuratosi che la nave fosse atterrata senza problemi, B è andato a mettersi la tuta protettiva. C la stava già indossando.
Il momento in cui le nostre scarpe hanno toccato il suolo di Sun-5-VI mi resterà nel cuore fino alla morte. A ogni passo che compio stento a crederci. Sto lasciando le mie impronte su Sun-5-VI.
Abbiamo iniziato a esplorare i dintorni. Dalla nave è ancora possibile stabilire un contatto col resto dell’umanità, e abbiamo inviato l’ultimo rapporto prima della spedizione vera e propria. Allontanandosi di poco e addentrandosi nella grotta, i nostri strumenti perdono ogni segnale.
Siamo solo noi tre di fronte a un mondo tutto da scoprire. Non sono preoccupato, al contrario. Quando sei sottoterra, puoi contare solo sulle tue forze e nell’aiuto dei tuoi compagni. La caverna sembra stringersi, più avanti, perciò proseguiremo a piedi.
C è andata un po’ più avanti: poco dopo, l’ho sentita urlare nel microfono, entusiasta. La sua torcia era fissa su un punto di una parete. Non so quali siano le parole più idonee per descrivere quei fossili, ma penso che “crostacei” possa essere una buona approssimazione. VITA! Non abbiamo neanche iniziato l’esplorazione, ed ecco già tracce inconfutabilmente biologiche. Si tratta di undici esemplari intrappolati nel ghiaccio.
Segue una lunga descrizione degli esemplari, che vi risparmio. In poche parole, si tratta di creature di una lunghezza tra i 3 e i 17 cm, corpo costituito da una cuticola rigida articolata in due segmenti, il primo a forma di mezzaluna e il secondo subrettangolare, e dodici zampe. Il testo della E-mail va poi avanti con una gran quantità di dettagli sulla preparazione della missione di esplorazione, i pasti e l’abbandono della nave.
Più passano le ore, più fremo di una strana inquietudine. Il record fossile che stiamo trovando testimonia una paleo-biodiversità ricchissima. Tuttavia, i nostri PMS non rilevano alcuna forma di vita databile a un periodo successivo ai cinquecento milioni di anni fa. Depositi minerali simili a stromatoliti indicano che vi è stata attività batterica, e il ghiaccio conserva creature dalle forme e strutture più bizzarre, anche se per lo più vermiformi o carcinizzate, ma tutto quanto, ora, è perfettamente immobile.
La domanda sorge spontanea: quale singolare evento può avere causato questa estinzione di massa? Ne ho discusso a lungo con B e C, ma non siamo giunti a una conclusione soddisfacente.
Il criovulcanismo ha scavato quaggiù un sistema di grotte come nessun uomo ha mai visto prima. In alcuni punti ci sono accumuli di frammenti di ghiaccio, mentre in altri l’intera grotta ha le caratteristiche di una neve bianca e farinosa. Strani echi rimbombano nelle gallerie per lo scorrere dell’acqua. Forma rigagnoli per terra o stillicidi sulle pareti, contribuendo alla deposizione di speleotemi. Non stiamo usando corde per la progressione su pozzi, data la bassissima gravità.
Stiamo facendo pausa e ne ho approfittato per aggiornare il diario. Per ora è tutto offline, quando tornerò alla nave si aggiornerà in automatico. Fa strano essere qui, a centinaia di milioni di chilometri da casa, e usare ancora lo stesso modo di scrivere di quando ero un ragazzino pieno di sogni: inviare le mie pagine di diario per E-mail a me stesso.
C sta mappando il sistema. Abbiamo incontrato un gran numero di bivi e ramificazioni e ora ci siamo fermati mentre stavamo seguendo una galleria lievemente discendente da cui proviene vento. Approfitterò della pausa per analizzare in maniera preliminare i campioni.
Salto le descrizioni degli organismi e la ripartenza.
Mi tremano le mani per l’eccitazione, ma cercherò di fare ordine tra i pensieri. Abbiamo seguito la corrente d’aria per un altro paio d’ore, quando abbiamo iniziato a imbatterci in strutture squadrate nel ghiaccio, disposte in simmetrie in qualche modo sensate, artificiali, ma non umane. Che si trattasse di tracce fossili era chiaro, ma in me si stava insinuando il sospetto che, in qualche modo, fossero anche archeologiche. Il ciclopico labirinto di blocchi curvi o disposti ad angolo era una visione in cui era impossibile non vedere l’azione di forme di vita senzienti.
Man mano che avanzavamo, il rumore dello scorrere dell’acqua aveva lasciato spazio a un altro suono, più indefinito. Un ronzio, una vibrazione che si propagava nel ghiaccio e ci faceva tremare fin nelle ossa. In breve l’ho trovato nauseante, e la sensazione è esplosa quando siamo arrivati nel salone. Qui è quasi da mal di testa.
È uno spazio immenso, forse duecento metri da parte a parte. Al centro, un cubo perfetto, di roccia nera e levigata, con lato non più lungo di venti metri. È al di sopra di questo singolare piedistallo che si trova la scultura di ghiaccio.
Tra luci e ombre proiettate dalle nostre torce, la sua superficie è terribilmente logorata, e l’aspetto complessivo mi risulta in qualche modo odioso: circondato dal buio di queste antiche gallerie, mi suscita una vertigine grandiosa. La mia fantasia limitata non può far altro che accostarlo ad animali a me noti: ha dieci arti come un granchio, un corpo allungato e serpentiforme, e una testa simile a una medusa, con branchie esterne come le larve degli anfibi.
Il ronzio proviene senza dubbio dall’interno del cubo. Il minerale di cui è composto ci è sconosciuto, ma sembra essere un isolante: a parte le vibrazioni, non siamo riusciti a captare alcun segnale dall’interno. Potrebbe essere qualcosa di vivo. Di senziente, forse.
Qualcuno.
Mi salgono le lacrime nello scrivere queste parole.
Ci siamo accampati nei pressi della scultura. Io sono stato il primo a iniziare gli scavi per aprire uno spiraglio nel cubo di roccia. Ho lavorato a lungo, ma ho fatto scarsi progressi. B ora mi ha dato il cambio.
Sono esausto, ferito e terrorizzato, e il mio stato mentale è molto vicino allo scivolare inesorabilmente nella follia.
B è morto.
Rievocare queste immagini mi fa tremare come un bambino, ma devo farlo, l’umanità deve sapere. Tornerò all’astronave e farò rapporto: non è più questione di “devo”, lo farò e basta. È più importante di qualsiasi altra missione.
L’istante in cui il trapano di B ha raggiunto il vuoto all’interno del cubo di roccia, il ronzio è cessato. Per un attimo le orecchie mi fischiavano per quel silenzio colmo di attesa. B ha esultato, ma è durato poco. Io e C, più lontani, avevamo una visione completa della sala. È solo per questo che ci siamo salvati. Caso.
Ho urlato di spostarsi, ma B era paralizzato, mentre la statua di ghiaccio ha iniziato a muoversi e scendere il piedistallo con le sue zampe da artropode, le branchie che si dilatavano e si restringevano ai lati di quell’orribile testa.
Io e C siamo scappati nella direzione da cui eravamo venuti. L’ultima traccia che B ci ha lasciato, e che porterò per sempre indelebile nei miei incubi, sono le urla disperate nel microfono e quegli orribili suoni della carne che veniva fatta a pezzi. Non voglio descriverli, mi viene da vomitare.
Abbiamo già percorso una buona metà della strada che ci separa dall’astronave. C è fuori di sé, parla a malapena, ma la sua determinazione al momento è forse più salda della mia. La bestia non ci sta più seguendo, non deve essere molto veloce. Tuttavia, il ritorno si è rivelato molto più insidioso dell’andata, e non solo per il panico che rende ogni nostro passo irrazionale. No, è anche che la vibrazione è tornata.
Non abbiamo commentato la cosa a voce – non ne abbiamo le forze – ma so che anche lei se n’è accorta. E con la vibrazione, il ghiaccio ha cominciato a essere strano, avere comportamenti che violano la fisica che conosciamo. Corridoi che prima erano solidi come la roccia ora vedono le nostre gambe affondare come nel burro. Lastre di ghiaccio si staccano dal soffitto e fluttuano lentamente nella bassa gravità. La neve riempie l’aria e ci offusca la vista. Sembra che l’intera grotta, l’intera Sun-5-VI, stia cercando di ostacolare la nostra fuga. Ma andiamo, io non credo a queste stronzate!
Al momento ci stiamo concedendo un attimo, giusto un attimo, per riprendere le forze, prima di affrontare la seconda metà del ritorno. La prossima volta che aggiornerò il diario, sarò al sicuro all’interno dell’astronave. Abbiamo spento le torce per risparmiare batteria – quando siamo scappati abbiamo lasciato tutto il materiale di scorta nel salone – e ora siamo immersi nel buio più assoluto. In altre circostanze lo troverei rilassante. Non ora. In questo profondissimo silenzio, posso sentire solo il lento ruscellamento dell’acqua, il suono di lastroni di ghiaccio che si staccano, e il respiro affannoso di C. Sta mugolando qualcosa. Meglio verificare se stia bene.
Ho dovuto farlo. L’energia delle nostre tute si stava esaurendo: presto saremmo rimasti senza luce, senza calore, senza aria respirabile. Ho pensato che C volesse rubarmi le riserve. Mi sbagliavo.
Non so come dirlo, ma... Non era C. Non più. Lamentava una forte emicrania, poi è caduta in un silenzio tombale. Ha impugnato il coltello e ha cercato di colpirmi. Ringhiando in una maniera inumana, si è messa a cavalcioni su di me e mi ha puntato la lama alla gola. Attraverso i vetri dei nostri caschi, ho potuto vedere i suoi occhi. Erano come elettrici. La vibrazione era tornata ma, questa volta, sembrava venire da lei. Dall’interno del corpo di C.
Non ho avuto scelta: ho estratto il coltello e l’ho colpita. Ancora e ancora, finché non ha smesso di muoversi. Non ricordo con esattezza quello che segue, ma sono abbastanza sicuro stessi piangendo. La mia tuta si era strappata, e il gelo di Sun-5-VI stava già mordendo le mie terminazioni nervose. Ho spogliato C di parti della sua tuta. Ho lasciato laggiù il suo corpo e ho ripreso a correre.
Ero quasi incosciente per l’anossia e l’ipotermia, quando ho raggiunto la nave. La mia solitudine è finita, la sincronizzazione automatica starà già inviando questo lungo messaggio al resto dell’umanità. La luce di Sun illumina distese di ghiaccio sotto un cielo da cui il pianeta Sun-5 mi osserva imperturbabile.
Penso di aver capito la natura del mostro, ma la luce sull’ignoto, in questo caso, non rasserena le mie ansie, anzi mi getta in un abisso di terrore ancor più nero. La vera minaccia non è la cosa che ha attaccato B, rappresentazione di una specie, forse senziente, estinta da centinaia di milioni di anni. La follia senza nome è la cosa che ha estinto quelle creature, che noi abbiamo stupidamente liberato dalla prigione di roccia.
La conclusione più sensata, viste anche le nostre conoscenze biologiche pregresse, è che si tratti di un virus elettromagnetico. Una forma di vita parassitica basata sulle onde. È così che ha fatto muovere il ghiaccio. È così che ha preso il controllo di C.
Il computer di bordo invierà tutti i dati che io, B e C siamo riusciti a raccogliere al resto del genere umano. Sarà il mio lascito. Non farò ritorno a casa, solo per rischiare di portarmi dietro questa cosa: è una legge di quarantena autoimposta. Questo orrore senza nome resterà su Sun-5-VI assieme a me.
Meno di cinque minuti all’autodistruzione dell’astronave. Non riesco a smettere di piangere. Non ho rimpianti, ma ho ancora paura di morire.
Stefano
Termina così. Non so ancora bene come prenderla. Non credo all’esistenza di intelligenze extracorporee, ma non è esattamente di intelligenze che si sta parlando, no? Non lo so, devo ancora farmi un’opinione definitiva.
Sperando di non fare metanarrativa, però, credo che tornare alla nave sia stato un errore. Intendo, se per assurdo dovessimo ammettere che possa esistere un virus elettromagnetico in grado di causare estinzioni di massa, allora dovremmo anche aspettarci che la sua capacità di dispersione sia alla pari di quella di qualsiasi fotone. Come le onde, presumibilmente radio, che l’astronave utilizzava per mandare messaggi al resto dell’umanità.
Non importa, è solo una storia in fondo. Io, comunque, la posto qui. Sarete i primi a sapere se ci saranno sviluppi. Il mio compito l’ho fatto, e se anche la minaccia fosse reale, ora ne siete a conoscenza. L’arrivo di questa E-mail è qualcosa che non è mai accaduto nella linea temporale di quello Stefano, altrimenti avrebbe dovuto sempre saperlo, a causa del principio di autoconsistenza di Novikov. No, piuttosto ha generato una nuova linea nel multiverso. Non so se esserne confortato o se, invece, sia motivo di inquietudine.
Un essere come quello descritto nella E-mail sarebbe in grado di attraversare un ponte di Einstein-Rosen? E se sì, quale sarebbe la sua capacità di diffondersi tramite internet?
Speculazioni a parte, il tempo per postare è quasi scaduto, e il mio computer inizia a non funzionare come dovrebbe: basta, vi invio il tutto e non ci penso più. Mi sta anche venendo una forte emicrania, ho bisogno di riposare. Perdonatemi se nei prossimi giorni non dovessi rispondere ai vostri messaggi.
Mina