[H2022R] La promessa

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L'impiccato
Il rovesciamento
Il sacrificio
Il vulnerabile
                                                                                                                                1. Il Falò

«Fame, ho fame!» Si lamentò Maria guardando con desiderio il cartone della pizza.
«Oh, ma siamo sicuri che quei due hanno capito dove siamo?» Chiese Matilde.
«Sì.» Confermò Giorgio con una punta di esasperazione nella voce. «Gliel’ho spiegato per filo e per segno: al Capo, seguite il viottolo che porta alle Piscine di Venere. Cioè, fino al mare.» Armeggiò per qualche secondo col cellulare. «Niente, non rispondono».
Matilde decise che era giunto il momento di passare all'azione: si sporse dal telo mare fucsia facendo attenzione ad evitare la lampada da campeggio posta al centro di quel piccolo accampamento fatto di spugne, zainetti e scarpe da tennis e puntò con decisione la scatola da cui proveniva l’invitante profumino.
Vedendo il gesto dell’amica, Maria cominciò a ridere. «Liberi tutti!» Gridò, prima di allungarsi anche lei sui tranci di capricciosa.
«Ferme donne! Guai a chi si avvicina!» Lillo si gettò sul cartone coprendolo col proprio corpo.
«No, così non vale!» lo redarguì Matilde.
«Non puoi prendertela tutta tu!» Protestò Maria. «Giorgio, fa' qualcosa!»
«Che cosa? Io sto difendendo la pizza da voi, ragazze fameliche!»
«Ehi, ma sono loro?» Giorgio fissava l’orizzonte «Oh, sono arrivati!»
Dalla parte alta del viottolo scendeva una coppia. I due ragazzi erano abbracciati e, mentre uno dei due, con la mano libera, portava una borsa frigo, l’altro teneva una bottiglia di birra che ogni tanto portava alle labbra.
«Ma quello nuovo, l’amico di Zal, porta gli occhiali da sole anche a quest’ora?» Chiese Maria, scuotendo il capo e ridacchiando.
«Sembra figo, però.» Commentò Matilde, subito fulminata da un’occhiataccia di Lillo. «Mai quanto te, amore!» Lo rassicurò prima di avvinghiarsi a  lui e baciarlo.

                                                                                                                           2. Il racconto

«Un altro po’, Atash?» Chiese Zal al cugino, mostrando la bottiglia di birra.
Quello agitò la mano. «No. Ho bevuto abbastanza».
«Comunque, è proprio bello qui.» Aggiunse il primo dei due ragazzi facendo scorrere lo sguardo in quella conca naturale chiusa sui due lati da speroni di roccia calcarea.
Poco distante il mare gorgogliava appena.
«Forse un po’ isolato, ma bello.» Aggiunse.
«Atash, ti iscriverai anche tu nella nostra scuola, come tuo cugino?»
Il giovane si voltò verso Maria, facendo una smorfia. «Possibile. Non lo so ancora.»
«Ok, ragazzi, e ora che si fa?» Lillo aveva pronunciato la domanda con voce stentorea, come suo solito.
«Guardiamo le stelle cadenti: non siamo venuti per questo?» Fece Maria sistemandosi gli occhialetti tondi sul naso.
Lillo scoppiò in una risata fragorosa.
«Giorgio resta volentieri a contare stelle con te, vero Gio’...?»
«Simpaticone...» Commentò quello.
«... quanto a me, pensavo ad altro.» Baciò la fronte di Matilde, che aveva poggiato la guancia sulla sua spalla, e fece risalire la mano dal ginocchio di lei lungo la coscia fin sotto il bordo del pareo.
«Non cominciate a fare gli asociali, tutti e due!» Li redarguì Maria. «Potremmo fare il bagno, che ne dite?»
«E se facessimo un gioco?» propose Atash.
Tutti lo guardarono sorpresi: a differenza del cugino, il giovane iracheno non era sembrato un tipo molto espansivo. Per tutta la serata aveva parlato solo quando interrogato e anche in quel caso facendo economia di parole.
«Ciascuno di noi racconterà una storia, di quelle spaventose  intendo, e alla fine sceglieremo quella più terrificante.»
«Magari ne esce fuori una storia di successo come quella di Frankenstein! Sapete che Mary Shelley...»
«Sì, Giorgio, lo sappiamo.» Maria dette un pacca sulla spalla dell’amico, ridendo.
«Per me sta bene!» fece Lillo.
«Mah, non lo so… Non sono brava in queste cose: non ho fantasia.» Obiettò Matilde accarezzandosi una lunga ciocca di capelli tinti di rosso.
«Non preoccuparti» la rassicurò Atash «Facciamo iniziare Zal: lui racconta sempre la stessa storia, ma fa paura davvero. E così avrai il tempo per pensarne una tua.»
Zal sembrò rabbuiarsi.
«Vero, Zal?» lo incalzò il cugino.
Il ragazzo annuì. «Sì, inizio io.» Rispose senza entusiasmo.
Tutti si fecero più vicini al narratore e Zal, lo sguardo basso sulla lampada da campeggio, iniziò.
«La Guardia cittadina arrivò di notte, quando tutti dormivano e i ciocchi ardenti nel falò erano ormai braci rosseggianti.»
«Ehilà... braci rosseggianti!» Lillo rideva «Si vede che non stai improvvisando.»
Zal fece una pausa, poi riprese senza rispondere e senza cambiare tono della voce.
«Erano rivestiti di bronzo e avevano con loro lance ed archi. Circondarono i viandanti, accampati fuori dalla porta della Città, radunando anche coloro che si erano allontanati ai primi sentori di ciò che stava accadendo.»
«Che città era?» Chiese  Giorgio.
«Ma lo lasciate parlare?» Sbottò Matilde.
Zal sollevò lo sguardo verso il ragazzo abbozzando un sorriso. «Irruth, si chiamava così; era una ricca città della Mesopotamia meridionale.»
Giorgio annuì.
«Furono portati tutti all'interno di una cisterna vuota e passati in rassegna dal Re e dai sacerdoti del dio Enki e della dea Tiamat. Questi ultimi sembravano assai soddisfatti dei prigionieri e andavano dicendo che sarebbero stati un sacrificio assai gradito a Colui che scuote la terra dalle fondamenta, il quale avrebbe certamente smesso di molestare i bravi cittadini di Irruth e i loro armenti.»
«E sentire parlare di "sacrificio" non suscitò le preoccupazioni di nessuno?» Domandò Matilde.
«Eccome!» Riprese Zal. «Il Re era appena andato via che già tra i prigionieri si era diffuso il panico. "Verrete divorati vivi", dicevano le guardie, "vi arderà nelle sue fiamme demoniache per l'Eternità" e ridendo schernivano i malcapitati.
Qualcuno, allora, cercò con la forza di fuggire. Erano in tre, mercanti a giudicare dai loro indumenti: aggredirono delle guardie e riuscirono anche a rubare la lancia ad una di loro, ma furono ben presto spinti contro le pareti di pietra della cisterna dagli altri armigeri.
Il capo del plotone ordinò che fossero portai al suo cospetto, al che uno dei subordinati gli chiese cosa volesse fare.
"Dare una lezione esemplare a questa marmaglia!", rispose quello. Ma quando la guardia ribatté che non poteva ucciderli per non mettere a rischio la riuscita del sacrificio, il graduato pretese che almeno quello che si era impossessato della lancia fosse punito. 
"Solo uno in meno tra tutti questi; Colui che scuote la terra dalle fondamenta nemmeno se ne accorgerà".
L'uomo venne fatto inginocchiare. Piangeva. Gli altri prigionieri, tenuti a bada dalle guardie trattenevano il respiro, osservando la scena con occhi sgranati.
Una guardia gigantesca si avvicinò al condannato con una mazza di pietra, la sollevò su di lui poi, caricando tutto il suo peso, l'abbatté sulla nuca dell'uomo immobilizzato. Si sentì un crac distinto e la mazza si colorò di rosso.
Mentre si levava il clamore dei prigionieri, la guardia continuava a infierire sulla testa e sul volto di quello crollato a terra. E fu allora che si sentì. Il pianto di un bambino.
Era un paio di passi dietro al gruppetto dei prigionieri, isolato. Singhiozzava. Andava errando senza meta con le piccole braccia tese, urtando a volte i compagni di sventura. Era cieco.
Una delle vittime sacrificali, un giovane di forse vent'anni, se ne accorse. Gli andò incontro e lo tranquillizzò.
"Stai con me" gli disse "ti prometto che non ti accadrà niente di male". Mai promessa fu più bugiarda.»
La voce di Zal tremò per un istante.
«L'indomani mattina furono condotti al luogo del sacrificio. Da fuori sembrava un giardino, circondato com'era da verdi piante rigogliose, ma sui muri di recinzione erano intagliati strani simboli magici. Su tutti troneggiava un grande occhio.
Gli armigeri li spinsero dentro con visibile fretta di allontanarsi da lì.
All'interno, il rigoglioso giardino era secco e brullo. Morto, si direbbe, e la vista di quella desolazione gettò i prigionieri ancor più nello sconforto.
Qualcuno provò a dare la scalata alle mura di cinta, ma il perimetro era sorvegliato dagli arcieri: il sibilo delle loro frecce convinse i fuggitivi a desistere.
"Restiamo uniti" disse qualcuno. "Cerchiamo qualcosa che possa essere usata come arma" suggerì un altro, ma quel luogo spettrale non offriva niente di utile allo scopo. E intanto il gruppo si inoltrava al suo interno.
Ad un tratto, si sentì una specie di ruggito. Era possente e profondo, vibrava come il rumore di due schiere in armi che, urlando, cozzavano sul campo di battaglia.
Quando gli echi di quel rombo si furono placati, una nenia agghiacciante si distese su quel luogo infame. Era un lamento disperato, un coro di mille e mille voci spettrali che feriva le orecchie e che sembrava volersi far strada fin dentro il cervello.
Qualcuno cadde al suolo, dimenandosi, con la testa tra le mani. Un attimo e fu il fuggi-fuggi. Della compattezza di quel gruppo di sventurati non restò nulla.
"Non avere paura, ti porto via!"
Il giovane premuroso prese in braccio il bambino, che singhiozzava impaurito, e iniziò a correre. Quando il dolore al fianco diventò insopportabile, lo mise giù e si piegò per riprendere fiato. Ritenne che fossero protetti alla vista dagli scheletrici roseti tra i quali si erano rifugiati ma, poco distante da lì, provenne l'urlo spaventoso di uno dei prigionieri.
Il ragazzo fece qualche passo nella direzione opposta, ma anche da quella direzione giunse un gemito di dolore frammisto ai rumori di una colluttazione: quella cosa si spostava ad una velocità incredibile!
Il bambino aveva ripreso a piangere.
"No, ti prego, non fare rumore!" sussurrò il giovane. Gli prese la mano e, non sapendo dove altro andare, lo condusse verso l'ingresso di quel luogo di morte che all'inizio avevano scambiato per un giardino.
Superarono il roseto e una scena raccapricciante si offrì alla vista del ragazzo: il corpo di uno dei compagni di prigionia era appeso a testa in giù ad un gancio fissato alla parete. Era stato privato della pelle fino a portare alla vista il rosso acceso dei tessuti e dall'addome aperto gli intestini fuoriuscivano fino a raggiungere il suolo. 
Con un riflesso involontario coprì gli occhi del bambino prima di tornare consapevole del fatto che lui non poteva vedere.
"Sei fortunato a non vedere le brutture che ci riserva questo mondo!" Disse amaro.
Erano ormai prossimi al portone d'ingresso, quando furono investiti dalla cacofonia delle voci dei dannati e poi quella cosa, era un Demone, ormai non c'era più dubbio, si manifestò. Sembrava fatto di ombra e fiamme, ardeva pur essendo ammantato di oscurità. Ed era alto, oddio se era alto... almeno quanto cinque uomini adulti.
Il Demone osservò la scena per un momento, poi partì alla carica.
Il primo istinto del giovane fu quello di mettersi in salvo ma quando vide quell'essere incombere sul bambino tornò sui suoi passi.
"Lascialo!" Gridò. "Prendi me".
E fu allora che successe una cosa da non credersi. Quel'essere abominevole si fermò. Avrebbe potuto colpire il ragazzino inerme, invece si limitò a fissarlo. Persino il coro delle anime dannate sembrò più flebile, le loro voci pervase dalla sorpresa.
Poi il Demone si riscosse: lanciò un ruggito potentissimo. L'esplosione che ne seguì strappò via dai cardini il pesante portone di bronzo del giardino nemmeno fosse stato un impalpabile velo di seta; anche interi tratti delle mura rimasero letteralmente  sbriciolate dallo spostamento d'aria.
Fu allora che il Demone si chinò sul bimbo. L'ombra di cui era fatto prese la consistenza del fumo di carbone e, come fumo, quell'essere penetrò nella bocca e nelle narici del piccolo fino a sparire al suo interno.
Quando tutto si fu compiuto,  il bambino si alzò in piedi e voltandosi nella direzione del giovane tese la mano.
"Vieni con me." Disse.
E da allora il Demone, sotto le mentite spoglie del bambino cieco, circola indisturbato per le città degli uomini, disseminando orrore e sofferenza,  accompagnato dal giovane mortale.


                                                                                                                     3. La Rivelazione
«Allora? Che ne dite?» Chiese Atash.
Matilde arricciò il naso. «Che schifo tutti quei dettagli sugli sbudellamenti!»
«A me questa storia ha messo addosso un mondo di tristezza.» Commentò Maria.
«E paura, no?»
«Chi ha parlato di paura?» Intervenne Lillo.
«No, infatti: i dettagli erano disturbanti, vomitevoli, roba da ficcarsi due dita in gola...» Matilde accennò un risolino mentre simulava il gesto «... ma la paura è un'altra cosa; è più di testa!»
«E tu, Giorgio, cosa ne pensi? Sei rimasto in silenzio.» Chiese Atash in un soffio.
«Questa è la segreteria di Giorgio. Al momento sono assente perchè mi sono cagato addosso!»
Una manata rabbiosa si abbatté sulla spalla di Lillo che non la smetteva di sghignazzare. Anche le ragazze ridevano. 
«Sarà, ma a me sembrano risate liberatorie, queste» insinuò il giovane iracheno.
«Naaa, Zal deve fare di meglio!» Lo sminuì Lillo.
«No paura.» Confermò Mati telegrafica.
«Capisco...» Dopo la breve pausa Atash riprese. «E le coincidenze? Non vi fanno venire la pelle d'oca? Ad esempio, sia io che Zal proveniamo dagli stessi luoghi dei protagonisti della storia. La Mesopotamia di allora ricade in gran parte nei confini dell'odierno Iraq...»
«E allora?» Maria fece una smorfia.
«E il fatto che anch'io, come il ragazzino della storia, sia cieco?»
Matilde spalancò la bocca e si lascio sfuggire un «Che?»
Atash si voltò verso di lei.
«Secondo te perchè porto gli occhiali scuri anche di notte?» Tolse le lenti e avvicinò il volto a quello di Matilde. «Mi piacerebbe che fosse solo per fare il figo, Mati, ma non è così. Li vedi i miei occhi spenti? Occhi che non hanno mai visto le brutture del mondo... Ma neanche le cose belle.»
«Mamma mia... » Maria aveva incrociato le braccia sul petto e si accarezzava le spalle come se avesse freddo «Mi fai venire i brividi, così.» Ridacchiò nervosamente.
«La senti, vecchio mio?» Adesso Atash si rivolgeva al cugino. «Mi sa che sono più bravo di te in queste cose.»
«Sì, infatti. Senza offesa Zal, ma adesso sì che comincio a sentirmi a disagio. Basta con le storie horror per oggi, ok?» Chiosò Lillo con un sorriso di facciata stampato sulle labbra.
Il suo interlocutore scuoteva il capo. «Nient'affatto, la paura vera arriVA ADESSO!»
La voce di Atash si era gradualmente trasformata in un ruggito. Una vampa gialla esplose  nella conca delimitata dalle falesie e qualcosa di oscuro ed enorme proruppe dalla sua figura avventandosi su Zal.
Urlava a squarciagola, Zal. Il suo corpo sollevato a diversi metri d'altezza era infilzato al basso ventre da artigli d'ombra e di fiamma.
Avvolto da quell'irreale luce sulfurea, troneggiava sui presenti come un Cristo profano inchiodato ad una croce invisibile. Le braccia e le gambe, attraversate dai tremori dell'agonia, si scuotevano senza sosta quasi volessero staccarsi dal resto del corpo per cercare salvezza lontano da esso. Il volto stesso era una maschera di dolore: gli occhi sbarrati e gonfi, i bulbi sul punto di schizzare fuori dalle orbite, la bocca oscenamente spalancata.
Urlava a squarciagola, Zal, eppure i suoi gemiti erano superati dai lamenti di un numero indefinibile, immensamente grande, di anime dannate. Le loro fattezze si coglievano in trasparenza, come animati disegni a china, nella luce giallognola e malata che si stendeva sulla spiaggia come un sudario. Anch'esse si contorcevano suggerendo con le loro espressioni grottesche sentimenti di dolore, rabbia, sconfitta e perdizione. 
Un ultimo strattone di quell'Essere d'ombra e Zal tacque. "Qualcosa" si era staccata da lui e, rotolando, aveva terminato la sua corsa ai piedi di Matilde.
Infine, l'oscurità palpitante si richiuse sul piccolo gruppo di amici e le urla, nella baia, cessarono.


                                                                                                                      4. Ciclo senza fine
«Mi hai riportato in vita. Ancora una volta.»
«Sì.»
«Proprio non puoi perdonarmi per quella promessa non mantenuta.» La voce era rassegnata.
Nessuna risposta.
«Quante volte ancora dovrai uccidermi per sentirti soddisfatto?» La tensione, adesso, era palpabile. «ARRIVERA' MAI IL MOMENTO IN CUI SARAI SODDISFATTO?» La voce era diventata un urlo.
«L'Eternità è un mucchio di tempo, Zal. Per te come per me. Ricordalo.»
Ultima modifica di Pulsar il dom nov 06, 2022 11:51 am, modificato 1 volta in totale.

Re: [H2022R] La promessa

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Ciao @Pulsar

Ho avuto l'impressione che tu abbia curato più la seconda parte che l'incipit. Con un po' di revisione diventerebbe più scorrevole, soprattutto nei dialoghi. 

Ti faccio qualche esempio (parere personale, ovviamente): 
Pulsar ha scritto: Matilde decise che era giunto il momento di passare all'azione: si sporse dal telo mare fucsia facendo attenzione ad evitare la lampada da campeggio posta al centro di quel piccolo accampamento fatto di spugne, zainetti e scarpe da tennis e puntò con decisione la scatola da cui proveniva l’invitante profumino.
La parte che ho sottolineato appesantisce la frase; togliendola rimane il succo dell'azione. La confusione di roba sparsa dappertutto potrebbe essere 
descritta separatamente.
Pulsar ha scritto: «Sembra figo, però.» Commentò Matilde
La punteggiatura nei dialoghi è sbagliata un po' dappertutto. ll punto non va messo all'interno delle caporali se c'è la tag di dialogo, e di conseguenza 
la tag va con la minuscola. 

Detto questo, mi è piaciuto. Hai letteralmente inserito il tema dei racconti attorno al falò facendolo diventare una parte integrante della storia. Secondo me, dal punto di vista horror, lo svolgimento è interessante e non banale.  

Grazie per la lettura :) 
Già.

Re: [H2022R] La promessa

4
Ciao.
Dei racconti che ho letto finora (non dirò mai quali) questo è il più riuscito, secondo me. Forse è più fantasy che horror, ma narrato attorno a un falò ci starebbe benissimo.
I punti che potresti rifinire secondo me sono i dialoghi. Al di là degli errori di formattazione, di cui ha già detto Ivalibri, che sono da eliminare: la battuta di dialogo e la frase che la regge formano un tutt'uno, non puoi spezzarle con punto fermo e maiuscola.
Pulsar ha scritto: «Fame, ho fame!» Si lamentò Maria
«Fame, ho fame!» si lamentò Maria
Pulsar ha scritto: «Sì.» Confermò Giorgio
«Sì,» confermò Giorgio

eccetera.
Al di là di questo, però, secondo me i dialoghi qui sono troppo carichi di didascalie, a discapito dell'immersione del lettore. Laddove non sono necessarie, le specificazioni "X rispose divertito", "Y continuò lisciandosi i capelli biondi", "Z dichiarò con voce stentorea" ecc., quando non aggiungono nulla di necessario all'identificazione del parlante o alla comprensione della vicenda, è bene limitarle, perché tolgono ritmo ed immediatezza al dialogo.
Prova a immaginare l'inizio del tuo racconto alleggerito di molti dettagli didascalici superflui, credo che ne gioverebbe in efficacia.

ho anche un dubbio sul limite della "sincerità" con il lettore: è chiaro che, eccetto l'indizio degli occhiali scuri, non vuoi svelare subito che il ragazzo è cieco, però passaggi come il cugino che gli chiede "ne vuoi ancora" mostrando la bottiglia, è ingannevole verso chi legge. Un "agitando" o "tendendo" la bottiglia sarebbe stato meno ambiguo.

Ho finito, vostro onore! :lol:
Il racconto mi è piaciuto molto.
Ciao
I intend to live forever, or die trying.
(Groucho Marx)

Re: [H2022R] La promessa

5
Ciao @Pulsar,
a mio parere hai rispettato pienamente sia il genere, sia la traccia della carta, in toto. Io non l'ho trovato facile.
Leggendo il tuo racconto, ho riflettuto anche sul mio. 
Ho notato che l'esigenza di contestualizzare il racconto, l'alternanza tra il presente e il passato, ma anche tra i dialoghi moderni e una situazione di altri tempi, rompe il ritmo, non offre il giusto coinvolgimento con relativa crescita di angoscia.
Alcune cose non mi tornano
Pulsar ha scritto: Atash, ti iscriverai anche tu nella nostra scuola, come tuo cugino?»
Pulsar ha scritto: E da allora il Demone, sotto le mentite spoglie del bambino cieco,
Non dovrebbe essere possibile che si iscrivano alla stessa scuola, dalle tue descrizioni dovrebbero passarsi almeno dieci anni.
Pulsar ha scritto: Solo uno in meno tra tutti questi; Colui che scuote la terra dalle fondamenta nemmeno se ne accorgerà
Questa frase mi sembra morta lì, mi aspettavo una ripresa, è una specificazione che mi ha fatto immaginare una conseguenza.
Pulsar ha scritto: Un attimo e fu il fuggi-fuggi
Sostituirei fuggi-fuggi mantenendo lo stile del racconto.
Pulsar ha scritto: Qualcosa" si era staccata da lui e, rotolando, aveva terminato la sua corsa ai piedi di Matilde.
Infine, l'oscurità palpitante si richiuse sul piccolo gruppo di amici e le urla, nella baia, cessarono.
Cosa si era staccato? Intuisco che muoia tutto il gruppo, giusto?
Ma Zal era già un loro compagno, quindi per dei periodi il demone lo lasciava stare, poi si ripresentava?
Pulsar ha scritto: Proprio non puoi perdonarmi per quella promessa non mantenuta.»
Secondo me, se hai deciso che il demone continui a vivere nel sentimento del bambino, dovresti togliere la parte in cui il ragazzo è pronto al sacrificio pur di salvarlo. 

Per me gli elementi buoni ci sono, ma sistemerei alcune cose.
Grazie per la lettura 

 
<3

Re: [H2022R] La promessa

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Ciao @Pulsar
Ho trovato il tuo racconto ben centrato sia sulla traccia che sul genere horror. Il testo scorre bene, hai reso bene la scena iniziale spensierata dei ragazzi in spiaggia. Il racconto nel racconto ha una sua funzione nel tuo testo anche se, a mio parere, come ho potuto constatare anche in altri racconti del contest che utilizzano questa tecnica, contribuisce a creare una sorta di filtro con il lettore e dunque smorza la tensione. Nel tuo caso però questa scelta era inevitabile, essendo il fulcro dell'azione. Tuttavia ti segnalo un mio leggero calo di attenzione durante la lettura della parte della storia in Mesopotamia. 
Belle ed efficaci le descrizioni, ho apprezzato anche l'ironia di alcuni passaggi.
Un buon racconto!

Re: [H2022R] La promessa

8
Pulsar ha scritto: «Oh, ma siamo sicuri che quei due hanno capito dove siamo?»
abbiano capito
Pulsar ha scritto: Un ultimo strattone di quell'Essere d'ombra e Zal tacque. "Qualcosa" si era staccata da lui e, rotolando, aveva terminato la sua corsa ai piedi di Matilde.
Secondo me, dovresti dire di cosa si tratta. Così, senza dire cos'è, il lettore mediocre come me non capisce di che utilità sia l'inserimento.
Pulsar ha scritto: «Proprio non puoi perdonarmi per quella promessa non mantenuta.» La voce era rassegnata.
Perdonami, @Pulsar , ma non capisco la faccenda della promessa.
Il giovane di inizio racconto aveva sì promesso al bambino che non gli sarebbe accaduto nulla di male. 
Ma proprio perché il male si è impossessato del bambino, come può quest'ultimo, Atash, essere in grado di dispiacersene ancora e di rinfacciarlo
a Zal?

A parte questo dubbio, hai scritto un bell'horror. Bravo! :)
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [H2022R] La promessa

9
Horror lo è, il racconto è ben scritto, ne escono immagini nitide. Mi è piciuto molto il riferimento ai sacerdoti di antichi dei, ai sacrifici umani, cosa realistica, si sa che agli antichi dei piacevano carni tenere. 
In alcuni punti mi sono un pò confusa ma è di sicuro colpa mia.
Condivido con @Poeta Zaza  lo stesso dubbio: Zal fa la promessa al bambino non al demone, il piccolo è morto quando l'entità si impossessa di lui. Almeno credo che non sia rimasta traccia della coscienza del piccolo. Atash però usa Zal come accompagnatore e rivendica qualcosa che Zal non gli ha promesso. La promessa è stata disattesa nel momento in cui il demone si è preso il bambino.
 
Pulsar ha scritto: «Quante volte ancora dovrai uccidermi per sentirti soddisfatto?» La tensione, adesso, era palpabile. «ARRIVERA' MAI IL MOMENTO IN CUI SARAI SODDISFATTO?» La voce era diventata un urlo.
Mai, usare il maiuscolo per rappresentare urla, paura, sorpresa e quant'altro, non è elegante, io non l'ho mai visto in nessun libro stampato, e gli editori non credo che accettino di stampare una frase scritta così, a meno che l'autore non si impunti e vinca la sfida.


La tensione, adesso, era palpabile. «arriverà mai il momento in cui sarai soddisfatto?» La voce crebbe d'intensità nel pronunciare la frase, fino a diventare un urlo.

Nella frase senza il maiuscolo, io vedo lo stesso la bocca di Zal spalancarsi, e il suo viso trasformarsi nello sforzo che fa per urlare.
Ho solo questa due cose da dire, per il resto, ribadisco, è un ottimo racconto, inquietante al punto giusto.

Re: [H2022R] La promessa

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Ciao. Un bel racconto, che ho letto volentieri. Rientra nei canoni dell'horror e anche nella traccia.
Ben riuscita e molto realistica la prima parte, quella dove vediamo i ragazzi accampati sulla spiaggia, e conosciamo loro e i rapporti che li legano in modo naturale, grazie ai dialoghi. Ti hanno già fatto notare che la punteggiatura dei dialoghi va rivista, ma il contenuto è molto buono e credibile, e serve a stabilire un'atmosfera di partenza normale e spensierata (un po' quello che hanno fatto altri, me compresa) che sfocia piano piano nell'inquietudine e infine nella tragedia. Tutto molto ben fatto a livello di struttura e descrizioni.
Io ho trovato affascinante, e ben inserita, la storia del demone venuto dal passato che si finge un essere umano. Mi è piaciuto anche il dettaglio della vendetta che si perpetua a causa di quell'antica promessa non mantenuta. Forse anche dopo che il demone ha preso possesso del bambino, qualcosa di quest'ultimo è rimasta. È un po' come se ci fosse stato un mutuo scambio.
Pulsar ha scritto: e poi quella cosa, era un Demone, ormai non c'era più dubbio, si manifestò. Sembrava fatto di ombra e fiamme, ardeva pur essendo ammantato di oscurità
qui ci vedrei bene i trattini, perché la frase si "stacca" dal resto: quella cosa — era un Demone, ormai non c'era più dubbio — si manifestò.

Il demone io me lo sono immaginato simile a un Balrog (non so se hai visto il film del Signore degli anelli) , in ogni caso la descrizione è molto suggestiva
Pulsar ha scritto: "Qualcosa" si era staccata da lui e, rotolando, aveva terminato la sua corsa ai piedi di Matilde.
io do per scontato che sia la testa (braccia e gambe difficilmente rotolano) ma forse meglio specificarlo, perché siamo ormai al finale e non c'è più bisogno di mantenere il mistero per aumentare la tensione


Altre piccole correzioni te le hanno già segnalate, quindi mi limito a dire che a me il racconto è molto piaciuto. Complimenti, e alla prossima!
Ci capita di non avere davvero la consapevolezza di quanto potere abbiamo, di quanto possiamo essere forti (A. Navalny)
Qualunque sia il tuo nome (HarperCollins)
La salvatrice di libri orfani (Alcheringa)
Il lato sbagliato del cielo (Arkadia)
Il tredicesimo segno (Words)

Re: [H2022R] La promessa

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Pulsar ha scritto: «Atash, ti iscriverai anche tu nella nostra scuola, come tuo cugino?»
Ciao Pulsar! Molto bello questo "metaracconto". Sì può dire che tu ci abbia regalato non una storia, ma due. Tu segnalo questo passaggio perché, a una prima lettura, avevo notato un"incongruenza: Zal e il cugino Atash, ci dici, sono iracheni. Atash, inoltre, sembra si sia trasferito (immigrato?) da poco dato che gli viene chiesto se si iscriverà alla stessa scuola del cugino. Allora come mai entrambi parlano un italiano perfetto? Di Zal al limite possiamo supporre che sia in Italia da molti anni ma il cugino?
Ecco, questa è una cosa che mi ha un po' disturbata, prima di arrivare al finale e scoprire la loro vera natura.
Pulsar ha scritto: «Ma quello nuovo, l’amico di Zal, porta gli occhiali da sole anche a quest’ora?»
Qui ci dai un indizio che però io avevo interpretato male: non chiedermi perché, avevo pensato fosse un vampiro. 🙄
Pulsar ha scritto: «Quante volte ancora dovrai uccidermi per sentirti soddisfatto?» La tensione, adesso, era palpabile. «ARRIVERA' MAI IL MOMENTO IN CUI SARAI SODDISFATTO?» La voce era diventata un urlo.
«L'Eternità è un mucchio di tempo, Zal. Per te come per me. Ricordalo.»
Complimenti per il finale a sorpresa, davvero non me lo sarei mai aspettato. Una specie di novello prometeo costretto a subire il supplizio per l'eternità. 
Un horror in cui però, di fatto, non c'è nessuna vittima. Ma hai centrato in pieno il genere lo stesso. 

Però sai una cosa? Ho letto il tuo interessante racconto più volte e non ho ben capito quale chiave interpretativa dovrei dare al finale: 
1- Atash è lo spirito del bambino cieco che si vendica del ragazzo ventenne, che non è riuscito  a mantenere la sua promessa di salvarlo, facendolo soffrire di una morte dolorosissima e poi riportandolo in vita, in modo da torturarlo in eterno. 
Questa sarebbe la spiegazione più logica, ed è supportata dal fatto che Atash sia cieco. Però, ripensandoci, Zal ha cercato di salvare il ragazzino addirittura offrendosi in sacrificio al posto suo. Ok, non ci è riuscito ma non per questo merita una vendetta così atroce, anzi...
Però lo stesso Zal  chiede ad Atash, sul finale, perché non riesca a perdonargli quella promessa non mantenuta. Quindi questa ipotesi sembra un minimo fondata.

2- Atash in realtà è il demone a cui venivano offerti i sacrifici. Ha preso le sembianze del ragazzino cieco e...beh tortura Zal in questo modo orribile appunto perché è un demone. 
Propendo per la seconda ipotesi anche in ragione di questo paragrafo: 
Pulsar ha scritto: Fu allora che il Demone si chinò sul bimbo. L'ombra di cui era fatto prese la consistenza del fumo di carbone e, come fumo, quell'essere penetrò nella bocca e nelle narici del piccolo fino a sparire al suo interno.
Quando tutto si fu compiuto,  il bambino si alzò in piedi e voltandosi nella direzione del giovane tese la mano.
"Vieni con me." Disse.
E da allora il Demone, sotto le mentite spoglie del bambino cieco, circola indisturbato per le città degli uomini, disseminando orrore e sofferenza,  accompagnato dal giovane mortale.
Insomma, quale che sia l'ipotesi giusta, il tuo resta un racconto complesso che lascia spazio ad almeno due chiavi interpretative.
Una lettura piacevole, grazie!

Re: [H2022R] La promessa

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Ciao @Pulsar 

A mio giudizio, come qualcuno ha già suggerito, questo racconto ha più del genere fantasy che dell'horror.
Questo non toglie che la storia abbia una sua piacevolezza di lettura e una coerenza interna.
La scrittura è scorrevole e sicura, si giunge al fondo con la spedita leggibilità come in una fiaba classica.
Quello che a mio parere manca è una credibile tensione, che non si ravviva neppure nella parte finale.
Diciamo che non mancano gli elementi truculenti, ma vengono vissuti più come cronaca che come dramma partecipato.
Insomma, vi è molto sangue e non mancano presenze diaboliche che però non scuotono e non fanno rabbrividire il lettore.
Ti ho letto in cose decisamente più convincenti in altri generi letterari.

Ciao, alla prossima.
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