[CP7] L'ora del lupo

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Si; è vero! – son nervosissimo, spaventevolmente nervoso – e lo sono stato sempre; ma perché volete pretendere ch’io sia pazzo? La malattia m’ha aguzzato i sensi, ma non li ha distrutti, non li ha ottusi. Più di tutti gli altri, avevo finissimo il senso dell’udito. Ho sentito tutte le cose del cielo e della terra. Ne ho sentite molte dell’inferno. E dite che son pazzo? State attenti! E osservate con quale precisione, con quale calma vi posso raccontare tutta la storia. Come l’idea m’entrasse dapprima nel cervello, m’è impossibile dirvelo; ma, una volta concepita, non mi lasciò più, né giorno, né notte. D’oggetto non ce n’era. La passione non c’entrava per nulla. L’amavo quel buon vecchio. Non m’aveva fatto mai del male. Non m’aveva mai insultato. Il suo denaro non lo desideravo. Credo che fosse il suo occhio! Certo, era quello! Uno dei suoi occhi assomigliava a quello d’un avvoltoio – un occhio blu pallido, con sopra una macchia. Ogni volta che quell’occhio mi cadeva addosso, mi si gelava il sangue; e così, lentamente… a gradi… mi misi in testa di troncar la vita del vecchio, e con quel mezzo liberarmi per sempre dall’occhio. Ed ecco il buono! – Voi mi credete pazzo. I pazzi non sanno nulla di nulla. Ma se mi aveste visto! Se aveste visto con che sapienza procedetti!… con che precauzione… con quale preveggenza… con quanta dissimulazione mi misi all’opera! Il vecchio non mi trovò mai tanto amabile quanto durante l’intera settimana che precedette l’assassinio. E ogni notte, verso mezzanotte, giravo la maniglia della sua porta, e l’aprivo… oh! tanto dolcemente! E allora, quando l’avevo abbastanza dischiusa per la mia testa, introducevo una lanterna cieca, chiusa, chiusa, ben chiusa, che non lasciava filtrare alcuna luce; poi passavo la testa. Oh! ma sareste rimasti, a vedere con che destrezza passavo la testa! La muovevo lentamente… lentissimamente, in modo da non turbare il sonno dei vecchio. M’abbisognava certamente un’ora per introdurre tutta la mia testa attraverso all’apertura, abbastanza avanti per vederlo coricato nel suo letto. Ah! poteva darsi che un pazzo fosse così prudente? – E allora, quando la mia testa era ben dentro la camera, aprivo la lanterna con precauzione; oh! ma con che precauzione, con che precauzione! perché la cerniera, strideva. E l’aprivo giusto quanto bastava perché un filo impercettibile di luce andasse a cadere sull’occhio d’avvoltoio. E questo l’ho fatto sette lunghe notti – ogni notte a mezzanotte precisa – ma trovai sempre l’occhio chiuso; e così mi fu impossibile mandare ad effetto il divisamento; perché non l’avevo con quel povero vecchio, ma col suo cattivo occhio. E, ogni mattina, allo spuntar del giorno, entravo francamente in camera sua, gli parlavo coraggiosamente, chiamandolo a nome con un tono cordiale, e informandomi come aveva passata la notte. Mi pare, eh? che avrebbe dovuto essere un vecchio molto profondo se avesse pur sospettato che ogni notte, proprio a mezzanotte, l’esaminavo mentre dormiva. L’ottava notte fui ancora più cauto nell’aprir la porta. La lancetta piccola d’un orologio si muove più presto di quel che non facesse la mia mano. Giammai, prima di quella notte, avevo sentito tutta la potenza delle mie facoltà, della mia sagacia. Potevo appena contenere la mie sensazioni di trionfo. Pensare che ero là, aprendo la porta, a poco a poco, e che lui non si sognava neppure le mie azioni e i miei pensieri segreti! A quell’idea mi lasciai sfuggire un piccolo riso; e forse mi sentì, perché si riscosse d’un tratto sul letto, come se si svegliasse. Scommetto che voi pensate che allora mi ritirassi, ma no, cari miei. La sua camera era nera come la pece, tanto erano fitte le tenebre – perché le imposte erano accuratamente chiuse per paura dei ladri – e, sapendo che non poteva vedere quella piccola apertura della porta, continuai a girarla ancora, piano piano, a poco a poco. Avevo passato la testa, ed ero al punto d’aprir la lanterna, quando il pollice mi scivolò sulla serratura di latta, ed il vecchio si rizzò sul letto, gridando: — Chi è là? Rimasi completamente immobile e non dissi niente. Per un’ora intera non mossi un muscolo, e, durante tutto quel tempo, non lo sentii ricoricarsi. Stava sempre a sedere, in ascolto, proprio come avevo fatto io per intere notti. Ma d’un tratto intesi un fievole gemito, e riconobbi ch’era il gemito d’un terrore mortale. Non era un gemito di dolore o d’affanno; oh! no, era il rumore sordo e soffocato che si leva dal fondo d’un’anima sopraffatta dallo spavento. Oh, io lo conoscevo bene quel rumore! Per molte notti, a mezzanotte precisa, mentre che tutti, tutti dormivano, era scaturito dal mio proprio seno, traversando colla sua eco spaventosa i terrori che mi travagliavano. Lo conoscevo bene, ripeto. Sapevo quel che provava il povero vecchio, ed avevo pietà di lui, quantunque avessi la gioia nel cuore. Sapevo ch’era rimasto sveglio fin dal primo piccolo rumore, quando s’era rivoltato nel letto. I suoi timori erano andati sempre crescendo. S’era sforzato di persuadersi ch’erano senza ragione; ma non aveva potuto. S’era detto a sé stesso: — Non è altro che il vento nel camino; non è che un sorcio che traversa il soffitto. Oppure: È semplicemente un grillo che ha mandato il suo grido. Sì, egli s’è sforzato di fortificarsi con quelle ipotesi; ma tutto è stato vano. Tutto vano, perché la Morte che s’avvicinava era passata dinanzi a lui colla sua grande ombra nera, e così aveva avviluppata la sua vittima. Ed era l’influenza funebre dell’ombra inavvertita che gli faceva sentire, quantunque non vedesse e non udisse niente, che gli faceva sentire la presenza della mia testa nella camera. Quand’ebbi aspettato un bel pezzo, pazientissimamente, senza sentirlo ricoricarsi, mi risolvetti a schiudere un po’ la lanterna, ma così poco, quasi nulla. L’aprii dunque, cosi furtivamente, così furtivamente che non sapreste nemmeno immaginarlo, sintanto che un sol raggio pallido come un filo di ragno, si slanciò finalmente dall’apertura e venne a cadere sull’occhio d’avvoltoio. Era aperto, spalancato, ed io entrai in furore appena l’ebbi visto. Lo vidi nettamente, tutto d’un blu opaco e ricoperto d’un velo orribile che mi ghiacciava il midollo nelle ossa; ma non potevo vedere che quello della faccia e della persona del vecchio; perché avevo diretto il raggio, come per istinto, precisamente sul luogo maledetto. Ed ora, non v’ho già detto che quel che prendete per una pazzia, non è che una iperacutezza dei miei sensi? Ora, vi dirò, mi giunse agli orecchi un rumore sordo, soffocato, frequente, simile a quello d’un orologio avvolto nel cotone. Quel suono lo riconobbi subito anche quello. Era il battito del cuore del vecchio. Ebbe virtù d’accrescere il mio furore, come il battere del tamburo porta all’esasperazione il coraggio del soldato. Ma riuscii ancora a contenermi, e rimasi lì, senza muovermi. Badavo a mantenere il raggio dritto sull’occhio. Nello stesso tempo, la carica infernale del cuore batteva più forte; diventava sempre più precipitata e ad ogni istante sempre più forte. Il terrore del vecchio doveva essere estremo! Quel battito, dico, diventava sempre più forte di minuto in minuto. – Mi state attenti, eh? V’ho detto ch’ero nervoso; e infatti lo sono. E allora, nel pieno cuore della notte, tra il silenzio pauroso di quella vecchia casa, un sì strano rumore mi mise addosso un terrore indicibile, irresistibile. Potei contenermi e restar calmo ancora qualche minuto. Ma il battito diventava sempre più forte, sempre più forte. Doveva star per scoppiare quel cuore! Ed ecco che una nuova angoscia s’impadronì di me: il rumore poteva essere udito da qualche vicino! – L’ora del vecchio era venuta! Con un grand’urlo, aprii bruscamente la lanterna e mi slanciai nella camera. Non mandò che un grido, uno solo. In un istante lo precipitai sul pavimento e gli rovesciai addosso tutto il peso formidabile del letto. Allora sorrisi di gioia, vedendo il mio affare così a buon punto. Ma, per alcuni minuti, il cuore batte con un suono velato, che però non mi diede alcuna angustia; non lo si poteva sentire attraverso al muro. Finalmente, dopo un po’, decrebbe, si affievolì; si smorzò, si spense. Il vecchio era morto. Rialzai il letto ed esaminai il corpo. Sì, era morto, morto, stecchito. Gli misi la mano sul cuore e ve la tenni per parecchi minuti. Nessuna pulsazione. Era morto stecchito. M’ero liberato per sempre dal suo occhio. Se persistete sempre a credermi pazzo, questa credenza svanirà quando v’avrò descritto le sagge precauzioni che usai per nascondere il cadavere. La notte avanzava, ed io lavorai vivamente, ma in silenzio. Tagliai la testa, poi le braccia e poi le gambe. Poi tolsi tre tavole dal pavimento della camera e depositai il tutto tra i regoli. Poi rimisi a posto le tavole, così abilmente, così destramente, che nessun occhio umano, neppure il suo, avrebbe potuto scoprirvi qualche cosa di sospetto. Non c’era niente da lavare, nemmeno una macchia, nemmeno una chiazza di sangue. Eh! ci avevo pensato. Una tinozza aveva assorbito tutto. Ah! ah! Quand’ebbi finita tutta la bisogna – erano le quattro – era sempre scuro come a mezzanotte. Mentre che l’orologio suonava l’ora, fu picchiato alla porta di strada. Andai giù per aprire – poiché che cosa avevo da temere ora. Entrarono tre uomini, che si presentarono con molta urbanità, come ufficiali di polizia. Durante la notte un vicino aveva sentito un grido che aveva fatto nascere il sospetto di qualche guaio; era stata trasmessa una denunzia all’ufficio di polizia, e quei signori (gli ufficiali) erano stati mandati a visitare il luogo. Sorrisi – perché che cosa avevo da temere? Diedi il benvenuto a quei signori. – Il grido, dissi, l’avevo mandato io sognando. Il vecchio, aggiunsi, era in viaggio per la provincia. Condussi i visitatori a girar tutta la casa. Finalmente li condussi in camera sua. Mostrai loro i suoi tesori, in perfetta sicurezza, tutti in ordine. Nell’entusiasmo della mia fiducia, portai delle sedie nella camera, e li pregai di riposarsi dalla loro fatica, mentre ch’io stesso, colla folle audacia d’un trionfo perfetto, collocai la mia propria sedia sul luogo stesso dov’era chiuso il corpo della vittima. Gli ufficiali erano soddisfatti. I miei modi li avevano convinti. Mi sentivo proprio libero, a mio agio, senza imbarazzo. – Si misero a sedere e discorsero di cose familiari, alle quali risposi franco ed allegro. Ma, di lì a poco tempo, sentii che diventavo pallido, e desiderai che se n’andassero. Mi doleva la testa, e mi sembrava di sentirmi un tintinnio nelle orecchie; ma quelli restavano sempre seduti e chiacchieravano sempre. Il tintinnio divenne ancora più distinto; persistette e divenne ancora più distinto. Chiacchierai più abbondantemente per sbarazzarmi da quella sensazione; ma non mi lasciò, e prese un carattere del tutto deciso, tanto che alla fine m’accorsi che il rumore non era dentro le mie orecchie. Senza dubbio allora divenni pallidissimo; ma io chiacchieravo ancora più lesto e più forte. Il rumore aumentava sempre – ed io che potevo fare? – Era un rumore sordo, soffocato, frequente, assai simile a quello che farebbe un orologio involto nel cotone. Respirai laboriosamente; gli ufficiali non sentivano ancora. Parlai più lesto; con più veemenza; ma il rumore cresceva, incessante. M’alzai, e disputai su delle piccolezze, in un diapason elevatissimo e con una violenta gesticolazione; ma il rumore cresceva, cresceva sempre. Perché non se ne volevano andare? – Scorsi il tavolato qua e là, pesantemente, a gran passi, come esasperato dalle osservazioni dei miei contradittori. Ma il rumore cresceva regolarmente. Oh, Dio! che potevo fare? Schiumavo, balzavo, sacramentavo. Agitavo la mia sedia facendola scricchiolar sul pavimento. Ma il rumore dominava sempre, e cresceva indefinitamente. Diventava più forte, più forte! sempre più forte! E quegli uomini discorrevano sempre, scherzavano e sorridevano. Ma era mai possibile che non sentissero? Dio onnipotente! – No, no, sentivano! sospettavano! sapevano! si facevano un giuoco, un divertimento del mio terrore! Lo credetti e lo credo ancora. Ma tutto, tutto era più tollerabile di quella derisione! Non potevo sopportar di più quegli ipocriti sorrisi! Sentii che bisognava gridare o morire! – e ancora, e sempre, lo sentite? – ascoltate! più forte! – più forte! sempre più forte! sempre più forte! — Miserabili! gridai, non fingete più! Confesso! strappate quelle tavole! è là, è là! è il battito del suo orribile cuore.

Si; è vero! – son nervosissimo, spaventevolmente nervoso – e lo sono stato sempre; ma perché volete pretendere ch’io sia pazzo? La malattia m’ha aguzzato i sensi, ma non li ha distrutti, non li ha ottusi. Più di tutti gli altri, avevo finissimo il senso dell’udito. Ho sentito tutte le cose del cielo e della terra. Ne ho sentite molte dell’inferno. E dite che son pazzo? State attenti! E osservate con quale precisione, con quale calma vi posso raccontare tutta la storia. Come l’idea m’entrasse dapprima nel cervello, m’è impossibile dirvelo; ma, una volta concepita, non mi lasciò più, né giorno, né notte. D’oggetto non ce n’era. La passione non c’entrava per nulla. L’amavo quel buon vecchio. Non m’aveva fatto mai del male. Non m’aveva mai insultato. Il suo denaro non lo desideravo. Credo che fosse il suo occhio! Certo, era quello! Uno dei suoi occhi assomigliava a quello d’un avvoltoio – un occhio blu pallido, con sopra una macchia. Ogni volta che quell’occhio mi cadeva addosso, mi si gelava il sangue; e così, lentamente… a gradi… mi misi in testa di troncar la vita del vecchio, e con quel mezzo liberarmi per sempre dall’occhio. Ed ecco il buono! – Voi mi credete pazzo. I pazzi non sanno nulla di nulla. Ma se mi aveste visto! Se aveste visto con che sapienza procedetti!… con che precauzione… con quale preveggenza… con quanta dissimulazione mi misi all’opera! Il vecchio non mi trovò mai tanto amabile quanto durante l’intera settimana che precedette l’assassinio. E ogni notte, verso mezzanotte, giravo la maniglia della sua porta, e l’aprivo… oh! tanto dolcemente! E allora, quando l’avevo abbastanza dischiusa per la mia testa, introducevo una lanterna cieca, chiusa, chiusa, ben chiusa, che non lasciava filtrare alcuna luce; poi passavo la testa. Oh! ma sareste rimasti, a vedere con che destrezza passavo la testa! La muovevo lentamente… lentissimamente, in modo da non turbare il sonno dei vecchio. M’abbisognava certamente un’ora per introdurre tutta la mia testa attraverso all’apertura, abbastanza avanti per vederlo coricato nel suo letto. Ah! poteva darsi che un pazzo fosse così prudente? – E allora, quando la mia testa era ben dentro la camera, aprivo la lanterna con precauzione; oh! ma con che precauzione, con che precauzione! perché la cerniera, strideva. E l’aprivo giusto quanto bastava perché un filo impercettibile di luce andasse a cadere sull’occhio d’avvoltoio. E questo l’ho fatto sette lunghe notti – ogni notte a mezzanotte precisa – ma trovai sempre l’occhio chiuso; e così mi fu impossibile mandare ad effetto il divisamento; perché non l’avevo con quel povero vecchio, ma col suo cattivo occhio. E, ogni mattina, allo spuntar del giorno, entravo francamente in camera sua, gli parlavo coraggiosamente, chiamandolo a nome con un tono cordiale, e informandomi come aveva passata la notte. Mi pare, eh? che avrebbe dovuto essere un vecchio molto profondo se avesse pur sospettato che ogni notte, proprio a mezzanotte, l’esaminavo mentre dormiva. L’ottava notte fui ancora più cauto nell’aprir la porta. La lancetta piccola d’un orologio si muove più presto di quel che non facesse la mia mano. Giammai, prima di quella notte, avevo sentito tutta la potenza delle mie facoltà, della mia sagacia. Potevo appena contenere la mie sensazioni di trionfo. Pensare che ero là, aprendo la porta, a poco a poco, e che lui non si sognava neppure le mie azioni e i miei pensieri segreti! A quell’idea mi lasciai sfuggire un piccolo riso; e forse mi sentì, perché si riscosse d’un tratto sul letto, come se si svegliasse. Scommetto che voi pensate che allora mi ritirassi, ma no, cari miei. La sua camera era nera come la pece, tanto erano fitte le tenebre – perché le imposte erano accuratamente chiuse per paura dei ladri – e, sapendo che non poteva vedere quella piccola apertura della porta, continuai a girarla ancora, piano piano, a poco a poco. Avevo passato la testa, ed ero al punto d’aprir la lanterna, quando il pollice mi scivolò sulla serratura di latta, ed il vecchio si rizzò sul letto, gridando: — Chi è là? Rimasi completamente immobile e non dissi niente. Per un’ora intera non mossi un muscolo, e, durante tutto quel tempo, non lo sentii ricoricarsi. Stava sempre a sedere, in ascolto, proprio come avevo fatto io per intere notti. Ma d’un tratto intesi un fievole gemito, e riconobbi ch’era il gemito d’un terrore mortale. Non era un gemito di dolore o d’affanno; oh! no, era il rumore sordo e soffocato che si leva dal fondo d’un’anima sopraffatta dallo spavento. Oh, io lo conoscevo bene quel rumore! Per molte notti, a mezzanotte precisa, mentre che tutti, tutti dormivano, era scaturito dal mio proprio seno, traversando colla sua eco spaventosa i terrori che mi travagliavano. Lo conoscevo bene, ripeto. Sapevo quel che provava il povero vecchio, ed avevo pietà di lui, quantunque avessi la gioia nel cuore. Sapevo ch’era rimasto sveglio fin dal primo piccolo rumore, quando s’era rivoltato nel letto. I suoi timori erano andati sempre crescendo. S’era sforzato di persuadersi ch’erano senza ragione; ma non aveva potuto. S’era detto a sé stesso: — Non è altro che il vento nel camino; non è che un sorcio che traversa il soffitto. Oppure: È semplicemente un grillo che ha mandato il suo grido. Sì, egli s’è sforzato di fortificarsi con quelle ipotesi; ma tutto è stato vano. Tutto vano, perché la Morte che s’avvicinava era passata dinanzi a lui colla sua grande ombra nera, e così aveva avviluppata la sua vittima. Ed era l’influenza funebre dell’ombra inavvertita che gli faceva sentire, quantunque non vedesse e non udisse niente, che gli faceva sentire la presenza della mia testa nella camera. Quand’ebbi aspettato un bel pezzo, pazientissimamente, senza sentirlo ricoricarsi, mi risolvetti a schiudere un po’ la lanterna, ma così poco, quasi nulla. L’aprii dunque, cosi furtivamente, così furtivamente che non sapreste nemmeno immaginarlo, sintanto che un sol raggio pallido come un filo di ragno, si slanciò finalmente dall’apertura e venne a cadere sull’occhio d’avvoltoio. Era aperto, spalancato, ed io entrai in furore appena l’ebbi visto. Lo vidi nettamente, tutto d’un blu opaco e ricoperto d’un velo orribile che mi ghiacciava il midollo nelle ossa; ma non potevo vedere che quello della faccia e della persona del vecchio; perché avevo diretto il raggio, come per istinto, precisamente sul luogo maledetto. Ed ora, non v’ho già detto che quel che prendete per una pazzia, non è che una iperacutezza dei miei sensi? Ora, vi dirò, mi giunse agli orecchi un rumore sordo, soffocato, frequente, simile a quello d’un orologio avvolto nel cotone. Quel suono lo riconobbi subito anche quello. Era il battito del cuore del vecchio. Ebbe virtù d’accrescere il mio furore, come il battere del tamburo porta all’esasperazione il coraggio del soldato. Ma riuscii ancora a contenermi, e rimasi lì, senza muovermi. Badavo a mantenere il raggio dritto sull’occhio. Nello stesso tempo, la carica infernale del cuore batteva più forte; diventava sempre più precipitata e ad ogni istante sempre più forte. Il terrore del vecchio doveva essere estremo! Quel battito, dico, diventava sempre più forte di minuto in minuto. – Mi state attenti, eh? V’ho detto ch’ero nervoso; e infatti lo sono. E allora, nel pieno cuore della notte, tra il silenzio pauroso di quella vecchia casa, un sì strano rumore mi mise addosso un terrore indicibile, irresistibile. Potei contenermi e restar calmo ancora qualche minuto. Ma il battito diventava sempre più forte, sempre più forte. Doveva star per scoppiare quel cuore! Ed ecco che una nuova angoscia s’impadronì di me: il rumore poteva essere udito da qualche vicino! – L’ora del vecchio era venuta! Con un grand’urlo, aprii bruscamente la lanterna e mi slanciai nella camera. Non mandò che un grido, uno solo. In un istante lo precipitai sul pavimento e gli rovesciai addosso tutto il peso formidabile del letto. Allora sorrisi di gioia, vedendo il mio affare così a buon punto. Ma, per alcuni minuti, il cuore batte con un suono velato, che però non mi diede alcuna angustia; non lo si poteva sentire attraverso al muro. Finalmente, dopo un po’, decrebbe, si affievolì; si smorzò, si spense. Il vecchio era morto. Rialzai il letto ed esaminai il corpo. Sì, era morto, morto, stecchito. Gli misi la mano sul cuore e ve la tenni per parecchi minuti. Nessuna pulsazione. Era morto stecchito. M’ero liberato per sempre dal suo occhio. Se persistete sempre a credermi pazzo, questa credenza svanirà quando v’avrò descritto le sagge precauzioni che usai per nascondere il cadavere. La notte avanzava, ed io lavorai vivamente, ma in silenzio. Tagliai la testa, poi le braccia e poi le gambe. Poi tolsi tre tavole dal pavimento della camera e depositai il tutto tra i regoli. Poi rimisi a posto le tavole, così abilmente, così destramente, che nessun occhio umano, neppure il suo, avrebbe potuto scoprirvi qualche cosa di sospetto. Non c’era niente da lavare, nemmeno una macchia, nemmeno una chiazza di sangue. Eh! ci avevo pensato. Una tinozza aveva assorbito tutto. Ah! ah! Quand’ebbi finita tutta la bisogna – erano le quattro – era sempre scuro come a mezzanotte. Mentre che l’orologio suonava l’ora, fu picchiato alla porta di strada. Andai giù per aprire – poiché che cosa avevo da temere ora. Entrarono tre uomini, che si presentarono con molta urbanità, come ufficiali di polizia. Durante la notte un vicino aveva sentito un grido che aveva fatto nascere il sospetto di qualche guaio; era stata trasmessa una denunzia all’ufficio di polizia, e quei signori (gli ufficiali) erano stati mandati a visitare il luogo. Sorrisi – perché che cosa avevo da temere? Diedi il benvenuto a quei signori. – Il grido, dissi, l’avevo mandato io sognando. Il vecchio, aggiunsi, era in viaggio per la provincia. Condussi i visitatori a girar tutta la casa. Finalmente li condussi in camera sua. Mostrai loro i suoi tesori, in perfetta sicurezza, tutti in ordine. Nell’entusiasmo della mia fiducia, portai delle sedie nella camera, e li pregai di riposarsi dalla loro fatica, mentre ch’io stesso, colla folle audacia d’un trionfo perfetto, collocai la mia propria sedia sul luogo stesso dov’era chiuso il corpo della vittima. Gli ufficiali erano soddisfatti. I miei modi li avevano convinti. Mi sentivo proprio libero, a mio agio, senza imbarazzo. – Si misero a sedere e discorsero di cose familiari, alle quali risposi franco ed allegro. Ma, di lì a poco tempo, sentii che diventavo pallido, e desiderai che se n’andassero. Mi doleva la testa, e mi sembrava di sentirmi un tintinnio nelle orecchie; ma quelli restavano sempre seduti e chiacchieravano sempre. Il tintinnio divenne ancora più distinto; persistette e divenne ancora più distinto. Chiacchierai più abbondantemente per sbarazzarmi da quella sensazione; ma non mi lasciò, e prese un carattere del tutto deciso, tanto che alla fine m’accorsi che il rumore non era dentro le mie orecchie. Senza dubbio allora divenni pallidissimo; ma io chiacchieravo ancora più lesto e più forte. Il rumore aumentava sempre – ed io che potevo fare? – Era un rumore sordo, soffocato, frequente, assai simile a quello che farebbe un orologio involto nel cotone. Respirai laboriosamente; gli ufficiali non sentivano ancora. Parlai più lesto; con più veemenza; ma il rumore cresceva, incessante. M’alzai, e disputai su delle piccolezze, in un diapason elevatissimo e con una violenta gesticolazione; ma il rumore cresceva, cresceva sempre. Perché non se ne volevano andare? – Scorsi il tavolato qua e là, pesantemente, a gran passi, come esasperato dalle osservazioni dei miei contradittori. Ma il rumore cresceva regolarmente. Oh, Dio! che potevo fare? Schiumavo, balzavo, sacramentavo. Agitavo la mia sedia facendola scricchiolar sul pavimento. Ma il rumore dominava sempre, e cresceva indefinitamente. Diventava più forte, più forte! sempre più forte! E quegli uomini discorrevano sempre, scherzavano e sorridevano. Ma era mai possibile che non sentissero? Dio onnipotente! – No, no, sentivano! sospettavano! sapevano! si facevano un giuoco, un divertimento del mio terrore! Lo credetti e lo credo ancora. Ma tutto, tutto era più tollerabile di quella derisione! Non potevo sopportar di più quegli ipocriti sorrisi! Sentii che bisognava gridare o morire! – e ancora, e sempre, lo sentite? – ascoltate! più forte! – più forte! sempre più forte! sempre più forte! — Miserabili! gridai, non fingete più! Confesso! strappate quelle tavole! è là, è là! è il battito del suo orribile cuore.
L'ORA DEL LUPO



Spaventevolmente pretendere
il senso del cielo. La passione
assomigliava a una macchia,
Gelava il sangue, lentamente

La vita, con quale preveggenza
amabile e cieca, lasciava un filo
di luce sull’occhio d’un orologio
quella notte nera come la pece

Piano piano, a poco a poco
mezzanotte precisa, colla sua eco
spaventosa, povero vecchio
pietà di lui, sveglio nel letto

Crescendo il vento
nel camino, s’avvicinava
l’influenza funebre dell’ombra
Pallido come un filo di ragno,
venne a cadere un rumore sordo

Nel pieno della nuova angoscia
suonava l’ora alla porta:
il benvenuto d’un trionfo perfetto

Cresceva, dominava, diventava
più forte! sempre più forte!
E ancora più forte, il battito
del suo cuore

Re: [CP7] L'ora del lupo

3
Ciao @Bob66, eccoti qua e che bella poesia ti è uscita! Pensa che anche io ho riflettuto un po' su questa traccia perché adoro Poe, in particolare tale novella, però poi non mi è venuto niente e mi sono orientata su altro, ma d'altronde queste sono connessioni "di pancia" non si può forzare.

Adesso passiamo a te:
Bob66 ha scritto: dom ago 21, 2022 11:55 pmSpaventevolmente pretendere
il senso del cielo.
Questo verso è bellissimo, per altro, ovviamente in altro modo😅, anche io nella mia poesia mi sono posta una questione simile.
È spaventoso capire il senso delle nostre vite, spaventoso soprattutto nel momento (credo che il tuo titolo allude a questo) in cui ci si rende conto che la morte è vicina. Ma la vita non cede, infatti:
Bob66 ha scritto: dom ago 21, 2022 11:55 pmLa vita, con quale preveggenza
amabile e cieca, lasciava un filo
di luce sull’occhio d’un orologio
quella notte nera come la pece
C'è sempre un filo di luce, un lampo di vita, nell'occhio che si spegne. La vita è più forte della morte, anche se la morte vince, alla fine.
Bob66 ha scritto: dom ago 21, 2022 11:55 pmNel pieno della nuova angoscia
suonava l’ora alla porta:
il benvenuto d’un trionfo perfetto
La morte è trionfale, si fa annunciare da eco spaventose, ombre funebri, rumori sordi e infine suona alla porta. Tatan! Eccola, è lì.

Bob66 ha scritto: dom ago 21, 2022 11:55 pmCresceva, dominava, diventava
più forte! sempre più forte!
E ancora più forte, il battito
del suo cuore
La morte si rafforza, si percepisce quasi la sensazione di un suo accrescimento, me la immagino enorme davanti al letto di questo vecchio che però non molla: luce negli occhi e cuore vitale con un battito ancora più forte delle volontà della nera signora. Chi vincerà?


Sei entrato nel mood  di Poe in una maniera perfetta. Si sente il cupo, si vede il nero e c'è l'atavica, invitta battaglia con la morte, che seppur già vista non solo in altre novelle di Poe ma anche, mi viene in mente, insieme famosissima partita a scacchi tema pure di una stupenda pellicola, tu hai reso in maniera originale e con suspence.

I punti di forza sono, a mio avviso, il titolo potente, innanzitutto. E poi quel rivolo di luce nell'occhio, quell'occhio che ritorna e che per primo, ancora prima del cuore, si attacca alla vita.

Questo è ciò che mi ha dato la tua poesia, ti ringrazio e spero che le mie parole ti tornino utili in qualche modo.

Talia 

Re: [CP7] L'ora del lupo

4
@Bob66 Un poesia ben calibrata nel suo crecendo. L'angoscia per il sopraggiungere della morte è palpabile, d'altronde gli elementi ci sono tutti: la mezzanotte (che corrisponde alla fine del giorno e in questo caso della vita), l'occhio dell'orologio l'ultima "porticina" che ci lega al  mondo, la notte nera come la pece, l'influenza funebre  e via di questo passo
Bob66 ha scritto: dom ago 21, 2022 11:55 pmSpaventevolmente pretendere
il senso del cielo
Già, come potremo mai capire? Bellissimo inizio
Bob66 ha scritto: dom ago 21, 2022 11:55 pmLa passione
assomigliava a una macchia,
Gelava il sangue, lentamente
lo spegnersi di ogni passione che un tempo è stata vita, bravo!
Bob66 ha scritto: dom ago 21, 2022 11:55 pmLa vita, con quale preveggenza
amabile e cieca, lasciava un filo
di luce sull’occhio d’un orologio
quella notte nera come la pece
Qui l'occhio dell'orologio mi rimanda all'ultimo battito di vita, quel " filo di luce" lasciato dalla vita sull'occhio dell'orologio rende l'idea dell'ultimo alito di speranza. 
Bob66 ha scritto: dom ago 21, 2022 11:55 pmPiano piano, a poco a poco
mezzanotte precisa, colla sua eco
spaventosa, povero vecchio
pietà di lui, sveglio nel letto
Questa è la strofa che ho apprezzato meno ( se proprio devo trovare una pecca), non tanto per la sua immagine (bella anche questa), quanto per le parole che non mi sembra calzino benissimo nel punto "povero vecchio pietà di lui".
Bob66 ha scritto: dom ago 21, 2022 11:55 pmCrescendo il vento
nel camino, s’avvicinava
l’influenza funebre dell’ombra
Pallido come un filo di ragno,
venne a cadere un rumore sordo
Qui, invece, torno a farti i miei complimenti, per il sopreggiungere della morte hai scelto delle immagini originali quanto significative
Bob66 ha scritto: dom ago 21, 2022 11:55 pmNel pieno della nuova angoscia
suonava l’ora alla porta:
il benvenuto d’un trionfo perfetto
Che dire? Questo è il crescendo cui mi riferivo prima. L'arrivo inesorabile della morte, la sua apoteosi.
Bob66 ha scritto: dom ago 21, 2022 11:55 pm Cresceva, dominava, diventava
più forte! sempre più forte!
E ancora più forte, il battito
del suo cuore
Interessante anche la chiusa, il battito sempre più forte di un cuore che trema di paura, ma che pure lotta cercando di sopravvivere. Sono tante le immagini che sei riuscito a creare e che ho evidenziato in grassetto. Questo è un gran merito.

 Un testo angosciante, sì, ma anche molto intenso e realistico

Re: [CP7] L'ora del lupo

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@Talia Ciao, Talia. Come si suol dire, è andata giù liscia liscia, con pochissimi intoppi e poche retromarce, cioè parole scelte poi cancellate. Mi piaceva anche la traccia uno, forse anche di più dato che Poe lo conosco e Virginia Woolf no (mi sono ripromesso di leggere qualcosa di suo), tanto che mi era quasi venuta voglia di tentarle entrambe e poi scegliere il risultato migliore. La traccia 2 no, zero, senza nulla volerle toglierle, soltanto poco o niente a che fare con quella scrittura lì, da saga familiare. Se ho scelto Poe è stato solo per comodità, in un certo senso, ma sinceramente il testo della Woolf era potenzialmente e poeticamente più ricco di possibilità. Tornando al tuo bel commento, riguardo il titolo è prevedibilmente venuto dopo, quando la poesia aveva preso forma coagulandosi intorno a un'idea, a un momento, a un luogo se vogliamo considerare la notte come un luogo, o forse meglio una scenografia, e a quel punto mi sembrava perfetto quel verso di Guccini dalla sua canzone "Madame Bovary" che dice ...quando l'ora del lupo guaisce. Se ascolti la canzone capisci cosa intendevo con quel titolo. Per quel che riguarda la vita mi viene da dire che è come una piattola, non ti si stacca facilmente di dosso, ma tieni conto che quest'anno, per una strana fatalità, ho letto pochi libri, tutti piuttosto impegnativi e soprattutto di autori morti giovani e per scelta. Oltre a questo, aggiungi che era il mio ultimo giorno, anzi le mie ultime ore di ferie, e capirai anche perché il mio umore non fosse proprio solare :P . E comunque le tue parole sono sempre utili, ovviamente. Se ce la faccio stasera ci risentiamo sulla tua poesia. Ciao.  

Re: [CP7] L'ora del lupo

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@Adel J. Pellitteri 
Ciao, Adelaide, devo dire che la blackout poetry - all'inizio, lo confesso, mi aveva lasciato un po' scettico, cioè mi sembrava un giochino da settimana enigmistica - ha il suo perché. Sicuramente dal punto di vista di chi si accosta alla poesia da una posizione più incline o abituata alla prosa, come può essere la mia, aiuta a far capire cosa significa un accostamento di parole azzeccato in ambito poetico. Ad alcune di queste combinazioni qui presenti, di certo non sarei mai arrivato formulando la poesia di sana pianta, invece dando come presupposto  l'andare a spulciare un testo altrui, proprio per combinare insieme le parole, dà vita a interessantissime quanto estemporanee improvvisazioni, che costituiscono in effetti il lato più affascinante di questo tipo di poesia. E dunque grazie per i complimenti, ma è giusto sottolineare come almeno una di quelle associazioni, una credo delle più azzeccate, pallido come un filo di ragno, sia in toto farina del sacco di Poe in quanto l'ho riportata per intero. Di altre due sono soddisfatto, anche se, ripeto, mi rode un po' essere consapevole che non sarei mai riuscito a metterle insieme pescando soltanto nella mia testa. Sono: filo di luce sull'occhio di un orologio e benvenuto di un trionfo perfetto. La speranza è che dopo essersi fatti portare per mano da Poe su quei versi, diventi se non più facile almeno possibile crearne altri altrettanto intriganti. A risentirci sulla tua poesia, ciao :super:

Re: [CP7] L'ora del lupo

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Bob66 ha scritto: dom ago 21, 2022 11:55 pmSpaventevolmente pretendere
il senso del cielo. La passione
assomigliava a una macchia,
Gelava il sangue, lentamente
La passione è la sofferenza spaventosa ispirata nell'uomo inerme della macchia informe e ignota che adombra la morte, il grande predatore. 
Bob66 ha scritto: dom ago 21, 2022 11:55 pmLa vita, con quale preveggenza
amabile e cieca, lasciava un filo
di luce sull’occhio d’un orologio
quella notte nera come la pece
Qui ci vedo quello che dicono si scorga nell'ultima ora di chiaro: la vita che ti passa davanti. Che si fa scorgere da te.
Bob66 ha scritto: dom ago 21, 2022 11:55 pmNel pieno della nuova angoscia
suonava l’ora alla porta:
il benvenuto d’un trionfo perfetto
Mentre la vita si prende tutta la nuova angoscia, lasciandoti, la Morte suona, dandoti il benvenuto d'un trionfo perfetto. Bravo, @Bob66    (y)

Bob66 ha scritto: dom ago 21, 2022 11:55 pmCresceva, dominava, diventava
più forte! sempre più forte!
E ancora più forte, il battito
del suo cuore
Nei primi due versi, come cresce la potenza di chi è lì per toglierti la vita!
Nei successivi, ma com'è forte, com'è dirompente il battito assoluto di un vecchio cuore! 

Bravo bravo bravo!  :metal2:
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [CP7] L'ora del lupo

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Bob66 ha scritto: dom ago 21, 2022 11:55 pmLa vita, con quale preveggenza
amabile e cieca, lasciava un filo
di luce sull’occhio d’un orologio
quella notte nera come la pece
Con questa quartina hai raggiunto il massimo livello di questa splendida poesia.

Per fare un’operazione simile occorre talento e qui, di talento, ne vedo moltissimo.

Credo che Poe sarebbe orgoglioso dei tuoi versi cupi, taglienti e profondamente disturbanti con il loro significato che tutti ben conosciamo ma che relegare altrove, nelle profondità dell’essere. Hai “cavato fuori” la paura della morte, ma hai lasciato un filo di luce sull’occhio e per questo ti sono grata.
Ottimo lavoro@Bob66

Re: [CP7] L'ora del lupo

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ciao @Bob66 . Hai costruito la tua poesia secondo le atmosfere di cui spesso circondi le tue opere. Mi ha colpito molto l'idea che hai esternato:
Bob66 ha scritto: lun ago 22, 2022 9:36 pmdevo dire che la blackout poetry - all'inizio, lo confesso, mi aveva lasciato un po' scettico, cioè mi sembrava un giochino da settimana enigmistica - ha il suo perché. 
Ho avuto lo stesso pensiero! :D Poi invece mi ha preso, ma ero lì per lì per rinunciare. Tu stai sulla prima via, quella per cui bisognava estrarre il succo del racconto. Sei stato bravo a riempire un contenitore, che io reputavo non riempibile. Hai usato tutta una sequenza di versi dandogli una certa logica.

Ti confesso che avrei preferito una tua "creazione personale", giusto per conoscerti meglio. Ma anche così, non hai fatto che ribadire il tuo modo di poetare. Ciao e a presto.
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [CP7] L'ora del lupo

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@Bob66

Mi è parso di salire una scala a chiocciola, su, fino al punto più buio, quando il timore è che non si apra su niente.
Ricordi? una volta dicesti qui tra i commenti che gli scritti non sono interessanti se non parlano, in un modo o nell'altro, della morte, e io ti risposi che condividevo in pieno la tua convinzione. Perché parlare della morte significa anche parlare della vita: e dunque chiedersi il significato, il criterio, il valore, l'essenza che essa racchiude, e insieme
Bob66 ha scritto: dom ago 21, 2022 11:55 pmSpaventevolmente pretendere
il senso del cielo.
Questo assemblamento che hai prodotto è interessante e sottile, perché può avere un senso duplice: sia "in quanto spaventato dalla molteplicità e il divenire, l'Uomo pretende (e crede) che tutto abbia un senso", sia il contrario, vale a dire "è spaventoso, abietto pretendere un senso da questo assurdo universo in cui siamo capitati". Altrettanto interessante, e collegato al primo dei significati che mi sono permessa di dare al tuo incipit, il verso finale: perché il cuore del vecchio batte più forte della morte?

Grazie e un saluto, Roberto.
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Re: [CP7] L'ora del lupo

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@Ippolita 
Ippolita ha scritto: ven ago 26, 2022 5:51 pmuna volta dicesti qui tra i commenti che gli scritti non sono interessanti se non parlano, in un modo o nell'altro, della morte
Ricordo, ma spero di non essere stato davvero così lapidario, nel senso che non necessariamente penso si debba parlare di morte per essere interessanti. Ci sono tanti modi di scrivere, tanti approcci diversi allo scrivere e anche alle ragioni implicite nell'atto di scrivere. Quello che intendevo è che per me, sì, inutile negarlo, quella componente lì è essenziale perché uno scritto mi entri "dentro". Ma anche questo non è tutto. Niente è mai tutto. E a tal proposito colgo l'immagine del contenitore proposta da @bestseller2020 e dico che in effetti la vita mi pare un contenitore vuoto, di impulsi banali che sono appunto contenitore e non contenuto, e che tocchi a noi, giorno per giorno, riempirlo. Il problema è che la vita è breve e lunga allo stesso tempo, e quel contenitore non lo possiamo ogni giorno riempire delle stesse identiche cose, perché abbiamo bisogno di cambiare, di stupirci, di ritrovarci nelle parole di qualcun altro che non avremmo mai pensato potessero riguardarci. Abbiamo bisogno di sentirci vivi, credo, e la vita non è mai una sola cosa da riproporci tutti i giorni. Tu che sei, a quanto mi pare di aver capito, un'ottima cuoca, capirai al volo ciò che intendo.  :festeggiamo:

Re: [CP7] L'ora del lupo

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bestseller2020 ha scritto: ven ago 26, 2022 5:46 pmHo avuto lo stesso pensiero!
In parte lo penso ancora, ma va bene, anche perché mica vogliamo togliere nulla alla Settimana Enigmistica che di certo un perché ce l'ha di suo. La blackout poetry è qualcosa che io definirei ancora come "gioco", ma ora vi accosterei anche la parola "esercizio", in quanto credo davvero che, se pur il risultato nel bene e nel male non penso sia comparabile a una creazione personale (l'approccio è completamente diverso perché in uno scritto nostro partiamo dall'idea e andiamo in cerca delle parole, mentre nel caso della b.p. avviene esattamente l'opposto, o almeno per me così è stato e se ho mantenuto un collegamento al testo originale, di certo non era intenzionale ma è scaturito dall'uso di determinate parole), è pur vero che la facilità con cui si può praticare (nel senso che qualsiasi testo si presta), il relazionarsi a un testo non nostro, e infine l'estrema elasticità della ricerca che andiamo a compiere (che può essere sia immediata che molto complessa, a piacere), ne fanno una sorta di ginnastica poetica in grado di rafforzare i parametri estetici dei nostri versi e allo stesso tempo rende più sciolto il nostro rapporto con le parole. O almeno questo è il mio pensiero. Grazie del passaggio, @bestseller2020  . 

Re: [CP7] L'ora del lupo

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@Monica ha scritto: mer ago 24, 2022 3:48 pmCredo che Poe sarebbe orgoglioso dei tuoi versi
Grazie dell'apprezzamento @Monica. Se ricordo bene lo stile di vita di Poe, a meno che non mi confonda con quello di Dostoevskij, credo fosse abbastanza incasinato da avere ben altro a cui pensare, e probabilmente lo è tutt'ora, ovunque egli sia, dato che certi personaggi troveranno sempre, io credo, il modo per sabotare la propria tranquillità. 
@Monica ha scritto: mer ago 24, 2022 3:48 pmHai “cavato fuori” la paura della morte, ma hai lasciato un filo di luce sull’occhio e per questo ti sono grata.
E' curioso come la gran parte di noi, poi cerchi in ciò che legge entrambi gli elementi, luce e oscurità. Ciao! :super:

Re: [CP7] L'ora del lupo

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Poeta Zaza ha scritto: mar ago 23, 2022 9:24 pmNei primi due versi, come cresce la potenza di chi è lì per toglierti la vita!
Nei successivi, ma com'è forte, com'è dirompente il battito assoluto di un vecchio cuore! 

Bravo bravo bravo!  :metal2:
Ciao @Poeta Zaza , e grazie. E' esattamente quella contrapposizione lì che avevo in mente, tra gli ultimi due versi e i due precedenti. temevo che accomunandoli e legandoli insieme sulla parola "forte", poi non si capisse. E invece tutto bene. Ottimo! Grazie del passaggio, ciao!   :super:
No, meglio questo:  :metal2:
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