[Lab18] Il non-paguro
Posted: Sun Nov 30, 2025 11:24 pm
«Papà, andiamo! Mi rallenti!»
«Dove stiamo andando, Merricat?» L’uomo annaspava dietro la figlia.
«Laggiù in fondo!» Rispose, saltando da un masso all’altro del frangiflutti. «Dove la terra tocca l'oceano e il cielo! È un triplice confine, come quello tra Norvegia, Svezia e Finlandia. Lo sapevi che dove i loro confini si toccano, in mezzo a un lago, c’è un monumento?»
«No, non lo sapevo».
«Be’, io sì. Però quel punto è come tutti gli altri punti. I confini se li sono inventati le persone, no? Non lo trovi stupido?»
«Le nazioni hanno un impatto reale sulla vita di tutti quanti, tesoro. Quando sarai grande capirai.»
«Capisco benissimo, papà! Ma non sarebbe meglio se ci fosse un'unica, grande nazione? Se le persone non fossero stupide, l'avrebbero già fatto. Renderebbe anche le cose più facili, quando gli alieni contatteranno l'umanità.»
«Hai ragione, Merricat, hai ragione».
«Lo so».
L'uomo rise. «Però dobbiamo restare pronti a qualsiasi cosa. Il mondo di oggi è fatto così, e dobbiamo conviverci. Quindi, dimmi: cosa faresti, se dovessi incontrare un alieno oggi?»
«Non lo so, cosa farei». Saltellò fino all'ultima pietra di fronte all'oceano grigio e si sedette, esposta al vento freddo. «Forse cercherei di capire le sue intenzioni. È intelligente? Vuole farmi del male? Vuole mangiarmi?»
Il padre le si sedette accanto. Lei vide le proprie mani scomparire in quelle calde e ruvide del papà. «Nessuno vuole mangiarti, Merricat».
«Sarà».
Tacquero, stregati dalla musica dell’oceano. Il vento, le onde e i fulmari cancellavano del tutto il vociare della folla in spiaggia. Merricat pensò a come quel baccano fuori dalle finestre l'avesse strappata dal sonno, quella mattina. Rabbrividì, e il papà le strinse le mani più forte.
«Sei pronta a tornare a casa?»
«Ma stavo ascoltando la voce dell’acqua! Non possiamo restare ancora pochino pochino?»
«Pochino pochino, eh?»
«’Ì. Non voglio tornare alla battigia, papà, ci sono i turisti!»
«Ti starò accanto tutto il tempo, te lo prometto. E prima di andare a casa, andiamo a prendere una cioccolata da Huskies, che dici?»
«Va bene...»
«Forza, tesoro. Oplà. In piedi. E allacciati bene la giacca.»
Merricat diede le spalle all'oceano. Lo salutò a bassa voce e senza tante cerimonie, tanto sapeva che dopo la sua morte sarebbero stati assieme per sempre, e avrebbero avuto tutto il tempo per raccontarsi quel che volevano.
Dalla punta del frangiflutti poteva vedere l'intera cittadina. Le luci delle decorazioni si mescolavano in un'unica, grande bolla bianca. Anche di notte l'inquinamento luminoso nascondeva le stelle. Se le persone non fossero state così stupide da trovare bello un mucchio di lampadine, si disse Merricat, avrebbe potuto godersi il cielo invernale in santa pace.
Prese a camminare pian piano dietro il padre, lo sguardo che andava dalla lunga spiaggia grigia, alle montagne innevate dietro la cittadina.
«Quando ero piccolo, c’era un ghiacciaio su quelle montagne, sai, Merricat?»
«Davvero?»
«Davvero. Ma si è sciolto, ora.»
«I ghiacciai non si sciolgono, papà. Fondono.»
«Giusto. Si è fonduto.»
«Fu-»
«Il punto è che il linguaggio è un costrutto. La stessa cosa delle nazioni, come dicevi tu. L’importante è capirsi, no?»
«Ma io capisco il significato di nazione».
Prima di inoltrarsi tra le case, dovevano percorrere un tratto di battigia. Merricat camminava a testa bassa, cercava di respirare il meno possibile e concentrarsi sul suono delle onde. Non voleva guardare tutte quelle persone a fare fotografie coi loro telefoni, o condividere la loro aria, o sentire frammenti dei loro stupidi discorsi. Giocava a spostare con le scarpe le alghe rosse e i cadaveri dei granchi spiaggiati.
Fu mentre camminava così che intravide un movimento nella sabbia umida e si chinò per osservare. Una conchiglia scintillante stava pian piano scavando verso il fondo. Merricat allungò la mano e la afferrò prima che potesse scappare. Era gelida. L'animale si nascose dentro la conchiglia. «Papà, guarda cos'ho trovato!»
Una donna le sorrise.
-Oh! Hai trovato qualcosa sul bagliasciuga, bambina?
«Non si chiama bagnasciuga, ma battigia». Si alzò, tenendo l'animale in pugno. «Il bagnasciuga è la parte delle imbarcazioni compresa tra le linee di immersione massima e minima, mentre la battigia è dove le onde si infrangono sulla spiaggia. Dov'è il papà?» Allungò il collo a guardare oltre la ficcanaso. La spiaggia era lunghissima e le onde strisciavano sottili per decine e decine di metri, lasciando dietro una sabbia compatta simile a fango. Non intravide il giubbotto blu del padre in mezzo alla folla.
-Che bambina intelligente!
Sentì le zampette premere contro il pugno e abbassò lo sguardo sull'animale che aveva catturato. La conchiglia bianca formava una spirale in cui riconobbe la sezione aurea; aveva piccole protuberanze cilindriche che, nonostante le fitte nuvole che coprivano il sole, luccicavano di un argento abbagliante. Dove la conchiglia si apriva, vide uscire la testolina rossiccia dell’essere. Era coriacea come quella di un crostaceo, ma aveva l’aspetto di un rospo. Sbatté le palpebre e fissò gli occhi dorati su quelli di Merricat. Aveva due, tre... quattro zampe, corte e tozze. Aprì la bocca per sbadigliare; al posto della lingua, c’erano tentacoli simili a una anemone. Emise un pigolio acuto che le ricordò il vagito di un neonato.
-Oh! La bambina ha trovato un paguro!
Altri curiosi si avvicinarono.
«Non è un paguro».
-E allora cosa?
«Non lo so». I suoi occhi saettarono da una parte all'altra, cercando di prevedere i movimenti della folla. «Forse è una nuova specie. Però forse sono io che non la conosco. Secondo il rasoio di Ockham-»
-Che bambina intelligente!
«Non voglio mettere in mostra quello che so. Insomma, è interessante il complicato processo tramite cui-»
-Posso vedere il paguro?
-Anche io voglio vedere il paguro!
«Ho detto che non è un paguro».
-L'hai trovato sul bagnasciuga?
«Battigia», abbassò lo sguardo.
-Oh, che bambina intelligente!
«Dov’è il papà?» Fissò l'animaletto, che ricambiò con curiosità. Doveva mostrarlo al papà. Dove si era cacciato? Aveva promesso che sarebbe stato con lei per sempre.
Bugiardo.
Cercò di non pensare a tutti i curiosi attorno, di ignorare il loro respiro pesante, il modo in cui le particelle dell’aria venissero spostate e riscaldate da quell'alito collettivo che usciva da centinaia di bocche e dal doppio delle narici, le onde sonore che venivano captate dalle ossicina dell’orecchio interno e tradotte nel segnale corrispondente a «rumore di respiro», il modo in cui ciò significasse che la folla le si fosse già insinuata dentro il cervello e ci stesse respirando sopra, il modo in cui le altre persone così plasmassero la sua personalità senza neanche chiedere il permesso, rendendola un burattino guidato dai fili invisibili delle impressioni e degli impulsi che i suoi sensi percepivano in un flusso continuo in uscita dal naso di tutte quelle persone... No! Basta, basta, basta.
Il respiro, concentrati sul tuo respiro, Merricat. Cosa senti? Salsedine. Alghe. Mare. Casa, sì. Doveva portare il suo nuovo amico dal papà. Slacciò la borraccia, la svuotò, la riempì di acqua di mare e ci fece scivolare l'animale dentro. «Va bene, cerchiamo il papà», disse all'animaletto dietro la plastica trasparente. Quello rispose facendo uscire i tentacoli rosa dalla bocca.
-Non trovi tuo padre?
-Ehi, questa bambina non trova suo padre!
-C'è una bambina che cerca il papà!
-Come ti chiami?
-Hai bisogno di aiuto?
-Che cos'hai lì con te? Un paguro?
Si allontanò da quella massa di sconosciuti. Una volta in strada, sgomitò tra i turisti accalcati davanti a bar e negozi. Non avevano freddo? Non sarebbero stati molto meglio, al caldo delle proprie case? Perché si erano presi la briga di andare a infastidire Merricat?
Due uomini fuori da un locale stavano ridendo a voce troppo alta. Conosceva quella voce. Uno dei due era il suo vicino di casa, ed era sicura che anche l'altro fosse un compaesano: doveva averlo visto da qualche parte. Si chiamavano... Ah, chi se ne importa! «Avete visto mio papà?» Sussurrò.
Ridevano e parlavano e fumavano.
«Ehi», tirò la giacca del suo vicino. «Hai visto mio papà?»
Tacquero e si voltarono a guardarla.
-E chi sarebbe tuo papà, scusami tanto?
-Hai bisogno di aiuto?
«Ma come! Siamo i tuoi vicini di casa, io e il papà.»
-Non ti ho mai vista.
-Che cos'hai lì? Sembra pericoloso. Dovresti ammazzarlo.
«Ammazzati tu!» Gli gridò Merricat, e scappò via.
Si sentiva in pericolo, in mezzo a tutta quella gente. Il numero del padre sul cellulare suonava a vuoto.
Bugiardo.
Doveva allontanarsi. Scappare. Vedere un volto familiare. Forse Constance era libera? Forse l’avrebbe aiutata a cercare il papà? Sì, l'avrebbe aiutata. Aprì la rubrica, e: vuota.
Vuota. Tutti i contatti erano spariti. Sbatté un paio di volte le palpebre. La chiuse, la riaprì, rimase vuota. Non era mai successo prima. Fece scivolare il telefono nella giacca e si sedette di fronte una vetrina.
«Sei stata tu?» Chiese alla cosa nella borraccia. «Hai cancellato tu la mia rubrica e fatto scomparire il mio papà?»
L'animale si lisciava i tentacoli con le zampette, gli occhi dorati spalancati su Merricat.
«Era l’unico che mi ascoltava, sai? Perché l'hai fatto sparire? Ora chi ci sarà per me? Tu?»
-Non puoi stare qui, cara.
Una commessa la guardava severa.
«Lasciami in pace. Sto cercando il papà.»
-Be’, cercalo da qualche altra parte- Aspetta, che roba è quel coso? Che schifo!
«Tu fai schifo». Si alzò e fece per allontanarsi.
-Bla bla bla!
Merricat aggrottò le sopracciglia. Aveva detto qualcosa? Non l’aveva capito, in mezzo al brusio della folla. Fece spallucce. Perché stava ancora perdendo tempo in centro? Si incamminò verso casa lungo le strade più secondarie che conosceva.
-Ehi, sembri persa. Posso venderti...
«Vai a farti fottere», non rallentò neppure.
-Bla!
«Perché gli umani sono tutti così stupidi?» Chiese all'animaletto. «Il tuo sguardo è molto più intelligente, sai?»
Accelerò il passo quando finalmente vide sbucare la sua piccola casetta azzurra. C'erano le luci accese e una finestra aperta. Il papà era già a casa? Senza di lei? Altro che cioccolata insieme: quel bugiardo! Tirò fuori le chiavi, scelse quella giusta senza guardare e fece per infilarla nella toppa.
Non entrò.
«Ma che...»
Riprovò. Nulla. Riprovò, ancora e ancora, con tutte le chiavi del mazzo, anche quelle che sapeva fossero sbagliate: nulla. Si arrese a bussare. «Ehi, papà! Papà, apri, sono io!» Suonò il citofono. «Mi hai chiusa fuori!»
«Si può sapere cos’è tutto questo baccano...» La porta si aprì, cigolando. Una vecchietta ingobbita si reggeva alla maniglia e guardava corrugata Merricat. «E tu chi saresti, bambina mia?»
«Io? Chi sei tu, piuttosto, vecchia strega! Che ci fai in casa mia? Cos'hai fatto al papà?»
«Brutta piccola… Come ti permetti!» La strega picchiò il bastone a terra.
Merricat sentì i peli delle braccia rizzarsi. «Esci da casa mia!»
-Questa è casa mia!
«No, mia! Mia! Questo è il numero sette, vecchiaccia! S-E-T-T-E!!! Ed è la casa mia e del papà, quindi esci subito, oppure...»
-Se è uno scherzo, non è divert-bla! Bla bla bla! Bla.
E le sbatté la porta in faccia.
Merricat aveva gli occhi umidi. Odiava quel groppo alla gola. Lo odiava! Non riusciva a categorizzare se fosse arrabbiata o triste, e questo la rendeva solo più arrabbiata. O triste. Ma non avrebbe pianto, e non avrebbe urlato: non era una scimmia.
Tirò su col naso. «E adesso?» Chiese alla cosa nella borraccia. Quella uscì dalla conchiglia e ricambiò lo sguardo interrogativo.
Dove si era cacciato quel buono a nulla del papà? Forse da Huskies. Dopotutto, le aveva promesso una cioccolata insieme, e magari la stava aspettando lì. Era la sua ultima possibilità. Doveva essere lì. Huskies era vicino al centro; se solo ci avesse pensato prima! Stare in mezzo alla folla la stava rendendo stupida come loro? Si incamminò a testa bassa, mordendosi le labbra e tirandosi i capelli.
Non aveva mai visto Huskies così affollato. E lei sarebbe dovuta entrare là dentro? Tutti i tavoli erano pieni; c'era persino gente in piedi. Valutò l'idea di mettersi in coda, ma no: non era una turista qualunque. Quella era la sua cittadella. Si mise a sgomitare, senza guardare in faccia nessuno. Aveva tutto il diritto di saltare la fila.
Quando riuscì a entrare, vacillò per l'onda di calore e rumore che la travolse. Così tante parole, tutte insieme...! La folla non si rendeva conto di quanto era pericoloso? Considerato il peso che una singola parola aveva - un insieme di suoni prodotti dalle corde vocali dei conspecifici che portava un significato unico dentro il cervello di altri conspecifici - che effetto credevano potesse avere, tutto quel chiasso e quella zuppa di parole, se non qualcosa di paragonabile al caos primordiale? Come facevano a non accorgersene, a sopportarlo?
-Come posso aiutarti?
«Tutti quanti vogliono aiutarmi, oggi», rispose al cameriere.
-Bla?
Lei guardò oltre e cercò il papà. Giubbotto blu, giubbotto blu, giubbotto blu... Giubbotto blu. Laggiù, seduto di spalle. Era il suo, ne era sicura.
Si mise a correre, per quanto la viscosità della folla lo permettesse. «Papà!» Gridò.
Alcuni clienti si voltarono, incuriositi, ma dopo un'occhiata sbrigativa tornarono ai loro caffè. Bla, commentò qualcuno, e nulla più.
Finalmente. Era lui: i suoi occhi, il suo naso, la sua voce, le sue mani. Sorrise e gli si lanciò al collo in un abbraccio. «Papà, papà! Dove eri andato a finire? Ho avuto così paura!»
Lui si irrigidì. «Ma che... Eh? Scusami, penso- penso tu abbia sbagliato persona.» Rivolse un’occhiata di scusa alle spalle di Merricat.
Seguì gli occhi del padre. All’altro capo del tavolo c’era una donna elegante che alternava lo sguardo da Merricat all'uomo e dall'uomo a Merricat, in cerca di spiegazioni.
«Papà, guarda che animale ho trovato!»
«Io non la conosco, giuro», disse il papà.
«Lei?» Chiesero all'unisono Merricat e la sconosciuta.
-La bambina. Non è mia figlia.
«Ma papà! I-io... Sei un bugiardo!»
-Bla bla.
«Nient'altro che un b-» Un singhiozzo spezzò la frase. Questa volta non riuscì a trattenere le lacrime. Si sentì il corpo tremare per le convulsioni. Cadde a terra, lasciò scivolare la borraccia e si portò le mani fredde agli occhi. Mentre si asciugava le lacrime, le sue nocche erano dure come quelle del papà. «Che succede...» Balbettò, e il pianto crebbe fuori controllo. Urlò, ma la folla non le rivolse nulla più che un’occhiata. Nessuno si propose di aiutarla. «Che cos'hai fatto...» Sollevò la borraccia con l’animale.
Rimase lì, accasciata sul pavimento di Huskies, abbracciata a una bottiglia di acqua marina. La folla le passava accanto. Non la vedeva, la ignorava.
Ci mise un'eternità, a calmarsi.
«Mi hai liberata, non è vero?» Chiese all'animaletto. «Mi hai liberata».
Si alzò. «Addio, papà». Gli carezzò la barba, piano.
L’uomo non cambiò neanche espressione, mentre diceva alla donna bla bla bla.
Uscì dal locale e si fece largo tra la folla. Non guardò nessuno, e nessuno la guardò. Non aveva più nulla a che fare con quell’ammasso di carne maleodorante.
-Bla bla.
-Bla? Bla bla bla!
-Bla. Bla bla, bla; bla bla bla, bla.
I loro occhi spenti erano fissi sul nulla, le bocche aperte vomitavano parole senza senso. Merricat non se ne interessò: erano solo umani.
Tornò al frangiflutti, una linea nera contro un cielo nero. Arrivò laggiù in fondo, di masso in masso. Il vociare si fece lontano, sparì. L'eterna musica delle onde e del vento la attraversò da capo a piedi.
«Eccoci».
Aprì la borraccia e si lasciò scivolare l’essere tra le mani.
«Ora ti libero, va bene? Così come tu hai liberato me.» L'animaletto percorse un paio di passetti sul palmo di Merricat e scivolò tra le rocce bagnate.
«Aspetta».
L’essere si fermò, come se avesse capito, e fissò gli occhi dorati in quelli di Merricat.
Lei si morse le labbra. «Aspetta. Verrò con te, se ti va. Voglio stare nell’oceano con te, per sempre. Va bene? Posso? Ci immergeremo nelle tenebre degli abissi, e nella tana del profondo dimoreremo per sempre, fra la meraviglia e la gloria.»
«Dove stiamo andando, Merricat?» L’uomo annaspava dietro la figlia.
«Laggiù in fondo!» Rispose, saltando da un masso all’altro del frangiflutti. «Dove la terra tocca l'oceano e il cielo! È un triplice confine, come quello tra Norvegia, Svezia e Finlandia. Lo sapevi che dove i loro confini si toccano, in mezzo a un lago, c’è un monumento?»
«No, non lo sapevo».
«Be’, io sì. Però quel punto è come tutti gli altri punti. I confini se li sono inventati le persone, no? Non lo trovi stupido?»
«Le nazioni hanno un impatto reale sulla vita di tutti quanti, tesoro. Quando sarai grande capirai.»
«Capisco benissimo, papà! Ma non sarebbe meglio se ci fosse un'unica, grande nazione? Se le persone non fossero stupide, l'avrebbero già fatto. Renderebbe anche le cose più facili, quando gli alieni contatteranno l'umanità.»
«Hai ragione, Merricat, hai ragione».
«Lo so».
L'uomo rise. «Però dobbiamo restare pronti a qualsiasi cosa. Il mondo di oggi è fatto così, e dobbiamo conviverci. Quindi, dimmi: cosa faresti, se dovessi incontrare un alieno oggi?»
«Non lo so, cosa farei». Saltellò fino all'ultima pietra di fronte all'oceano grigio e si sedette, esposta al vento freddo. «Forse cercherei di capire le sue intenzioni. È intelligente? Vuole farmi del male? Vuole mangiarmi?»
Il padre le si sedette accanto. Lei vide le proprie mani scomparire in quelle calde e ruvide del papà. «Nessuno vuole mangiarti, Merricat».
«Sarà».
Tacquero, stregati dalla musica dell’oceano. Il vento, le onde e i fulmari cancellavano del tutto il vociare della folla in spiaggia. Merricat pensò a come quel baccano fuori dalle finestre l'avesse strappata dal sonno, quella mattina. Rabbrividì, e il papà le strinse le mani più forte.
«Sei pronta a tornare a casa?»
«Ma stavo ascoltando la voce dell’acqua! Non possiamo restare ancora pochino pochino?»
«Pochino pochino, eh?»
«’Ì. Non voglio tornare alla battigia, papà, ci sono i turisti!»
«Ti starò accanto tutto il tempo, te lo prometto. E prima di andare a casa, andiamo a prendere una cioccolata da Huskies, che dici?»
«Va bene...»
«Forza, tesoro. Oplà. In piedi. E allacciati bene la giacca.»
Merricat diede le spalle all'oceano. Lo salutò a bassa voce e senza tante cerimonie, tanto sapeva che dopo la sua morte sarebbero stati assieme per sempre, e avrebbero avuto tutto il tempo per raccontarsi quel che volevano.
Dalla punta del frangiflutti poteva vedere l'intera cittadina. Le luci delle decorazioni si mescolavano in un'unica, grande bolla bianca. Anche di notte l'inquinamento luminoso nascondeva le stelle. Se le persone non fossero state così stupide da trovare bello un mucchio di lampadine, si disse Merricat, avrebbe potuto godersi il cielo invernale in santa pace.
Prese a camminare pian piano dietro il padre, lo sguardo che andava dalla lunga spiaggia grigia, alle montagne innevate dietro la cittadina.
«Quando ero piccolo, c’era un ghiacciaio su quelle montagne, sai, Merricat?»
«Davvero?»
«Davvero. Ma si è sciolto, ora.»
«I ghiacciai non si sciolgono, papà. Fondono.»
«Giusto. Si è fonduto.»
«Fu-»
«Il punto è che il linguaggio è un costrutto. La stessa cosa delle nazioni, come dicevi tu. L’importante è capirsi, no?»
«Ma io capisco il significato di nazione».
Prima di inoltrarsi tra le case, dovevano percorrere un tratto di battigia. Merricat camminava a testa bassa, cercava di respirare il meno possibile e concentrarsi sul suono delle onde. Non voleva guardare tutte quelle persone a fare fotografie coi loro telefoni, o condividere la loro aria, o sentire frammenti dei loro stupidi discorsi. Giocava a spostare con le scarpe le alghe rosse e i cadaveri dei granchi spiaggiati.
Fu mentre camminava così che intravide un movimento nella sabbia umida e si chinò per osservare. Una conchiglia scintillante stava pian piano scavando verso il fondo. Merricat allungò la mano e la afferrò prima che potesse scappare. Era gelida. L'animale si nascose dentro la conchiglia. «Papà, guarda cos'ho trovato!»
Una donna le sorrise.
-Oh! Hai trovato qualcosa sul bagliasciuga, bambina?
«Non si chiama bagnasciuga, ma battigia». Si alzò, tenendo l'animale in pugno. «Il bagnasciuga è la parte delle imbarcazioni compresa tra le linee di immersione massima e minima, mentre la battigia è dove le onde si infrangono sulla spiaggia. Dov'è il papà?» Allungò il collo a guardare oltre la ficcanaso. La spiaggia era lunghissima e le onde strisciavano sottili per decine e decine di metri, lasciando dietro una sabbia compatta simile a fango. Non intravide il giubbotto blu del padre in mezzo alla folla.
-Che bambina intelligente!
Sentì le zampette premere contro il pugno e abbassò lo sguardo sull'animale che aveva catturato. La conchiglia bianca formava una spirale in cui riconobbe la sezione aurea; aveva piccole protuberanze cilindriche che, nonostante le fitte nuvole che coprivano il sole, luccicavano di un argento abbagliante. Dove la conchiglia si apriva, vide uscire la testolina rossiccia dell’essere. Era coriacea come quella di un crostaceo, ma aveva l’aspetto di un rospo. Sbatté le palpebre e fissò gli occhi dorati su quelli di Merricat. Aveva due, tre... quattro zampe, corte e tozze. Aprì la bocca per sbadigliare; al posto della lingua, c’erano tentacoli simili a una anemone. Emise un pigolio acuto che le ricordò il vagito di un neonato.
-Oh! La bambina ha trovato un paguro!
Altri curiosi si avvicinarono.
«Non è un paguro».
-E allora cosa?
«Non lo so». I suoi occhi saettarono da una parte all'altra, cercando di prevedere i movimenti della folla. «Forse è una nuova specie. Però forse sono io che non la conosco. Secondo il rasoio di Ockham-»
-Che bambina intelligente!
«Non voglio mettere in mostra quello che so. Insomma, è interessante il complicato processo tramite cui-»
-Posso vedere il paguro?
-Anche io voglio vedere il paguro!
«Ho detto che non è un paguro».
-L'hai trovato sul bagnasciuga?
«Battigia», abbassò lo sguardo.
-Oh, che bambina intelligente!
«Dov’è il papà?» Fissò l'animaletto, che ricambiò con curiosità. Doveva mostrarlo al papà. Dove si era cacciato? Aveva promesso che sarebbe stato con lei per sempre.
Bugiardo.
Cercò di non pensare a tutti i curiosi attorno, di ignorare il loro respiro pesante, il modo in cui le particelle dell’aria venissero spostate e riscaldate da quell'alito collettivo che usciva da centinaia di bocche e dal doppio delle narici, le onde sonore che venivano captate dalle ossicina dell’orecchio interno e tradotte nel segnale corrispondente a «rumore di respiro», il modo in cui ciò significasse che la folla le si fosse già insinuata dentro il cervello e ci stesse respirando sopra, il modo in cui le altre persone così plasmassero la sua personalità senza neanche chiedere il permesso, rendendola un burattino guidato dai fili invisibili delle impressioni e degli impulsi che i suoi sensi percepivano in un flusso continuo in uscita dal naso di tutte quelle persone... No! Basta, basta, basta.
Il respiro, concentrati sul tuo respiro, Merricat. Cosa senti? Salsedine. Alghe. Mare. Casa, sì. Doveva portare il suo nuovo amico dal papà. Slacciò la borraccia, la svuotò, la riempì di acqua di mare e ci fece scivolare l'animale dentro. «Va bene, cerchiamo il papà», disse all'animaletto dietro la plastica trasparente. Quello rispose facendo uscire i tentacoli rosa dalla bocca.
-Non trovi tuo padre?
-Ehi, questa bambina non trova suo padre!
-C'è una bambina che cerca il papà!
-Come ti chiami?
-Hai bisogno di aiuto?
-Che cos'hai lì con te? Un paguro?
Si allontanò da quella massa di sconosciuti. Una volta in strada, sgomitò tra i turisti accalcati davanti a bar e negozi. Non avevano freddo? Non sarebbero stati molto meglio, al caldo delle proprie case? Perché si erano presi la briga di andare a infastidire Merricat?
Due uomini fuori da un locale stavano ridendo a voce troppo alta. Conosceva quella voce. Uno dei due era il suo vicino di casa, ed era sicura che anche l'altro fosse un compaesano: doveva averlo visto da qualche parte. Si chiamavano... Ah, chi se ne importa! «Avete visto mio papà?» Sussurrò.
Ridevano e parlavano e fumavano.
«Ehi», tirò la giacca del suo vicino. «Hai visto mio papà?»
Tacquero e si voltarono a guardarla.
-E chi sarebbe tuo papà, scusami tanto?
-Hai bisogno di aiuto?
«Ma come! Siamo i tuoi vicini di casa, io e il papà.»
-Non ti ho mai vista.
-Che cos'hai lì? Sembra pericoloso. Dovresti ammazzarlo.
«Ammazzati tu!» Gli gridò Merricat, e scappò via.
Si sentiva in pericolo, in mezzo a tutta quella gente. Il numero del padre sul cellulare suonava a vuoto.
Bugiardo.
Doveva allontanarsi. Scappare. Vedere un volto familiare. Forse Constance era libera? Forse l’avrebbe aiutata a cercare il papà? Sì, l'avrebbe aiutata. Aprì la rubrica, e: vuota.
Vuota. Tutti i contatti erano spariti. Sbatté un paio di volte le palpebre. La chiuse, la riaprì, rimase vuota. Non era mai successo prima. Fece scivolare il telefono nella giacca e si sedette di fronte una vetrina.
«Sei stata tu?» Chiese alla cosa nella borraccia. «Hai cancellato tu la mia rubrica e fatto scomparire il mio papà?»
L'animale si lisciava i tentacoli con le zampette, gli occhi dorati spalancati su Merricat.
«Era l’unico che mi ascoltava, sai? Perché l'hai fatto sparire? Ora chi ci sarà per me? Tu?»
-Non puoi stare qui, cara.
Una commessa la guardava severa.
«Lasciami in pace. Sto cercando il papà.»
-Be’, cercalo da qualche altra parte- Aspetta, che roba è quel coso? Che schifo!
«Tu fai schifo». Si alzò e fece per allontanarsi.
-Bla bla bla!
Merricat aggrottò le sopracciglia. Aveva detto qualcosa? Non l’aveva capito, in mezzo al brusio della folla. Fece spallucce. Perché stava ancora perdendo tempo in centro? Si incamminò verso casa lungo le strade più secondarie che conosceva.
-Ehi, sembri persa. Posso venderti...
«Vai a farti fottere», non rallentò neppure.
-Bla!
«Perché gli umani sono tutti così stupidi?» Chiese all'animaletto. «Il tuo sguardo è molto più intelligente, sai?»
Accelerò il passo quando finalmente vide sbucare la sua piccola casetta azzurra. C'erano le luci accese e una finestra aperta. Il papà era già a casa? Senza di lei? Altro che cioccolata insieme: quel bugiardo! Tirò fuori le chiavi, scelse quella giusta senza guardare e fece per infilarla nella toppa.
Non entrò.
«Ma che...»
Riprovò. Nulla. Riprovò, ancora e ancora, con tutte le chiavi del mazzo, anche quelle che sapeva fossero sbagliate: nulla. Si arrese a bussare. «Ehi, papà! Papà, apri, sono io!» Suonò il citofono. «Mi hai chiusa fuori!»
«Si può sapere cos’è tutto questo baccano...» La porta si aprì, cigolando. Una vecchietta ingobbita si reggeva alla maniglia e guardava corrugata Merricat. «E tu chi saresti, bambina mia?»
«Io? Chi sei tu, piuttosto, vecchia strega! Che ci fai in casa mia? Cos'hai fatto al papà?»
«Brutta piccola… Come ti permetti!» La strega picchiò il bastone a terra.
Merricat sentì i peli delle braccia rizzarsi. «Esci da casa mia!»
-Questa è casa mia!
«No, mia! Mia! Questo è il numero sette, vecchiaccia! S-E-T-T-E!!! Ed è la casa mia e del papà, quindi esci subito, oppure...»
-Se è uno scherzo, non è divert-bla! Bla bla bla! Bla.
E le sbatté la porta in faccia.
Merricat aveva gli occhi umidi. Odiava quel groppo alla gola. Lo odiava! Non riusciva a categorizzare se fosse arrabbiata o triste, e questo la rendeva solo più arrabbiata. O triste. Ma non avrebbe pianto, e non avrebbe urlato: non era una scimmia.
Tirò su col naso. «E adesso?» Chiese alla cosa nella borraccia. Quella uscì dalla conchiglia e ricambiò lo sguardo interrogativo.
Dove si era cacciato quel buono a nulla del papà? Forse da Huskies. Dopotutto, le aveva promesso una cioccolata insieme, e magari la stava aspettando lì. Era la sua ultima possibilità. Doveva essere lì. Huskies era vicino al centro; se solo ci avesse pensato prima! Stare in mezzo alla folla la stava rendendo stupida come loro? Si incamminò a testa bassa, mordendosi le labbra e tirandosi i capelli.
Non aveva mai visto Huskies così affollato. E lei sarebbe dovuta entrare là dentro? Tutti i tavoli erano pieni; c'era persino gente in piedi. Valutò l'idea di mettersi in coda, ma no: non era una turista qualunque. Quella era la sua cittadella. Si mise a sgomitare, senza guardare in faccia nessuno. Aveva tutto il diritto di saltare la fila.
Quando riuscì a entrare, vacillò per l'onda di calore e rumore che la travolse. Così tante parole, tutte insieme...! La folla non si rendeva conto di quanto era pericoloso? Considerato il peso che una singola parola aveva - un insieme di suoni prodotti dalle corde vocali dei conspecifici che portava un significato unico dentro il cervello di altri conspecifici - che effetto credevano potesse avere, tutto quel chiasso e quella zuppa di parole, se non qualcosa di paragonabile al caos primordiale? Come facevano a non accorgersene, a sopportarlo?
-Come posso aiutarti?
«Tutti quanti vogliono aiutarmi, oggi», rispose al cameriere.
-Bla?
Lei guardò oltre e cercò il papà. Giubbotto blu, giubbotto blu, giubbotto blu... Giubbotto blu. Laggiù, seduto di spalle. Era il suo, ne era sicura.
Si mise a correre, per quanto la viscosità della folla lo permettesse. «Papà!» Gridò.
Alcuni clienti si voltarono, incuriositi, ma dopo un'occhiata sbrigativa tornarono ai loro caffè. Bla, commentò qualcuno, e nulla più.
Finalmente. Era lui: i suoi occhi, il suo naso, la sua voce, le sue mani. Sorrise e gli si lanciò al collo in un abbraccio. «Papà, papà! Dove eri andato a finire? Ho avuto così paura!»
Lui si irrigidì. «Ma che... Eh? Scusami, penso- penso tu abbia sbagliato persona.» Rivolse un’occhiata di scusa alle spalle di Merricat.
Seguì gli occhi del padre. All’altro capo del tavolo c’era una donna elegante che alternava lo sguardo da Merricat all'uomo e dall'uomo a Merricat, in cerca di spiegazioni.
«Papà, guarda che animale ho trovato!»
«Io non la conosco, giuro», disse il papà.
«Lei?» Chiesero all'unisono Merricat e la sconosciuta.
-La bambina. Non è mia figlia.
«Ma papà! I-io... Sei un bugiardo!»
-Bla bla.
«Nient'altro che un b-» Un singhiozzo spezzò la frase. Questa volta non riuscì a trattenere le lacrime. Si sentì il corpo tremare per le convulsioni. Cadde a terra, lasciò scivolare la borraccia e si portò le mani fredde agli occhi. Mentre si asciugava le lacrime, le sue nocche erano dure come quelle del papà. «Che succede...» Balbettò, e il pianto crebbe fuori controllo. Urlò, ma la folla non le rivolse nulla più che un’occhiata. Nessuno si propose di aiutarla. «Che cos'hai fatto...» Sollevò la borraccia con l’animale.
Rimase lì, accasciata sul pavimento di Huskies, abbracciata a una bottiglia di acqua marina. La folla le passava accanto. Non la vedeva, la ignorava.
Ci mise un'eternità, a calmarsi.
«Mi hai liberata, non è vero?» Chiese all'animaletto. «Mi hai liberata».
Si alzò. «Addio, papà». Gli carezzò la barba, piano.
L’uomo non cambiò neanche espressione, mentre diceva alla donna bla bla bla.
Uscì dal locale e si fece largo tra la folla. Non guardò nessuno, e nessuno la guardò. Non aveva più nulla a che fare con quell’ammasso di carne maleodorante.
-Bla bla.
-Bla? Bla bla bla!
-Bla. Bla bla, bla; bla bla bla, bla.
I loro occhi spenti erano fissi sul nulla, le bocche aperte vomitavano parole senza senso. Merricat non se ne interessò: erano solo umani.
Tornò al frangiflutti, una linea nera contro un cielo nero. Arrivò laggiù in fondo, di masso in masso. Il vociare si fece lontano, sparì. L'eterna musica delle onde e del vento la attraversò da capo a piedi.
«Eccoci».
Aprì la borraccia e si lasciò scivolare l’essere tra le mani.
«Ora ti libero, va bene? Così come tu hai liberato me.» L'animaletto percorse un paio di passetti sul palmo di Merricat e scivolò tra le rocce bagnate.
«Aspetta».
L’essere si fermò, come se avesse capito, e fissò gli occhi dorati in quelli di Merricat.
Lei si morse le labbra. «Aspetta. Verrò con te, se ti va. Voglio stare nell’oceano con te, per sempre. Va bene? Posso? Ci immergeremo nelle tenebre degli abissi, e nella tana del profondo dimoreremo per sempre, fra la meraviglia e la gloria.»