Un incontro a Saint-Pierre-Haute
Al tramonto il campo di battaglia di Saint-Pierre-Haute era coperto di morti e feriti. Una povera casa si ergeva sopra il promontorio ai limiti della contrada. La porta si spalancò di colpo. Nella piccola stanza buia rischiarata dal fuoco di un caminetto entrarono una folata d’aria calda e la luce rossa del sole che stava per tramontare. Comparve un cavaliere in armatura, senza elmo, i lunghi capelli bagnati di pioggia e sudore, il viso e la sovraveste bianca macchiati di sangue e fango. Reggeva fra le braccia il corpo esile di un ragazzo che depose vicino al fuoco, chinandosi a osservare il suo viso. Il cavaliere si alzò voltandosi all’improvviso e sguainando la spada; alle sue spalle era comparso un uomo di bassa statura con un randello in mano. Nel vedere la croce sulla veste del cavaliere l’uomo gettò il bastone e s’inchinò.
─ Perdonatemi cavaliere, non vi avevo riconosciuto.
─ Poco importa. Devo curare il mio scudiero, è ferito. Portatemi dell’aceto, fate bollire dell’acqua.
─ Mio signore…
─ Che c’è?
─ I colori del vostro scudiero…
─ Dunque?
─ Sono i colori del nemico!
Infatti il ragazzo indossava sopra l’armatura una sovra veste nera con due fulmini d’oro incrociati sul petto.
─ Da quando un servo osa fare delle osservazioni? ─ disse il cavaliere fissando l’uomo negli occhi, che arretrò.
Una donna di bassa statura comparve nel buio.
─ Perdonatelo mio signore. Mio marito ha la lingua lunga, non si contiene. I motivi per cui volete curare il ragazzo non ci riguardano. Provvedo subito per l’acqua e l’aceto.
Prese una brocca, versò acqua in una pentola annerita dal fumo e la posò sopra un treppiede posto sul camino, attizzando le braci intorno.
Il cavaliere si levò un guanto e poggiò la mano sulla fronte e sulle guance dello scudiero. L’altra mano guantata poggiava sull’elsa della spada, che nel frattempo aveva ringuainato nel fodero. Si guardò intorno.
─ Fate luce, accendete una lanterna! ─ Ordinò perentorio.
─ Non abbiamo più olio, ma ci sono delle torce già pronte e impeciate.
─ Accendetene due!
L’uomo prese di malavoglia una torcia, l’avvicinò al fuoco del camino e l’accese, rischiarando la stanza. Lo stesso fece la moglie. Fissarono le torce a degli anelli sul muro. Gli occhi del cavaliere si illuminarono.
─ Alla fine degli scontri, al calar della notte, spesso ho visto delle torce aggirarsi nei campi pieni di morti e feriti.
─ Oh sì, mio signore. Noi e altri bravi cristiani portiamo soccorso ai feriti.
─ Sì ─ aggiunse la donna con frettolosa reverenza, stringendosi una mano nell’altra. ─ Portiamo loro conforto.
Il cavaliere non rispose. Prese la fiasca che l’uomo intanto gli porgeva. L’annusò senza staccare gli occhi di dosso alla coppia. Il suo sguardo era duro. Poi si chinò sullo scudiero, assumendo un’espressione dolce, pietosa. Gli tolse la sovra veste posandola con delicatezza a un lato del camino. Le fiamme del fuoco parvero ravvivarsi facendo luccicare i due fulmini d’oro che vi erano ricamati. Gli slacciò gli spallacci e il pettorale di metallo scoprendo la tunica che lacerò all’altezza del petto, dove comparve una tumefazione scura chiazzata di sangue che spiccava sul bianco della pelle del ragazzo. Vi versò l’aceto. Lo scudiero emise un debole lamento, aprì gli occhi, scuri come la notte, guardò il cavaliere e cercò la sua mano, prendendola con delicatezza, sorridendo debolmente.
Dopo aver curato e fasciato la ferita utilizzando pezzi della tunica come bende, il cavaliere si rivolse all’uomo e alla donna che guardavano stando a fianco del camino e fissando con uno sguardo incantato la sovra veste dello scudiero, i cui fulmini ricamati sembravano guizzare alla luce delle fiamme.
─ Quindi portate conforto ai moribondi? ─ chiese il cavaliere.
─ Sì, mio signore.
─ Con questa misericordia? ─ Allungò la mano in un angolo buio e prese una mazza chiodata.
─ Noi… Abbiamo trovato la misericordia sul campo ─ disse l’uomo con voce tremante.
─ È vero mio signore ─ aggiunse la donna.
Il cavaliere esaminava la mazza alla luce del camino.
─ In verità viene usata dai pari vostri al servizio dei crociati ma… ─ così dicendo la puntò sulla testa dello scudiero ─ un conto è usarla in combattimento, un altro conto è usarla su feriti e moribondi inermi per depredarli e fare di peggio. Dico bene?
─ Vi assicuro mio signore che se pure l’abbiamo usata, ma non ricordiamo bene a dire il vero… Comunque è stato per finire i nemici. I nemici.
Il cavaliere annuiva calmo. Stava inginocchiato vicino allo scudiero, lo guardava pensieroso. L’uomo e la donna si erano stretti vicini fra di loro e lo osservavano con apprensione.
─ Chi è un nemico? ─ disse il cavaliere con voce profonda, ─ questo ragazzo è lo scudiero di un nemico, dunque.
─ Di sicuro. Perché, di grazia, lo avete soccorso? Forse vi piace? ─ disse la donna con un sorriso laido.
─ Quindi si potrebbe usare la misericordia su di lui ─ continuò il cavaliere. ─ Un colpo bene assestato alla testa. Non è in grado di difendersi. Per quanto, a dire il vero, non mi pare abbia grandi ricchezze addosso.
Il cavaliere fece finta di frugarlo toccandogli tutto il corpo.
─ No. Non ha ricchezze nascoste ─ continuò.
La coppia taceva. Il cavaliere porse la misericordia all’uomo.
─ Finiscilo dunque, come è costume dei vostri pari.
─ Oh, mio signore! Ma qui, ora…
─ Vi incute timore la mia presenza? O quella della vostra donna, che è abile con il coltello?
Una lama fuoriuscì dalle vesti della donna e cadde a terra tintinnando.
─ Di cosa avete paura? Io sono un cavaliere crociato e voi uccidete i nostri nemici quando non sono più in grado di difendersi. È giusto che guadagniate il vostro salario.
─ In verità voi siete alquanto strano, cavaliere ─ disse la donna con voce roca. Si tolse dal corpetto qualcosa gettandola sul fuoco, che divampò furente. Poi unì le mani a formare figure invisibili nell’aria e pronunciò delle parole ─ Esk tuy heras proxima de lux magnificentia inferi sed nunc et semper nos feratus et noncurabilis et tremendis…
Il cavaliere sorrise, ma era un sorriso di tenebra.
─ Mi hai dato la conferma, strega.
Si tolse la sovra veste bianca con la croce scoprendone sotto un’altra, ma di colore nero, con ricamati due fulmini d’oro incrociati, come quelli dello scudiero.
L’uomo e la donna si inchinarono all’unisono dicendo ─ Perdonaci signore, dobbiamo vivere come cristiani per non essere scoperti. Noi riconosciamo il tuo signore, che è anche il nostro. Apparteniamo a lui da lunga data, tutto quello che facciamo è per la sua gloria. Agiamo nel suo nome! Comandaci, guerriero di Luxifer!
Il cavaliere chinò il capo fissando un punto per terra. ─ Se fossi al servizio del vostro signore dovrei essere felice. Vi sembro felice?
Calò un lungo silenzio.
─ Mio signore, i colori della tua veste sono chiari!
─ Oh sì! In principio ero del suo seguito. Posso portare i suoi colori. Ma mentre cadevo sulla Terra cercai di tornare indietro. Le porte del paradiso si sono chiuse per sempre per me.
─ Ma tu combatti!
─ La mia guerra gli uomini non possono capirla. Io combatto la razza umana immonda di tutti gli eserciti, di tutte le religioni che si sono nascoste dietro Dio. Combatto contro esseri come voi. Avete scelto con chi stare, a quelli come me non è stato concesso. La croce è la mia punizione per sempre. E la vostra condanna.
Chi sul finire di quel giorno di battaglia si fosse trovato a passare nel campo di Saint-Pierre-Haute, disseminato di morti e feriti accarezzati da un vento caldo e un tramonto di fuoco, tra gli innumerevoli lamenti dei moribondi avrebbe sentito anche le urla atroci di un uomo e una donna levarsi da una piccola casa in fiamme. E avrebbe visto un cavaliere e il suo scudiero, con indosso i colori delle tenebre, uscire dalle fiamme camminando indenni.