[Lab8] Io mi ricordo...

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 Labocontest nr 8: Documentazione

Tema: Ricchezze

Io mi ricordo…

 
Il suo nome e cognome: Le uniche due parole che abbia mai saputo scrivere erano la sua firma.
Mia nonna raccontava con orgoglio quando, per avere la tessera annonaria per il pane e lo zucchero, passò una settimana a provare e riprovare finché non imparò a scrivere il suo nome.
Nonna Pia era una miniera di ricordi, che io considero diamanti… Sono nascosti in un cassetto segreto e ogni tanto mi tornano in mente.


L’erba cotta  
Una volta mi disse, nel suo pittoresco dialetto che ormai ho dimenticato. 
— Vieni, andiamo a raccogliere l’erba. — Eravamo nel mese di Marzo, una tiepida giornata di sole, il prato era in piena vegetazione; io cominciai a raccogliere fiori ma lei mi chiamò subito vicino a sé. — Che fai? Lascia stare i fiori che poi seccano e li devi buttare. Guarda qui! Solo in questo spazio tra me e te posso contare almeno venti tipi di erbe e quasi tutte buone da mangiare.
 — Anche i papaveri? — Colsi il fiore e lo sventolai nell’aria.
 — Anche quelli, nel periodo giusto però, prima della fioritura. Sai cosa davo da mangiare ai tuoi zii in tempo di guerra? — Stava china, con un coltello recideva le radichette appena sotto la terra, puliva bene la piantina e la metteva in un canestro. Mi accucciai vicino a lei, mi piaceva guardare i suoi occhi mentre raccontava. — No, non lo so, — mi tenni le ginocchia tra le braccia e alzai lo sguardo verso il suo viso.
— Gli davo lupini e crusca macinati e l’erba cotta non mancava mai, per fortuna io sapevo quali erbe si possono mangiare, altrimenti saremmo morti di fame quella volta.
 — Quale volta?— 
— Quella volta che c’era la guerra. Ma la guerra, figlia mia, non finisce mai, adesso qui non c’è, sta da un’altra parte. Ma quella fa il giro del mondo e poi ritorna. 
È così dai tempi di Giuda. Lascia stare i fiori, impara a riconoscere le erbe, i funghi, la frutta selvatica, come accendere un fuoco…
Si sedette a terra, si tolse il fazzoletto dal capo e lo mise sull’erba.
 — Siedi qui che te la racconto. — Il sole ci scaldava la schiena, il suono della sua voce accese la mia mente. 
— Lo sai, vero, che tuo nonno ha paura del buio?— mi guardò dritta negli occhi. — No. Non lo sai, ma tu non dirgli che te l’ho detto, altrimenti saranno guai. Comunque per noi è stata una fortuna…
— Perché una fortuna, nonna?
— Questa è una storia un po’ triste, ma non preoccuparti, è finita bene. 
Ero affascinata dai suoi modi, dalla serenità che trasmetteva. Si pettinava con una complicata acconciatura di trecce e a me sembrava che lei venisse da un altro mondo. Io non dissi niente e lei cominciò.
 
Il ricovero Boffi
— Era il ventuno gennaio, un freddo faceva… A contrada Cigliolo, dove stavamo noi, le bombe non arrivarono subito, per fortuna. Di giorno e di notte sentivamo i boati, il rombo cupo delle fortezze volanti e quello frizzante delle traccianti. Dall’orto, si vedeva tutta la pianura, Velletri in rovina e le colonne di fumo. A volte si sentivano le sirene che urlavano in città e subito gli aerei arrivavano a decine, fitti fitti come gli storni; il cielo si faceva scuro e dopo aver sganciato le bombe facevano inversione proprio sopra le vigne, a ridosso dell'Artemisio e tornavano verso il mare. 
Le notizie che arrivavano insieme agli sfollati erano terribili.
I tedeschi erano il male minore: loro non ti cadevano sulla testa ma rubavano nelle vigne, davano fastidio alle donne, uccidevano chi si rifiutava di collaborare… 
Da qualche giorno si era sparsa la voce che Velletri sarebbe stata rasa al suolo dagli alleati, sai? Quelli che ci hanno liberato. Ancora adesso non capisco perché per cacciare via i tedeschi hanno massacrato tanti civili e distrutto una città così bella. 
Tutti avevano paura, La stazione dei treni era stata bombardata, erano morte delle persone, chi poteva, lasciava la città. Noi delle vigne ci sentivamo protetti, ma nessun posto era sicuro. Nella vigna vicina alla nostra c’era il comando tedesco, in altre stavano installando le contraeree, come si poteva stare tranquilli? 
Io volevo andare a casa di mia madre e mio padre, riconciliarmi con loro: non avevano accettato che mi fossi sposata con un vignaiolo; erano commercianti da generazioni. Vivevano in città e non erano mai stati da noi, nonostante avessi già cinque figli. Per questo volevo andare da loro, in caso di pericolo, avrei potuto stargli vicino. A palazzo Boffi erano state aperte le cantine i sotterranei e le grotte per il vino, speravo che nel bisogno tutto si sarebbe appianato, e invece… Tuo nonno diceva che un posto valeva l’altro, c’era la grotta di sua sorella Adelina, che era abbastanza grande e vicino a casa nostra.
Quella mattina lui usci per andare all’osteria in cerca di notizie, a volte padre Laracca, che aveva una radio, diffondeva notizie sicure. Il tempo passava, mi aspettavo che tornasse a casa prima di mezzogiorno; i tuoi zii, tutti piccoli, avevano fame e lui non tornava. L’allarme aveva suonato e mi sentivo in petto una pena… Maria, la più grande, sapeva badare ai fratelli, così decisi di andargli incontro sulla via del ritorno. All’improvviso sbucò dalla curva Adalgisa, la figlia di Corrado; veniva dalla strada del mulino Agostinelli, correva con le mani nei capelli e urlava, chiamava la Madonna e chiedeva aiuto. Capii da ciò che diceva che Il mulino e l’osteria erano stati bombardati. Non mi sentii più le gambe, la donna mi superò e io dovetti sedermi per terra per non cadere svenuta; poi, tra le lacrime, che avevano cominciato a bagnarmi le guance, lo vidi risalire la via: sembrava un fantasma, bianco come un foglio di carta e coperto di polvere dalla testa ai piedi. Quando mi raggiunse mi disse che dovevamo andare via da casa, gli americani avevano cominciato a bombardare le vigne dove c’erano i tedeschi: dovevamo scappare. Non feci in tempo nemmeno a dirgli che l’avevo creduto morto, i bambini stavano soli e i ricognitori non smettevano di girare sopra la zona: corremmo di corsa a casa.
— Voglio andare al ricovero Boffi, — gli dissi, lui mi rispose se ero mica matta. 
— Andare al centro di Velletri col pericolo di essere sorpresi sotto il fuoco dei mitragliatori prima di arrivare. 
Mi misi a piangere. Ah, ma lui niente! 
— Andiamo da mia sorella Adelina, c’è posto per tutti nella sua grotta. Io i miei figli a morire come i topi, in un buco buio, non ce li porto.
— E io non vengo da tua sorella! — Risposi mentre singhiozzavo, speravo che cedesse e che ci portasse tutti a palazzo Boffi. Ah, se era testardo! 
Alla fine restammo a casa. Quella notte sentimmo le bombe, verso la mezzanotte, il rumore non finiva mai.
La pena per la gente che stava in paese, per la mia famiglia, il terrore che provavo al pensiero che le bombe prima o poi sarebbero arrivate anche sopra la nostra testa non mi fecero dormire.
Il giorno dopo, il ventidue Gennaio, era un sabato. Tuo nonno ci raccomandò di non uscire per nessun motivo fino a che non fosse tornato a casa. Poco dopo la sirena cominciò a urlare, stavolta la gente delle vigne si mosse: file di contadini correvano verso luoghi più sicuri, cantine, grotte… Tuo nonno tornò indietro, la sirena ancora urlava, il rombo nel cielo era come un tuono infinito.
— Sono arrivati! Lo stanno dicendo tutti! Gli americani sono sbarcati ad Anzio. 
 
Prendemmo i bambini, un sacchetto di patate, una pentola e andammo sulla via di fonte Marcaccia. In mezzo alla macchia, non riuscivamo a vedere gli aerei ma dovevano essere centinaia. Più ci allontanavamo dal rumore e più la pena mi strappava il cuore. 
Salivamo a bordo del sentiero, seguivamo i passi di nonno Enrico, tutti in fila senza un lamento: lui teneva Rolando sulle spalle e io, con Vittorio in braccio, tenevo la pentola, Maria portava il sacchetto di patate sulla testa e teneva la mano a Mirella, Marcello camminava dietro a suo padre imitandone i gesti.
Abbiamo camminato nella macchia fino a non poterne più. Sotto una grosso albero c'era uno sperone di roccia: abbiamo scavato lì sotto per fare un riparo per i bambini ma il freddo ci faceva battere i denti. Un ricognitore cominciò a ronzare proprio sopra di noi; non potevamo nemmeno accendere un fuoco, stavamo stretti e scomodi, in più eravamo affamati. Nonno era preoccupato. Continuava a girare in tondo per scaldarsi, né lui né io sapevamo cosa fare.
— Qua non si può stare. — Gli dissi. Era arrabbiato perché mi ero rifiutata di rifugiarci da sua sorella.
— Andiamo su alla fontana, cuciniamo le patate, vediamo di mangiare qualcosa. — 
— Vacci tu!— risposi, — dovevamo andare al ricovero Boffi. — Ma lo seguii con tutti i figli attaccati alla gonna.
Il sole era alto quando arrivammo alla sorgente, doveva essere passata l’una, mangiammo le patate lesse e poi i bambini si addormentarono sfiniti. Nonno stava di guardia, pronto a spegnere il fuoco al minimo rumore. 
Nel tardo pomeriggio ci rimettemmo in cammino, non potevamo passare la notte in quel posto senza cibo e senza vestiti buoni per l’inverno. 
Quando arrivammo, davanti alla nostra casa c’era un gruppetto di gente. Appena ci videro arrivare alzarono le braccia al cielo.
— Eccoli! Adelina, eccoli sono tornati. — La sorella di mio marito si sentì male, Natale la sorreggeva, e sua moglie la sventolava sul viso con la sua parannanza. Nonno corse in casa, prese una sedia e un bicchiere d’acqua.
Adelina si riprese subito, ci spiegò che Il ricovero Boffi, dove lei credeva che noi fossimo andati, era crollato sotto i bombardamenti. Aveva sepolto più di trecento persone.
Mia cognata, poverina, ci aveva creduto morti sotto le macerie. Io tremai per i miei familiari ma per fortuna mi dissero che avevano sfollato anche loro nelle vigne.
Alla fine andammo a stare da Adelina fino all’arrivo degli Alleati a Velletri. Restammo da lei per quasi cinque mesi.

Non sempre le cose sono come ti sembrano
Adesso raccogliamo un po’ d’erba, la prossima volta ti racconto di quando nonno Enrico prese in pieno petto un pacchetto di sigarette americane. Quasi morì di paura quella volta: pensò che il soldato americano gli avesse lanciato una bomba a mano; restò nella grotta di Adelina per due giorni, senza parlare.
bibliografia: 

Il libro di padre Italo Laracca: lhttp://www.psmartinov.it/files/Tra-le-rovine-d ... ri1974.pdf

Le Fortezze Volanti: https://g.co/kgs/kcuJY6

Fonte Marcaccio sull'Artemisio: https://it.wikiloc.com/percorsi-escursi ... o-65163054




Re: [Lab8] Io mi ricordo...

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Alba359 ha scritto: Nonna Pia era una miniera di ricordi, che io considero diamanti… Sono nascosti in un cassetto segreto e ogni tanto mi tornano in mente.
Sono ricchezze vere quelle che ti ha elargito la tua grande Nonna Pia, e che ti hanno certo temprato il carattere.

Sei stata brava, Alba, nella ricercatezza dei particolari, specie nella parte dell'"erba cotta". Pensare che chi viveva in campagna riusciva meglio a mettere insieme il pranzo con la cena per tante bocche da sfamare, industriandosi a cercare quanto madre natura dà di suo per farci sopravvivere.

La seconda parte è un affresco della guerra dipinto dalla parte del popolo.

La trasmissione di quel vissuto dalla generazione dei nostri nonni a noi da piccoli ha un valore inestimabile. Tramandato di generazione in generazione, ha una valenza formativa unica. 

Attingere la storia delle nostre radici dalle fonti dirette come ha fatto @Alba359 è grande!
Alba359 ha scritto: gio mag 11, 2023 1:48 amGuarda qui! Solo in questo spazio tra me e te posso contare almeno venti tipi di erbe e quasi tutte buone da mangiare.
 — Anche i papaveri? — Colsi il fiore e lo sventolai nell’aria.
 — Anche quelli, nel periodo giusto però, prima della fioritura. Sai cosa davo da mangiare ai tuoi zii in tempo di guerra? — Stava china, con un coltello recideva le radichette appena sotto la terra, puliva bene la piantina e la metteva in un canestro. Mi accucciai vicino a lei, mi piaceva guardare i suoi occhi mentre raccontava. — No, non lo so, — mi tenni le ginocchia tra le braccia e alzai lo sguardo verso il suo viso.
Brava!  (y)
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [Lab8] Io mi ricordo...

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Un bel racconto @Alba359 proprio un bel racconto “sentito”. La documentazione c’è e viene usata con capacità senza che le informazioni appesantiscano il testo ma arricchendolo con naturalezza. 
Un affresco delicato nonostante la tragicità delle situazioni raccontate, mediato dai ricordi della bambina che fu e addolcito dalla figura di una nonna “educatrice”
una figura positiva, di quelle che si fanno amare.
Mi è piaciuta anche la descrizione della fisicità (quella complicata pettinatura con la treccia mi ha ricordato anche mia nonna e mi ha fatto intenerire)
Bello anche il passaggio in cui descrivi la raccolta delle erbe, pare di sentire la lama del coltello, di vedere le radici sporche di terra… insomma super riuscito!
Il racconto dei fatti di guerra è l’ossatura necessaria e l’esercizio richiesto dal laboratorio e lo hai assolto bene, mantenendo dritta la barra tra verità storica e sentimenti. Complimenti  :flower:
Alba359 ha scritto: Il suo nome e cognome: Le uniche due parole che abbia….
dopo i due punti ci va la minuscola
Alba359 ha scritto: Nonna Pia era una miniera di ricordi, che io considero diamanti
non avrei messo la virgola, interrompe il flusso di lettura




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Re: [Lab8] Io mi ricordo...

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Magnifico questo racconto @Alba359 

Ha il respiro di un romanzo condensato in questo esiguo numero di caratteri.
Una storia che ha il sapore d'una testimonianza di vissuto, gli elementi che la compongono: dalla raccolta delle erbe, della nonna con la bimba, risultano tutte coerenti e credibili.
Il racconto travagliato degli eventi bellici che coinvolgono la famiglia della nonna in tempo di guerra, appaiono nel loro drammatico realismo, con la grandezza epica di una pagina tratta da un classico.
Il racconto mostra una maturità di scrittura che lo pone al di fuori di una narrativa amatoriale, perché, a mio avviso, possiede tutta la forza carismatica di un autore professionale affermato.
Davvero tantissimi complimenti amica mia, e grazie d'avermi offerto una lettura così piacevole e soddisfacente.

Un grande abbraccio <3

Re: [Lab8] Io mi ricordo...

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@Monica ha scritto: una figura positiva, di quelle che si fanno amare
Grazie!
Per aver letto, per il tempo che mi hai dedicato.  <3


@Nightafter ...
Nightafter ha scritto: Ha il respiro di un romanzo condensato in questo esiguo numero di caratteri.
In effetti si, potrei scrivere un romanzo sulla vita di mia nonna. Lei era così vera... Da sembrare fantastica. Per ogni sua azione ci sarebbe da raccontare una nuova storia. 

Grazie @Poeta Zaza  sono contenta che ti sia piaciuto  <3

Re: [Lab8] Io mi ricordo...

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Ciao @Alba359


Io mi ricordo…
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Bello come titolo. Già fa capire che si parla di un vissuto doloroso ma anche bello da raccontare: generalmente si dice così.
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Il suo nome e cognome: Le uniche due parole che abbia mai saputo scrivere erano la sua firma.
Mia nonna raccontava con orgoglio quando, per avere la tessera annonaria per il pane e lo zucchero, passò una settimana a provare e riprovare finché non imparò a scrivere il suo nome.
Nonna Pia era una miniera di ricordi, che io considero diamanti… Sono nascosti in un cassetto segreto e ogni tanto mi tornano in mente.
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Anche tu imposti nella maniera classica il racconto. Vi è un erede di una storia da tramandare e appena viene suscitata la necessità di far riaffiorare questi ricordi ecco che questi vengono fuori con una potenza tale da impressionare. Noi umani senza la capacità del ricordo e della elaborazione mentale romantica del nostro passato, non saremmo quello che siamo. Il ricordare è prezioso. Trasmettere i ricordi è trasmettere l'esperienza, la vita stessa.
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L’erba cotta  
Una volta mi disse, nel suo pittoresco dialetto che ormai ho dimenticato. 
— Vieni, andiamo a raccogliere l’erba. — Eravamo nel mese di Marzo, una tiepida giornata di sole, il prato era in piena vegetazione; io cominciai a raccogliere fiori ma lei mi chiamò subito vicino a sé. — Che fai? Lascia stare i fiori che poi seccano e li devi buttare. Guarda qui! Solo in questo spazio tra me e te posso contare almeno venti tipi di erbe e quasi tutte buone da mangiare.
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Oggi, a pensare di questo passo, mi vengono in mente di quei poveri pensionati che si aggirano tra il verde urbano delle città alla ricerca delle foglie della cicoria. Come vedi, ancora oggi, qualcuno si ricorda come si sopravvive. Io stesso, ho il mio giardino di fronte a casa invaso dalla cicoria, dalla borragine, di radici come quelle della gramigna. Un tesoro in tempi di guerra. Io credo che bisognerebbe insegnare ai bambini queste ricchezze nascoste tra i nostri campi. Insegnare cos'è l'arte della sopravvivenza. Che potrebbe un giorno tornare utile. Non è detto che i supermercati potranno essere sempre aperti...
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 — Anche i papaveri? — Colsi il fiore e lo sventolai nell’aria.
 — Anche quelli, nel periodo giusto però, prima della fioritura.
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Questa non la sapevo!  :D
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 S
Il ricovero Boffi
— Era il ventuno gennaio, un freddo faceva… A contrada Cigliolo, dove stavamo noi, le bombe non arrivarono subito, per fortuna. Di giorno e di notte sentivamo i boati, il rombo cupo delle fortezze volanti e quello frizzante delle traccianti. Dall’orto, si vedeva tutta la pianura, Velletri in rovina e le colonne di fumo. A volte si sentivano le sirene che urlavano in città e subito gli aerei arrivavano a decine, fitti fitti come gli storni; il cielo si faceva scuro e dopo aver sganciato le bombe facevano inversione proprio sopra le vigne, a ridosso dell'Artemisio e tornavano verso il mare. 
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Parte documentata molto proficua e che valorizza il racconto e la genuinità dei ricordi.
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Adelina si riprese subito, ci spiegò che Il ricovero Boffi, dove lei credeva che noi fossimo andati, era crollato sotto i bombardamenti. Aveva sepolto più di trecento persone.
Mia cognata, poverina, ci aveva creduto morti sotto le macerie. Io tremai per i miei familiari ma per fortuna mi dissero che avevano sfollato anche loro nelle vigne.
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Storia a lieto fine ma vorrei chiederti se è un fatto reale. Se non lo è, è un elemento creato per valorizzare il pathos in modo ottimo. Conclude bene la storia drammatica del racconto.
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Non sempre le cose sono come ti sembrano
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Specialmente oggi.  :D

Penso che il punto di forza del tuo racconto sia nell'aver rappresentato la ricchezza che ci offre la natura nei momenti di difficoltà.  Come anche la ricchezza dei nostri ricordi. Ciao :hug:



Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [Lab8] Io mi ricordo...

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Ciao @Alba359 
I ricordi di nonna Pia, trasmessi con le sue parole che si sentono vissute realmente attraverso le righe, trasmettono la vita di un periodo triste della nostra storia. Le immagini sono come quelle di un documentario, le scene a tratti piacevoli della campagna, delle vigne, del paese sono sempre sormontate dal terribile pensiero, dalla minaccia che da un momento all’altro si possa essere uccisi, sia dai tedeschi in ritirata che dagli americani che avanzano.
La nonna racconta ai nipoti, con una calma e una dignità ammirevoli che traspaiono, la sua vita quotidiana a quei tempi ed è ammirevole la sua saggezza, la sua assenza di risentimenti e di odio verso chi faceva del male. Descrive i piccoli immensi fatti di una quotidianità fatta di povere ed essenziali cose come la necessità di mangiare, di fuggire nei boschi portando una padella e un sacco di patate, fondamentali per sopravvivere. Piccoli gesti che non saranno scritti nei libri di storia ma che per la sua esistenza, per l’esistenza di tutti coloro che hanno sofferto diventano epici, sono commoventi.
Hai descritto con rara capacità e forte compenetrazione.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab8] Io mi ricordo...

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Come prima sensazione, l'incipit introduttivo mi era parso un po' didascalico. E, tuttavia, proseguendo nella lettura, la sensazione mi ha abbandonato, e non saprei se e come consigliarti un inizio diverso...

Anche perché, come ti è già stato detto, l'impressione che resta è proprio quella della stratificazione dei ricordi, nei quali si va a scavare, accompagnati dalla voce di chi la Storia l'ha vissuta sulla propria pelle.




Alba359 ha scritto: Nonna Pia era una miniera di ricordi, che io considero diamanti… Sono nascosti in un cassetto segreto e ogni tanto mi tornano in mente.
Io in questa parte della frase mi sarei mantenuto coerente con la metafora, non originalissima, ma sempre efficace:



Sono nascosti in un cassetto segreto che ogni tanto riapro.




Alba359 ha scritto: — Quella volta che c’era la guerra. Ma la guerra, figlia mia, non finisce mai, adesso qui non c’è, sta da un’altra parte. Ma quella fa il giro del mondo e poi ritorna. 
Crudele consapevolezza e preziosa saggezza di chi la guerra l'ha vissuta.

«Guerra è sempre» insegnava Mordo Nahum, "il greco", a Primo Levi.

Nulla, potrebbe sembrarci oggi, avrebbe dovuto far sentire liberi e rinati quanto la liberazione da un invasore e dalla guerra. Ma i segni che rimangono addosso, io credo rispondano a ogni guerra, in ogni luogo del mondo, e non smettano mai di bruciare, né subito, né a distanza di tempo: la voce di tua nonna Pia lo ricorda a tutti noi.



E che altro dire? Non molto, se non rileggere in silenzio questa storia. Paradossalmente, solo chi è stato graziato (il più delle volte per puro caso) può testimoniare direttamente. Cioè chi nella terribile tragedia, che pur ha vissuto, è stato particolarmente "fortunato". E i ricordi, oggi, sono tanto più preziosi, quanti meno testimoni restano.

C'è davvero bisogno di conservare e continuare ad alimentare una memoria collettiva così diretta.

Grazie anche per la prima citazione in bibliografia, che leggerò molto volentieri.



Visto che si tratta di un racconto nel quale vedo una buona potenzialità, l'unica cosa che mi sentirei di consigliarti per cercare di migliorarlo, è quella di lavorare sul registro della nonna.

D'accordo, lo dichiari anche tu:

Alba359 ha scritto: Una volta mi disse, nel suo pittoresco dialetto che ormai ho dimenticato.

questa è una "traduzione" delle sue parole.

Però...
Però io trovo che il registro che hai utilizzato è troppo preciso e "ricco", nelle parti a narrazione diretta.

Se passaggi come:

Era il ventuno gennaio, un freddo faceva…

urlava, chiamava la Madonna (non "invocava": più semplicemente "chiamava")

lui mi rispose se ero mica matta.

rendono in modo efficace un vocabolario e una sintassi semplice, trovo che la costruzione di alcune frasi e l'uso di molti termini che fai usare a Nonna PIa non siano altrettanto coerenti con quello che mi immagino sia il suo modo di parlare.

Solo qualche esempio:

hanno massacrato tanti civili (...)

riconciliarmi con loro (...)

camminava dietro a suo padre imitandone i gesti (...)

il terrore che provavo al pensiero che le bombe prima o poi sarebbero arrivate anche sopra la nostra testa non mi fecero dormire.

Quest'ultima frase, in particolare, mi sento di segnalartela come esempio di non perfetta coerenza di registro. Le bombe, per Nonna Pia, correttamente, non "sarebbero piovute su di noi" (ad esempio) bensì arrivavano sulla testa. E, però, il terrore che provava. è una "traduzione" (tua) troppo perfetta: rende il risultato, ma non è fedele (a mio parere, naturalmente) a come lei deve avertela raccontata. Se non sapeva che scrivere il propio nome e cognome non deve aver ferquentato molte scuole, il suo modo di esprimersi, pur sostanzialmente corretto - cosa credibile - deve necessariamente essere molto più semplice.

Io credo che l'abbandono del passato remoto nelle parti narrate da lei, potrebbe essere uno dei passaggi utili per una, se non "più fedele", almeno più plausibile rievocazione delle sue parole.

E poi, come ho già detto, vocabolario e sintassi dovresti sforzarti a farli essere meno tuoi e più suoi.

Un "lavoretto" da nulla (lo so! :aka: ) ma io credo che per un racconto così, valga la pena di lavorarci e anche tanto.



A rileggerti.

 

Re: [Lab8] Io mi ricordo...

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queffe ha scritto:
Io in questa parte della frase mi sarei mantenuto coerente con la metafora, non originalissima, ma sempre efficace:



Sono nascosti in un cassetto segreto che ogni tanto riapro.
Giusto, in effetti suona strano.


queffe ha scritto: il terrore che provavo al pensiero che le bombe prima o poi sarebbero arrivate anche sopra la nostra testa non mi fecero dormire.

Quest'ultima frase, in particolare, mi sento di segnalartela come esempio di non perfetta coerenza di registro. Le bombe, per Nonna Pia, correttamente, non "sarebbero piovute su di noi" (ad esempio) bensì arrivavano sulla testa. E, però, il terrore che provava. è una "traduzione" (tua) troppo perfetta: rende il risultato, ma non è fedele (a mio parere, naturalmente) a come lei deve avertela raccontata. Se non sapeva che scrivere il propio nome e cognome non deve aver ferquentato molte scuole, il suo modo di esprimersi, pur sostanzialmente corretto - cosa credibile - deve necessariamente essere molto più semplice.
Te la scrivo come lei la raccontava:

Quando sentémmo e granate, nonno ce fece ficcà tutti dentro a grecarola. Lui stea sempre mpnoda a porta: tenea paura de sta a o scuro, tenemmo tutti paura.
'nszemo chiuso occhio nfino a madina. 

Quando sentimmo le granate, nonno ci fece nascondere dentro la grecarola. Lui stava sempre sulla soglia, aveva paura di stare al buio, tutti avevamo paura. Non abbiamo chiuso occhio fino al mattino.

E Sì, adesso penso che se avessi tradotto fedelmente le sue parole, la storia sarebbe stata più ricca, incisiva e vera.

La grecarola era una botte per il vino, in quel caso senza il fondo superiore. 

queffe ha scritto: E poi, come ho già detto, vocabolario e sintassi dovresti sforzarti a farli essere meno tuoi e più suoi.


 é passato parecchio tempo, certe espressioni non me le ricordo più, ma ci proverò lo stesso.

Ti ringrazio moltissimo, @queffe  Sto passando un periodo strano, riguardo alla scrittura e questo tuo commento è stato un incentivo a fare sempre meglio e a ricominciare a fare sul serio.
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