[Slab6] Sete

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   Al centro della storia c’è una tragedia: un uomo di nome Febo uccide la propria compagna, Gloria, spaccandole il cranio con un martello, dopodiché si suicida ingerendo tutti i farmaci che riesce a trovare nel cassetto di casa.
   La narrazione si sposta quindi in un'infermeria, dove Febo si risveglia senza ricordare nulla, se non stralci di sensazioni e visioni confuse. Ha un forte mal di testa e una sete terribile. Seguiamo il suo vagare disorientato che lo riporta inconsciamente al luogo del delitto, dove infine i ricordi dell’omicidio commesso tornano con prepotenza a galla. Incapace di reggere la colpa, rovista nei cassetti alla ricerca di farmaci per porre fine alle proprie sofferenze.
   Si sveglia nuovamente in infermeria, senza ricordi e con solo sussurri angoscianti in testa. E così via, in un loop infinito in cui suo malgrado si ritrova bloccato. 
(Si tratta dell’inferno? Chi lo sà, il finale rimane aperto).

Re: [Slab6] Sete

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Ciao @Canis, mi fa piacere che qualcun altro si aggiunga  :D 
Mi piace questa idea, può permettere di esplorare in modo interessante il senso di colpa. Nella sinossi presenti gli avvenimenti secondo l'ordine della fabula, e va benissimo. Qui dici:
Canis ha scritto: La narrazione si sposta quindi in un'infermeria
Quindi è la narrazione che si sposta? Il primo evento del racconto effettivo sarà l'omicidio? Secondo me potrebbe funzionare meglio se il racconto si aprisse col risveglio di Febo in infermeria. Da lì, cerca di capire come ci sia finito e cosa gli stia succedendo, e ricostruisce i ricordi offuscati dell'omicidio e del presunto suicidio. Ad esempio, in questo modo, puoi mostrare in parallelo il flashback col suicidio di Febo (mostrandolo per la prima volta) e il secondo suicidio per sensi di colpa.
Un elemento che manca - ma che non è per forza detto ci debba essere - è un movente dell'omicidio. Una buona idea è scegliere qualcosa che sia in linea con il punto di vista tematico del racconto: capito quale sia il messaggio che vuoi dare con questa storia, tutti gli elementi e i dettagli vanno a posto da sé (quasi).
Attendo con curiosità di leggere il racconto allora  :D

Re: [Slab6] Sete

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@Canis ciao. Piacere di averti tra noi.

Allora, vediamo la tua trama. Da come l'hai impostata, pare di capire che l'uomo assassino sopravviva al suicidio: però questa è la tua idea?

Se la storia continua con lui in infermeria, si direbbe che solo un mancato suicidio, può giustificare il suo risveglio. Questi loop di cui parli potrebbero- anzi- dovrebbero, essere  il luogo dove si dovrebbe svelare tutti i perché dell'omicidio e dei suoi risvegli. Però, io ci vedo un triller di tipo surreale, giocato tra inconscio, realtà, il surreale, appunto, l'inferno che tu citi. Io credo che dovresti, a mio modesto parere, organizzare questi flash in solo tre momenti. Diversamente potresti trovarti in difficoltà sul senso della storia e trovarti con qualcosa di complesso da scrivere. Io credo che i tre loop dovrebbero essere organizzati secondo il canone classico: inizio- confronto-finale. Ciao  (y)
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [Slab6] Sete

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Poldo ha scritto: Ok @Canis, abile arruolato.
 Grazie!  :yahoo:
Mina ha scritto: Qui dici: Quindi è la narrazione che si sposta? Il primo evento del racconto effettivo sarà l'omicidio? Secondo me potrebbe funzionare meglio se il racconto si aprisse col risveglio di Febo in infermeria. 
@Mina in effetti non idea del perché io abbia usato quell'espressione, dato che il racconto inizia esattamente dove mi hai suggerito: con il risveglio in infermeria. Immagino che sforzarmi di scrivere una sinossi in ordine cronologico (come giustamente hai notato, secondo l'ordine della fabula) mi abbia fatto partire una narrazione parallela...


Grazie tantissime ad entrambi (@bestseller2020) dei commenti! Spunti preziosi con cui andare a rivedere il racconto. Perché sì, è un po' barato: il racconto c'è già. E' "inedito" (non l'ho ancora fatto leggere a nessuno) ed l'ultimo che ho scritto, avevo intenzione di postarlo semplicemente nella sezione Racconti, ma per puro caso si presta a meraviglia per il tema "Risvegli", per cui ho deciso di usarlo per il contest

[Lab6] Sete

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[Lab6] Sete 

   Gli venne in mente la noce di cocco che aveva martellato ripetutamente sulla soglia della terrazza. Ciò che provava era simile: una testa pronta a spaccarsi. 
   Gemette qualcosa di incomprensibile, cercando di aprire gli occhi. Poi gemette ancora e cercò nuovamente di aprirli. Il dolore si allargò a cerchi concentrici.
   - Si sta svegliando, - sentì una voce femminile. 
   Suonava in qualche modo professionale e troppo alta. Anche se stava sussurrando, era troppo alta lo stesso.
   - Non si sforzi, è ancora debole. Vedrà che si rimetterà in fretta.
   Dopo un’altra serie di gemiti e di tentativi di aprire gli occhi, infine ci riuscì. Sbatté in fretta le palpebre, storcendo le labbra: la luce era troppo forte.
   - Che è successo? - mugugnò con voce impastata; la lingua era così gonfia da occupare metà palato.
   - Lei… si tratta di intossicazione. Ormai è fuori pericolo.
   Lasciò stare le palpebre e le richiuse. Voleva solo che le tempie smettessero di pulsare. Cercò di addormentarsi.
   Il sonno non durò a lungo: un incubo lo riportò in superficie. Aveva una sete tremenda, ma stavolta non c’erano né infermieri né medici a tenerlo d’occhio. Si mise cautamente a sedere, guardandosi intorno.
   Era da solo in quella stanza: un letto d’ospedale, mura sterili, tende incolore, macchinari spenti. Provò a chiamare, ma la gola irritata si ribellò con uno scoppio di tosse. Gli sembrò di ingoiare dei tizzoni ardenti giù in crepacci inariditi da mesi di siccità. Aveva bisogno di acqua e subito.
   Si alzò barcollando, sbatté con rabbia i cassetti vuoti di un armadietto, frugò in giro senza trovare nulla e uscì in corridoio. 
   Non si trovava in una clinica. Dalla nebbia dei suoi pensieri emerse un ricordo. Quella a sinistra era la porta dell’anagrafe, più avanti c’era l’ufficio dell’assessore alla cultura, in fondo la biblioteca. Era stato abbandonato nell'infermeria del loro municipio. Fece una smorfia: non meritava il ricovero in un ospedale serio? Quel pensiero gli diede una fitta in mezzo al già atroce mal di testa, tanto da costringerlo ad accucciarsi di fianco al vaso di ficus. Affondò le dita tra i capelli e strinse le tempie, cercando di contenere le pulsazioni. Forse era solo troppo grave per essere portato altrove.
   - Che ci fai qui, Febo? - la sorpresa nella voce dello sconosciuto venne presto sostituita dalla rabbia, - porca miseria, è vero quello che dicono?
   L’uomo, che a quanto pare si chiamava Febo, guardò in alto dalla sua posizione accovacciata. Sapeva di conoscere la persona di fronte a sé, ma non si ricordava chi fosse. Sapeva anche di costituire una visione alquanto pietosa; avrebbe dovuto sentirsi umiliato, ma aveva troppa sete per pensarci.
   - Se… senti… dammi… - blaterò con la bocca riarsa.
   - Santo cielo, chiamo qualcuno!
   “Aspetta”, voleva dire Febo, ma rischiò un nuovo attacco di tosse e si limitò ad imprecare in silenzio. Ad ogni modo non aveva intenzione di aspettare: gli era appena tornato in mente che nella piazzetta di fronte al municipio c’era una piccola fontana. Potabile o meno, gliene fregava un accidente.
   Quando riuscì ad arrivarci, bevve fino a gonfiarsi lo stomaco ai limiti del sopportabile, con l’organismo che continuava a chiedere acqua, ancora e ancora. Appoggiato ad un muretto, aspettò che cominciasse a scorrere lungo le vene per poterne bere altra. Si guardò intorno. Una vecchia sulla sedia a rotelle lo stava fissando dall’altro lato del piazzale, la pelle grinzosa ricoperta di nei e gli occhi sgranati. Afferrò per il braccio la badante che stava leggendo un libricino sulla panchina, indicò Febo e sibilò la parola “assassino”.
   - Assassino, - ripetè più forte. 
   La badante si tolse gli occhiali e scattò in piedi.
   - Assassino! - raschiò la voce della vecchia, come in un incubo, mentre le ruote della sua sedia stridevano sull’asfalto.
   - Non dovere, siniora, non dovere, - fu l’ultimo eco che Febo udì mentre svanivano, - zitta voi, zitta!
   L’uomo fece scricchiolare i denti contro la mascella serrata. L’aveva fatto incazzare. Che vecchia stronza.
   - E’ solo tocca, - biascicò annaspando di nuovo nell’acqua della fontana, - matta come un cavallo.
   Doveva tornare a casa? Dov’era casa sua?
   Barcollò per la piazzetta, seguendo un sottile senso di familiarità e di angoscia. Quando il suo focus si centrò su un condominio arancione, pur senza sapere come, capì che era il posto giusto. Viveva lì. 
   Le gambe si fecero di piombo. Non voleva entrare. La gola bruciava più di prima.
   - Al diavolo, - biascicò; avrebbe sputato per terra se avesse potuto, ma non voleva sprecare saliva, - che vada tutto al diavolo.
   Staccò da terra un piede, spinse il polpaccio in avanti, si costrinse a seguirlo. Premendo la fronte contro il vetro del portone, con le dita gonfie si tastò le tasche dei pantaloni. Non c’era nessuna chiave.
   - Andate al diavolo tutti.
   Dall’interno si sentì il “din-don” dell’ascensore. Poi il ticchettio dei tacchi e infine la corrente elettrica interrotta dal tasto di apertura. Il peso dell’uomo fece scivolare la porta in avanti. Febo entrò e d’inerzia raggiunse l’elevatore appena liberato. Mentre le due porte automatiche si richiudevano, nella sua visuale finì il volto della donna ancora in corridoio. Era rimasta inchiodata sul posto. Pallida. Gli occhi spalancati per il terrore. 
   Febo sbatté il pugno sui bottoni per accelerare la salita, ma l’espressione della donna ce l’aveva incollata lì, dietro alle palpebre.
   - Puttana, - ringhiò, continuando a colpire il pannello, - muoviti!
   Il piazzale del secondo piano era deserto. Non ci fu bisogno di inventarsi un modo per entrare in appartamento: la porta era scardinata, come se qualcuno l’avesse buttata giù a forza entrando d’emergenza. Un odore metallico riempiva l’aria, dolce e rugginoso. Era nauseabondo.
   Non sarebbe riuscito a fermarsi neppure se l’avesse desiderato. A spingerlo in avanti non era la sua volontà, era una necessità più morbosa. Di finirla. Di sapere. Di vedere.
   “Ma tu lo sai già”, tintinnò nel suo orecchio.
    Varcando la soglia, il fetore gli punse il naso, contraendo in uno spasmo lo stomaco. Si premette le mani contro la bocca, nel tentativo di preservare l’acqua che aveva bevuto a fatica, ma la vomitò insieme al resto del contenuto: giallo, acido, vuoto. Merda, pensò picchiando con la spalla contro un angolo. Merda, merda, mentre i conati gli rivoltavano i visceri ancora e ancora. La testa gli girava. Aveva bisogno di liquidi.
   Scivolò su qualcosa e sbatté il cranio contro il pavimento. Il colpo fu attutito da un qualche tipo di melma. Il sentore metallico gli penetrò con prepotenza dentro le narici. Come uno schiaffo, Febo riacquisì lucidità. La sua guancia era affondata in una poltiglia rossa. Sangue. Brandelli di carne. Schegge d’osso.
   Di fronte a lui un martello era abbandonato a terra. Il martello con cui spaccava le noci di cocco. Con cui aveva spaccato Gloria. 
   Scrash.
   Era stato meno difficile del previsto.
   Febo scattò a sedere e indietreggiò, strisciando, verso il muro. Si portò le mani tremanti verso il viso, si premette le dita contro gli occhi.
   - Gloria, - singhiozzò sbattendo la lingua tumida contro il palato; non aveva abbastanza spazio in bocca per articolare le parole, - Gloriaaa… - riuscì ad ululare lo stesso.
   Perché lo aveva fatto? Perché? Perché cazzo lo aveva fatto?
   “Perché?” ridevano le voci oltre il suo campo visivo.
   Dondolò su e giù, sbattendo la schiena e la nuca ancora e ancora contro la parete. Non era niente. Non era niente se paragonato al dolore che lo stava divorando da dentro. Insostenibile. 
   Si trascinò verso il comodino. Estrasse compulsivamente dal cassetto gli antistaminici, gli antidepressivi, e tutto il resto dei farmaci che fu in grado di trovare.
   - Dai, - gemette, - su. Ti prego.
   A fatica li estrasse dalle confezioni, ma non riusciva ad ingoiarli. Le sue mucose erano aride quanto i canali lacrimogeni. Li masticò uno ad uno, se ne impastò la bocca. Con impazienza, scosso dai brividi, li mandò giù.
   - Gloria…


   “Ti stai svegliando?” tintinnò nel suo orecchio.
   - Si sta svegliando, - sentì una voce femminile. 
   Lo aveva detto sussurrando, ma rimbombò comunque all’interno della sua scatola cranica. Febo cercò di sollevare le palpebre. Ci provò un paio di volte, senza successo. Era troppo faticoso.
   - Non si sforzi, è ancora debole. Vedrà che si rimetterà in fretta.
   “In fretta, fai in fretta”, ridacchiarono da qualche parte.
   - Che è successo? 
   L’uomo aveva la voce impastata; la lingua non gli obbediva più di tanto.
   - Lei… si tratta di intossicazione. Ormai è fuori pericolo.
   Non ebbe la forza di contraddirla, voleva solo che le tempie smettessero di pulsare. Sarebbe stato bello tuffarsi negli abissi dell’oblio, tuttavia il sonno non durò a lungo: un incubo lo riportò in superficie. 
   Un incubo…
   Finalmente fu in grado di aprire gli occhi. Era solo. La gola irritata si ribellò con uno scoppio di tosse quando tentò di chiamare qualcuno. Aveva una sete terribile.
   Intorno a lui c’era solo un letto d’infermeria, mura sterili, tende incolore, macchinari spenti.
   Di nuovo.
   Tutto da capo.

Re: [Lab6] Sete

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L'autoanalisi delle mie scelte si sta rivelando più impegnativa di quello che pensassi. Sono qui che scrivo e cancello senza decidermi ad inviare   :facepalm:
Ci riprovo.
Il racconto in verità l'ho scritto prima di redigere la sinossi, anche se a conti fatti me ne sono pentita: la prossima volta proverò sicuramente a fare il contrario, perché mi sono resa conto che ho preso la sinossi troppo sottogamba e che invece è un bel esercizio, permette di organizzare i pensieri e partire in maniera diversa dal solito. 
Come anche @Mina mi aveva suggerito, la narrazione non parte dall'inizio, ma a fatti (l'omicidio, il vero incipit) avvenuti. Fabula e intreccio non coincidono, insomma. Mi piaceva l'idea di rivelare la vicenda poco per volta, accompagnando il personaggio nella sua confusione e nel suo vagabondare, partecipando insomma almeno in parte al suo stato mentale. Infatti il racconto finisce per concentrarsi proprio su questo e non tanto sulla vicenda in sé. Non viene spiegato che relazione avesse con Gloria, perché l'abbia uccisa, chi fosse Febo al di là dell'omicidio. Non lo spiego perché per me non è lo scopo del racconto e quindi non lo percepisco come importante.
Il finale è volutamente aperto e interpretativo, si suggerisce che il protagonista sia dentro un loop, ma non viene spiegato oltre. Sarà bloccato dentro la sua mente? Sarà impazzito per il senso di colpa? Sarà la punizione da lui ricevuta all'inferno? Sarà davvero lui che continua a suicidarsi senza riuscirci?  Mi piaceva l'idea di lasciare un tocco di... misticismo? (non mi viene in mente una parola migliore).

Una cosa che potrebbe suscitare curiosità è la scelta del nome "Febo", o almeno un amico che ha letto il racconto me l'ha fatto notare, chiedendomi perché proprio questo nome. Ho dovuto deluderlo, non c'è un vero perché. O meglio, c'è, ma si tratta di un giro mentale troppo personale e non mi aspetto che lo faccia il lettore. Ovvero: Febo=dio splendente, dio della luce, del sole=sole=arido=sete. Colpa di Notre-Dame de Paris, per chi ha sentito il musical... "Febo è bello come il sole..."   :...: 
Avevo anche pensato di cambiargli nome, ma non so, mi piace troppo.

Re: [Lab6] Sete

10
@Canis   :)

Lieta che tu abbia accolto anche il mio invito, in sala presentazioni, e sia arrivata direttamente in sala contest.  (y)

Un bell'esordio, brava!

In questo loop in cui si avvolge e si svolge l'azione, e poi si riavvolge e si srotola di nuovo, in un ennesimo, infinito risveglio (anche di coscienza) del protagonista assassino, trovo ben centrati il tema e la narrazione. L'incipit non segue la cronologia della narrazione, ma neppure la fine, essendo uno dei tanti, infiniti risvegli di un uomo che cerca il suicidio senza riuscire e spegnere la sete del suo rimorso.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [Lab6] Sete

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Canis ha scritto: - Si sta svegliando, - sentì a una voce femminile. 
Dovresti aggiungere: sentì dire a una voce femminile
Canis ha scritto: Dopo un’altra serie di gemiti e di tentativi di aprire gli occhi, infine ci riuscì.
L'avverbio infine qui è collocato in modo errato (o del tutto inutile perché "dopo un'altra serie..." si identifica già con infine), ma se proprio vuoi tenerlo come rafforzativo, suonerebbe meglio: Infine, dopo un'altra serie di gemiti e di tentativi di aprire gli occhi, ci riuscì.

Canis ha scritto:  ma rischiò un nuovo attacco di tosse e si limitò ad imprecare in silenzio.
ad come ed, a meno che non siano seguite dalla stessa vocale, nella scrittura moderna vanno senza la d (fatta eccezione per "ad esempio", espressione rimasta invariata). 

Benvenuta, non ho mai letto nulla di tuo (e mi pare di capire che sia il tuo scritto di esordio qui su CdM), mentre avevo già letto con ottime aspettatite la tua sinossi. Aspettative non deluse, anzi, maggiormente appagate. Un racconto di quelli che amo molto, sintetici ma tridimensionali. Il tema della scena che si ripete all'infinito non è nuovissima, eppure tu hai saputo dargli una bella chiave di lettura, lasciando al lettore piena libertà di interpretazione. Ottima anche la sequenza delle "azioni".
Non trovo davvero molto da dire tranne che apprezzare. Complimenti

Re: [Lab6] Sete

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Ciao @Canis 

Il racconto è a mio parere ben scritto, scorre fluido nella lettura, e possiede una giusta dose di suspense che tiene il lettore avvinto alla pagina.
Rende molto efficacemente lo stato d’animo disorientato e in profondo disagio del protagonista nel suo difficoltoso risveglio.

Bella l’invenzione iniziale della noce di cocco martellata che ricorre nelle nebbie della memoria.
Tutto il racconto è pervaso da questa tensione angosciosa, nella quale il protagonista tenta di ricucire i brandelli dei ricordi che lo hanno condotto a quella situazione di surreale infermità.

Mi pare che questo sia uno dei primi, se non il primo racconto in assoluta con cui debutti tra le nostre pagine, pertanto non posso che complimentarmi per quanto ho letto.

Resta per la parte incontentabile del mio gusto di lettore di questo “genere” di racconti, il neo di trovare che il meccanismo del racconto: ovvero l’incubo che si ripete sistematicamente identico a ogni risveglio, sia una formula molto abusata sia in letteratura che nei soggetti cinematografici.
Questo, diciamo, toglie molto all’effetto sorpresa del finale, pur lasciando inalterato il valore di una buona qualità di scrittura.

Ancora complimenti e a presto rileggerti.
Un caro saluto.  <3

Re: [Lab6] Sete

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@Canis ciao. Vedo che sei andato dietro all'idea descritta nella sinossi. Hai anche evitato troppi loop e credo che hai fatto bene. Quelli rappresentati sono stati sufficienti a incanalare la storia, dandogli il giusto ordine. Bene! 

   Gli venne in mente la noce di cocco che aveva martellato ripetutamente sulla soglia della terrazza. Ciò che provava era simile: una testa pronta a spaccarsi. 
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Inizio martellante, direi, che inserisce bene lo stato confusionale di Febo.
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   - Lei… si tratta di intossicazione. Ormai è fuori pericolo.
   Lasciò stare le palpebre e le richiuse. Voleva solo che le tempie smettessero di pulsare. Cercò di addormentarsi.
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Sembrerebbe che si risvegli in ospedale, ma non è così
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   Era da solo in quella stanza: un letto d’ospedale, mura sterili, tende incolore, macchinari spenti.
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Qui descrivi la stanza d'ospedale, ma sotto, invece...


   Non si trovava in una clinica.
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Qui si percepisce la confusione mentale di Febo, il difficile risveglio dal subinconscio
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 Dalla nebbia dei suoi pensieri emerse un ricordo. Quella a sinistra era la porta dell’anagrafe, più avanti c’era l’ufficio dell’assessore alla cultura, in fondo la biblioteca. Era stato abbandonato nell'infermeria del loro municipio.
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I municipi non hanno infermerie. Comunque, ogni luogo risulta valido per descrivere il viaggio di risveglio di Febo
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Fece una smorfia: non meritava il ricovero in un ospedale serio? Quel pensiero gli diede una fitta in mezzo al già atroce mal di testa, tanto da costringerlo ad accucciarsi di fianco al vaso di ficus. Affondò le dita tra i capelli e strinse le tempie, cercando di contenere le pulsazioni. Forse era solo troppo grave per essere portato altrove.
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Questo ragionamento, in effetti, lo può fare solo uno in confusione mentale. Però la voce narrante si prende la licenza di giustificare i pensieri di Febo... però ci può stare.
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   - Che ci fai qui, Febo? - la sorpresa nella voce dello sconosciuto venne presto sostituita dalla rabbia, - porca miseria, è vero quello che dicono?
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questa voce, rappresenta la sua coscienza? L'uomo fisicamente non si vede.
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   L’uomo, che a quanto pare si chiamava Febo,
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questo passo io lo eliminerei, in quanto la voce narrante sa bene di parlare  di Febo,
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guardò in alto dalla sua posizione accovacciata. Sapeva di conoscere la persona di fronte a sé, ma non si ricordava chi fosse. Sapeva anche di costituire una visione alquanto pietosa; avrebbe dovuto sentirsi umiliato, ma aveva troppa sete per pensarci.
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prosegui con la rappresentazione di uno stato confusionale
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    Appoggiato ad un muretto, aspettò che cominciasse a scorrere lungo le vene per poterne bere altra. Si guardò intorno. Una vecchia sulla sedia a rotelle lo stava fissando dall’altro lato del piazzale, la pelle grinzosa ricoperta di nei e gli occhi sgranati. Afferrò per il braccio la badante che stava leggendo un libricino sulla panchina, indicò Febo e sibilò la parola “assassino”.
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Anche questo passo rappresenta dei personaggi non reali, o sono il frutto della sua coscienza che cerca di condannarlo alla sua colpa?
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   - Assassino, - ripetè più forte. 
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Non sono sicuro, ma forse, ripetette va meglio? Chiedo aiuto agli amici...
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   La badante si tolse gli occhiali e scattò in piedi.
   - Assassino! - raschiò la voce della vecchia, come in un incubo, mentre le ruote della sua sedia stridevano sull’asfalto.
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Il senso di colpa continua a tormentarlo attraverso figure immaginarie...
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   - Non dovere, siniora, non dovere, - fu l’ultimo eco che Febo udì mentre svanivano, - zitta voi, zitta!
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Be! se volevi rendere l'idea che la badante è dell'est, ci sei riuscita  :D
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   D finì il volto della donna ancora in corridoio. Era rimasta inchiodata sul posto. Pallida. Gli occhi spalancati per il terrore
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Questa donna è per lui un ricordo di una testimone scomoda, o può essere rappresentata, come la stessa vittima?
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   Il piazzale del secondo piano era deserto.
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forse atrio era meglio
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   “Ma tu lo sai già”, tintinnò nel suo orecchio.
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forse meglio - al suo orecchio-
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   Scivolò su qualcosa e sbatté il cranio contro il pavimento. Il colpo fu attutito da un qualche tipo di melma. Il sentore metallico gli penetrò con prepotenza dentro le narici. Come uno schiaffo, Febo riacquisì lucidità. La sua guancia era affondata in una poltiglia rossa. Sangue. Brandelli di carne. Schegge d’osso.
   Di fronte a lui un martello era abbandonato a terra. Il martello con cui spaccava le noci di cocco. Con cui aveva spaccato Gloria. 
   Scrash.

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La scena del luogo del delitto è ben rappresentata. però organizzerei meglio l'intera frase a riguardo il passo in neretto. Io ci vedrei " cocco: anche il cranio di Gloria".
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   “Perché?” ridevano le voci oltre il suo campo visivo.
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   Finalmente fu in grado di aprire gli occhi. Era solo. La gola irritata si ribellò con uno scoppio di tosse quando tentò di chiamare qualcuno. Aveva una sete terribile.
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Quel finalmente credo che non vada messo
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   Intorno a lui c’era solo un letto d’infermeria, mura sterili, tende incolore, macchinari spenti.
   Di nuovo.
   Tutto da capo.
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Allora. Credo che come hai detto te, hai solo voluto rappresentare lo stato emotivo di Febo, alle prese con uno stato di shock , in un viaggio doloroso verso la consapevolezza. Quella dura realtà che, come nel più  classico esempio medico, spinge a rifiutare, tale è la sua durezza. Hai fatto un buon lavoro. Ciao
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [Lab6] Sete

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Ciao @Canis 

il tuo “risveglio” è avvincente e tiene incollato il lettore alla “pagina” per cui direi che hai raggiunto un ottimo risultato. Ti confesso che se non avessi letto la sinossi forse non avrei capito bene la storia. Si percepisce tutto lo straniamento del risveglio, i ricordi frammentati, i suoni vividi (ottimo il crac della noce di cocco!). Quello che non ho “sentito” troppo è il pentimento per il gesto compiuto, un pentimento che porterà al suicidio il tuo protagonista (o almeno a tentarlo). Mi è piaciuta la scelta del loop, il rivivere di continuo la scena, l’eterno (forse) tormento che la sorte riserva all’omicida. Non sarà una cosa nuova, ma trovo che funzioni proprio bene in questo racconto. Dal punto di vista della scrittura trovo che il testo sia scorrevole, ci sono alcune migliorie da apportare come ti ha segnalato @bestseller2020 e che non ripeto perché le condivido anch’io. Benvenuta ai Lab!  :sss:

Re: [Lab6] Sete

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Grazie a tutti per i commenti positivi, è la prima volta che un mio racconto fila (tutto sommato) liscio e ammetto che mi sono un po' emozionata. Non che il successivo non possa fare schifo, ma proprio per questo mi godo il momento per ricordarmi che ce la posso fare  :D
Scherzi a parte, @Adel J. Pellitteri@bestseller2020 mi annoto le correzioni che mi avete fatto, sempre utili e apprezzate. 
Poeta Zaza ha scritto: L'incipit non segue la cronologia della narrazione, ma neppure la fine, essendo uno dei tanti, infiniti risvegli di un uomo che cerca il suicidio senza riuscire e spegnere la sete del suo rimorso.
@Poeta Zaza il tuo commento da solo vale quanto un racconto, poeta di nome e di fatto. Mi sono commossa.

Come qualcuno mi aveva chiesto, sì confermo, è il primo racconto che pubblico qui su CdM. Ne avevo pubblicati alcuni qualche anno fa sul vecchio Writer's Dream, ma pochi e per poco.

@Nightafter@@Monica  come giustamente segnalate, l'idea del loop non è troppo originale, ma mi fa piacere che sia risultato godibile lo stesso. Quello dello scrivere un racconto sul loop era un piccolo sfizio che volevo togliermi da tempo

Re: [Lab6] Sete

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Ciao @Canis
Piacere di conoscerti e di leggerti!
Un bel racconto, ben descritto il delirante risveglio di Febo.
Allora, probabilmente sbagliando, ho letto il racconto senza aver letto la sinossi prima. Ti dirò che leggendo ho sentito una certa confusione, ma alla fine si capisce tutto e i pezzi che risultano strani si rimettono a posto.
Il loop finale funziona bene e arriva inaspettato.
Ti lascio qualche appunto sparso, cose che mi sono venute in mente leggendo:
Canis ha scritto:  Gli venne in mente la noce di cocco che aveva martellato ripetutamente sulla soglia della terrazza. Ciò che provava era simile: una testa pronta a spaccarsi. 
Ottimo incipit.
Canis ha scritto:  - Si sta svegliando, - sentì una voce femminile. 
Qui non è chiaro, o aggiungi dire dopo sentì come ti hanno suggerito oppure separi la frase con un punto a capo.
Canis ha scritto: Suonava in qualche modo professionale
Ummm, quel professionale è un po' strano. Capisco cosa vuoi dire ma non mi convince molto.
Canis ha scritto:   Non si trovava in una clinica. Dalla nebbia dei suoi pensieri emerse un ricordo. Quella a sinistra era la porta dell’anagrafe, più avanti c’era l’ufficio dell’assessore alla cultura, in fondo la biblioteca. Era stato abbandonato nell'infermeria del loro municipio.
Questi luoghi sono interessanti e ci si chiede perché tu li abbia citati. Pensavo avessero a che fare con il mistero che si va svelando e invece no. Forse vogliono sottolineare la confusione tipica dei sogni? Peccato però, mi avevano molto incuriosita.
Canis ha scritto: - Che ci fai qui, Febo? - la sorpresa nella voce dello sconosciuto venne presto sostituita dalla rabbia, - porca miseria, è vero quello che dicono?
Anche qui la tag di dialogo è strana. Proverei a formulare meglio.
Canis ha scritto: L’uomo, che a quanto pare si chiamava Febo,
Allora, qui mi sono fermata un attimo. Volevi far pensare a chi legge che lui non sa come si chiama perché è stordito? Ci può stare, perché dopo si capisce che non ricorda quale è la sua casa, ecc. Solo che, detto così, sembra un'intrusione di un narratore esterno, mentre finora e anche dopo il punto di vista è quello di Febo. Proverei a rivedere perché leggendo dà una strana sensazione di confusione che non sembra voluta.
Canis ha scritto: Una vecchia sulla sedia a rotelle lo stava fissando dall’altro lato del piazzale, la pelle grinzosa ricoperta di nei e gli occhi sgranati. Afferrò per il braccio la badante che stava leggendo un libricino sulla panchina, indicò Febo e sibilò la parola “assassino”.
Allora, poi si capisce che è un incubo e ci può stare, ma che la vecchia sibili qualcosa dall'altro lato della piazza e lui lo senta sembra una svista di chi scrive. È voluto?
Canis ha scritto: raschiò la voce della vecchia, come in un incubo, mentre le ruote della sua sedia stridevano sull’asfalto.
Qui dici come in un incubo. È un modo per sviare il lettore? Ummm...
Canis ha scritto: Non dovere, siniora, non dovere, - fu l’ultimo eco che Febo udì mentre svanivano, - zitta voi, zitta!
Anche perché subito dopo dici che svanivano e pare confermare la cosa.
Canis ha scritto: seguendo un sottile senso di familiarità e di angoscia
Frase non molto chiara. 
Canis ha scritto: Premendo la fronte contro il vetro del portone, con le dita gonfie si tastò le tasche dei pantaloni. Non c’era nessuna chiave.
   - Andate al diavolo tutti.
   Dall’interno si sentì il “din-don” dell’ascensore. Poi il ticchettio dei tacchi e infine la corrente elettrica interrotta dal tasto di apertura. Il peso dell’uomo fece scivolare la porta in avanti. Febo entrò e d’inerzia raggiunse l’elevatore appena liberato. Mentre le due porte automatiche si richiudevano, nella sua visuale finì il volto della donna ancora in corridoio. Era rimasta inchiodata sul posto. Pallida. Gli occhi spalancati per il terrore. 
   Febo sbatté il pugno sui bottoni pe
Confesso che qui ho fatto un po' fatica a capire la dinamica delle varie azioni. Anche rileggendo non mi sembra chiaro. Tra il portone e come arriva l'ascensore e la visione della donna (dove? Dove va?) mi ha confuso. Cercherei di formulare meglio.

Ciò che più ho apprezzato del racconto e che credo sia centrale è la descrizione della sete, martellante, ossessiva, da incubo.
Ottimo lavoro!
Ciao!

Re: [Lab6] Sete

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Ben trovata @Canis.
Hai scritto un racconto circolare. Bella tecnica, la situazione iniziale, dopo le varie vicissitudini si ripresenta alla fine.
Buono l'inizio: non ricorda di essere un assassino, ha solo molta sete, si mette subito in cerca di acqua. 
Non ho, però, compreso bene: dovrebbe trovarsi in una infermeria di un carcere, o qualcosa di simile, gli dicono che ha avuto un'intossicazione, ma in realtà lui non è in un ospedale. In piazza gli dicono assassino, tutti sanno tranne lui. La scena del crimine è congelata come lui l'ha lasciata, eppure dovrebbe essere passato del tempo... Beh, io ho pensato che lui si fosse già suicidato, tutto accade nella sua coscienza. È morto anche lui ma continua a sentirsi vivo e a ripercorrere la strada fino al luogo del delitto, ricorda e si suicida ancora una volta. 
Chi leggesse il tuo pezzo senza guardare i commenti sopra e la sinossi, non capirebbe al volo quanto sta accadendo. Tutto è giustamente confuso, e anche il luogo dove si risveglia non ha importanza, però, a mio avviso manca nel finale, un particolare che riveli la verità. Studierei il gesto quando mastica i medicinali, in quel momento dovrebbe ricordare, capire e ricominciare il cerchio; si sveglia, ha sete, [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]tutto più o meno come prima.[/font]
Canis ha scritto: Mi piaceva l'idea di rivelare la vicenda poco per volta, accompagnando il personaggio nella sua confusione e nel suo vagabondare, partecipando insomma almeno in parte al suo stato mentale. Infatti il racconto finisce per concentrarsi proprio su questo e non tanto sulla vicenda in sé. Non viene spiegato che relazione avesse con Gloria, perché l'abbia uccisa, chi fosse Febo al di là dell'omicidio. Non lo spiego perché per me non è lo scopo del racconto e quindi non lo percepisco come importante.
Il finale è volutamente aperto e interpretativo, si suggerisce che il protagonista sia dentro un loop, ma non viene spiegato oltre. Sarà bloccato dentro la sua mente? Sarà impazzito per il senso di colpa? Sarà la punizione da lui ricevuta all'inferno? Sarà davvero lui che continua a suicidarsi senza riuscirci?  Mi piaceva l'idea di lasciare un tocco di... misticismo? (non mi viene in mente una parola migliore).
Dovresti reputarlo importante, fa parte della narrazione, poi ognuno la vede come vuole.
Ci suggerisci diverse interpretazioni, ma io continuo a pensare che lui deve essere necessariamente morto al primo tentativo, altrimenti le cose che vede sarebbero incongruenti con la realtà. In quale mondo un'omicida viene lasciato solo in un letto d'ospedale, bisognoso di cure e di sorveglianza e libero di andarsene? È stato catturato dopo che ha tentato il suicidio, portato in ospedale,  nel delirio provocato dai farmaci si risveglia e se ne va senza che nessuno lo fermi. Non lo trovo possibile. 
Se è morto, ma non riesce a staccarsi dalla vita tutto diventa chiaro.
Ci sono alcune cose da sistemare, però la trama è parecchio bella, non proprio originale ma potresti renderla speciale con qualche tocco d'eleganza. 
Non ho potuto non pensare al film, "Ricomincio da capo" in quel film il protagonista trova il suo modo per uscire dal circolo vizioso. Il tuo protagonista potrebbe inventarsi un modo più efficace? Lo so il tuo è un racconto breve, ma potresti farlo diventare un pochino più lungo per dargli una verniciatina di smalto  :)

Re: [Lab6] Sete

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Ciao  :D è un piacere rileggerti
La narrazione ha un ottimo ritmo e i pensieri del protagonista sono reali e credibili. Riesci a mostrarci il suo carattere semplicemente dal modo in cui guarda il mondo: bene! Mi piace parecchio il tuo stile.
Canis ha scritto: Mi piaceva l'idea di rivelare la vicenda poco per volta, accompagnando il personaggio nella sua confusione e nel suo vagabondare, partecipando insomma almeno in parte al suo stato mentale. Infatti il racconto finisce per concentrarsi proprio su questo e non tanto sulla vicenda in sé.
Non sottovalutare questo aspetto: il suo vagabondare è la vicenda. Il racconto funziona così bene proprio perché c'è tutto quello che serve al posto giusto: un personaggio, uno scopo (scoprire la verità), delle sfide da superare che richiedono movimento fisico e movimento interiore, un punto d'arrivo che vede il personaggio cambiato rispetto al momento in cui è iniziato il racconto. È forse uno dei racconti più completi e bilanciati che ho letto in questo contest, quindi vai sereno.

Non mi è chiaro il passaggio del risveglio. 
Canis ha scritto: Aveva una sete tremenda, ma stavolta non c’erano né infermieri né medici a tenerlo d’occhio.
Perché non c'è nessuno a fare la guarda? Perché "stavolta", se siamo in un loop sempre uguale a sé stesso?
Canis ha scritto: Dalla nebbia dei suoi pensieri emerse un ricordo. Quella a sinistra era la porta dell’anagrafe, più avanti c’era l’ufficio dell’assessore alla cultura, in fondo la biblioteca. Era stato abbandonato nell'infermeria del loro municipio.
Perché è in municipio? Perché lo conosce?
Canis ha scritto: Sapeva di conoscere la persona di fronte a sé, ma non si ricordava chi fosse.
Chi è?

Sul finale:
Canis ha scritto: Di nuovo.
   Tutto da capo.
Il lettore l'ha capito, non c'è bisogno di chiudere con questa spiegazione metanarrativa poco elegante. Troverei molto più accattivante, ad esempio, chiudere sulla stessa frase dell'incipit:
Canis ha scritto: Intorno a lui c’era solo un letto d’infermeria, mura sterili, tende incolore, macchinari spenti.
 Gli venne in mente la noce di cocco che aveva martellato ripetutamente sulla soglia della terrazza.
Inezie, di per sé, ma su due punti per me abbastanza importanti:
- Sempre rispondere alle domande sollevate, a meno che non sia una ben precisa e particolare scelta artistica
- Dare grande peso alla frase di chiusura

Il racconto mi è piaciuto molto. Grande!
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