[MI188] Lo strano accordo tra Gianmaria Terzani e le sue stalker
Posted: Fri Oct 17, 2025 10:56 am
Traccia di mezzogiorno n.1 - "Perché?"
“Ma perché?”
Lo strano accordo tra Gianmaria Terzani e le sue stalker
“Ma perché?”
Nei suoi sessantadue anni di vita, nonché nella sua onorata carriera di attore, Gianmaria Terzani ne aveva viste tante, e tante lo avevano inquietato: quel regista che a ogni film ci teneva a fare almeno una ripresa dei piedi nudi di ogni attore, anche quando non c’entrava niente; quel giornaletto online che una volta l’anno annunciava che aveva fatto un incidente mortale; e gli amici di suo figlio, che pretendevano la lista di tutte le donne famose con cui era stato, con annesso voto all’amplesso.
Nulla, però, reggeva il confronto con le due stalker.
Non arrivavano ai vent’anni, o almeno così sembrava. La prima volta che Gianmaria si era accorto di loro era stata all’uscita di uno spettacolo a teatro. Invece di fermarlo — come aveva fatto il resto del pubblico, e come qualsiasi persona normale — erano rimaste lontane, mezze nascoste dietro una macchina, a fissarlo come rapaci notturni. La cosa l’aveva quasi lusingato: erano giovani, appunto, e così timide da non riuscire neanche a chiedergli una foto? Gli avevano fatto tenerezza.
La seconda volta era stata la prima di un film. Sul red carpet, Gianmaria era passato davanti alla folla di ragazzine urlanti senza pensarci. Era ovvio fossero lì per gli altri attori del festival, star del cinema più giovani, internazionali, della cui esistenza lui sapeva solo tramite suo figlio. Poi si era sentito chiamare, da una vocetta così flebile che aveva pensato di essersela immaginata: non Gianmaria, ma Signor Terzani, addirittura. Le aveva riconosciute, un po’ perché la volta precedente era stata anomala, e un po’ perché erano facili da identificare, praticamente delle macchiette: quella che aveva parlato era bionda e riccia, con lenti spesse che le facevano gli occhi comicamente grandi; l’altra, i capelli scuri e spettinati, si poteva descrivere solo come una da centro sociale. Avevano balbettato dei complimenti, Gianmaria aveva firmato un autografo per una, ed era finita lì.
I problemi erano iniziati al supermercato.
Anche se nei mesi, ogni tanto, Gianmaria aveva dedicato alle due un pensiero distratto, non aveva immaginato che abitassero nella sua stessa città. E forse non ci abitavano: d’altronde le aveva incontrate in due posti diversi, non correlati. Forse, aveva riflettuto vedendole al reparto macelleria, erano in città per qualche altro motivo. Lavoro? Gita di piacere? Ma il carrellino nella mano dell'occhialuta raccontava un’altra storia.
Possibile che fossero addirittura del suo stesso quartiere?
Non gli avevano lasciato il tempo di chiedere: erano impallidite come se avessero visto un fantasma, prima di scappare a testa bassa.
Ti ricordi quelle due ragazzine della prima? Aveva chiesto a sua moglie quella sera, a cena.
Come no. Non hai parlato di altro per giorni.
Ci credi che le ho viste al supermercato?
Lei si era fatta una risata. Tu sei impazzito.
Giuro che erano loro!
E anche se fosse? Credi fossero là per te?
Beh… Per cos’altro? Non le abbiamo mai viste in zona.
Pensi davvero che due ragazzine ti stiano seguendo? E perché, poi?
Che ne so io!
Secondo me sei solo stressato. È per la nuova serie, vero?
Non aveva risposto. Lo irritava essere preso per un visionario, almeno quanto la serie, che era una scemenza e che aveva accettato per soldi. Ma mentalmente aveva preso nota dell’accaduto. Qualcosa non lo convinceva.
Gli avvistamenti, infatti, non erano finiti lì. Aveva incrociato l’occhialuta, con un cappello in testa che faceva ben poco per camuffarla, all’uscita del ferramenta dietro casa. L’altra, che aveva rinominato la gangster, una volta aveva parcheggiato il motorino accanto al suo e poi, vedendolo, se l’era data a gambe, mollando addirittura il casco appeso al manubrio. Come facevano a sapere che era il suo motorino, tra l’altro? Con gli stessi mezzi, immaginava, con cui avevano scoperto dove abitava.
E poi altre decine di incontri come quelli, anche se il loro posto preferito rimaneva il supermercato. E mai una volta che gli parlassero. Gianmaria era un tipo riservato, e non amava la fama, ma l’avrebbe preferito.
La sua famiglia continuava a non credergli, ma lui teneva un diario in cui annotava diligentemente data e luogo di ogni incontro. C’erano ormai gli estremi per una denuncia. Ma cosa poteva dire? Erano avvenimenti così casuali, e le due così apparentemente inoffensive, che gli avrebbero riso in faccia.
Era arrivato anche a sognarle di notte. Negli incubi scappava da loro, anche se nella realtà pareva fosse il contrario, e a dirla tutta non ne aveva paura. Anzi, prevaleva una curiosità che gli serpeggiava sottopelle.
“Perché?” Ripeté. Erano arrivate sotto casa sua. La gangster aveva addirittura una busta dell’immondizia in mano, e Gianmaria si chiese se se la fosse trascinata da dove vivevano fino a lì solo per preservare il realismo. Doveva dargliene atto, a recitare si impegnavano quasi quanto lui. Sul citofono non c’era nemmeno il suo cognome, ma non aveva dubbi che conoscessero quello di sua moglie, e forse quelli di tutta la sua famiglia, fino ai cugini di quarto grado. “Perché mi seguite?”
L’occhialuta, diventata di un violaceo preoccupante, sembrava sul punto di svenire. “Scusa,” balbettò.
“Ti pare che ti seguiamo,” sputò l’altra. “Abitiamo qua.”
“Ah sì? E chi sono i vostri genitori?”
“Genitori? Mica abbiamo sei anni,” borbottò l’occhialuta, adesso quasi offesa.
“È per Sara, vero? Quanto volete per non farlo uscire?”
Era l’unica spiegazione che si era dato, e che per forza di cose non poteva condividere con sua moglie: dovevano essere paparazzi. Magari si conciavano così per sembrare piccole e innocenti, ma presto Gianmaria avrebbe trovato una brutta sorpresa in prima pagina: lo stimato attore Gianmaria Terzani e la sua relazione extraconiugale — no, un titolo molto più viscido di così, ma quello sarebbe stato il punto.
Se non erano giornaliste, comunque, avrebbero lo stesso potuto usare Sara per ricattarlo. Per soldi? O, da fan pazze che erano, per oggetti personali, tipo mutande o calzini? Al mondo c’era gente strana, con ogni tipo di fetish.
Prima che potessero negare, però, le loro facce parlavano da sole: per qualche motivo, non sapevano niente dei suoi tradimenti. “Chi è Sara?” Fece la gangster.
“Tua moglie si chiama Francesca,” aggiunse l’altra, ormai sfacciata. Gianmaria avrebbe voluto chiamarla, Francesca, e farle vedere che non aveva la demenza precoce: le due esistevano, e stavano avendo una conversazione con lui, alle dieci di sera davanti al suo portone.
“Nessuno.” Rimaneva sempre la seconda opzione: “allora è per qualche fetish?”
La gangster guardò giù, in imbarazzo. L’occhialuta incrociò le braccia e chiese, con mielosa accondiscendenza: “pensi che per trovarti bello dovremmo avere un fetish?”
“Quindi mi trovate bello!” Era solo questo il motivo, allora. Un po’ deludente, a essere sincero.
“Sei un bell’uomo,” gli concesse l’occhialuta. “Ma non è per quello.”
“E dallo schermo possiamo vederti molto più da vicino,” aggiunse l’altra.
“Va bene, allora sarà che mi vedete come padre.” Aveva interpretato diversi ruoli paterni nella sua carriera, uno tra tutti in un film che era spopolato tra le ragazzine della loro età — per il coprotagonista venticinquenne, sia chiaro, non di certo per lui. Ma era stata un’interpretazione toccante, di cui era ancora molto fiero a distanza di anni. Anche se era stato più complicato fingere di sopportare quel pallone gonfiato nelle interviste che essere suo padre sul set. “Ce l’avete, un padre?”
“È più giovane di te,” tagliò corto la gangster. “Al massimo puoi essere mio nonno.”
“Nina!” L’altra le diede uno schiaffetto sul braccio. Gianmaria sentì un brivido di adrenalina attraversargli il corpo, a sapere il nome di una delle due. “Ti sembra il caso?”
“Sta facendo lo stronzo,” si giustificò la gangster, Nina. Poi tornò a lui: “ti pensavo più gentile.”
Gianmaria era tante cose, ma gentile non era tra queste. Chi lo conosceva — davvero, e da vicino — lo sapeva, e si assicurava di farglielo notare. “Pensavi male.”
“Non è vero,” protestò l'occhialuta. “Ti abbiamo visto. Non solo nelle interviste. In motorino ti fermi per far attraversare i pedoni, e dai sempre qualcosa ai mendicanti. L’altro giorno hai anche fatto una donazione al banchetto di Telethon!”
“Sei una brava persona,” disse Nina. “È bello vederti fare cose — belle.”
Gianmaria aprì la bocca e la richiuse. Non poteva dirgli che, in senso lato, le aveva fatte per loro. Che da quando lo seguivano erano state per lui una sorta di Grande Fratello, e che insieme al loro sguardo si era sentito addosso un imperativo morale: essere il Gianmaria Terzani che si aspettavano, chiunque egli fosse. Aveva persino cominciato a trascurare Sara. Si era detto che non voleva coinvolgerla, né farsi scoprire, ma la verità era un’altra.
Non poteva dirglielo, no, o avrebbe gonfiato il loro ego in maniera spropositata. Gli si sarebbero infilate in casa. E poi sarebbe stato da malati ammetterlo ad alta voce: quando mai il tuo stalker ti rende una persona migliore? “Bene. Adesso avete finito? Che devo fare per farmi lasciare in pace?”
Le due si guardarono. Sembrarono avere un’intera conversazione muta. “Un caffè,” concluse Nina.
“Al mese,” aggiunse l'occhialuta. “Noi stiamo zitte. E tu parli.”
“Di cosa?”
“Di qualsiasi cosa.”
Niente, gli piaceva guardare e basta, e a quanto pare anche ascoltare. Senza scopo. Gianmaria non riusciva a concepirlo, ma tutto sommato si poteva anche fare. Era raro che qualcuno lo ascoltasse per davvero, e, se era onesto con se stesso, a lui piaceva il suono della sua voce. “Se vi rivedo salta l’accordo.”
Gli porsero la mano destra allo stesso momento. “Proiezioni, spettacoli e eventi vari non contano,” specificò l'occhialuta.
Gli porsero la mano destra allo stesso momento. “Proiezioni, spettacoli e eventi vari non contano,” specificò l'occhialuta.
Le strinse, una con la destra e una con la sinistra, chiedendosi cosa avrebbero pensato i passanti a vedere la scena. Quella della gangster puzzava un po’ di immondizia.