[MI188] Lo spaventapasseri
Posted: Wed Oct 15, 2025 3:43 pm
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Traccia dell’arbitro 2. "Non è un gioco"
Traccia dell’arbitro 2. "Non è un gioco"
Una calza da donna. Due sere prima l’intimo femminile lasciato sul tappetino d’ingresso, ieri un biglietto nella cassetta delle lettere, con scritto “Lasciami in pace o chiamo la polizia”. Ora questo. Franco rientrò in casa. Il pasto della sera prima e la bottiglia di gin erano ancora sul tavolo. Lasciò cadere la calza sul divano e si affrettò ad uscire: era in ritardo per l’apertura dell’ufficio.
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Il sole stava per tramontare. Un uomo alto e secco si fermò davanti ad un locale dai vetri opachi e sporchi. Sulla porta d’ingresso un’insegna dorata recitava “Occhio privato”, accanto all’insegna campeggiava un’aquila dalle ali spiegate. Franco era seduto alla scrivania e, appena lo vide entrare, lo salutò con un cenno del capo. «Pensavo che non saresti più venuto. Stavo per chiudere.» Prese dal cassetto una busta, gliela porse e disse: «Ascolta, Luca… l’ho seguita. Queste foto ti toglieranno ogni dubbio.» Luca aprì la busta e sfogliò le foto, mentre il suo viso scarno passava dal grigio al rosso. «Quella troia, lo sapevo!» Franco era abituato alle sfuriate dei clienti che si scoprivano cornuti, non ci faceva più caso. Luca era l’uomo che faceva le pulizie in casa sua, abitava nel suo stesso palazzo. Non pensava che, tetro e apatico com’era, potesse mostrare delle emozioni. La sua rabbia reticente, trattenuta a stento, lo divertiva. «Non sopporto che stia con un altro uomo! Gliela farò pagare a quel bastardo!» Era infuriato, lo spaventapasseri. Lo chiamavano tutti così nel quartiere. Franco l’aveva assunto per pulire casa sua una volta alla settimana, forse per compassione, ai tempi in cui si scopava la sua ragazza, Lucia, quella delle foto. Poi l’aveva mollata, ormai da un anno, ma si era tenuto lo spaventapasseri, che non aveva mai saputo nulla di lui e Lucia, altrimenti ora avrebbe un cliente in meno. Ora Lucia aveva un uomo nuovo, dove prima c’era stato lui, poi sarebbe toccato ad un altro. L’unica costante era lo spaventapasseri, che si disperava per una donna che non lo amava e che lo trattava da salvadanaio. Era venuto da lui una settimana prima, chiedendogli di pedinarla. Luca ricominciò a parlare, quasi balbettando: «Franco, io… non ce la faccio più. Prima quelle lettere, ora questo.» Franco si drizzò dalla poltrona, interessato: «Quali lettere?» «Da qualche giorno mi arrivano delle strane lettere: insulti, minacce. Lei ed il suo amante si divertono a mettermi paura.» «Ma che motivo avrebbero? Non sanno che li hai scoperti. Non hanno alcun interesse a dare nell’occhio.» «Forse hai ragione, ma io… credo che vogliano umiliarmi, burlarsi di me. Quella donna è una pazza. L’ultima lettera è arrivata stamattina, io non so che fare…» Lasciò cadere sulla scrivania una lettera spiegazzata. «Questa è la sua scrittura, la riconosco.» Franco si stupì nel riconoscere la stessa calligrafia della lettera che aveva trovato nella cassetta il giorno precedente, e che ora ingialliva sul comodino della sua camera de letto. Lesse: “Al motel di Via Merz, stasera alle 21. Stanza numero 12. Se non vieni vado alla polizia. Quello che stai facendo è illegale”. Mentre rifletteva si accese una sigaretta e tirò una lunga boccata. «Sei sicuro che sia la sua scrittura?» Franco squadrò Luca, che rispose con voce ferma: «Sì, sono sicuro.» Franco parve sollevato, aveva trovato una spiegazione per la lettera: Lucia l’aveva infilata per sbaglio nella sua cassetta. Ma l’intimo? E la calza di quella mattina? Quelli non poteva averli lasciati per errore davanti alla sua porta. “Quella donna sta tramando qualcosa” pensò. Luca interruppe i suoi ragionamenti: «Franco… puoi andarci tu, al mio posto? Dille di lasciarmi in pace. Se si è trovata un nuovo amante, non me ne importa niente. Dille solo di lasciarmi in pace… per favore.» «Ok, ci vado.» rispose. Pensò che sarebbe stato un ottimo modo per risolvere il mistero personale che lo incuriosiva da qualche giorno. E inoltre poteva farsi pagare: «Ma ti costerà: duecento. Potrebbe essere pericoloso…» aggiunse, sorridendo. «Va bene, va bene, domani mattina passo a pagarti» disse lo spaventapasseri, sconsolato, e si voltò per uscire. Franco lo richiamò: «Aspetta! Le foto? Non le vuoi?» Lo spaventapasseri parve sorpreso: «Oh, le foto… tienile tu! Non voglio più saperne nulla di questa storia, né di quella donnaccia.» Franco rise tra sé, pensando che ce ne aveva messo di tempo, quello stuzzicadenti, per arrivare alla conclusione più logica. Era ben contento di averlo aiutato, e di averci guadagnato nel frattempo. Ripose le foto nel cassetto sotto alla scrivania, prevedendo che lo spaventapasseri sarebbe tornato a prendersele. “Fanno tutti così” pensò. Si accese un’altra sigaretta.
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Chiuso il negozio, andò a casa a farsi una doccia, poi uscì e si diresse in macchina verso il motel, che era appena fuori città. Arrivò alle nove, l’orario dell’appuntamento. Non c’era nessuno. Estrasse dalla tasca la lettera che gli aveva dato lo spaventapasseri per controllare il numero della stanza: Stanza 12. La luce era accesa. Bussò, e la porta si aprì leggermente. Era indeciso, la situazione puzzava. Entrò senza far rumore. Si bloccò sull’ingresso: Lucia giaceva sul letto. Non si muoveva. Franco si avvicinò lentamente, a piccoli passi. Tastò il polso della donna: non c’era battito, era morta. Sul collo aveva delle striature rosse, qualcuno l’aveva strangolata. Pensò che fosse meglio togliersi di lì, e in fretta.
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Aprì la porta del suo appartamento. Era passato a bussare allo spaventapasseri, che abitava un piano sotto a lui, ma non era in casa. Non sapeva cosa pensare, era incappato in un bel mistero. Accese la luce e subito notò qualcosa sul divano: le calze ora erano due. Prese la nuova calza e la pose controluce: si intravedevano dei segni violacei, sangue. Franco sospirò, inquieto. Era stanco di questo gioco. “Ma chi può entrare in casa e lasciare una calza insanguinata?” pensò, “le chiavi le ho solo io. Io e… chi fa le pulizie! Lo spaventapasseri!”. In quel preciso istante sentì bussare alla porta. Corse ad aprire. Forse era Luca, forse poteva dirgli che diavolo stava succedendo. Aprì la porta e si trovò davanti tre uomini in divisa. «Lei è Franco Albini?» chiese uno dei tre. «Sì, ma che cosa…» Non gli lasciarono finire la frase, uno sbirro gli afferrò il braccio e gli strinse le manette ai polsi. «La dichiaro in arresto per l’omicidio di Lucia Colombo. Deve seguirci in questura.» Quello che lo aveva ammanettato gli frugò nelle tasche ed estrasse la lettera che dava appuntamento al motel. Franco non osò guardare in faccia lo sbirro, che sghignazzò: «Bene. Questa va dritta nelle prove, ora andiamo!» Lo condussero, strattonandolo, giù per le scale. «Ma si può sapere cosa volete da me? Io non conosco quella donna!» gridò, disperato. Lo sbirro lo guardò divertito: «L’hanno vista uscire dal motel in cui c’è il cadavere. Non la conosce? Ha un suo biglietto in tasca, santo cielo! Lei era il suo amante, e non ha accettato che avesse scelto un altro! Ora la prego, ci segua senza storie.» Altri due uomini in divisa stavano salendo le scale. Lo sbirro che lo teneva per i polsi disse loro: «Salite nell’appartamento e perquisitelo, noi vi raggiungeremo dopo averlo lasciato in centrale.» Franco capì: le lettere con la scrittura della defunta, il suo intimo, le calze, una delle quali era l’arma del delitto! La perquisizione l’avrebbe incastrato! C’erano anche le foto di Lucia col nuovo amante in un cassetto della sua scrivania, in ufficio! Uscirono nella via, e fu spinto in macchina dai poliziotti. La volante si avviò. Franco guardava i passanti attraverso il gabbiotto che lo separava dal guidatore, e che lo faceva sentire già dietro le sbarre, colpevole. Quando l’auto girò l’angolo del palazzo fece appena in tempo ad intravedere una figura alta e sottile appoggiata al muro. Stava sbuffando il fumo di una sigaretta, e sembrava sorridergli.