[MI187] U club
Posted: Fri May 30, 2025 11:58 pm
Traccia 3. "La galleria dei quadri silenziosi"
U club
Nessuno sapeva quando era il suo momento, sembrava non arrivasse mai. Ma se era il tuo turno per entrare al club più ambito della zona, non ti saresti perso per nulla al mondo quell’invito, recapitato per direttissima al tuo indirizzo. Non c’era regola per la selezione, venivano scelti sia gran dotati che poveri cristi, potenziali geni, fanfaroni o nulla di buono.
Quella volta fu la sua volta, Tonya era il suo nome, e aveva pensato di essere l’unica. In realtà, si ritrovò seconda, nella lunga fila chilometrica allineata all’accesso della galleria. Lo chiamavano U club, o You club, non aveva certo un’insegna a definirne la compitazione. Nessuno si aspettava di trovarsi in un vero club, quelli di musica e lustrini, una volta oltrepassata quella porta. Ma d’altro canto nessuno aveva neppure un’idea chiara di cosa aspettarsi. L’importante era che qualunque evento vi si svolgesse era un evento esclusivo, per pochi eletti, con cadenze regolari ma bastevolmente distanziate nel tempo per creare suspance.
Dunque Tonya era la seconda quella sera. E chi aveva il privilegio di essere il primo della fila? Piantata di fronte all’ingresso c’era una spilungona, alta almeno il doppio di lei, con un’espressione tra lo scocciato e l’annoiato. Un’espressione fuori luogo, se si pensa a quanti darebbero qualunque cosa per trovarsi in quella privilegiata prima posizione, proprio di fronte alla porta sbarrata sul mistero che racchiude il club.
Proprio allora l’uscio di apri, fluido come se non fosse mai esistito, e vi si affacciò un tipaccio dall’aria navigata. Guardò un istante quella fila, insensata, considerando che quasi nessuno sarebbe entrato quella sera, come ad ogni altro evento precedente. “Signorina Evin, Lei può entrare, solo Lei” sentenziò, senza lasciare spazio a false speranze. La spilungona in prima posizione sgusciò dentro e il tipaccio si accinse a chiudere la porta, controllando scrupoloso la lista. “Un attimo, ci sarebbe anche una certa Tonya, è presente?”. Con l’invidia di tutti quelli alle sue spalle a soffiarle in poppa, anche Tonya sfilò nell’ingresso del club, come unica altra prescelta.
Dunque erano in due, Evin e Tonya, dentro quel luogo che avevano agognato di vedere, almeno una volta nella vita. Ed eccole finalmente. Il brutto ceffo le guidò un ampio atrio, che attraversarono frettolosamente. Nessun indizio alle pareti o nell’aria di ciò che le aspettasse. “Di qua, la galleria ha un unico accesso ed un'unica uscita” indicò lui con sicurezza, come se loro sapessero a cosa si riferiva. “Non abbiate timore, non c’è pericolo alcuno, potrete godere di tutte le opere d’arte a vostro piacimento. Sono le migliori che mi sia capitato di vedere, da molto molto tempo”. Dunque di quello si trattava: una esclusiva mostra d’arte, la più rinomata che si fosse mai vista da quelle parti! Anche questa volta il club non aveva deluso, come se potesse leggere nei desideri dei suoi selezionati visitatori, azzeccando i gusti sia di Tonya che di Evin.
Evin guardò Tonya e viceversa, nessuna delle due riconosceva l’altra, non si erano mai incrociate nella frenesia là fuori. Ma dentro al club erano delle elette, le poche che avrebbero visto quella mostra eccezionale. La loro guida, che aveva sempre meno l’aspetto di uno sgherro e sempre più quella dell’addetto museale “Vi raccomando solo un paio di punti d’attenzione: il vostro tempo è limitato e le opere sono molte, dunque cercate di concentrarvi su quelle che colpiscono la vostra attenzione. Sarà mia cura interrompere la vista al momento opportuno. È inoltre un obbligo per entrambe lasciare un commento alle opere visionate, positivo o negativo che sia, basato sulla vostra sola interpretazione. Infatti non ci sono audioguide, ne targhe, ne curatori, che possano orientarvi”. Tonya ascoltava attenta, trattenendo a stento l’emozione, in procinto di gridare per la pelle d’oca. Evin era all’apparenza indolente, a quelle regole, come a tutto il resto che la circondava. Ma fremeva dentro.
Una tenda color porpora si schiuse. Eccole di fronte ad una lunghissima galleria, moderna, pareti lisce e rosee, soffitto alto. Da entrambi i lati, con distanza regolare erano appese le opere agognate. Era così lunga che non se ne vedeva la fine, forse per la lieve curvatura atta proprio a dare quell’effetto. Di fronte ad ogni opera una piccola scatola, un foglietto verde ed uno rosso. Dunque era in quel modo che avrebbero dovuto esprimere la lor critica obbligatoria. “Io me ne vado” le fece trasalire il loro anfitrionec, allontanandosi alle loro spalle “Vi lascio alle vostre opere, alcune hanno un contenuto forte, ma credo che siano frutto di una selezione minuziosa. E anche voi” concluse sparendo dietro la tenda color porpora.
Tonya constatò quanto effettivamente fossere eccezionali, specialmente in varietà. Non avevano quasi nulla di simile l’una con l’altra. Per questo escluse dal principio che fossero tutte opera dello stesso artista, ma piuttosto di un collettivo. Alcune erano crude sino allo stremo, le facevano distogliere lo sguardo ancor prima di avvicinarvisi. Altre invece la richiamavano da lontano, come fossero lì proprio per lei, anche se poi da vicino non le piacevano particolarmente.
La prima che esaminò con cura era un quadro in movimento, qualche fotogramma di una storia. In procinto si sentivano anche le note regolari e ipnotiche di un pianoforte suonato a sussulti. Tra i late della cornice era racchiuso un paesaggio, una tempesta invenale, con un unico fuocherello che ardeva nel centro, con un uomo di spalle a scaldarsi le mani. I pochi fotogrammi in sequenza davano piena percezione di quanto fosse forte la tormenta e quanto fosse flebile e preziosa quella fiamma. La faceva sentire esposta, per nulla sicura che quel tepore sarebbe potuta arrivare anche a lei. Prese il foglietto rosso, vi scrisse “mi fa sentire insicura”.
Evin era difficile da accontentare, passò da un’opera all’altra, ma non vi trovò mai nulla che scalfisse il suo muro di tedio. Molteplici furono i foglietti rossi depositati nelle scatolette alla base delle opere. Quelle che la richiamavano maggiormente erano le sculture composte con materiale grezzo, pezzi di terra, di corteccia, di carne, di melma. Le leggeva, sentendole più di qualunque immagine. Era quasi indecisa, se affibbiare un foglietto verde con scritto “un capolavoro” ad una ruota di bicicletta bucata, graffiata, scalfita sul battistrada e sulle spalle, come se avesse attraversato qualunque prova. Era opera di uno sportivo, uno sportivo primitivo, come li intendeva lei. Poi si accorse del suono che si diffondeva nell’aria in prossimità della stessa, cupo e stridente, come se la realtà delle ruota celasse un malessere, una dipendenza da cui era impossibile scappare.
Tonya dopo una decina di opere, trovò quella che più la soddisfava. “Sfavillante” scrisse sul biglietto verde. L’immagine che aveva davanti agli occhi era quella di un albero di Natale, un mezzo ad un soggiorno curato, ma tutta la stanza era vuota. Ciò che brillava era la finestra alle sue spalle, un cui persone si aiutavano e sostenevano l’un l’altra, dopo un alluvione che ancora riempiva le strade. Era un emozione forte, come piacevano a lei. Le trasmetteva quanto l’artista andasse a toccare tasti a lei affini, distogliendo lo sguardo dalle figure di bontà stereotipate. Sfavillante bontà, avrebbe potuto aggiungere.
Erin era scontenta di tutte le opere. Fino a quando Tonya le arrivò alle spalle “Non ti conosco e non posso essere di molto aiuto per trovare un’opera che si addica a te”, cercando di non sembrare invadente. “Ma il mio consiglio è di chiudere gli occhi e affidarti alle sensazioni”. Ed ecco che appena Erin ebbe serrato lo sguardo, il cuore si aprì attraverso gli altri sensi. Si innamorò subito dell’opera che stava appesa alla parete opposta. Erano uccelli, che festeggiavano l’ingresso di una persona nella gabbia, ma che la festeggiavano ancor più quando invece del mangime questo gli regalava la libertà al di fuori della voliera. Biglietto verde “condivisione di vedute”.
Non fece neppure in tempo a ringraziare Tonya, per averle chiuso gli occhi, che la loro guida riapparve alle loro spalle. “Tempo scaduto” tagliò corto, con incelata soddisfazione.
“Avete visionato più opere di chiunque altro prima di voi, ma avete dato solo due giudizi positivi. Il risultato per la nostra galleria è comunque eccezionale. Entrambe avete scelto, vi siete lasciate pervadere da ciò che l’opera portava con se. E cosa più importante, obbiettivo di ogni artista, ora non siete più le stesse, non siete più neppure voi stesse”
Tonya sapeva per istinto che il curatore stava cercando di dire loro qualcosa, un messaggio più basilare di quello di un ente orgoglioso del suo operato in campo artistico. “Tu capisci di cosa sta parlando?” le chiese Evin, sconcertata e scocciata come sempre. “Non ne sono sicura…” finse Tonya, sentendolo invece nel profondo, dove la sua orecchia sensibile le dava accesso.
“Abbiamo solo una parola per definire ciò che è appena successo, cioè due giudizi positivi, due approvazioni nella stessa sessione di visita. Un solo temine che ora vi definisce entrambe: gemelle”
U club
Nessuno sapeva quando era il suo momento, sembrava non arrivasse mai. Ma se era il tuo turno per entrare al club più ambito della zona, non ti saresti perso per nulla al mondo quell’invito, recapitato per direttissima al tuo indirizzo. Non c’era regola per la selezione, venivano scelti sia gran dotati che poveri cristi, potenziali geni, fanfaroni o nulla di buono.
Quella volta fu la sua volta, Tonya era il suo nome, e aveva pensato di essere l’unica. In realtà, si ritrovò seconda, nella lunga fila chilometrica allineata all’accesso della galleria. Lo chiamavano U club, o You club, non aveva certo un’insegna a definirne la compitazione. Nessuno si aspettava di trovarsi in un vero club, quelli di musica e lustrini, una volta oltrepassata quella porta. Ma d’altro canto nessuno aveva neppure un’idea chiara di cosa aspettarsi. L’importante era che qualunque evento vi si svolgesse era un evento esclusivo, per pochi eletti, con cadenze regolari ma bastevolmente distanziate nel tempo per creare suspance.
Dunque Tonya era la seconda quella sera. E chi aveva il privilegio di essere il primo della fila? Piantata di fronte all’ingresso c’era una spilungona, alta almeno il doppio di lei, con un’espressione tra lo scocciato e l’annoiato. Un’espressione fuori luogo, se si pensa a quanti darebbero qualunque cosa per trovarsi in quella privilegiata prima posizione, proprio di fronte alla porta sbarrata sul mistero che racchiude il club.
Proprio allora l’uscio di apri, fluido come se non fosse mai esistito, e vi si affacciò un tipaccio dall’aria navigata. Guardò un istante quella fila, insensata, considerando che quasi nessuno sarebbe entrato quella sera, come ad ogni altro evento precedente. “Signorina Evin, Lei può entrare, solo Lei” sentenziò, senza lasciare spazio a false speranze. La spilungona in prima posizione sgusciò dentro e il tipaccio si accinse a chiudere la porta, controllando scrupoloso la lista. “Un attimo, ci sarebbe anche una certa Tonya, è presente?”. Con l’invidia di tutti quelli alle sue spalle a soffiarle in poppa, anche Tonya sfilò nell’ingresso del club, come unica altra prescelta.
Dunque erano in due, Evin e Tonya, dentro quel luogo che avevano agognato di vedere, almeno una volta nella vita. Ed eccole finalmente. Il brutto ceffo le guidò un ampio atrio, che attraversarono frettolosamente. Nessun indizio alle pareti o nell’aria di ciò che le aspettasse. “Di qua, la galleria ha un unico accesso ed un'unica uscita” indicò lui con sicurezza, come se loro sapessero a cosa si riferiva. “Non abbiate timore, non c’è pericolo alcuno, potrete godere di tutte le opere d’arte a vostro piacimento. Sono le migliori che mi sia capitato di vedere, da molto molto tempo”. Dunque di quello si trattava: una esclusiva mostra d’arte, la più rinomata che si fosse mai vista da quelle parti! Anche questa volta il club non aveva deluso, come se potesse leggere nei desideri dei suoi selezionati visitatori, azzeccando i gusti sia di Tonya che di Evin.
Evin guardò Tonya e viceversa, nessuna delle due riconosceva l’altra, non si erano mai incrociate nella frenesia là fuori. Ma dentro al club erano delle elette, le poche che avrebbero visto quella mostra eccezionale. La loro guida, che aveva sempre meno l’aspetto di uno sgherro e sempre più quella dell’addetto museale “Vi raccomando solo un paio di punti d’attenzione: il vostro tempo è limitato e le opere sono molte, dunque cercate di concentrarvi su quelle che colpiscono la vostra attenzione. Sarà mia cura interrompere la vista al momento opportuno. È inoltre un obbligo per entrambe lasciare un commento alle opere visionate, positivo o negativo che sia, basato sulla vostra sola interpretazione. Infatti non ci sono audioguide, ne targhe, ne curatori, che possano orientarvi”. Tonya ascoltava attenta, trattenendo a stento l’emozione, in procinto di gridare per la pelle d’oca. Evin era all’apparenza indolente, a quelle regole, come a tutto il resto che la circondava. Ma fremeva dentro.
Una tenda color porpora si schiuse. Eccole di fronte ad una lunghissima galleria, moderna, pareti lisce e rosee, soffitto alto. Da entrambi i lati, con distanza regolare erano appese le opere agognate. Era così lunga che non se ne vedeva la fine, forse per la lieve curvatura atta proprio a dare quell’effetto. Di fronte ad ogni opera una piccola scatola, un foglietto verde ed uno rosso. Dunque era in quel modo che avrebbero dovuto esprimere la lor critica obbligatoria. “Io me ne vado” le fece trasalire il loro anfitrionec, allontanandosi alle loro spalle “Vi lascio alle vostre opere, alcune hanno un contenuto forte, ma credo che siano frutto di una selezione minuziosa. E anche voi” concluse sparendo dietro la tenda color porpora.
Tonya constatò quanto effettivamente fossere eccezionali, specialmente in varietà. Non avevano quasi nulla di simile l’una con l’altra. Per questo escluse dal principio che fossero tutte opera dello stesso artista, ma piuttosto di un collettivo. Alcune erano crude sino allo stremo, le facevano distogliere lo sguardo ancor prima di avvicinarvisi. Altre invece la richiamavano da lontano, come fossero lì proprio per lei, anche se poi da vicino non le piacevano particolarmente.
La prima che esaminò con cura era un quadro in movimento, qualche fotogramma di una storia. In procinto si sentivano anche le note regolari e ipnotiche di un pianoforte suonato a sussulti. Tra i late della cornice era racchiuso un paesaggio, una tempesta invenale, con un unico fuocherello che ardeva nel centro, con un uomo di spalle a scaldarsi le mani. I pochi fotogrammi in sequenza davano piena percezione di quanto fosse forte la tormenta e quanto fosse flebile e preziosa quella fiamma. La faceva sentire esposta, per nulla sicura che quel tepore sarebbe potuta arrivare anche a lei. Prese il foglietto rosso, vi scrisse “mi fa sentire insicura”.
Evin era difficile da accontentare, passò da un’opera all’altra, ma non vi trovò mai nulla che scalfisse il suo muro di tedio. Molteplici furono i foglietti rossi depositati nelle scatolette alla base delle opere. Quelle che la richiamavano maggiormente erano le sculture composte con materiale grezzo, pezzi di terra, di corteccia, di carne, di melma. Le leggeva, sentendole più di qualunque immagine. Era quasi indecisa, se affibbiare un foglietto verde con scritto “un capolavoro” ad una ruota di bicicletta bucata, graffiata, scalfita sul battistrada e sulle spalle, come se avesse attraversato qualunque prova. Era opera di uno sportivo, uno sportivo primitivo, come li intendeva lei. Poi si accorse del suono che si diffondeva nell’aria in prossimità della stessa, cupo e stridente, come se la realtà delle ruota celasse un malessere, una dipendenza da cui era impossibile scappare.
Tonya dopo una decina di opere, trovò quella che più la soddisfava. “Sfavillante” scrisse sul biglietto verde. L’immagine che aveva davanti agli occhi era quella di un albero di Natale, un mezzo ad un soggiorno curato, ma tutta la stanza era vuota. Ciò che brillava era la finestra alle sue spalle, un cui persone si aiutavano e sostenevano l’un l’altra, dopo un alluvione che ancora riempiva le strade. Era un emozione forte, come piacevano a lei. Le trasmetteva quanto l’artista andasse a toccare tasti a lei affini, distogliendo lo sguardo dalle figure di bontà stereotipate. Sfavillante bontà, avrebbe potuto aggiungere.
Erin era scontenta di tutte le opere. Fino a quando Tonya le arrivò alle spalle “Non ti conosco e non posso essere di molto aiuto per trovare un’opera che si addica a te”, cercando di non sembrare invadente. “Ma il mio consiglio è di chiudere gli occhi e affidarti alle sensazioni”. Ed ecco che appena Erin ebbe serrato lo sguardo, il cuore si aprì attraverso gli altri sensi. Si innamorò subito dell’opera che stava appesa alla parete opposta. Erano uccelli, che festeggiavano l’ingresso di una persona nella gabbia, ma che la festeggiavano ancor più quando invece del mangime questo gli regalava la libertà al di fuori della voliera. Biglietto verde “condivisione di vedute”.
Non fece neppure in tempo a ringraziare Tonya, per averle chiuso gli occhi, che la loro guida riapparve alle loro spalle. “Tempo scaduto” tagliò corto, con incelata soddisfazione.
“Avete visionato più opere di chiunque altro prima di voi, ma avete dato solo due giudizi positivi. Il risultato per la nostra galleria è comunque eccezionale. Entrambe avete scelto, vi siete lasciate pervadere da ciò che l’opera portava con se. E cosa più importante, obbiettivo di ogni artista, ora non siete più le stesse, non siete più neppure voi stesse”
Tonya sapeva per istinto che il curatore stava cercando di dire loro qualcosa, un messaggio più basilare di quello di un ente orgoglioso del suo operato in campo artistico. “Tu capisci di cosa sta parlando?” le chiese Evin, sconcertata e scocciata come sempre. “Non ne sono sicura…” finse Tonya, sentendolo invece nel profondo, dove la sua orecchia sensibile le dava accesso.
“Abbiamo solo una parola per definire ciò che è appena successo, cioè due giudizi positivi, due approvazioni nella stessa sessione di visita. Un solo temine che ora vi definisce entrambe: gemelle”