[MI187] Replica di un Mondrian
Posted: Mon May 26, 2025 10:33 pm
Traccia 3: la galleria dei quadri silenziosi.
Nota: ho ho ben capito se il titolo deve essere "la galleria dei quadri silenziosi" o se questa è solo la traccia. Nel secondo caso il titolo del racconto è: replica di un Mondrian.
Andrea non sa perché è immerso nei meandri di una mostra di pittura; la sua competenza sull'argomento è prossima allo zero e, anche adesso, crede di trovarsi di fronte a scarabocchi degni di un bambino dell'asilo. D'altra parte, atteggiarsi a interessato e cercare refrigerio dalla calura estiva nel grande salone con aria condizionata è un motivo sufficiente per fingersi critici d'arte.
Lo incuriosisce il leitmotiv della giornata; non si tratta di una mostra qualsiasi, ma di quadri e repliche senza nome verso i quali si possono lasciare commenti di ogni genere. O, almeno, sembra dire questo la scatola di cartone con la fessura in alto - tipo salvadanaio - di fianco un grande "riflessioni" scritto in nero su uno straccio di foglio bianco incollato vicino. Già se lo immagina: quale emozione o pensiero gli ispirano, per esempio, i tagli nelle tele? "Il fatto che, a questo artista, da piccolo, sua madre non gli ha mai detto di stare attento con le forbici."
Non si accorge di lasciarsi sfuggire una mezza risata, raccolta da una ragazza di passaggio, mezzo metro dietro di lui.
«La fa ridere questo quadro?»
Il richiamo ha il peso di un'accusa senza appello e Andrea, per prima cosa, alza gli occhi di fronte a sé per inquadrare l'oggetto della contesa. "Sembra una replica di un Mondrian", conclude tra sé, "quello famoso per colorare a caso gruppi di celle dei fogli di calcolo prima dell'esistenza stessa di tali strumenti informatici". A quel punto continua a ghignare e decide di voltarsi per vedere la fonte di quel rimprovero.
«Un po' sì, a dire il vero,» risponde.
«Se le ha suscitato qualche impressione, puoi scriverla nero su bianco e lasciarla ai curatori della mostra,» l'altra indica la scatola di cartone alla base. «Si tratta di un espediente per suscitare interesse e rendere interattiva la visita.»
«D'accordo,» si china su un angolo in cui c'è un bloc notes aperto con una stilografica e delle pagine pronte da strappare; su questi troneggia un'etichetta con scritto "lascia un'impressione".
«Vediamo,» afferra la penna e assume una grottesca espressione pensosa. «Ecco: "quando vedo qualcosa dello stile di Mondrian penso che mi capita di colorare celle a casaccio sui fogli di calcolo in base a risultati o controlli delle elaborazioni; solo che non finisco in una mostra". Ed ecco perché rido.»
«Sono io a ridere di lei, a questo punto.»
«Lo faccia pure, non è che mi importa.»
Con un vezzo di sufficienza, la ragazza porta dietro al collo una ciocca ribelle; si sgranchisce la voce e si frappone tra lui e il quadro in oggetto. Andrea, intanto, ha preso e piegato in quattro il foglio, per poi infilarlo nello scatolone.
«Io lo so che tipo è lei,» inizia a dirgli. «Se lei vede un paesaggio realista o un ritratto di qualità fotografica pensa di trovarsi di fronte all'arte. Allora le chiedo,» indica il quadro «è più semplice dipingere un suo ritratto, oppure creare questa composizione?»
«Sta scherzando?»
«Dalla sua risposta considero valida la prima opzione. Ma allora ragioniamo per gradi: iniziamo con il dire, prendendo lei a modello, che possiamo creare un suo ritratto che potrà essere più o meno realistico o teso a risaltare qualcosa del suo carattere. Quando si dice "l'artista ha voluto cogliere il carattere deciso di Tizio Caio nel ritrarlo in questa posa", mi segue?»
«Non so nemmeno perché la sto seguendo in questo suo delirio.»
«Bene,» vede l'altro estraniato, «possiamo quindi avere suoi ritratti fedeli, meno fedeli, belli, brutti, tesi a cogliere la sua bellezza esteriore o interiore, oppure il suo lato ironico, deciso, indeciso, ... quello che vuole, insomma.»
«Allora?»
«Allora è questo il punto. Andiamo oltre la domanda e le chiedo: si possono dipingere, rendendoli avulsi da un ritratto o da un soggetto noto, la bellezza, l'ironia, la decisione, o altri concetti simili?»
«Direi proprio di no.»
«E invece sì,» annuisce. «Lei pensa che ci troviamo di fronte a un insieme di celle colorate a caso, ma in realtà l'artista ha voluto rappresentare ciò che per lui è il colore o la forma. Se ti chiedessi, per esempio, se sapessi dipingere o descrivere l'azzurro, tu mi indicheresti il mare o il cielo, ma si tratta solo di due entità che hanno l'azzurro come caratteristica intrinseca, non sono il concetto di azzurro.»
«Guardi, facciamo così,» apre le mani di fronte a lui per chiedere una tregua o interromperla. «Sono entrato perché fuori stavo morendo di caldo e mi aspettavo di vedere qualcosa di sensato. A questo punto torno fuori che il mio falegname, con trentamila lire, i rettangolini colorati li fa meglio.»
«Allora un'ultima cosa,» lo ferma in modo insistente, «lei parlava di elaborazioni.»
«Sì, nella vita controllo i dati e interrogo database.»
«Non siamo poi tanto diversi, io scrivo codice html.»
«Allora proprio per questo le chiedo cosa pretende di vedere in questa roba.»
«È proprio qui che sbaglia. Se un profano vede una sua query cosa può pensare? Sono parole a caso, in inglese, che il mio falegname con trentamila lire le avrebbe scritte meglio e pure in italiano, tanto per prendere spunto dalla sua citazione. Per lei e per chi riesce a cogliere il suo messaggio non sono parole a caso, ma una serie di istruzioni che le permettono di consultare determinati dati. Lei trasmette un messaggio che ogni database interpreta e restituisce a modo proprio in base all'essenza del messaggio stesso.»
«È innamorata del proprio lavoro, a quanto vedo.»
«In realtà no, cerco di organizzare mostre e condividere arte per allontanare la routine opprimente che cerca di imbrigliarmi.»
«Qui sono d'accordo con lei, so già che domani devo controllare i gestionali di due nostri clienti che lamentano risultati sbagliati su determinate elaborazioni.»
«Quindi l'artista non è riuscito a trasmettere il proprio messaggio.»
«Il messaggio lo trasmetterà bene il cliente che farà un reclamo se non riusciremo a risolvere il problema.»
«Che è la stessa cosa che capita a lui,» indica il quadro. «Non puoi immaginare quanta gente vede un'opera del genere e commenta "sembrano celle colorate su un foglio di calcolo". Pensi che l'ultimo stava qui davanti a me a sghignazzare.»
«Lasci stare, ci rinuncio; ha sempre ragione lei.»
«Non è così,» le tende la mano, «smetto di parlare, cerco di aver reso l'idea. Comunque mi chiamo Lorena e sono la curatrice della mostra.»
«Io sono Andrea» le stringe la mano, «e sono entrato qui per sbaglio.»
«Se vuoi metto da parte l'arte - come si sul dire - e possiamo parlare d'altro, magari in compagnia di un caffè.»
«Di come, per esempio, il nostro lavoro ci costringa a evadere con la mente in qualche modo.»
«O di come i clienti siano più spine che rose.»
«O di come la nostra sia un'arte incompresa.»
«Tra mezz'ora chiudiamo. Possiamo vederci un'ora al bar in piazza.»
«Aspetto che chiudi, ho ancora varie opere da denigrare.»
«Fai pure.»
Strana cosa l'arte moderna. A lui, come a tanti, magari non dice niente anche se si sforza di toccare le corde giuste o insiste nel pizzicare quelle sbagliate; altre volte, invece, rimprovera qualcuno o lo costringe a riflettere e guardare oltre.
"Altre volte ancora", pensa Andrea, "ti rimprovera per poi invitarti a prendere un caffè".
Di fronte a sé ha ancora quella tela di difficile interpretazione mentre, a distanza, Lorena si ritrova mentore di una ragazza di fronte a un quadro; la voglia, di certo, non le manca.
Da lontano, sorride nel vederla presa nel proprio ruolo; lei si accorge e contraccambia.
Nota: ho ho ben capito se il titolo deve essere "la galleria dei quadri silenziosi" o se questa è solo la traccia. Nel secondo caso il titolo del racconto è: replica di un Mondrian.
Andrea non sa perché è immerso nei meandri di una mostra di pittura; la sua competenza sull'argomento è prossima allo zero e, anche adesso, crede di trovarsi di fronte a scarabocchi degni di un bambino dell'asilo. D'altra parte, atteggiarsi a interessato e cercare refrigerio dalla calura estiva nel grande salone con aria condizionata è un motivo sufficiente per fingersi critici d'arte.
Lo incuriosisce il leitmotiv della giornata; non si tratta di una mostra qualsiasi, ma di quadri e repliche senza nome verso i quali si possono lasciare commenti di ogni genere. O, almeno, sembra dire questo la scatola di cartone con la fessura in alto - tipo salvadanaio - di fianco un grande "riflessioni" scritto in nero su uno straccio di foglio bianco incollato vicino. Già se lo immagina: quale emozione o pensiero gli ispirano, per esempio, i tagli nelle tele? "Il fatto che, a questo artista, da piccolo, sua madre non gli ha mai detto di stare attento con le forbici."
Non si accorge di lasciarsi sfuggire una mezza risata, raccolta da una ragazza di passaggio, mezzo metro dietro di lui.
«La fa ridere questo quadro?»
Il richiamo ha il peso di un'accusa senza appello e Andrea, per prima cosa, alza gli occhi di fronte a sé per inquadrare l'oggetto della contesa. "Sembra una replica di un Mondrian", conclude tra sé, "quello famoso per colorare a caso gruppi di celle dei fogli di calcolo prima dell'esistenza stessa di tali strumenti informatici". A quel punto continua a ghignare e decide di voltarsi per vedere la fonte di quel rimprovero.
«Un po' sì, a dire il vero,» risponde.
«Se le ha suscitato qualche impressione, puoi scriverla nero su bianco e lasciarla ai curatori della mostra,» l'altra indica la scatola di cartone alla base. «Si tratta di un espediente per suscitare interesse e rendere interattiva la visita.»
«D'accordo,» si china su un angolo in cui c'è un bloc notes aperto con una stilografica e delle pagine pronte da strappare; su questi troneggia un'etichetta con scritto "lascia un'impressione".
«Vediamo,» afferra la penna e assume una grottesca espressione pensosa. «Ecco: "quando vedo qualcosa dello stile di Mondrian penso che mi capita di colorare celle a casaccio sui fogli di calcolo in base a risultati o controlli delle elaborazioni; solo che non finisco in una mostra". Ed ecco perché rido.»
«Sono io a ridere di lei, a questo punto.»
«Lo faccia pure, non è che mi importa.»
Con un vezzo di sufficienza, la ragazza porta dietro al collo una ciocca ribelle; si sgranchisce la voce e si frappone tra lui e il quadro in oggetto. Andrea, intanto, ha preso e piegato in quattro il foglio, per poi infilarlo nello scatolone.
«Io lo so che tipo è lei,» inizia a dirgli. «Se lei vede un paesaggio realista o un ritratto di qualità fotografica pensa di trovarsi di fronte all'arte. Allora le chiedo,» indica il quadro «è più semplice dipingere un suo ritratto, oppure creare questa composizione?»
«Sta scherzando?»
«Dalla sua risposta considero valida la prima opzione. Ma allora ragioniamo per gradi: iniziamo con il dire, prendendo lei a modello, che possiamo creare un suo ritratto che potrà essere più o meno realistico o teso a risaltare qualcosa del suo carattere. Quando si dice "l'artista ha voluto cogliere il carattere deciso di Tizio Caio nel ritrarlo in questa posa", mi segue?»
«Non so nemmeno perché la sto seguendo in questo suo delirio.»
«Bene,» vede l'altro estraniato, «possiamo quindi avere suoi ritratti fedeli, meno fedeli, belli, brutti, tesi a cogliere la sua bellezza esteriore o interiore, oppure il suo lato ironico, deciso, indeciso, ... quello che vuole, insomma.»
«Allora?»
«Allora è questo il punto. Andiamo oltre la domanda e le chiedo: si possono dipingere, rendendoli avulsi da un ritratto o da un soggetto noto, la bellezza, l'ironia, la decisione, o altri concetti simili?»
«Direi proprio di no.»
«E invece sì,» annuisce. «Lei pensa che ci troviamo di fronte a un insieme di celle colorate a caso, ma in realtà l'artista ha voluto rappresentare ciò che per lui è il colore o la forma. Se ti chiedessi, per esempio, se sapessi dipingere o descrivere l'azzurro, tu mi indicheresti il mare o il cielo, ma si tratta solo di due entità che hanno l'azzurro come caratteristica intrinseca, non sono il concetto di azzurro.»
«Guardi, facciamo così,» apre le mani di fronte a lui per chiedere una tregua o interromperla. «Sono entrato perché fuori stavo morendo di caldo e mi aspettavo di vedere qualcosa di sensato. A questo punto torno fuori che il mio falegname, con trentamila lire, i rettangolini colorati li fa meglio.»
«Allora un'ultima cosa,» lo ferma in modo insistente, «lei parlava di elaborazioni.»
«Sì, nella vita controllo i dati e interrogo database.»
«Non siamo poi tanto diversi, io scrivo codice html.»
«Allora proprio per questo le chiedo cosa pretende di vedere in questa roba.»
«È proprio qui che sbaglia. Se un profano vede una sua query cosa può pensare? Sono parole a caso, in inglese, che il mio falegname con trentamila lire le avrebbe scritte meglio e pure in italiano, tanto per prendere spunto dalla sua citazione. Per lei e per chi riesce a cogliere il suo messaggio non sono parole a caso, ma una serie di istruzioni che le permettono di consultare determinati dati. Lei trasmette un messaggio che ogni database interpreta e restituisce a modo proprio in base all'essenza del messaggio stesso.»
«È innamorata del proprio lavoro, a quanto vedo.»
«In realtà no, cerco di organizzare mostre e condividere arte per allontanare la routine opprimente che cerca di imbrigliarmi.»
«Qui sono d'accordo con lei, so già che domani devo controllare i gestionali di due nostri clienti che lamentano risultati sbagliati su determinate elaborazioni.»
«Quindi l'artista non è riuscito a trasmettere il proprio messaggio.»
«Il messaggio lo trasmetterà bene il cliente che farà un reclamo se non riusciremo a risolvere il problema.»
«Che è la stessa cosa che capita a lui,» indica il quadro. «Non puoi immaginare quanta gente vede un'opera del genere e commenta "sembrano celle colorate su un foglio di calcolo". Pensi che l'ultimo stava qui davanti a me a sghignazzare.»
«Lasci stare, ci rinuncio; ha sempre ragione lei.»
«Non è così,» le tende la mano, «smetto di parlare, cerco di aver reso l'idea. Comunque mi chiamo Lorena e sono la curatrice della mostra.»
«Io sono Andrea» le stringe la mano, «e sono entrato qui per sbaglio.»
«Se vuoi metto da parte l'arte - come si sul dire - e possiamo parlare d'altro, magari in compagnia di un caffè.»
«Di come, per esempio, il nostro lavoro ci costringa a evadere con la mente in qualche modo.»
«O di come i clienti siano più spine che rose.»
«O di come la nostra sia un'arte incompresa.»
«Tra mezz'ora chiudiamo. Possiamo vederci un'ora al bar in piazza.»
«Aspetto che chiudi, ho ancora varie opere da denigrare.»
«Fai pure.»
Strana cosa l'arte moderna. A lui, come a tanti, magari non dice niente anche se si sforza di toccare le corde giuste o insiste nel pizzicare quelle sbagliate; altre volte, invece, rimprovera qualcuno o lo costringe a riflettere e guardare oltre.
"Altre volte ancora", pensa Andrea, "ti rimprovera per poi invitarti a prendere un caffè".
Di fronte a sé ha ancora quella tela di difficile interpretazione mentre, a distanza, Lorena si ritrova mentore di una ragazza di fronte a un quadro; la voglia, di certo, non le manca.
Da lontano, sorride nel vederla presa nel proprio ruolo; lei si accorge e contraccambia.