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Sulle colline di Wagenberg nel Brabante, i due eserciti del principe d’Orange e del duca di Fuentes si erano affrontati corpo a corpo, preceduti da cariche di cavalleggeri e tiri di artiglieria da ambo le parti. La battaglia era durata dall’alba al pomeriggio inoltrato. Non si sapeva di chi fosse la vittoria, non è importante. Al termine della battaglia il terreno appariva come un’informe massa di colori di uniformi spiccatamente gialle e blu, movimenti sparsi e rari di uomini e cavalli agonizzanti, colonne di fumo che si alzavano lente.
Juanito si era svegliato con un forte mal di testa e un velo di nebbia davanti agli occhi. In bocca il sapore di sangue dolce gli ricordava quello del maiale che ammazzavano a casa quando era ancora bambino, non molto tempo fa, perché Juanito era stato comprato dall’Armada e suo padre, che pure gli voleva bene, non aveva avuto la forza di rifiutare davanti al denaro degli arruolatori del duca di Fuentes. Ancora troppo piccolo per combattere era diventato tamborilero assieme a una piccola squadra e inserito nel reggimento del duca. Era molto fiero della sua uniforme gialla a strisce rosse, della sua bandoliera, del cappello con piume rosse e del suo tamburo che scandiva la marcia dei soldati. Ma qui a Wagenberg non era stata una parata a festa. Aveva visto Pablo e Gaspar, suoi coetanei più esperti che battevano il tamburo nella prima linea cadere colpiti da schegge di bombarda e fucileria davanti a lui.
-Non girarti! Non guardare! Continua a suonare! Suona! Non guardare!- gli aveva gridato qualcuno alle sue spalle. E lui aveva continuato a battere sul tamburo, a scandire la battaglia mentre sentiva le urla, il fumo della polvere da sparo che gli attanagliava la gola, gli stivali che calpestavano una poltiglia puzzolente che gli rivoltava lo stomaco. Ma andava avanti, suonava, suonava sempre e camminava sopra i morti. Poi all'improvviso il mondo era diventato caldo e luminoso e non aveva sentito più niente.
Adesso era solo, in mezzo a tanto silenzio, circondato da morti, la testa che pulsava. Si voltò e vide che era appoggiato a un cavallo sventrato che stava morendo e ansimava come il mantice di un fabbro. Si spostò a fatica, dolorante, strisciando in un fango nero mischiato di sangue.
Aveva sete, tanta sete. Le labbra erano screpolate.
Rimase immobile, la vista si schiarì un po’ e vide i morti intorno; molti erano soldati del principe d’Orange, con uniformi blu, ma molti erano del duca di Fuentes, gialli come lui. Alcuni li conosceva, su altri preferiva distogliere lo sguardo tanto erano maciullati e fatti a pezzi dai cannoni e dalla fucileria. Poco più avanti vide un ragazzo della sua età, la testa bionda sporca di sangue. Era sdraiato, poggiato a un cadavere; come si accorse del suo sguardo sollevò stancamente una mano in segno di saluto e sulla manica blu ricoperta di bottoni Juanito vide ricamate due vistose stecche di tamburo dorate e incrociate. Era un tamborilero del principe d’Orange, un nemico dunque!
Cosa doveva fare Juanito? Non aveva voglia di fare proprio niente. Era troppo stanco, stava tanto male, ma sollevò con fatica la sua bandoliera e gli mostrò lo stemma reggimentale con incise due stecche di tamburo incrociate. Entrambi i ragazzi sorrisero, poi continuarono a restare immobili. Quel giorno sembrava non finire mai.
Il tempo era scandito da gemiti e parole in diverse lingue, nitriti di cavalli senza cavaliere che si aggiravano lenti e spettrali, evitando di mettere gli zoccoli sui cadaveri; si sa, i cavalli non calpestano i corpi umani a terra, a meno che non siano violentemente incitati a farlo pur provando repulsione. Alcuni uomini urlavano in modo strano, continuo, mai sentito prima. A un certo punto Juanito non fece più caso ai suoni delle lingue, era un unico tono di uomini doloranti, un lamento continuo, cadenzato, rauco. Ma davvero gli uomini soffrivano così dunque? Juanito non lo aveva mai saputo e adesso lo sapeva. Gli scesero lacrime calde che furono un balsamo per le sue labbra riarse. Ma la sete non passava. Vide il tamborilero d’Orange strisciare faticosamente verso di lui. Cosa voleva fare? Forse ucciderlo? E perché, pensava Juanito, lui non gli aveva fatto niente. Ma erano nemici. Meglio tenersi pronti. Ma come difendersi? I tamborileros non avevano armi, solo i loro tamburi.
Il giovane nemico si avvicinò a lui con un sorriso triste di sangue raggrumato. Staccò dalla cintola una borraccia fatta con una zucca, tolse il tappo di sughero e gliela avvicinò alla bocca. Juanito bevve avidamente l’acqua più buona che avesse mai bevuto nella sua breve vita. Avrebbe voluto berla tutta ma distaccò le sue labbra e fece cenno al ragazzo di bere anche lui. Lui lo fece e gli sorrise. Si sdraiarono fianco a fianco. Juanito sentì l’odore forte del suo sangue, l’uniforme ne era impregnata, ma a causa del colore blu non si vedeva subito. Anche Juanito era ferito, alla testa e a un fianco. Il suo sangue formava vistose venature nell’uniforme gialla, confondendosi con i ricami rossi.
Cominciavano a calare le prime ombre della sera. Una piacevole umidità dal forte odore di paglia secca avvolse la collina e Juanito sognava il campo dove aiutava suo padre a mietere il grano. Aveva tanto caldo adesso. Qualcosa di fresco gli bagnava la fronte. A stento si rendeva conto che il tamborilero d’Orange aveva imbevuto una pezza di acqua e gliela aveva messa sulla fronte. Gli sorrise per ringraziarlo.
Poi sentì freddo e cominciò a tremare. Stava scendendo la notte.
-Guardate un po’ qua- disse un soldato del reggimento di Fuentes.
Si avvicinarono altri soldati.
-Ma questo tamborilero è nostro!
-È Juanito, si. Ma che ci fa con la mantellina dei soldati d’Orange?
Qualcuno si chinò sul corpo di Juanito e gli tolse la mantellina con i colori nemici.
-La mantellina è di questo tamborilero d’Orange. Sono morti fianco a fianco.
-Anche di più. Vedi che hanno ognuno la mano stretta in quella dell’altro?
-Cosa vorrà dire?
-Che quando si muore si muore così. Sono morti da cristiani.
-Amen- disse un altro facendosi il segno della croce e andando avanti, seguito dai compagni.
Il soldato che li aveva visti per primo si attardò sui due tamborileros morti. Si chinò e rimise la mantellina sui corpi, facendo in modo che coprisse entrambi i ragazzi.
-È più giusto così. State assieme. Requiescant in pace.