[MI148] Strano

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Il mio commento
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Traccia di Mezzogiorno:  La maledizione delle piccole cose[/font]

Il paese è un’erta stretta e lastricata.
È uno spingersi di case incombenti, talmente pigiate tra loro che basterebbe sfilarne via una per vederle ruzzolare tutte a terra. Loro e i panni perennemente stesi, sempre gli stessi come cinquant’anni fa.
Il paese è la salita umida che percorro, un budello ombroso slavato della pioggia appena cessata, un vicolo che puzza di muffa e di ricordi.
Io so che non dovrei essere qui, vorrei non esserci. Eppure, è bastata una voce ed eccomi, arrancante nei miei sette decenni lungo questi muri zeppi di ricordi. Travolto dai dettagli, dal significato di ogni mattone, di ogni finestra, di ciascun uscio.
Se potessi, procederei con gli occhi chiusi, completamente cieco di pensieri, ma ogni lastra sconnessa è un trabocchetto per le mie instabili gambe e non desidero affatto rotolare giù, come un sacco di patate, o come il vecchio che sono.
Così devo lottare con la follia che mi ha portato via da qui. Quanti, quanti anni mi ci sono voluti per imparare a gestire la mia stranezza?
Già, era così che mi definivano le donne al mio passaggio: lo strano.
 
Salivo questo medesimo vicolo tirato dal passo svelto di mia madre, la domenica per la messa, quando sfidava la vergogna, osando portarmi fuori.
Nei miei passettini infantili, quasi volavo mentre gli occhi cercavano appigli ovunque. La maniglia d’ottone d’una porta, il perché della sua forma, l’alone scolorito da migliaia di prese… ed ero già oltre, a una ciocca di capelli scuri, lucidi, che sfuggiva da un foulard azzurro e al suo perché, alla ragione per cui… gli scalini di pietra davanti alla chiesa, il tarlo nel legno del portone, la mano inchiodata del poveretto sulla croce. Il sangue, la sofferenza sul suo volto.
Poi le panchine scricchiolavano di persone, il vociare cresceva. Visi, mani, vestiti. Troppi, troppe cose da guardare, da capire. Era come se la testa si frantumasse in migliaia di cristalli luminescenti. Tutto, tutto. Dovevo vedere ogni cosa e saettavo gli occhi, giravo la testa a destra, a sinistra e poi ancora di lato e ancora, senza fine.
Non sarei stato in grado di fermarmi, se non fosse stato per mia mamma, che estraeva dalla borsetta un foglio piegato in quattro, lo apriva e me lo passava.
Non ho idea di chi le avesse dato quella pagina di libro, vi erano rappresentate delle scale impossibili che iniziavano dove finivano, senza soluzione di continuità. Mi perdevo in esse per ore ed ore; forse sarebbe stato per sempre se ogni volta mia madre, finita la funzione e con la chiesa già vuota, non me le avesse strappate di mano.
 
Il cuore come lo sgretolarsi d’un sasso, manca il respiro. Mi devo fermare, appoggiandomi con la mano al muro, ed è quello che non vorrei fare. Ho paura e chiudo gli occhi, perché so dove sono. Ho visto lo scalino consumato, la crepa a forma di rosa, ora come cinquant’anni fa.
No. Qualcos’altro. Devo trovare un appiglio, un altro dettaglio. 
Una enorme, mostruosa cicala mi stordiva, ferma sull’ulivo, il sole mordeva le spalle. Ero lì per l’una o per l’altro? O per l’increspatura del tronco? Indeciso mi domandavo a cosa fosse importante dare la mia attenzione, quando: «Tu sei quello Strano?»
Voce di bambina. Sconosciuta, carezzevole. Occhi neri enormi da non scordare mai. E viso ovale, dolci labbra sorridenti. Cosa strana le labbra di un essere umano, che cambiano forma, ma tornano sempre uguali a prima. Come il mare. Come l’erba piegata dal vento. Come…
«Non ti agitare, sono Anna. Mio papà è il nuovo medico del paese. Sono giorni che ti spio. Perché fai quello che fai?» la sua manina calda mi prese il mento e lo volse a sé.
La forma delle sue scapole ossute era come la linea dolce delle colline, il collo la corda dei panni tra due finestre socchiuse e gemiti incomprensibili.
«Che dici, diventiamo amici?», sorrise radiosa.
Cercai nuovamente la cicala, ma non c’era più. Non avevo sentito che smetteva il suo richiamo e mi spaventai al pensiero di quanto mondo avevo perso per colpa della mia «Amica?» le domandai.
E lei sorridendo mi tirò per un braccio per andare a giocare.
 
Sono scivolato seduto per terra, sempre con gli occhi chiusi, maledicendo d’essere lì. 
Sento il vibrare di chi si muove dentro la casa al di là del muro e il loro parlare pacato m’attrae. Altri dettagli incombono, cercano strada nella mia spossatezza, ma più di tutti una voce di donna che mi chiama, la notte prima. L’assenza di mia moglie, solo una foto uguale a quella scelta per la lapide al finire della sua malattia e, Anna vorrebbe vederti, dice la voce.
Annuisco e dopo tanti anni trascorsi senza averlo nemmeno pensato, monto sul primo treno per tornare al luogo da cui fui rinchiuso. Proprio dove mi trovo ora, accanto alla crepa a forma di rosa.
Io e lei eravamo diventati amici. Di nascosto da genitori e adulti, timorosi del male che uno strano come me poteva procurare a una ragazza. Ogni notte d’estate dosavo la pressione delle dita per uscire di soppiatto dalla finestra. Salivo rapido l’erta pensando, concentrandomi, su dettagli di Anna, per non farmi catturare la mente dalle civette, dall’ondeggiare d’una camicia dimenticata appesa. Dalla luna verticale e dalla sua ombra, che non avrebbe dovuto esistere. Tutte le notti ci trovavamo in segreto alla rosa, e poi a zonzo per chiacchierare nel fresco dei prati, ma non quell’ultima notte.
Dettagli, in testa dettagli per non vedere il tutto. Un seno bianco, scoperto. Scuro capezzolo e sangue dalla bocca, e sotto i capelli. Scuro colore rubino, le mie mani che tremano. Vedo i pantaloncini intorno alla caviglia. La chiamo, prendo il suo volto tra le mani «Anna» grido «Anna». Ma non risponde. Le sue mutandine strappate proprio sopra la forma di rosa. Dettagli. Il pelo riccio sul suo pube. Morbido, sembra morbido. Posso toccarlo, Anna? Solo sfiorare quel particolare di te. L’ombra della luna sul suo ventre all’abbassarsi della mia mano.
E uno strillo. Un colpo alla testa e nero.
 
Piango mentre mi rialzo, ma ugualmente riesco a leggere l’ora.
Non penso all’acqua piovana tra le fessure del lastricato. Nemmeno alle pasticche, alle cure, all’abbandono nella clinica di detenzione minorile. Non penso alla vita passata, ma solo ad affrettarmi, perché manca poco e le nubi si sono aperte per me, per noi. Perché nel tramonto abbiamo un appuntamento speciale.
Mancano pochi metri alla curva che cela il miracolo. Il cuore sembra impazzito quando raggiungo l’angolo che cela l’ultimo tratto, svolto, e il dettaglio impresso a fuoco nella mia mente è davvero lì, ora come mezzo secolo prima. Un obliquo fascio di tramonto che trova spazio tra due case, che in queste sere d’estate sembrano scansarsi un poco per lasciarlo passare. 
Sedici anni, sto salendo ondeggiante sul lastricato e quell’inatteso chiarore mi sorprende. Polvere galleggiante nel suo aranciato splendore. Il nido d’una rondine come una conchiglia del cielo e il raggio che scivola fino alla finestra di Anna. I suoi occhi languidamente chiusi, affacciata a godersi quella luminosa carezza.
La sua maglietta leggera che sagoma le forme mature. Il naso dolce e le mie nocchie che le sfiorano la guancia. Vellutato calore. Il suo stupefacente sorriso e un bacio che promette amore eterno.
 
Ancora lacrime e ricordi.
Io di nuovo libero, curato dicevano, e Anna che è lì ad aspettarmi. Il suo scusarsi timido, perché non le avevano creduto quando giurava che non ero stato io. E perfino più umilmente il suo chiedermi se la volevo ancora. Se ancora ci amavamo come in quell’estate.
 «Nonno!» chiama Elisa salendo affannata verso di me «Ti abbiamo trovato, per fortuna. Se alla mamma non fosse venuto in mente che cinquant’anni fa…»
«Tua nonna» risponde la mia voce rugginosa «Voleva salutarmi un’ultima volta, mi ha chiesto lei di venire qui»
«E cosa doveva dirti, nonna Anna, di così importante?»
La osservo.
Dettagli. I suoi occhi come quelli di Anna. Sedici anni come al nostro primo bacio. Il viso ovale e un sorriso che sa di futuro.
«Mi ha ricordato che una vita è nei dettagli. Di non dimenticarlo e viverli tutti, uno per uno»
 

Re: [MI148] Strano

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L ha scritto: [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Il paese è un’erta stretta e lastricata.[/font]
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]È uno spingersi di case incombenti, talmente pigiate tra loro che basterebbe sfilarne via una per vederle ruzzolare tutte a terra. Loro e i panni perennemente stesi, sempre gli stessi come cinquant’anni [/font]fa
ok, @L'illusoillusore , non ti conosco e non ti ho mai letto ma mi bastano tre righe per dirti che già hai conquistato la mia attenzione.
L ha scritto: [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Il paese è la salita umida che percorro, un budello ombroso slavato della pioggia appena cessata, un vicolo che puzza di muffa e di ricordi.[/font]
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Io so che non dovrei essere qui, vorrei non esserci. Eppure, è bastata una voce ed eccomi, arrancante nei miei sette decenni lungo questi muri zeppi di [/font]ricordi
Attento qui, eviterei la ripetizione
L ha scritto: Il mio commento
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Traccia di Mezzogiorno:  La maledizione delle piccole cose[/font]

Il paese è un’erta stretta e lastricata.
È uno spingersi di case incombenti, talmente pigiate tra loro che basterebbe sfilarne via una per vederle ruzzolare tutte a terra. Loro e i panni perennemente stesi, sempre gli stessi come cinquant’anni fa.
Il paese è la salita umida che percorro, un budello ombroso slavato della pioggia appena cessata, un vicolo che puzza di muffa e di ricordi.
Io so che non dovrei essere qui, vorrei non esserci. Eppure, è bastata una voce ed eccomi, arrancante nei miei sette decenni lungo questi muri zeppi di ricordi. Travolto dai dettagli, dal significato di ogni mattone, di ogni finestra, di ciascun uscio.
Se potessi, procederei con gli occhi chiusi, completamente cieco di pensieri, ma ogni lastra sconnessa è un trabocchetto per le mie instabili gambe e non desidero affatto rotolare giù, come un sacco di patate, o come il vecchio che sono.
Così devo lottare con la follia che mi ha portato via da qui. Quanti, quanti anni mi ci sono voluti per imparare a gestire la mia stranezza?
Già, era così che mi definivano le donne al mio passaggio: lo strano.
 
Salivo questo medesimo vicolo tirato dal passo svelto di mia madre, la domenica per la messa, quando sfidava la vergogna, osando portarmi fuori.
Nei miei passettini infantili, quasi volavo mentre gli occhi cercavano appigli ovunque. La maniglia d’ottone d’una porta, il perché della sua forma, l’alone scolorito da migliaia di prese… ed ero già oltre, a una ciocca di capelli scuri, lucidi, che sfuggiva da un foulard azzurro e al suo perché, alla ragione per cui… gli scalini di pietra davanti alla chiesa, il tarlo nel legno del portone, la mano inchiodata del poveretto sulla croce. Il sangue, la sofferenza sul suo volto.
Poi le panchine scricchiolavano di persone, il vociare cresceva. Visi, mani, vestiti. Troppi, troppe cose da guardare, da capire. Era come se la testa si frantumasse in migliaia di cristalli luminescenti. Tutto, tutto. Dovevo vedere ogni cosa e saettavo gli occhi, giravo la testa a destra, a sinistra e poi ancora di lato e ancora, senza fine.
Non sarei stato in grado di fermarmi, se non fosse stato per mia mamma, che estraeva dalla borsetta un foglio piegato in quattro, lo apriva e me lo passava.
Non ho idea di chi le avesse dato quella pagina di libro, vi erano rappresentate delle scale impossibili che iniziavano dove finivano, senza soluzione di continuità. Mi perdevo in esse per ore ed ore; forse sarebbe stato per sempre se ogni volta mia madre, finita la funzione e con la chiesa già vuota, non me le avesse strappate di mano.
Escher?
Occhei, si vede subito che sei bravo. Non gigioneggiare troppo su questa cosa però (ovvero nel compiacerti nella scrittura). Vado avanti.
L ha scritto: [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Proprio dove mi trovo ora, accanto alla crepa a forma di [/font]rosa
Questa frase mi dà la stura per spiegare meglio il commento che precede: si nota subito l'ottima padronanza della scrittura, ma se la calchi troppo, se indugi e ti compiaci un po' troppo nelle ripetizioni, ad esempio, rischi di diventare retorico. Qui, sinceramente, un po' lo risulti

Beh, caspita! Su questo racconto ci tornerò a un'ora meno tarda. è evidente che c'è tanta sostanza e tanta bravura, complimenti. Non so se l'impressione un po' barocca e retorica che mi ha dato a tratti è frutto del fatto che ti commento alle due di notte passate o se forse è una tendenza che si può limitare, soprattutto voglio rileggere per comprendere se sia funzionale o meno al testo... però, cazzarola, si capisce anche a quest'ora che come new entry sei più che interessante. Aspé che torno, eh. Buonanotte
Scrittore maledetto due volte

Re: [MI148] Strano

5
@Edu  Sono felice che ti sia piaciuto, grazie davvero.
Edu ha scritto: Attento qui, eviterei la ripetizione
Hai ragione, mi è proprio sfuggito!
Edu ha scritto: Escher?
Escher!
Edu ha scritto: Questa frase mi dà la stura per spiegare meglio il commento che precede: si nota subito l'ottima padronanza della scrittura, ma se la calchi troppo, se indugi e ti compiaci un po' troppo nelle ripetizioni, ad esempio, rischi di diventare retorico. Qui, sinceramente, un po' lo risulti
Spero di non aver esagerato, ma ho provato a usare le ripetizioni per rappresentare con più forza la mente maniacale dell'io narrante. Pensavo che fosse funzionale anche se mi rendo conto che la linea d'equilibrio è molto sottile!!
Edu ha scritto: Aspé che torno, eh
Ci conto, eh!

Grazie ancora per complimenti e spunti!

Re: [MI148] Strano

7
Due sole note:
Passettini infantili ---> mi sembra un eccesso, meglio passettini da solo o passetti infantili

Nocchie ----> penultimo blocco, una piccolezza davvero (non penso tu intendessi le nocciole)


Bellissimo racconto, intimo e intenso... ti fa dimenticare il contest. Belle idee, belle immagini, cinque sensi a iosa, per me puoi pure gigioneggiare, esagera... ti prego. :super: <3
"Fare o non fare, non c'è provare." Yoda - Star Wars

Re: [MI148] Strano

8
ciao @L'illusoillusore ero sicura di aver lasciato un commento. 
Ci riprovo.
Nel complesso l'ho trovato un bel testo, che rispetta la traccia di mezzogiorno presentando il tema del "diverso escluso dai pregiudizi della piccola comunità" del quale illustri il disturbo senza dargli un nome, senza psicanalizzarlo e facendolo rimanere umano.
Mi sono piaciute molte le immagini che illustri, del Cristo e delle scale di Escher. 
L'unica cosa che non mi è chiara a livello del contenuto è: Lui viene incriminato della violenza subita da Anna?
Perché all'inizio credevo che fosse stata uccisa e lui fosse stato incriminato dell'omicidio, ma poi lui fa sapere che Anna ha segnalato più volte che non era stato lui. Quindi è viva.
Questo punto non mi è chiaro.
L ha scritto: È uno spingersi di case incombenti, talmente pigiate tra loro che basterebbe sfilarne via una per vederle ruzzolare tutte a terra. Loro e i panni perennemente stesi, sempre gli stessi come cinquant’anni fa.  
A livello formale ho solo due annotazioni da fare: la prima è che penso che visto che si sta parlando di case forse sarebbe meglio iniziare il periodo con "queste", al posto di "loro".
L ha scritto: la sua manina calda
Meglio "piccola mano" perché per Anna, anche se bambina, la mano è completamente formata. è un adulto a vederla come manina.

è un buon testo, che presenta una storia che collega la linea temporale del passato e del futuro attraverso la nipote, del quale ho apprezzato moltissimo le immagini che permetti di vedere attraverso gli occhi del protagonista.

Re: [MI148] Strano

9
@Kora  Innanzitutto grazie per aver messo un commento, sono contento che il racconto nel complesso ti sia piaciuto.
Kore ha scritto: L'unica cosa che non mi è chiara a livello del contenuto è: Lui viene incriminato della violenza subita da Anna?
Perché all'inizio credevo che fosse stata uccisa e lui fosse stato incriminato dell'omicidio, ma poi lui fa sapere che Anna ha segnalato più volte che non era stato lui. Quindi è viva.
Sì, è viva e ammetto di aver giocato un po’ a ingannare il lettore. In una prima versione quando lui la chiamava avevo messo esplicitamente che era svenuta, ma non mi piaceva perché è troppo esplicito ho preferito tralasciare lasciando al finale tutte le spiegazioni. Sapevo che poteva generare confusione ma ho pensato che valesse la pena per avere un piccolo piccolissimo colpo di scena.
Kore ha scritto: A livello formale ho solo due annotazioni da fare: la prima è che penso che visto che si sta parlando di case forse sarebbe meglio iniziare il periodo con "queste", al posto di "loro".
Sì, anche qui hai ragione, dal punto di vista formale sarebbe stato meglio queste al posto di loro e all’inizio era scritto così. Però nelle prime tre righe ho cercato di attivare subito una sorta di empatia con i luoghi e i dettagli ed ho pensato che utilizzando loro, quindi un’accezione vivente, si accelerasse il processo di immedesimazione. Insomma, ho sperato che i vantaggi contano più dell’errore…
Kore ha scritto: Meglio "piccola mano" perché per Anna, anche se bambina, la mano è completamente formata. è un adulto a vederla come manina.
Hai ragione!
Kore ha scritto: vedere attraverso gli occhi del protagonista.
Grazie, è una cosa che mi fa molto piacere perché generalmente riconosciuta da tutti quelli che leggono i miei lavori.
Grazie ancora per la voglia di fare un commento e a presto!!!

Re: [MI148] Strano

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@ElmoInverso
Grazie per il tuo commento e lusingato che il racconto ti sia piaciuto.
ElmoInverso ha scritto: Passettini infantili ---> mi sembra un eccesso, meglio passettini da solo o passetti infantili

Nocchie ----> penultimo blocco, una piccolezza davvero (non penso tu intendessi le nocciole)
Che dire? Hai ragione su entrambe le cose il passettini infantili mi è proprio sfuggito, e ancor peggio nocchie al posto di nocche! Che vergogna!

Re: [MI148] Strano

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Allora, confermo le impressioni notturne. Mi gioco la spada laser che non sei uno che ha iniziato a cimentarsi adesso @L'illusoillusore , perché, come ti è stato già detto, la tua è una scrittura matura, e si vede che hai una grande padronanza. Confermo anche l'impressione che se sfrondassi giusto un pochino, con qualche giggioneggiamento in meno, il testo, che già di per sè è magnifico, potrebbe migliorare ulteriormente. 
Confesso che anche a me non è ben chiara la dinamica: perché lui va in riformatorio? Si capisce che non è stato lui ad aggredire Anna, altrimenti non sarebbe diventata sua moglie. Ma a un certo punto dai davvero intendere che sia morta, e che lui un po' strano, in effetti, sia... beh, c'è differenza tra lasciar intuire e depistare, quel punto lo chiarirei.
Per il resto un esordio davvero notevole (ma ripeto, magari è un esordio qui, ma mi sono giocato la spada laser che non sia un esordio in assoluto), con descrizioni da professionista (non mi stupirei se venisse fuori che qualche pubblicazione l'hai fatta).
A rileggerti con molto interesse 
Scrittore maledetto due volte

Re: [MI148] Strano

12
Racconto gradevolissimo, scritto con maestria. Le descrizioni sono più che azzeccate e le atmosfere rese a meraviglia.
L'unico piccolo appunto che ti faccio, a mio personalissimo gusto, alle volte si confonde lo Strano vecchio con lo Strano giovane e non si capisce al primo colpo chi fa cosa.
È vero che il racconto sembra pervaso da una certa atmosfera onirica di vecchio immerso nei ricordi, però io ho faticato a capire se Anna bambina la figlia del medico si rivolgesse al vecchio ( e come faceva a sapere che lo chiamavano Strano) oppure se era solo un ricordo a margine del gradino della rosa oppure, come poi effettivamente è, si tratta di un flashback della vita di questo vecchio.
In ogni caso complimenti, bello davvero!

Re: [MI148] Strano

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Ciao, @L'illusoillusore 
L ha scritto: Non avevo sentito che smetteva il suo richiamo e mi spaventai al pensiero di quanto mondo avevo perso per colpa della mia «Amica?» le domandai.
Non so se sia corretto, o trattasi di una tua licenza, però a me non piace come hai gestito la parte finale della frase, mi riferisco al discorso diretto, la domanda, all'interno dell'indiretto
L ha scritto: L’assenza di mia moglie, solo una foto uguale a quella scelta per la lapide al finire della sua malattia e, Anna vorrebbe vederti, dice la voce.
anche qui, stesso discorso. Anna vorrebbe vederti sembra un inciso tra le due virgole e la frase, anche se ovviamente è comprensibile, sembra senza senso
L ha scritto: «Tua nonna» risponde la mia voce rugginosa «Voleva salutarmi un’ultima volta, mi ha chiesto lei di venire qui»
credo manchi una virgola dopo rugginosa, e credo che Voleva vada minuscolo perché non è l'apertura del discorso diretto ma il seguito di Tua nonna.

Ho trovato bello il tuo racconto, anche se a volte, parere mio, tendi un po' ad appesantire la scrittura che andrebbe snellita dai troppi aggettivi, dai gerundi e poco altro. Ho letto che era tua intenzione che hai lasciato credere il lettore che Anna fosse morta, l'ho pensato anch'io all'inizio, per ottenere una sorta di colpo di scena. Secondo me il racconto è già molto valido di suo e potresti ovviare a all'ambiguità che crea rendendo tutto più chiaro sin da subito.
Ti saluto e a rileggerti.
Barone sbracato che non chiede dazio né gabella.

Re: [MI148] Strano

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Edu ha scritto: Allora, confermo le impressioni notturne. Mi gioco la spada laser che non sei uno che ha iniziato a cimentarsi adesso @L'illusoillusore , perché, come ti è stato già detto, la tua è una scrittura matura, e si vede che hai una grande padronanza. Confermo anche l'impressione che se sfrondassi giusto un pochino, con qualche giggioneggiamento in meno, il testo, che già di per sè è magnifico, potrebbe migliorare ulteriormente. 
Confesso che anche a me non è ben chiara la dinamica: perché lui va in riformatorio? Si capisce che non è stato lui ad aggredire Anna, altrimenti non sarebbe diventata sua moglie. Ma a un certo punto dai davvero intendere che sia morta, e che lui un po' strano, in effetti, sia... beh, c'è differenza tra lasciar intuire e depistare, quel punto lo chiarirei.
Per il resto un esordio davvero notevole (ma ripeto, magari è un esordio qui, ma mi sono giocato la spada laser che non sia un esordio in assoluto), con descrizioni da professionista (non mi stupirei se venisse fuori che qualche pubblicazione l'hai fatta).
A rileggerti con molto interesse 
@Edu grazie per essere tornato, come promesso. Prendo carico dei suggerimenti e, la prox volta, niente giggionamenti (forse  :sorrisoidiota: )

Re: [MI148] Strano

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Almissima ha scritto: Racconto gradevolissimo, scritto con maestria. Le descrizioni sono più che azzeccate e le atmosfere rese a meraviglia.
L'unico piccolo appunto che ti faccio, a mio personalissimo gusto, alle volte si confonde lo Strano vecchio con lo Strano giovane e non si capisce al primo colpo chi fa cosa.
È vero che il racconto sembra pervaso da una certa atmosfera onirica di vecchio immerso nei ricordi, però io ho faticato a capire se Anna bambina la figlia del medico si rivolgesse al vecchio ( e come faceva a sapere che lo chiamavano Strano) oppure se era solo un ricordo a margine del gradino della rosa oppure, come poi effettivamente è, si tratta di un flashback della vita di questo vecchio.
In ogni caso complimenti, bello davvero!
@Almissima grazie per i complimenti e soprattutto per i suggerimenti! Son qui per imparare e ogni cosa mi serve!

Re: [MI148] Strano

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Plata ha scritto: Ciao, @L'illusoillusore  Non so se sia corretto, o trattasi di una tua licenza, però a me non piace come hai gestito la parte finale della frase, mi riferisco al discorso diretto, la domanda, all'interno dell'indiretto anche qui, stesso discorso. Anna vorrebbe vederti sembra un inciso tra le due virgole e la frase, anche se ovviamente è comprensibile, sembra senza senso credo manchi una virgola dopo rugginosa, e credo che Voleva vada minuscolo perché non è l'apertura del discorso diretto ma il seguito di Tua nonna.

Ho trovato bello il tuo racconto, anche se a volte, parere mio, tendi un po' ad appesantire la scrittura che andrebbe snellita dai troppi aggettivi, dai gerundi e poco altro. Ho letto che era tua intenzione che hai lasciato credere il lettore che Anna fosse morta, l'ho pensato anch'io all'inizio, per ottenere una sorta di colpo di scena. Secondo me il racconto è già molto valido di suo e potresti ovviare a all'ambiguità che crea rendendo tutto più chiaro sin da subito.
Ti saluto e a rileggerti.
@Plata Contento che questo mio primo MI ti sia sembrato bello (a parte che devo meglio gestire i discorsi diretti: ho postato quasi allo scadere e la fretta mi ha fatto mancare nell'editing)
Grazie !

Re: [MI148] Strano

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@L'illusoillusore 
Complimenti per la scrittura. Niente da dire, ripeterei quanto già espresso dagli altri, sei davvero bravo. 
Riguardo al racconto, concordo nell'appuntarti un paio di cose. A volte manca la chiarezza, ci sono frasi che confondono. Io, ad esempio, non sono riuscito a capire prima della fine se Anna era la moglie o una vecchia amica/fiamma. L'altro difettuccio è che ogni tanto ti innamori della tua scrittura e perdi in scorrevolezza.

Re: [MI148] Strano

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Niente male, piaciuto parecchio. Molto toccante sul finale, quasi struggente - e con me ha fatto centro.
L ha scritto: Non sarei stato in grado di fermarmi, se non fosse stato per mia mamma, che estraeva dalla borsetta un foglio piegato in quattro, lo apriva e me lo passava.
Non ho idea di chi le avesse dato quella pagina di libro, vi erano rappresentate delle scale impossibili che iniziavano dove finivano, senza soluzione di continuità. Mi perdevo in esse per ore ed ore; forse sarebbe stato per sempre se ogni volta mia madre, finita la funzione e con la chiesa già vuota, non me le avesse strappate di mano.
Bellissimo questo passaggio. Non per quello che racconta, anzi lo trovo terrificante; ma bellissimo perché con un dettaglio così piccolo racconti un mondo, racconti come la madre non sappia gestire la condizione di proprio figlio e come anzi abbia con tutta probabilità contribuito a causargli non pochi traumi... Pesantissimo, e tutto in quattro righe. Chapeau 

Re: [MI148] Strano

22
Ciao @L'illusoillusore 
Vedo che sei nuovo, perciò benvenuto.
Hai elaborato bene i particolari della mia traccia; ci ho visto quello che mi aspettavo, questa maledizione delle piccole cose io la conosco, può essere un bene e un male, sia nella vita reale che nella trasposizione letteraria. Spesso ne ho scritto.
Ho apprezzato il tuo incipit, rimembranze siloniane che mi hanno ricordato qualcosa de Il segreto di Luca, ma qui lelaborazione è differente, stante anche i pochi caratteri a disposizione, per cui occorreva condensare in poco spazio una vita. Cosa che ritengo tu sia riuscito a fare ottimamente. Mi è piaciuto quel bambino strano che descrivi, forse non proprio strano ma sensibile, più sensibile dei suoi simili, quello si. E questo porta ardore di conoscenza e di seguito anche sofferenza.
Voglia di conoscere il mondo immergendosi nei suoi particolari, quelli che gli altri non vedono, non sanno, non ne vogliono sapere, irridono. Bella limmagine del bambino in chiesa, ciò che vede, come lo vede. Da quelle sole descrizioni ci si potrebbe dilungare per ognuna in rappresentazioni allinfinito; già da quelle, inoltrandosi, si potrebbe descrivere la vita, sia del protagonista che di quelli che gli sono intorno Sarebbe un discorso troppo lungo, per me affascinante ma non so quanto interessante od opportuno, diciamo.
Chiaramente, come a tutti i bambini, i ragazzi strani qualcosa di spiacevole doveva accadere al protagonista ed è accaduto.
La cosa si è risolta nel migliore dei modi, era innocente dellinfamia che gli era stata attribuita ed era la stessa Anna a dirlo, pur non creduta, ma lei credeva e si fidava di lui, questo è limportante.
Bello anche il finale, nonostante la vena di tristezza nel constatare che Anna, dopo essere diventata moglie del protagonista e aver vissuto con lui una vita sia poi morta prima di lui. Bella limmagine della nipote Elisa che lo va a cercare, ricordando i particolari che gli ha indicato la madre, la figlia di Anna. Bello il pensiero finale del protagonista, che conosciamo solo come strano che giunge alla constatazione, ma secondo me lo ha sempre saputo, che la vita è fatta di infiniti dettagli, particolari, sfumature, pensieri e analisi del tutto. Sembrerebbe la visione di un folle, ma cè modo e modo. Compenetrando nel tutto non si è schiavi ma liberi, davvero liberi di vivere e respirare la vita, in attesa del passaggio a unaltra dimensione dove, allora si, i particolari saranno infiniti, sublimi, si uniranno e ci si unirà nel tutto per sempre, in ogni molecola delluniverso. Forse in Dio. Scusa il commento un po oltre le righe. È tipico di me. Sono anche io strano
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI148] Strano

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Ciao @L'illusoillusore, piacere di leggerti!
Racconto densissimo, ricco di virtuosismi barocchi. 

L ha scritto: un budello ombroso slavato della pioggia
Dalla pioggia?

L ha scritto: ed ero già oltre, a una ciocca di capelli scuri, lucidi, che sfuggiva da un foulard azzurro e al suo perché, alla ragione per cui…
Questa sospensione mi sembra un po’ troppo retorica.


Nel racconto si riconoscono molto controllo e capacità, cercherei solo di sfrondarlo leggermente: troppi fuochi d’artificio rischiano di distogliere l’attenzione dai dettagli preziosi del testo. 

Nel complesso, ottima prova, alla prossima! :D 
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