Commento
«Marco, ne sei sicuro?»
«Fammi analizzare la domanda…»
«No, basta analisi. Allora parlo io. Mettiamo a punto la situazione: da domani sarai disoccupato, anzi, lo sarai tra un paio d’ore, quando scopriranno ciò che vuoi fare» Ingrid inspirò con le sue grandi narici, ad occhi chiusi, poi espirò con violenza, guardando Marco che se ne stava accovacciato sulla riva del lago intento a osservare dei sassi.
Era una nitida mattina di dicembre, l’acqua era uno specchio del cielo in cui nuotavano i gabbiani, cinguettavano anche gli uccellini, ma sembrava non importargliene niente a nessuno. Quei sassolini sulla riva, Marco li rimirava con devota attenzione. Ne aveva già contanti la maggior parte, un miliardo e settecentoquarantadue, circa il cinquanta percento antracite, tremila di verde nebbia, settecento color periscopio, gli altri li stava catalogando. Però ce n’era uno, e uno solo, -fino a quel momento, s’intende-, di un color kalamata. Catturava la sua attenzione, quel colore, eppure la definizione di “bello” era troppo relativa, imprecisa, per poter essere usata.
«Marco, tu hai un cervello notevole» Ingrid si sistemò lo scialle, iniziava a sentire freschetto
«ti ricordi che le insegnanti dicevano che saresti stato un ottimo ingegnere, un medico, un astronauta, o un prestatore. Ed è quello che sei diventato alla fine, un prestatore. Per fortuna è un lavoro per il quale non serve la laurea, mi hai fatto anche risparmiare sulle tasse universitarie»
«Prestatore è parola ambigua» sussurò Marco, lanciò il sassolino kalamata, che slittò, per due volte prima di essere inghiottito dall’acqua del lago.
«Non ambigua, ma nuova: è una parola nuova»
«Deriva dal latino, mamma...praestator. Un tempo, voleva significare anche usuraio»
«Non interrompermi come tuo solito. Quelli come te, così meticolosi, così attenti, servono. Quelli del prestatore è un lavoro importantissimo di questi tempi. Lo vedi come si sono ridotti gli incidenti stradali, da quando ci siete voi a guidare le auto degli altri?»
Marco guardò sua madre, aveva i capelli bianchi, e grigi, diciassette rughe sul viso, una spuntata il mese precedente, accanto all’occhio sinistro. E chissà quando sarebbero spuntate a lui le prime rughe, per il momento aveva venticinque anni, aveva letto che le prime rughe compaiono proprio intorno alla sua età. Si potevano prevenire in molti modi, soprattutto con la vitamina c contenuta negli agrumi. Chissà se c’erano alberi di agrumi nelle vicinanze. Sicuramente, sì.
Sua madre l’aveva portato sul lago dove passavano le vacanze da bambini. Lo aveva bendato durante tutto il tragitto in auto, diceva di non voler ripetere l’esperienza di qualche mese prima, quando lui aveva voluto fermarsi a ogni cartello stradale, a ogni albero, a ogni palo della luce, a ogni maledettissima stazione. E a lei serviva arrivare al punto, e parlarne in tranquillità. A convincerlo a desistere.
«Alle aziende fanno comodo, quelli come te, sei stato assunto proprio per quello: per prestare la tua attenzione. Sei pagato profumatamente per andare nei meeting e prestare attenzione, hai guadagnato cinquemila euro lo scorso mese perché dovevi aiutare un pittore a prestare attenzione ad alcuni dettagli del suo dipinto, sei pagato profumatamente. Profumatamente tesoro. Certo...» e qui Ingrid si schiarì la voce «lo so che spesso la compagnia per cui lavori ti, diciamo, aiuta con alcune pilloline»
Le “pilloline” erano metilfenidato. Un tempo venivano usate per curare il disturbo dell’attenzione nei bambini distratti. Poi, si è scoperto il loro effetto migliorativo sul cervello degli studenti, che dopo aver assunto metilfenidato potevano tuffarsi in sessioni di studio di venti ore consecutive, senza dormire. L’idea di somministrare la medicina anche agli impiegati era venuta in mente a un manager, irritato dalla soglia di attenzione bassa per il lavoro e alta per i social network che mostravano i suoi sottoposti.
Purtroppo, drogare i propri dipendenti è illegale, per questo le compagnie avevano iniziato ad assumere i “prestatori”, ragazzi giovani, intelligenti, meticolosi, ordinati, bisognosi di lavoro e disposti a prendere il metilfenidato. A questi ragazzi veniva chiesto sola una cosa: prestare attenzione, in un mondo in cui nessun altro riusciva più a farlo correttamente.
Marco, venticinque anni, era tra quelli. Prendeva il metilfenidato ogni giorno, una alle otto di mattina e la seconda alle otto di sera, e lo faceva ormai da circa tre anni.
Ma Marco poteva dirlo, di quelle pillole: erano una fonte inesauribile di bellezza. Vedeva la grana delle foglie, le diverse sfumature del cielo, vedeva la variazione della pupilla negli occhi del suo interlocutore. Non c’era niente di caotico, nulla che non potesse essere spiegato. A volte passava ore intere a studiare la forma delle nuvole, altre volte a catalogare la sua playlist di itunes in ordine di uscita della canzone. Quei tre anni da prestatore erano stati pervasi da un’assoluta chiarezza, da un’incredibile precisione. Non c’era relatività in quella bellezza.
«E ora quelle pillole non voglio più prenderle, mamma, anzi: ho già smesso questa mattina»
Marco la guardò, e Ingrid ebbe un sussulto. Deglutì.
«Ma Marco, pensa a quanti soldi potresti metterti da parte. Sei ancora in tempo per prendere la seconda dose della giornata»
«Pensi solo ai soldi, mamma, pensi solo alle cose materiali. Quando morirai, dirò di te questo: che hai posseduto tante cose» sorrise «e che, certamente, me e te abbiamo prestato attenzione alle cose sbagliate»
Marco si avvicinò lentamente, mentre Ingrid indietreggiava, spaventata. Le rughe le si increspavano a V sulla fronte, il naso negli ultimi anni le si era allungato sensibilmente. Anche Marco aveva lo stesso naso di sua madre. Ogni tanto passava giorni a rimirarselo allo specchio, come faceva quel certo Vitangelo Moscarda del Pirandello. Quanto gli era piaciuto quel libro, da bambino, e quanto gli piaceva adesso. Lo rileggeva ogni due giorni.
«Un effetto collaterale delle pillole è l’ansia e l’incapacità di gestire le emozioni, figlio mio. Smetti per due mesi, poi riprendi, ora sei annebbiato, sarà stato l’incidente»
Marco aveva investito una persona, pochi giorni prima. Aveva visto una ragazza attraversare la strada. Era bionda e indossava un abito azzurro. Era molto perfetta. Non gli veniva in mente altro termine: molto perfetta.
Ora Marco si avvicinava lentamente a sua madre.
«Quando sono sotto effetto delle pillole, il mondo lo vedo in ogni sua sfaccettatura. Quel tutto lì, tutto quel tutto di fronte a me, i sassi, il lago, i gabbiani che vengono da chissà dove, forse da est, gli alberi, tutto quel tutto...è troppo per me. Come si può accettarlo incondizionatamente?»
L’aveva investita di proposito, quella ragazza.
«Sarà stato l’incidente» mormorò Ingrid, mentre guardava negli occhi suo figlio, cercava di calmarlo, mentre indietreggiava, lentamente, non accorgendosi di finire sulla riva del lago. Le sue scarpette col tacco si impregnarono di acqua salmastra, «questo, e, forse, gli effetti collaterali, sai, la ripetitività delle azioni...l’ossessività»
Marco infilò le mani in tasca, lentamente tirò fuori la scatola delle medicine. La guardò: l’effetto stava decisamente sparendo, non sentiva il bisogno di leggere le istruzioni, di capirne la composizione.
«Marco, ti prego»
Fece per lanciare la scatola in acqua.
«Marco, no, no!»
Ingrid gli si gettò addosso, nella colluttazione Marco la spinse via. Un altro effetto dell’abuso del metilfenidato è l’aggressività. Non c’era neanche un passante quella bella mattina di dicembre sulle rive del lago, così nessuno vide un uomo giovane picchiare la sua mamma anziana.
Marco sferrò un pugno a sua madre, facendola cadere, si buttò su lei. Nel dibattersi, Ingrid afferrò un ramo, colpì suo figlio con una forza innaturale sul labbro, che iniziò a stillare sangue. Marco si portò scioccato la mano alla bocca.
«Oddio, amore mio, tesoro, mi dispiace...»
Marco si guardò la mano sporca di sangue, gli venne in mente di chiedere da cosa fosse composto il sangue. Guardò la madre negli occhi. Ingrid si avvicinò a lui. Lo abbracciò, e lui scoppiò a piangere.
Rimasero abbracciati, dondolandosi sulla riva del lago, i loro vestiti erano zuppi per metà. Ingrid lo accarezzava come un bambino.
«Mammina...mi dispiace...»
«Shhh è tutto ok, bimbo mio, è tutto ok...»
Marco aveva la vista annebbiata per la prima volta in anni. Mentre le lacrime gli scendevano lungo le guance e gli colmavano gli occhi, non si rese conto di non distinguere più la grana delle foglie, le forme degli alberi, le sfumature di antracite e grigio dei sassi. Tutto intorno a lui era sfocato, tutto intorno a lui si fondeva in una gigantesca, indistinta, bellissima macchia d’azzurro.