Ciao
@Ricka
Interessante scrivere un romanzo western. L’ho sempre desiderato. In quanto all’arte, come dici, di rendere i personaggi credibili, eh, magari esistesse un’arte capace di insegnarlo. Uno può studiare scrittura tutta la vita, le migliori scuole e corsi a (lauto) pagamento e non riuscire a descrivere i pensieri di un uomo che attraversa una strada d’asfalto cosparsa ai lati di erbacce e buste dell’immondezza in un caldo pomeriggio d’agosto. E che può vedere mille particolari che magari un fine esteta erudito nemmeno sogna che possano esistere e creare associazioni come Proust nella Ricerca del tempo perduto.
Tutto è soggettivo, ma talvolta certe soggettività esclusive colpiscono l'attenzione.
Da ragazzo lessi alcuni romanzi western in edizioni tascabili di scrittori americani, che mi regalò un amico. Purtroppo non ricordo gli autori, per quanto abbia in seguito cercato in rete, ce ne sono innumerevoli. Ma mi colpirono perché raccontavano qualcosa di diverso dagli stereotipi che mi avevano preso all’epoca, specie guardando i film. Ricordo ambientazione, stile, personaggi: niente a che vedere con tenebrosi pistoleri vendicativi, alcuni sciupa femmine (degli altri) e solitari di molti film.
Uno dei tanti particolari che mi colpirono leggendo taluni di questi romanzi fu che le porte dei saloon avevano una sola anta per entrare e non era movibile al passaggio.
Le due ante movibili in entrata e uscita, diventate iconiche dei film western, furono un invenzione di Hollywood per esigenze sceniche e i famosi carri dei pionieri che attraversano il West a velocità folle inseguiti dagli indiani e salvati dal settimo Cavalleria erano spesso trainati da buoi e via di questo genere di cose prosaiche.
Giusto per dire che bisogna entrare in quella realtà (quella vera, o più vicina alla realtà) oltre che con romanzi americani anche guardando vecchie foto dell’epoca. Uomini, donne, bambini, paesi, saloon sono qualcosa di molto diverso da come ce li figuriamo.
Un po’ come le mitiche battaglie fra indiani e soldati, dove gli indiani erano presentati come i “musi rossi” brutti e cattivi che trucidavano e toglievano lo scalpo ai bellissimi pionieri biondi e con gli occhi azzurri perché gli andava di farlo e perciò era giusto sterminarli.
Poi sono venuti alcuni film come “Il piccolo grande uomo” e “Balla coi lupi” a spiegare che le cose non erano così. Ma era già troppo tardi.
Insomma, io penso che si impari di quei luoghi, di quell’epopea, da romanzi americani del genere, per esempio anche di Mark Twain o da storie come “Via col vento” e innumerevoli altre simili che ora non mi vengono in mente.
I cowboy erano i ragazzi che accudivano e si spostavano con le mandrie dei buoi e certamente avevano la pistola e il fucile, dovendo attraversare territori dove abbondavano animali selvaggi e ladri di bestiame ma non è che tutti fossero dei tiratori micidiali ai confini con la legge o tenebrosi vendicatori che riparavano gli immancabili torti dei paesi che attraversavano. Erano dei dipendenti e facevano una vita dura, si ubriacavano nei luoghi di sosta, talvolta incappavano in problemi e guai, specie se sconfinavano in terreni di altri proprietari. Ci potevano essere sparatorie, certo.
Il mio consiglio, per quel poco che può valere non essendo io un esperto di niente, sarebbe di documentarsi con materiale originale americano, ottime traduzioni, romanzi, racconti, nemmeno tanto i film, adulterati; guardare le foto d’epoca. Anche il modo di tenere la pistola alla cintola di quei baffuti sceriffi e pionieri dell’Ottocento, frammischiati con immigrati europei. Conoscendo la storia e vedendo le foto possiamo immaginarci uomini, caratteri, modi di pensare e creare personaggi con una vita e uno scopo un agire credibili, vedere quali erano i loro problemi, gli ostacoli, i modi di affrontarli. Certamente c’erano le sparatorie, le taglie, le rapine, le cacce ai banditi, ma c’era anche una vita più “normale” quella di tutti i giorni e che era la norma, pur nelle difficoltà ambientali e che andrebbe esplorata, che potrebbe essere più interessante dal punto di vista descrittivo.
Come le storie di Tom Sawyer, molto più credibili dei pistoleri che raddrizzano torti e ingiustizie a ogni passo che fanno.
I modi di vestire, di mangiare, di divertirsi, perché no, si possono certo raccontare, con sobrie parole, senza dilungazioni fantasiose e improbabili.
Si può raccontare la storia di un immigrato, magari inglese o irlandese, per giustificare il suo stupore per il nuovo mondo, dove quindi si pone molte domande utili anche al contesto della storia, nel quale però ha facilità ad inserirsi perché madrelingua inglese. Gli italiani con la pizza e la mafia ancora dovevano venire e verranno, ma c’entrano ancora poco con l’epopea del West, per quanto il trombettiere del generale Custer, scampato al massacro di Little Big Horn fosse italiano e benché durante la Guerra di Secessione ci fossero alcune compagnie di entrambi gli eserciti, dell’Unione e Confederati, dove militavano italiani, forse scappati dall’Italia dopo l’unità fatta da Garibaldi e i Savoia.
Poi, se vogliamo andare in fondo, per quanto riguarda la sola epopea West, come a tutte le cose, scopriamo altri mondi che mai ci saremmo sognati. Questo per me è il bello.