Sonata al chiaro di Nulla

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Brillava la luna,
il mare della tranquillità spalancava
un silenzio bellissimo.

Dicevi 'librazione longitudinale'
o 'fasi di risonanza'
ma in realtà erano i tuoi occhi
a farla brillare, pallidi di fame, neri di vita.
Bianca, era solitudine quella bellezza
e il castello delle fate solo finzione
e tu non ci saresti andata a vivere mai.

Tenere illusioni, un gioco di bambini su sabbia,
come le strade che attraversavamo
a piedi d'estate, le folate dai finestrini aperti
e la notte che sbatteva fra noi,
coi tuoi capelli accarezzare il viso immobile
e le parole pronunciate, abbandonate sui cuscini.

Ci sono caduto, lo sai,
ma non me ne pento.
Anche precipitare è una parte del volo,
come il teschio una parte del tuo sorriso.

E io sono sceso così a fondo
che alla fine 
sono tornato in superficie
dall'altra parte.

Forse non lo sai, ma la luna era ancora là,
nell'Agosto dei vent'anni, dove l'avevamo lasciata,
i mesi sinodici, le spiegazioni razionali
e tutto il resto.

Sempre mobile e pallida
di desideri romantici sfracellati
nel nitore polveroso,
un cimitero bellissimo.
Ma questa volta non per esprimere desideri
l'ho guardata,
ma per imprimere bene il tempo
del ritorno nella mia pelle fredda.

Brillava la luna e io
pure ho brillato.

Così forte, così dolce
da bruciare tutta l'anima
e le mie parole consumare
l'essenza del desiderio.

Adesso, eclisso.

Non più bellezza vado cercando
da quando ho capito com'è triste
com'è solitaria
la rosa che si schiude
solo prima di morire.

Nel cielo buio
senza stelle ho imparato
a riconoscere un oceano vasto, sconfinato.
E nel suo vuoto
la profondità del tuo abbraccio
perduto.
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