Il caffé che non ti aspetti

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Il caffè che non ti aspetti

Michele aveva una passione che gli ardeva come un fuoco dentro: aprire un bar, ma facendone un locale di aggregazione che riflettesse la personalità del gestore: aperta e comunicativa.
Fisicamente rotondo, dalla testa calva alla pancia sporgente, ex operaio edile, aveva adesso ereditato una discreta somma di denaro da uno zio, deceduto senza eredi diretti.
In passato, aveva lavorato due estati in un ristorante-bar del paese vicino, e il titolare gli aveva insegnato i trucchi del mestiere, e il più importante, per il bar, era il segreto per fare un ottimo espresso.
A parte la qualità della miscela, la macinatura, il controllo di come scende il caffè, la “mano” alla macchina del caffè doveva essere addestrata all’uopo. Al primo posto, igiene, pulizia e attenzione alle piccole cose: non consegnare la tazzina col manico rovente, non porgerla toccandone il bordo, e il cucchiaino si dà dal manico.
Attenzione e premura sempre. La base del successo di un lavoro è saperlo fare bene. Con quei soldi e la sua passione il suo sogno si sarebbe realizzato.
Aveva comprato un terreno abbandonato con un rustico in periferia, e chiamato un’impresa di giardinaggio per pulire le erbacce e bonificare l’ambiente, mantenendo gli alberi di ligustro e i biancospini. Entrambi rallegravano e attiravano sul posto con i loro fiori bianchi, che a fine estate si arricchivano di bacche rosse (il biancospino) come fiammelle improvvise.
Quando le aveva viste per la prima volta, avevano fatto scattare in Michele un inciso tra parentesi nella trama dei suoi pensieri, ed era frequente quel flash, ci conviveva quotidianamente da un bel po’.
Altrove, ovunque, bastava del fumo, una fiammella, per accendere il sopito sotto la cenere.
Un ampio spazio per parcheggiare e la posizione vicino alla strada comunale, a poca distanza dal centro del paese, avrebbe richiamato un buon numero di clienti. L’edificio era stato ristrutturato, da lui con l’aiuto di ex colleghi, in un solo piano, dotato di ambienti ariosi e mantenendo il nucleo di pietra centrale. Non era stato un problema richiedere ed ottenere dal Comune le licenze necessarie.
Il locale constava di due parti, separate dal lungo bancone. A sinistra, i sedili alti per i clienti che passavano veloci per la prima colazione o un caffè a metà mattina, la maggior parte; a destra, la zona coi tavolini e in fondo, lungo quasi quanto la parete, un tavolo per riunioni fino a dieci persone, per giocare a carte, chiacchierare e quant’altro.
“Allarga la mente: pensa laterale” era scritto su una piastrella appesa al muro, opera di Elvira, la sorella di Michele, che si sarebbe alternata al bancone col fratello.
Ed ecco ancora l’inciso tra parentesi, collegato alle fiamme, e a quel pensiero laterale, a una connessione da rivedere, da ripensare...
La novità del locale, perfezionata con una decina di amici a quel tavolo, era l’urna di vetro sul bancone, contenente pensieri e moniti scritti dai clienti. Ogni avventore poteva pescare un biglietto e sostituirlo con uno scritto da lui. I messaggi anonimi potevano essere di totale invenzione dello scrivente, ma si tolleravano anche indovinelli e aforismi celebri. Conoscendo il suo bacino di utenza (quasi tutti suoi amici o conoscenti di vecchia data) non si aspettava di trovarsi con messaggi di dubbio gusto di qualche avventore. Fosse capitato, peraltro, lo avrebbe saputo, perché lui chiedeva al suo cliente di leggergli il biglietto estratto, mentre non controllava mai quelli inseriti prima della “pesca”. Dal canto suo, Michele, per incrementare il contenuto dell’ampolla, con l’aiuto di Elvira e degli amici, vi riversava di continuo nuovi spunti, come:
Scavalca la nebbia, tra un raggio di nuvola e un altro, dei miei pensieri un’idea … e la segue l’azione!
Non ti dà tregua un ricordo? Hai il conforto dell’età che la memoria dilegua.
Tristi e cattivi: Ci grava le spalle un angolo nero – ci copre le spalle un angelo nero.

Questo pensiero Michele lo rivoltava come un calzino. Si può essere tristi anche al pensiero di essere stati cattivi, sì. Ma se la cattiveria non era voluta? E rabbrividiva. Si guardava le spalle, di frequente, mentre camminava in solitudine, se capitava, specialmente di sera, col buio.
La vita è adesso … gustati il caffè - Non stare a pensarci … fallo! - Ogni atto chiede un baratto - e similari. Tra l’altro, la prima idea sul nome del locale era “Bar Atti”, perché quello offriva e richiedeva: un aforisma per un aforisma. Un atto per un altro. Come nei baratti. La seconda idea era: “Non solo bar”.
Non solo bar. Qui il caffè è corretto se finanche gusti un detto. Ma alla fine era prevalsa l’ultima idea: “Caffèrmati!” con tanto di punto interrogativo, dal significato chiaro per gli amici: “Fermati in questo caffè. per il tempo di un caffè e …” così recitava un cartellino applicato alla porta di ingresso.
Aveva infilato nell’ampolla, che giornalmente conteneva circa un centinaio di quei bigliettini ripiegati, anche combinazioni diverse dello stesso vecchio indovinello:
"In che ordine sono questi numeri? 12 – 14 – 20 - 0?"Gli avventori, incuriositi dalla novità, pescavano, associavano il messaggio, alla stregua di un oroscopo giornaliero, alle loro attività e noie quotidiane, ai propri assilli, e spesso si facevano due sane risate con gli astanti.
A volte, però, se ne pescavano di cattivi o di tristi avvertimenti:
Farai la fine che ti meriti. Nella vita tutto si paga.
Quest'ultimo aveva fatto di nuovo accendere l’inciso tra parentesi nella testa di Michele, le cui alte fiamme erano state spente dal figlio decenne del giornalaio, Piero, che cercava di richiamare la sua attenzione: “Cosa c’è di più sghembo di una nuvola?” Di fronte all’assenza di comprensione del barista, aveva asserito soddisfatto: “Due nuvole!”
C’era una casalinga, Marta, che filosofeggiava e la si riconosceva dalla scrittura e dall’argomento. Il suo contributo si riconosceva dall’incipit:
Nella vita è di capitale importanza …
Fino a quel momento ne avevano letti sei, ognuno dei quali finiva con una di queste frasi:
reprimere il furore
dormire in una stanza
perdonarsi un errore
saper scegliersi gli amici
meritarsi il grande amore
respirare sempre.

Quando Michele si doveva assentare per pochi minuti, aspettava di vedere un volto noto e gli chiedeva di avvisare eventuali clienti del suo immediato ritorno, anche se, come d’abitudine, chiudeva a chiave la cassa. In assenze brevi come quelle, se arrivava, putacaso, Russo il bancario, più giovane di Michele ma a lui somigliante nel fisico e nella calvizie, era autorizzato, dato che lo sapeva fare e d’abitudine succedeva, a prepararsi da solo il caffè. In realtà, presente o meno il barista, Russo girava dietro il bancone e se lo preparava. Lui non lo aspettava mai, il caffè.
Michele, le prime volte, gli aveva detto: “Ma come, non ti aspetti che lo serva io il tuo caffè? Sai che ho il tocco magico”, gli diceva sorridendo.”Sai che sono di premura”, obiettava il bancario. Nella sua pausa caffè, preferiva fermarsi a fumare una sigaretta accanto ai ligustri e ai biancospini. “Sono piante anti inquinamento” gli aveva detto qualcuno. E a lui piaceva la diversità di un fumo assorbito tra quelle candide e leggiadre carezze per gli occhi.
Una volta, Franco il postino aveva trovato questo aforisma:
Prova a guardarti con gli occhi degli altri: disapprovarsi è il primo passo per migliorare.
“Non potevi pescarne uno più adatto” la risposta di Michele, e ne aveva riso con lui.
A volte, a chi lo conosceva dava l’impressione, in certi momenti di silenzio, che una maschera di sovrapponesse al suo viso abituale, un’ombra che poteva essere data da preoccupazioni o cupe riflessioni, che deponeva immediatamente quando gli si rivolgeva di nuovo la parola.
Un nuovo cliente aveva letto: "In che ordine sono 102 - 2 – 300 - 21?" Michele: “Non so”.
“Le sottoscrivo un abbonamento a dieci caffè se mi dice la risposta” disse al barista: “Alfabetico”.
I baratti di aforismi stavano facendo la fortuna del locale fino a quando tutto cambiò.
Il 17 novembre qualcuno entrò nel bar, in quel momento deserto, a parte l’uomo dietro il bancone, al quale sparò alla schiena.
Il 17 novembre dell’anno prima, Michele aveva forato una gomma sulla strada provinciale, in pieno giorno, a cinquanta chilometri da casa. Aveva preso il cric per cambiare la ruota, senza mettere il triangolo. Poi era successo l’incidente. Aveva un bel dirsi che l’auto investitrice andava troppo forte. La sua coscienza gli rispondeva che l’altro avrebbe sterzato in tempo, senza lui di mezzo e non ci sarebbe stato lo scontro (il fuoco che divampava, l’incubo di avere sulla coscienza una vita, come un inesorabile inciso tra parentesi nella trama dei suoi pensieri, nella veglia e nel sonno).
Nessuno doveva avere preso la targa della sua macchina, mentre si allontanava alla chetichella dal luogo dell’incidente (altri avevano provveduto a chiamare l’ambulanza subito e a liberare l’automobilista prima del divampare delle fiamme) ma la sua coscienza lo sapeva che, senza il suo intralcio, un uomo avrebbe continuato a camminare sulle sue gambe. Aveva saputo della perdita della gamba destra dal giornale, e si parlava solo dell’auto investitrice, non della sua. Non conosceva personalmente le persone coinvolte e decise di tacere a tutti del suo ruolo nella vicenda. Adesso comprendeva, rabbrividendo, che l’uomo era venuto a conoscenza del suo ruolo nella vicenda e forse proprio lui aveva incaricato un killer di ucciderlo. Fatalmente, aveva colpito Russo il bancario (- il caffè che non ti aspetti - ), scambiandolo per il titolare e lasciandogli addosso un biglietto con scritto:
Non sai mai chi hai di fronte, non dargli le spalle.
Michele aveva deciso: l’indomani sarebbe andato a parlare al commissario di polizia.
Ricordava adesso, e meditava, sull’ultimo aforisma che aveva estratto lui quella mattina:
Lei graffia e rumoreggia, non si scorda: l’oblio della coscienza non esiste. E lui adesso la accettava, e non doveva più guardarsi le spalle.
La vedeva da vicino, con chiarezza: crepitante come le fiamme di quel giorno.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


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Re: Il caffé che non ti aspetti

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Ciao @Poeta Zaza , ho visto che il tuo racconto non aveva commenti, perciò ho deciso di commentarlo (dovendo postare). La letture è stata molto piacevole e la storia mi è piaciuta. Allora, per quanto riguarda il personaggio: nel tuo protagonista ho ritrovato tante persone che conosco, che con umiltà e passione cercano di mettere a frutto un piccolo sogno. Di solito (anche se non sempre) chi apre un luogo di aggregazione come un caffè è una persona che ama il contatto con gli altri e le dinamiche di socialità che si creano. Nel tuo racconto, tu hai espresso molto bene questo sentimento e questo tipo di situazione, utilizzando un abile espediente narrativo, come quello dei bigliettini, che comunque risulta realistico e non stucchevole. Per quanto riguarda la trama: onestamente non mi aspettavo la svolta che hai inserito nella terza parte del racconto. Immaginavo una storia in tono minore, un po' come nel film Minari (non so se hai avuto occasione di vederlo) che parla delle speranze di riscatto lavorativo della piccola gente. Qui invece la storia prende una piega inaspettata, che non mi è spiaciuta. Diciamo che potevi andare anche in un'altra direzione, ma hai voluto stupire il lettore. Per quanto riguarda lo stile: molto preciso, se posso fare una piccola nota (a te, che sei una poetessa): finanche prosaico. Forse lo puoi limare e addolcire. Però l'ho trovato adatto alla storia. La storia, inoltre, mi è sembrata piuttosto originale e non ho trovato errori di grammatica o sintassi. Per concludere: ottimo racconto, che forse manca di un tocco di poeticità. Sicuramente puoi porre rimedio (se la mia critica è poi opportuna). Ti ringrazio per la lettura e spero di essere stato utile. A presto.
https://domenicosantoro.art.blog/

Re: Il caffé che non ti aspetti

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Domenico S. ha scritto: Nel tuo racconto, tu hai espresso molto bene questo sentimento e questo tipo di situazione, utilizzando un abile espediente narrativo, come quello dei bigliettini, che comunque risulta realistico e non stucchevole.
Grazie! Colgo l'occasione per precisare che gli aforismi, poetici o no, sono tutti miei.  :si:
Domenico S. ha scritto: Per quanto riguarda la trama: onestamente non mi aspettavo la svolta che hai inserito nella terza parte del racconto. Immaginavo una storia in tono minore
Cerco sempre di stupire il lettore, di non essere banale e scontata. Questo, per esempio, è il mio primo "giallo".   :si:

Domenico S. ha scritto: Per quanto riguarda lo stile: molto preciso, se posso fare una piccola nota (a te, che sei una poetessa): finanche prosaico. Forse lo puoi limare e addolcire. Però l'ho trovato adatto alla storia. La storia, inoltre, mi è sembrata piuttosto originale e non ho trovato errori di grammatica o sintassi. Per concludere: ottimo racconto, che forse manca di un tocco di poeticità. Sicuramente puoi porre rimedio (se la mia critica è poi opportuna). Ti ringrazio per la lettura e spero di essere stato utile. 
In genere mi dicono il contrario (quando eccedo con gli inserti in versi :   :asd:  ) e qui mi sembrava quasi di avere esagerato con gli aforismi poetici che ho inserito. Mi fa piacere, da quello che mi dici, che così non è. Grazie!  ;) Oppure mi stai dicendo che potrei essere più "leggera" in certi passaggi che sembrano forzati? Rivedrò con attenzione. Sei stato utile, certo, Domenico! 

@Domenico S. Sono lieta di rivederti!  :)  Ti ringrazio tanto per la lettura e le osservazioni che hai fatto al mio racconto.  :sss:
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


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