Un corpo e un'anima

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(ex WD)


Santina chiuse la telefonata con un perentorio: «Lutto stretto, mi raccomando!» Poi, tornatole indietro un gettone, si rimproverò per non avere aggiunto che se avessero voluto portare il gatto, avrebbero dovuto vestire a lutto pure lui.
Scosse la testa pensierosa, il rosso di quella bestiaccia faceva troppo malpelo.

Dall’alto dell’autostrada che dall’aeroporto le stava portando a Roccalimura, sperduto paese dell’entroterra siciliano, avevano rivisto casette basse e cespugli sparuti a comporre, più che paesi, minuscole frazioni.
Avevano riconosciuto Fontenica dal campanile in maiolica verde, Castellazzo dalla masseria dei Salvo che spiccava sull’agglomerato anonimo e, infine, avevano riso passando sopra Fiumefinto che, sotto il ponte dai piloni vertiginosi, a detta di Nancy sembrava: “una scacazzata di uccello”.
E giù a ridere e ad abbracciarsi, le tre sorelle; un corpo e un’anima da sempre.
Roccalimura era tale e quale a come lo avevano lasciato.
Dopo dieci anni di assenza non era cambiato in nulla, un’insegna, un lampione, niente. E la fontana al centro della piazza era ancora a secco per manutenzione, proprio come nel giorno in cui erano partite con il gatto al seguito.
Che disdetta per le sorelle Magrì! Loro che immaginavano di tornare – se mai fossero tornate – in pompa magna, abbigliate da fare schiattare d’indivia tutti i compaesani, si erano invece dovute presentare dimesse e vestite di nero.
Le tre nipoti del morto, Caterina, Nunzia e Giuseppina – cioè Ketty, Nancy e Josephine, per chi le conosceva solo da dieci anni – avevano dovuto pure rinunciare al maquillage hollywoodiano cui erano ormai abituate, sebbene la cosa più difficile non sarebbe stata questa, piuttosto assumere un portamento che non fosse equivoco.
Zio Diego se l’era spassata in tutti i modi e in tutte le maniere, e non era difficile immaginare il casino che avrebbe potuto combinare ovunque fosse andato a finire.
Ci fosse stato un aldilà dopo l’aldiquà: o avrebbe messo in croce San Pietro oppure si sarebbe fatto buttare fuori da Lucifero in persona.
Da chierichetto a Sindaco, aveva conquistato tutte le cariche a disposizione e indossato tutte le divise, perfino quella di Don Pino, quando – rubandogli la tonaca per un’ora – s’era intrufolato nel confessionale carpendo i segreti di una dozzina di comari.
Venirlo a piangere, alle ragazze, sembrava del tutto superfluo. Poi, con loro non è che si fosse comportato da padre! La sua morte, beh! Più che dolore “ha portato un poco di giustizia a questo mondo”, aveva sentenziato Giuseppina.
«Era solo un birbante!» dicevano gli amici.
«Era un gran farabutto» farfugliavano le vittime.
Tra scherzi, raggiri, ricatti e dell’altro, Diego Montefusco non aveva risparmiato nessuno.

Le sorelle, a dire di mamma Santina, lavoravano come segretarie presso tre grandi aziende.
“Multinazionali” avevano riferito le figlie, ma Santina, sempre in difficoltà con l’italiano, non riusciva mai a ripetere la parola correttamente.
In Argentina, le Magrì in effetti si erano inserite senza troppe difficoltà.
Nell’85, mentre il paese di Roccalimura non aveva ancora una stazione sua, il mondo aveva già un’autostrada a 18 corsie. Le tre fanciulle l’avevano imboccata, dopo l’atterraggio a Buenos Aires, prima meta di ciò che sarebbe stato il loro peregrinare per i paradisi del mondo.
L’autostrada, o meglio “l’Avenida 9 de Julio” le aveva lasciate senza fiato e… senza memoria. Il paese, presto presto, era finito nel dimenticatoio. E se non fosse stato per Santina che, da madre, pretendeva almeno una telefonata al mese, non avrebbero avuto più nessun contatto.
Per la morte del fratello, Santina era stata costretta a sacrificare un terzo della pensione per la chiamata internazionale. Aveva preferito usare la cabina, per avere il costo sotto controllo. Le figlie non dovevano mancare. Il testamento non avrebbe riservato sorprese, erano loro quattro le eredi designate. “Eh! Almeno questo, zio Diego ce lo deve”.
Abituate a sorseggiare aperitivi al tramonto – l’ora in cui preferibilmente prendevano servizio – le sorelle si chiesero come avrebbero dovuto comportarsi, e già prima di arrivare in paese si erano ripromesse di tenersi d’occhio a vicenda per evitare errori.
Facendo attenzione alla postura: avrebbero tenuto le spalle cascanti, non avrebbero accavallato le gambe, e nemmeno indossato scarpe con tacchi altissimi.
Con questi tre semplici accorgimenti ci vivevano alla grande, e a dire il vero non è che avessero bisogno delle quattro catapecchie, né di quel maledetto granaio lasciati dello zio. Ma la madre aveva insistito, e mancando da tanti anni, alla fine – se pure travestite da zitelle – vedere che faccia avessero i loro primi amori e chi avessero sposato nel frattempo, le aveva stuzzicate.
Che fossero belle, purtroppo, era evidente. Panni e fattezze da paesanelle non ingannavano gli uomini vogliosi.
Così ad ogni spigolo di casa, il paese era tornato a sparlare.
Tutti ricordavano i tempi in cui, per colpa delle Magrì, i mariti avevano scordato le mogli e i fidanzati erano diventi apatici ai baci delle innamorate. “Tutta colpa loro! Anche quel povero Diego, cosa poté farci!?” si diceva in giro.
Si racconta sempre la storiella dell’amore, per contorno si scrivono poesie ma la verità è “quella”: Maschio e femmina conoscono l’innesto al quale difficilmente si resiste.
Caterina non li ricordava più i versi che le aveva dedicato Giannuzzo, il panettiere. Alle quattro del mattino, prima di mettere mano alla farina, passando sotto la finestra, faceva il Romeo senza paura.
Ma se Caterina non li ricordava era perché di certo non sarebbe mai stato un gran poeta. Eppure, un cuore innamorato quanto il suo sarebbe stato difficile a trovarsi, pure in capo al mondo.

Dopo due giorni, giacché lo zio esposto nella cassa-frigo era stato “visitato” da tutto il circondario, era giunto il momento del funerale.
Ahimè, la vita è un trampolino, ci mette niente a farti fare un tuffo nel passato.
Accodato tra i presenti c’è pure Giannuzzo.
Caterina si sente morire, il lutto per quell’amore riaffiora con una violenza desolante. Gli occhi le si riempiono di lacrime.
Si afferra i gomiti, mentre il suo corpo riassapora, con grande meraviglia, il felice desiderio di abbracciare un corpo amato. La nostalgia le stringe le vene quasi a farla svenire. Le sorelle la sostengono.
Giannuzzo è triste come nel giorno della partenza, quando era andato a cercarla, ormai troppo tardi. Muove solo le labbra, guardandola, ma la poesia s’invola, e Caterina la sente come fossero di nuovo: lei nella sua stanza e lui sotto la finestra.
La ragazza piange, vorrebbe nascondersi a se stessa quanto a lui.
Abbassa le palpebre, meglio chiudere gli occhi sugli anni appena trascorsi, sul quell’avvicendarsi di corpi che mai sono stati Giannuzzo.
Perché lo aveva perduto? Colpa di stupide dicerie? Oh, no. Qualcosa di più grave che avrebbe voluto cancellare con un semplice “Non è vero niente”.
Maledetto il gatto.
Era andato ad infilarsi nel granaio, quel diavolo di rosso, e Caterina l’aveva cercato carponi, in ogni angolo.
Si erano scatenate così le fantasie deviate e i pensieri maligni dello zio, che lì dentro, a Caterina fece di tutto.
“Povero Diego, con tre ragazze tanto procaci chiunque avrebbe perso la ragione”.
Il popolo aveva decretato, mettendole alla porta.
Un corpo e un’amina da sempre, le tre sorelle avevano lasciato il paese senza più voltarsi indietro.

Durante l’omelia il parroco arranca. Trovare parole adatte per Diego Montefusco non è semplice. Avrebbe voluto parlare di Misericordia Divina, ma finisce per descrivere la corruzione della carne, dei vermi che alla fine, morendo anch’essi, formano un unico impasto con l’uomo; e l’immagine di Diego, uomo-verme, rimane ad aleggiare sulla testa dei presenti, tra il quadro di San Michele Arcangelo, a destra della navata, e quello di San Giovanni Apostolo dall’altra parte.
Delle lacrime che Caterina nel frattempo versa copiosamente, la madre può ritenersi soddisfatta. Una dimostrazione di pentimento nei confronti dello zio era ciò che i compaesani si aspettavano.
Ravvedersi è come guarire da una brutta malattia, le lacrime, la medicina più adatta.
Santina, a suo tempo, aveva scelto di rimanere in paese a servire il fratello, convinta che “i giovani possono rifarsi una vita altrove, un uomo di sessant’anni no”.
A conferma del suo pensiero, nelle valige delle figlie, oltre agli abiti neri, ne aveva visto diversi bellissimi, alcuni da sera, di quelli che indossano solo le modelle in Tv.
Giannuzzo si mette in coda per porgere le condoglianze alla famiglia, ma quando sfiora la guancia di Caterina anche lui viene colto da un malore. Sbianca, deve sedersi sulla panca più vicina, se non vuole crollare tra le braccia della ragazza.
È per il caldo, pensano in molti. In effetti da giorni il sole arroventa le strade, ha già bruciato gran parte dell’edera che ricopre il granaio e costretto il nuovo sindaco, razionata l’acqua, a tenere ancora a secco la fontana.
Ma Giannuzzo si è presentato per primo tra gli uomini a porgere il saluto, e allora vecchie bocche si apprestano a dare la colpa a Caterina che magari – dopo il fattaccio con lo zio (e forse anche prima) – ha contratto un male misterioso; strega gli uomini fino a farli stramazzare e a terra quando la sfiorano.
Una fattucchiera, a quel punto, non potrebbe avere reputazione peggiore.
Nunzia e Giuseppina, non sono due stupide, non si è ancora dissolta l’immagine dello zio-verme che avvertono il brusio serpeggiare tra i banchi, arrivare alle loro orecchie; quel “ sempre lei” dice tutto.
Una lunga fila di uomini intanto si è composta per raggiungerle, ma le Magrì notano donne che strattonano i mariti, trascinandoli fuori dalla chiesa; Caterina è a pezzi, mentre Nunzia e Giuseppina hanno un moto di rabbia, vorrebbero strapparsi i vestiti di dosso, scoprire i seni, tutto il corpo, rimanere magari come il Cristo che li guarda dal crocefisso.
Nella bellezza dei loro corpi, la gente sarebbe capace di vedere le piaghe?
Giuseppina potrebbe mostrare una bruciatura di sigaretta sul fondoschiena, l’ha ricevuta da un cliente violento. Nunzia, due cicatrici sotto i seni, la sua terza misura non soddisfaceva i consumatori più generosi.

È il giorno della partenza, sono vestite per bene, a colori, dal notaio hanno firmato la rinuncia all’eredità, lasciano tutto alla madre. “Come è giusto che sia”, ha detto Giuseppina a Santina, con un sorriso sprezzante; da tempo non la chiama più mamma.
La macchina è stipata di valige, un nuovo passeggero è con loro. Giannuzzo sa di avere preso la decisone giusta.
Caterina, incredula, non è ancora in grado di spiccicare una parola. Non sa come ringraziare le sorelle che, al panettiere, hanno fatto una proposta irrifiutabile.
Un panificio a New York può dare ottimi guadagni, e la vita può cambiare per tutti.

Re: Un corpo e un'anima

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@Adel J. Pellitteri

Ciao, Adelaide, e buona domenica. 
Mi ero persa questo tuo racconto, e per fortuna oggi c'è il Mezzogiorno d'inchiostro: alla ricerca di un brano da commentare, mi sono imbattuta in questo tuo splendido scritto, che ho letto d'un fiato.
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amScosse la testa pensierosa, il rosso di quella bestiaccia faceva troppo malpelo
Questa allusione stuzzicante si rivestirà di senso più avanti, quando il lettore saprà che parte ha avuto il gatto dal pelo rosso nelle vicende che hanno segnato la vita delle ragazze. Molto ben fatto.
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amAvevano riconosciuto Fontenica (...)
E giù a ridere e ad abbracciarsi, le tre sorelle; un corpo e un’anima da sempre.
In poche righe fornisci una descrizione variopinta e suggestiva dell'entroterra siciliano e del legame intenso tra le donne.
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amLe tre nipoti del morto, Caterina, Nunzia e Giuseppina – cioè Ketty, Nancy e Josephine, per chi le conosceva solo da dieci anni – avevano dovuto pure rinunciare al maquillage hollywoodiano cui erano ormai abituate, sebbene la cosa più difficile non sarebbe stata questa, piuttosto assumere un portamento che non fosse equivoco.
Altro tocco da maestra: il lettore viene a sapere un po' alla volta che il funerale è dello zio delle sorelle; che esse, nel luogo da cui provengono, usano nomi diversi e abbigliamento sfarzoso e, dall'allusione conclusiva del periodo, che praticano il mestiere più antico del mondo.
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amZio Diego se l’era spassata in tutti i modi e in tutte le maniere, (...) ovunque fosse andato a finire
Il periodo qui sopra, in cui introduci lo zio, mi è sembrato collegato in modo troppo repentino al precedente. Si potrebbe staccare di un rigo, oppure, prima di "se l'era spassata..." si potrebbe introdurre qualche altra caratteristica del morto vista attraverso gli occhi delle ragazze. Ma è solo un'opinione personale, dovuta al fatto che è stato l'unico punto del racconto in cui sono tornata indietro a leggere per vedere se mi era sfuggito qualcosa.
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amperfino quella di Don Pino, quando – rubandogli la tonaca per un’ora – s’era intrufolato nel confessionale carpendo i segreti di una dozzina di comari
Dovresti scrivere un racconto solo su questo evento! 
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amDiego Montefusco non aveva risparmiato nessuno.
La figura non limpida dello zio Diego viene pian piano delineata.
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amNell’85,
Qui, dopo l'apostrofo, correttamente non inserisci il segno ulteriore di elisione per la data: esso, come hai fatto tu, si omette in presenza di un altro apostrofo.
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amFacendo attenzione alla postura:
Il periodo inizia in modo un po' duro: il gerundio fatica a collegarsi sintatticamente con la frase precedente, anche perché sei andata a capo. Ti proporrei, ad esempio: "La postura era la prima cosa cui porre attenzione".
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amCon questi tre semplici accorgimenti ci vivevano alla grande, e a dire il vero non è che avessero bisogno delle quattro catapecchie, né di quel maledetto granaio lasciati dello zio. Ma la madre aveva insistito, e mancando da tanti anni, alla fine – se pure travestite da zitelle – vedere che faccia avessero i loro primi amori e chi avessero sposato nel frattempo, le aveva stuzzicate.
Qui ho notato una sovrapposizione: fino a "zio" pare che le sorelle si riferiscano alla situazione che stanno vivendo in Sicilia, dove stanno ben attente a non far trapelare la loro conoscenza del mondo; subito dopo, invece, il discorso si riferisce ai giorni prima di partire per l'Italia. Opererei un piccolo cambiamento per mettere i tempi sullo stesso piano: eliminerei "la madre aveva insistito" e farei accenno solo al loro sentire, scrivendo "Mancando da tanti anni (...) erano però curiose di vedere...", lasciando poi tutto inalterato.
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amAhimè, la vita è un trampolino, ci mette niente a farti fare un tuffo nel passato.
Molto carina questa osservazione.
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amfossero di nuovo: lei nella sua stanza e lui sotto la finestra.
Toglierei i due punti.
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amMaledetto il gatto.
Era andato ad infilarsi nel granaio, quel diavolo di rosso, e Caterina l’aveva cercato carponi, in ogni angolo.
Si erano scatenate così le fantasie deviate e i pensieri maligni dello zio, che lì dentro, a Caterina fece di tutto.
Ecco che spieghi il perché dell'osservazione iniziale di Santina.
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amUn corpo e un’amina da sempre
Piccolo refuso: "anima".
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 ame l’immagine di Diego, uomo-verme, rimane ad aleggiare sulla testa dei presenti, tra il quadro di San Michele Arcangelo, a destra della navata, e quello di San Giovanni Apostolo dall’altra parte.
Bellissimo!
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amRavvedersi è come guarire da una brutta malattia, le lacrime, la medicina più adatta.
Dopo "malattia", per mantenere l'armonia del periodo, vedrei meglio il punto e virgola.
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amstrega gli uomini fino a farli stramazzare e a terra quando la sfiorano.
Bello. Dopo "stramazzare" c'è un "e" di troppo.
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amNunzia e Giuseppina, non sono due stupide
Qui dovresti togliere la virgola tra soggetto e verbo.
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amNunzia e Giuseppina non sono due stupidenon si è ancora dissolta l’immagine dello zio-vermeche avvertono il brusio serpeggiare tra i banchi (qui no virgola) arrivare alle loro orecchie; quel “sempre lei” dice tutto.
Ti propongo qui sopra una punteggiatura diversa per tutto il periodo.
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 am... Giuseppina hanno un moto di rabbia,
Dopo "rabbia" ci vedrei meglio due punti.
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amsigaretta sul fondoschiena, l’ha ricevuta da
Toglierei "l'ha".
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amdue cicatrici sotto i seni,
Dopo "seni" metterei due punti.
Adel J. Pellitteri ha scritto: gio gen 21, 2021 11:17 amUn panificio a New York può dare ottimi guadagni, e la vita può cambiare per tutti
Finale stupendo. 
Complimenti e grazie, Adelaide.
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Re: Un corpo e un'anima

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@Ippolita grazie per il bel commento e per i suggerimenti sempre attenti e graditi (peccato averlo spedito per un concorso con gli errori che hai notato tu. Mannaggia a me, mannaggia!) 
Mi spiace non riuscire a essere presente come prima, impelagata come sono in situazioni familiari, non ho tempo a disposizione se non per mantenere gli impegni presi ruguardo alle recensioni (che non potevo immaginare mi avessero preso tanto tempo :bash: ).
Ippolita ha scritto:
Qui dovresti togliere la virgola tra soggetto e verbo.
Errore imperdonabile  :facepalm:

Concordo su ogni punto e ti ringrazio per l'attenzione.  :love:

Re: Un corpo e un'anima

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Ciao @Adel J. Pellitteri 


Questo racconto è un piccolo capolavoro.
Leggerlo è stata una panacea per l’umore, il regalarsi una distensiva vacanza virtuale consumata nell’arco di una divertita lettura.
Magistrale la rievocazione di un estremo meridione con le sue luci, i suoi profumi e i suoi colori.
La descrizione dei luoghi raccontati è un viaggio sul pullman della memoria a visitare paesaggi e cittadine conosciute attravetrso molteplici libri e altrettanti film d’ambientazione siciliana.
Adoro quella meravigliosa regione per lo spirito che mi è stato trasmesso da diversi cari amici della mia giovinezza, dai quali ho appreso i rudimenti del catanese e insieme all’anima sagace e ironica di quel popolo, anche una serie di parolacce in dialetto stretto che ci hanno fatto spanciare di buon umore.
Questo tuo racconto che ha il sapore di una Sicilia di Vitaliano Brancati, di Andrea Camilleri, della Dacia Maraini di Bagheria, in letteratura; ancor più possiede quell’evocazione visiva della Sicilia raccontata da Germi, Monicelli, Tornatore, che tutti abbiamo amato anche senza aver mai messo piede nell’isola.
Personalmente per lavoro l’ho attraversata da Trapani a Messina, ma gli impegni mi hanno impedito di visitarla con più tempo e profondità, non di meno ne conservo un prezioso ricordo.
La tua storia scorre leggera e godibile, su un binario di accattivante e intelligente ironia, con quel garbo narrativo che ho amato molto anche in un altro autore della mia giovinezza, ovvero Piero Chiara, che ambiantava le sue storie in tutt’altro luogo geografico,
lui era è il poeta delle piccole storie del "grande lago" che spesso fa da palcoscenico ai suoi brevi ed illuminanti racconti. “Narra le piccolezze della vita di provincia con quello stile mai insipido, sempre venato di arguzia, di ironia, a tratti di un sottile e malinconico umorismo, e sempre capace di cogliere nel quotidiano l'essenza, ormai dimenticata, della vita.”

Ecco, tu con uno stile narrativo ormai collaudato in diversi tuoi racconti che ho letto, sai dipingere un affresco di vite intrecciate nelle tradizioni che ancora si mescolano alla realtà moderna, intrigandoci con vicissitudini che profumano di un mondo “arcaico” che non vuole cedere il passo all’attualità.
Sei poi bravissima nel colorare di un sottile e stuzzicante erotismo che dona un sapore di peccaminosi segreti sotterranei, tanto tacciuti e occultati da essere comunque risaputi a tutta la comunità che anima il racconto.

Davvero una splendida prova di scrittura amica mia.

Un affettuoso saluto e un abbracci, ciao alla prossima. :)

Re: Un corpo e un'anima

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@Nightafter questo tuo commento mi riempie di orgoglio, lo avevo letto due giorni fa ma non ero riuscita a risponderti, lo faccio adesso. Grazie per il tuo apprezzamento, per le parole e il tempo che mi hai dedicato, per avermi associato a nomi che amo da sempre, per avermi ricordato quanto la scrittura possa essere entusiasmante, allo stesso modo, per chi scrive e per chi legge; in tempi diversi, in luogi distanti l'uno dall'altro avviene questo incontro tra autore e lettore ed è qualcosa che mi affascina tantissimo. 
Infinitamente grazie amico mio.  :rosa:

Re: Un corpo e un'anima

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Questo bel racconto sembra tagliato su misura sulle protagoniste . Le tre sorelle Macrì erano sempre state " troppo": troppo belle e provocanti per un paesino soffocato e senza più sogni, troppo libere e ingenue per un uomo abituato, da truffatore, a condurre il gioco e vincere sempre e soprattutto  troppo lontane e incomprese da una madre che sceglie di allontanarle pur di salvare la sua misera e inutile reputazione . Trovo che il pregio di questo racconto sia la sensibilità mostrata dalle sorelle: quella che è una tragedia e un sopruso vile è stata superata dalla loro unione inattaccabile che ha permesso loro di costruirsi una vita da benestanti usando l'unica cosa che a loro era riconosciuta. la bellezza. Le tre sorelle sono  ben coscienti della debolezza e della viltà di alcuni uomini. Le loro figure, descritte  con pochi tratti, come d'altra parte tutti i personaggi del brano, non sono figlie della Bocca di Rosa protagonista del famoso brano di De Andrè: anche se le reazioni degli insipidi abitanti del loro paese d'origine sono le stesse, vivono lontane con memorie, sentimenti, e un'enorme volontà di trovare la propria strada. Se Caterina soffre, Nunzia e Giuseppina non si limitano a soffrire con lei, il lavoro che fanno non le ha sporcate dentro e insieme lottano   per realizzare l'antico sogno d'amore di Caterina , fidandosi di un uomo nonostante le loro esperienze. Lo stile diretto conduce a leggere il brano d'un fiato. Nulla da aggiungere sull'aspetto grammaticale.     

Re: Un corpo e un'anima

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Ciao, @Adel J. Pellitteri, è da un po' che non commento un racconto, spero di non aver perso troppo la mano. D'altra parte ho trovato questo tuo racconto con pochi commenti e mi fa piacere tornare a leggere qualcosa di tuo.
Parto con le considerazioni facili. Al di là di quanto ti ha già detto @Ippolita (ciao!), posso solo aggiungere questo
Adel J. Pellitteri ha scritto: se pure travestite da zitelle
che avrei inserito come "seppure". Per il resto, a parere mio, avrei usato diversamente le virgole. D'altra parte sono consapevole di essere un tipo dai mille incisi e ne faccio un esempio.
Adel J. Pellitteri ha scritto: si rimproverò per non avere aggiunto che (virgola) se avessero voluto portare il gatto, avrebbero dovuto vestire a lutto pure lui.
Il problema è che se dai retta a me, raddoppi il numero delle virgole e non è una bello. :P

Scherzi a parte, passo alle cose serie. Come in altri racconti che ho letto ai tempi del WD, offri uno spaccato di realismo e di sfaccettature di quotidiano e mondi che non si trovano spesso nero su bianco. Il contrasto tra il paesino rimasto sempre uguale a se stesso e le tre donne che hanno fatto "fortuna" altrove: a loro non bastava quello che avevano lasciato e anche per gli altri sono tanto, sono qualcosa di estraneo ormai. Il tutto al costo di scelte che, al di là delle apparenze, portano dei dolori o dei rammarichi personali. Credo che situazioni del genere si vivono ancora in alcuni paesi dell'entroterra e che forse saranno cancellate dal 4G e dal rinnovamento generazionale, quando i sessantenni di oggi (ormai tutti con facebook) saranno i prossimi ottantenni.
Quindi, niente, cercavo un racconto da commentare, forse per postare qualcosa, e trovo un ottimo racconto su cui ho ben poco da dire, se non ringraziarti per la lettura che hai condiviso. :sss:
https://www.facebook.com/curiosamate

Re: Un corpo e un'anima

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bwv582 ha scritto: Quindi, niente, cercavo un racconto da commentare, forse per postare qualcosa, e trovo un ottimo racconto su cui ho ben poco da dire, se non ringraziarti per la lettura che hai condiviso
Ed allora, non posso che ringraziarti per questo tuo commento. Anch'io, al momento, mi sono eclissata per impegni che non mi lasciano un attimo di respiro (tra questi anche la presentazione giovedì 5 maggio alla Feltrinelli di Palermo del mio romanzo La figlia italiana). 
:rosa:

Re: Un corpo e un'anima

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Adel J. Pellitteri ha scritto: Ed allora, non posso che ringraziarti per questo tuo commento. Anch'io, al momento, mi sono eclissata per impegni che non mi lasciano un attimo di respiro (tra questi anche la presentazione giovedì 5 maggio alla Feltrinelli di Palermo del mio romanzo La figlia italiana). 
Carissima @Adel J. Pellitteri ,  sono assai compiaciuto del tuo successo di scrittrice e quindi ti faccio i migliori complimenti e auguri per il tuo libro.  <3

Aggiungo anche di provare una gratificante soddisfazione nell'annoverare tra le mie amicizie virtuali un'autrice professionista.
Questo mi consentirà di far leggere il post alla mia consorte, la quale perfidamente mi accusa di stare sempre a scrivere "cazzate" da vero perdigiorno, da postare in un forum anonimo nel quale non mi fila nessuno.
Invece alla faccia sua posso documentare decine dei miei racconti, nei quali sei intervenuta con i tuoi preziosi commenti e consigli tecnici.
Interventi quindi compiuti dalla mano di un'affermata scrittrice, mica pizza e fichi.

Grazie amica mia d'avermi regalato questa iniezione di corroborante autostima.

Una abbraccio grande  :P <3

Re: Un corpo e un'anima

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Nightafter ha scritto: Questo mi consentirà di far leggere il post alla mia consorte, la quale perfidamente mi accusa di stare sempre a scrivere "cazzate" da vero perdigiorno, da postare in un forum anonimo nel quale non mi fila nessuno.
Invece alla faccia sua posso documentare decine dei miei racconti, nei quali sei intervenuta con i tuoi preziosi commenti e consigli tecnici.
Interventi quindi compiuti dalla mano di un'affermata scrittrice, mica pizza e fichi
Carissimo! Mi lusinghi e ti ringrazio, al momento sono solo piena di entusiasmo ma questo già mi basta. Sono davvero contenta di come stanno andando le cose nel mio percorso e sono sicura che non immaginate nemmeno quanto abbia fatto la differenza frequentare il Wd. Il mio romanzo (editato da Ambra Rondinelli, già utente Wd) ad esempio, è nato da un racconto postato e commentato da voi (si intitolava Un'altra volta Parigi)  per cui possiamo dire a tua moglie, senza vergogna  :D che qui, scrivendo e commentando si imparano miliardi di cose, si cresce, ci si innamora sempre di più della scrittura e si leggono autori che, al di là di pubblicazioni e successo, è un vero piacere leggere. Come accade leggendo i tuoi racconti. Grazie sempre. 
 

Re: Un corpo e un'anima

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Adel J. Pellitteri ha scritto: Anch'io, al momento, mi sono eclissata per impegni che non mi lasciano un attimo di respiro (tra questi anche la presentazione giovedì 5 maggio alla Feltrinelli di Palermo del mio romanzo La figlia italiana).
Io sono preso da impegni più "terra terra" (lavoro!), per il resto non posso che associarmi all'in bocca al lupo di @Nightafter per il tuo percorso di scrittura. Un caro saluto a voi e un buon fine settimana. :saltello:
https://www.facebook.com/curiosamate
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