[Lab16] Torneremo ancora
Posted: Sun Feb 09, 2025 1:11 pm
“Mi puoi aggiungere un po' di vodka nella flebo? Va bene anche del rum. Ma se ci fosse dell'LSD, ah... sarebbe il top.”
“Cosa dice signora Adele?”
“Mi piacerebbe andarmene facendo un bel viaggio.”
“Non dica così, dopo le porto qualcosa di speciale: un bel budino al cioccolato.”
“Sai dove te lo puoi spalmare?”
“Sempre la battuta pronta! Tenga una caramella, sono buonissime, con un ripieno di crema al pistacchio.”
“Mi fa male ai denti.”
“Ma, Adele... non perde mai il buonumore.”
“Prima che mi rinchiudessero in questa gabbia, sai quante ne ho combinate? Altro che buonumore.”
“Perché, cosa ha fatto?”
“Tanto per dirne una, mi piaceva girare dipinta come un fiore, come natura mi ha fatto, per le chiese, non tutte, solo alcune.”
“Cosa intende, che era nuda?”
“Già, per vedere se potevo essere un diversivo per alcuni preti pedofili.”
“Ma era proprio matta!”
“Io? Infatti, è così che è andata a finire.”
“Stasera c'è un menù speciale, se lo ricorda?”
“No, cosa c'è?”
“Il signor Papetti offre la pizza a tutti.”
“Oh!”
“Mi hanno detto che era già successo, tanti anni fa.”
“Ah sì, ricordo, Papetti faceva il suo ingresso. Ma come mai offre la pizza?”
“Perché oggi è il suo ultimo giorno.”
“E dove va?”
“Eh... gli hanno approvato la partenza.”
“Ma porca miseria! Perché a lui sì? Comunque a me la pizza frullata fa schifo.”
“Come darle torto, ma se ci pensa è come risulta all'interno del nostro stomaco, si risparmia la fatica della masticazione.”
“Se la può mangiare lei allora. Voglio parlare con Papetti.”
“Disgraziato, stronzo, bastardo, come hai potuto fare una cosa simile? Ti ammazzerei io. Ma non lo faccio solo perché hanno tolto la pena di morte. E non fissarmi con quei due occhi che so già cosa vogliono dire. Dovevamo andarcene insieme, tanto tempo fa, quando eravamo ancora felici.”
Adele accarezza dolcemente il viso di Marco.
“Ecco, ti sto bagnando.” Prende un panno e delicatamente tampona le lacrime che gli ha versato sul viso.
Adele e Marco avevano toccato il cielo, giovani, belli, spensierati. Una piccola vacanza in Nepal si era trasformata in anni volati come un battito d'ali di farfalla. Dovettero venire a cercarli per riportarli a casa. Il padre di Adele e la madre di Marco. Si erano fermati mesi, prima di riuscire a rintracciarli in un tempio buddista sulle montagne.
Poi, il trauma del ritorno. Persero l'armonia che li aveva uniti. Presero vie diverse per rincontrarsi, strano gioco del destino, a Villa Serena.
Al rientro, Adele fece fatica a riadattarsi. Non le andava giù nulla di quello che vedeva attorno. Gente che urlava sempre senza motivo, sguardi inchiodati su piccoli schermi, aria irrespirabile e orrende musiche che doveva subire ogni volta che entrava in un posto. Ma quello di cui non si capacitava erano quelle bordure di finta edera di plastica che celavano piccoli quadrati tutti in fila, di due metri per lato, nel quartiere vicino al suo, con un fazzoletto di prato rasato e un tavolino con sedie pieghevoli che si incastravano a fatica. E pensare che quelle gabbie erano considerate un privilegio.
Per un po' si chiuse in se stessa, poi decise di combattere a modo suo, con l'arte. Appariva in performance e installazioni per cercare di scardinare qualche coscienza. Si era specializzata nella body art.
Si mostrava sempre nuda. Una volta nella piazza nella posizione del fiore di loto con una mano che reggeva un vassoio con dei cellulari conficcati in cumulo di escrementi. Altre, danzava indossando delle cuffie con il corpo sapientemente dipinto a imitare macchie, pustole, bubboni, più inquietanti dell'Elephant man di Lynch.
Il segno senza dubbio lo lasciava. Riscuoteva un tale successo che venne invitata nelle maggiori città del mondo a esibirsi. Ma in alcuni posti non la presero bene. Venne arrestata, torturata, umiliata, violentata; rinchiusa per mesi, anni, in vari buchi, in quei paesi che per molto meno portavano sul patibolo nella pubblica piazza chi aveva letto un libro considerato proibito oppure aveva lasciato intravedere la chioma dei capelli.
Infine venne liberata dopo una serie di petizioni internazionali. Ma la sua psiche fu per sempre segnata.
In una delle sue ultime performance, si dipinse imitando il tronco di un albero con i rami: si tagliò in più punti con una lametta a simboleggiare il sangue che sgorga dalle piante. La salvarono per un pelo prima che se ne andasse per dissanguamento.
Subì diversi TSO, farmaci su farmaci finché anche il suo fisico cedette.
Marco viceversa era diventato un ingegnere biomedico di un'importante azienda all'avanguardia nella sperimentazione di nuove tecnologie che, lentamente, ironia della sorte, si era presa anche il suo fisico: una neuropatologia degenerativa lo avrebbe portato alla paralisi completa.
Il loro destino fu una struttura residenziale. Adele, ormai con il fisico raggrinzito, reagì a modo suo: una notte si strappò tutti i denti, quei pochi rimasti, legandoli con un filo uno a uno alla maniglia della porta. Voleva apparire come le anziane che aveva conosciuto sull'Himalaya. Poi, qualche defenestrazione finita miracolosamente senza conseguenze per il suo esile corpo che quasi planava sospinto dal vento.
Un giorno lo vide arrivare su una carrozzina. I suoi occhi erano rimasti gli stessi. Il tempo non aveva scalfito l'animo. Il corpo lo aveva abbandonato ma si percepiva che stava già volando in quegli spazi infiniti che un tempo avevano già provato insieme.
Lo stava aspettando.
Lui non riusciva più a parlare ma lei non ne aveva bisogno. Quando i loro sguardi si incrociavano era come se gli elettroni di due atomi venissero risucchiati per formare un legame indissolubile.
La loro unione rimase un segreto.
Adele aveva conservato un taccuino: riflessioni, schizzi, poesie di un tempo passato. Glieli leggeva di nascosto, quando furtivamente rimanevano soli.
L'acqua limpida e pura
scivola nel mio animo
e la segue
su pendii di un verde accecante.
II mio canto arriva al cielo
e si perde
tra la pace di uno jak
che contempla il cosmo ruminando.
Sorrisi sdentati di pelle ramata
ci danno il benvenuto
di una luce
che fatichiamo a comprendere.
Le dita incerottate
devono ancora farne di cammino
e il mio respiro vibra nel tuo corpo
leggero tra le nuvole.
Marco rimaneva impassibile ma il suo indice che sembrava porcellanato, liscio e lucido, dava sempre un accenno di movimento nella parte terminale della falange. E Adele contemplava in silenzio.
“Adele! Ma cosa combini? Andiamo a fare la doccia.” diceva una inserviente mentre con una traversa tamponava l'urina sul pavimento.
“Ci rivediamo dopo” mimando di dare un bacio.
“Sì, sì, forse è meglio domani” continuava la tarchiata signora con l'accento dell'est.
C'è sempre un domani che arriva, atteso o disatteso, tragico o di speranza. Adele quel giorno era serena, come la villa; sembrava che un peso le fosse scivolato giù senza più appigli. Si era seduta su una poltrona in giardino e guardava i fiori impollinati da un corteo di api; rimase lì tutto il giorno.
“E tu chi sei?”
“Corrado, piacere, ho iniziato ieri.”
“Ma chi te lo fa fare?”
“Nessuno, è una mia scelta.”
“Sei tutto matto o sei un ricco sfondato che si annoia tutto il giorno.”
“Sa che è simpatica. Ho sentito parlare di lei. Sono appassionato di teatro e mi piacerebbe organizzare un laboratorio, sarebbe molto bello se ne facesse parte, un'artista come lei.”
“Teatro... ricordo un bel auditorium a Doha, si stava svolgendo una convention sulle emissioni di CO2. Mi ero intrufolata e nel momento dell'esposizione delle decisioni finali, feci uno scatto: mi infilai due dita in gola e vomitai addosso a un relatore tutto incravattato che stava dicendo un sacco di cazzate.”
“Ah però! E poi cosa è successo?”
“Una piccola scarica elettrica da 50.000 volt. Avevano pensato a un attentato. Alla fine ero ringalluzzita più di prima.”
“Veramente? Lei è una risorsa. Cosa ne dice se prepariamo qualcosa, come ai vecchi tempi?”
“Sì, partirei con un grande rutto, con un microfono amplificato con effetto eco.”
“Ci sto, facciamo uno spettacolo su questo schifo di paese dove uno morto lo tengono in vita contro la sua volontà e uno vivo lo uccidono in mille modi, uno peggio dell'altro.”
“Sarebbe fantastico!”
“Ma non ho più energie, ormai. Mi è rimasta solo un'ultima promessa da portare a termine.”
“Che cosa?”
“Ce l'eravamo fatta molto tempo fa: chi dei due sarebbe andato più avanti doveva esaudire il desiderio dell'altro. E temo che toccherà a me.”
“Adele, io la conosco da tanto tempo.”
“Ah sì?”
“Sì. Siamo parenti.”
“Io non ho parenti”
“Beh, una zia l'aveva.”
“E tu come lo sai?”
“Mi sono informato.”
“Zia... sì, zia Maria, l'ho conosciuta da piccola.”
“E la cuginetta?”
“Costanza... ricordo un'unica vacanza estiva al mare, sola con la madre. Eravamo due bambine, siamo state benissimo. Poi strade diverse, vite diverse, città diverse. E la tragica fine. Io ero oltreoceano e l'ho saputo mesi dopo. Ma tu chi sei?”
“Sua cugina aveva un figlio...”
“Mi piacerebbe portarti via da qui, mi occuperò di tutto io. Vivo in un posto immerso nella natura, e staresti benissimo.”
“Solo se mi aiuterai nella mia promessa.”
“Tutto quello che vuoi.”
Aria tersa e freddo pungente. Sullo sfondo creste e cime innevate.
Adele era stata accompagnata utilizzando tutti i mezzi a disposizione: asini, jak, portatori con teli infilati in dei bastoni, per dare un po' di sollievo al corpo: sembrava il Dalai Lama in fuga dal Tibet.
Dopo giorni di marcia arrivarono al punto in cui avevano trascorso giornate infinite. Sembrava che il tempo si fosse fermato. La vallata era come dipinta.
Adele tirò fuori la scatola di legno di sandalo intarsiata.
Seguirono canti e riti che si protrassero a lungo.
Poi, le ceneri furono disperse al vento.
“Buon viaggio amore mio, ci rivedremo presto.”
“Cosa dice signora Adele?”
“Mi piacerebbe andarmene facendo un bel viaggio.”
“Non dica così, dopo le porto qualcosa di speciale: un bel budino al cioccolato.”
“Sai dove te lo puoi spalmare?”
“Sempre la battuta pronta! Tenga una caramella, sono buonissime, con un ripieno di crema al pistacchio.”
“Mi fa male ai denti.”
“Ma, Adele... non perde mai il buonumore.”
“Prima che mi rinchiudessero in questa gabbia, sai quante ne ho combinate? Altro che buonumore.”
“Perché, cosa ha fatto?”
“Tanto per dirne una, mi piaceva girare dipinta come un fiore, come natura mi ha fatto, per le chiese, non tutte, solo alcune.”
“Cosa intende, che era nuda?”
“Già, per vedere se potevo essere un diversivo per alcuni preti pedofili.”
“Ma era proprio matta!”
“Io? Infatti, è così che è andata a finire.”
“Stasera c'è un menù speciale, se lo ricorda?”
“No, cosa c'è?”
“Il signor Papetti offre la pizza a tutti.”
“Oh!”
“Mi hanno detto che era già successo, tanti anni fa.”
“Ah sì, ricordo, Papetti faceva il suo ingresso. Ma come mai offre la pizza?”
“Perché oggi è il suo ultimo giorno.”
“E dove va?”
“Eh... gli hanno approvato la partenza.”
“Ma porca miseria! Perché a lui sì? Comunque a me la pizza frullata fa schifo.”
“Come darle torto, ma se ci pensa è come risulta all'interno del nostro stomaco, si risparmia la fatica della masticazione.”
“Se la può mangiare lei allora. Voglio parlare con Papetti.”
“Disgraziato, stronzo, bastardo, come hai potuto fare una cosa simile? Ti ammazzerei io. Ma non lo faccio solo perché hanno tolto la pena di morte. E non fissarmi con quei due occhi che so già cosa vogliono dire. Dovevamo andarcene insieme, tanto tempo fa, quando eravamo ancora felici.”
Adele accarezza dolcemente il viso di Marco.
“Ecco, ti sto bagnando.” Prende un panno e delicatamente tampona le lacrime che gli ha versato sul viso.
Adele e Marco avevano toccato il cielo, giovani, belli, spensierati. Una piccola vacanza in Nepal si era trasformata in anni volati come un battito d'ali di farfalla. Dovettero venire a cercarli per riportarli a casa. Il padre di Adele e la madre di Marco. Si erano fermati mesi, prima di riuscire a rintracciarli in un tempio buddista sulle montagne.
Poi, il trauma del ritorno. Persero l'armonia che li aveva uniti. Presero vie diverse per rincontrarsi, strano gioco del destino, a Villa Serena.
Al rientro, Adele fece fatica a riadattarsi. Non le andava giù nulla di quello che vedeva attorno. Gente che urlava sempre senza motivo, sguardi inchiodati su piccoli schermi, aria irrespirabile e orrende musiche che doveva subire ogni volta che entrava in un posto. Ma quello di cui non si capacitava erano quelle bordure di finta edera di plastica che celavano piccoli quadrati tutti in fila, di due metri per lato, nel quartiere vicino al suo, con un fazzoletto di prato rasato e un tavolino con sedie pieghevoli che si incastravano a fatica. E pensare che quelle gabbie erano considerate un privilegio.
Per un po' si chiuse in se stessa, poi decise di combattere a modo suo, con l'arte. Appariva in performance e installazioni per cercare di scardinare qualche coscienza. Si era specializzata nella body art.
Si mostrava sempre nuda. Una volta nella piazza nella posizione del fiore di loto con una mano che reggeva un vassoio con dei cellulari conficcati in cumulo di escrementi. Altre, danzava indossando delle cuffie con il corpo sapientemente dipinto a imitare macchie, pustole, bubboni, più inquietanti dell'Elephant man di Lynch.
Il segno senza dubbio lo lasciava. Riscuoteva un tale successo che venne invitata nelle maggiori città del mondo a esibirsi. Ma in alcuni posti non la presero bene. Venne arrestata, torturata, umiliata, violentata; rinchiusa per mesi, anni, in vari buchi, in quei paesi che per molto meno portavano sul patibolo nella pubblica piazza chi aveva letto un libro considerato proibito oppure aveva lasciato intravedere la chioma dei capelli.
Infine venne liberata dopo una serie di petizioni internazionali. Ma la sua psiche fu per sempre segnata.
In una delle sue ultime performance, si dipinse imitando il tronco di un albero con i rami: si tagliò in più punti con una lametta a simboleggiare il sangue che sgorga dalle piante. La salvarono per un pelo prima che se ne andasse per dissanguamento.
Subì diversi TSO, farmaci su farmaci finché anche il suo fisico cedette.
Marco viceversa era diventato un ingegnere biomedico di un'importante azienda all'avanguardia nella sperimentazione di nuove tecnologie che, lentamente, ironia della sorte, si era presa anche il suo fisico: una neuropatologia degenerativa lo avrebbe portato alla paralisi completa.
Il loro destino fu una struttura residenziale. Adele, ormai con il fisico raggrinzito, reagì a modo suo: una notte si strappò tutti i denti, quei pochi rimasti, legandoli con un filo uno a uno alla maniglia della porta. Voleva apparire come le anziane che aveva conosciuto sull'Himalaya. Poi, qualche defenestrazione finita miracolosamente senza conseguenze per il suo esile corpo che quasi planava sospinto dal vento.
Un giorno lo vide arrivare su una carrozzina. I suoi occhi erano rimasti gli stessi. Il tempo non aveva scalfito l'animo. Il corpo lo aveva abbandonato ma si percepiva che stava già volando in quegli spazi infiniti che un tempo avevano già provato insieme.
Lo stava aspettando.
Lui non riusciva più a parlare ma lei non ne aveva bisogno. Quando i loro sguardi si incrociavano era come se gli elettroni di due atomi venissero risucchiati per formare un legame indissolubile.
La loro unione rimase un segreto.
Adele aveva conservato un taccuino: riflessioni, schizzi, poesie di un tempo passato. Glieli leggeva di nascosto, quando furtivamente rimanevano soli.
L'acqua limpida e pura
scivola nel mio animo
e la segue
su pendii di un verde accecante.
II mio canto arriva al cielo
e si perde
tra la pace di uno jak
che contempla il cosmo ruminando.
Sorrisi sdentati di pelle ramata
ci danno il benvenuto
di una luce
che fatichiamo a comprendere.
Le dita incerottate
devono ancora farne di cammino
e il mio respiro vibra nel tuo corpo
leggero tra le nuvole.
Marco rimaneva impassibile ma il suo indice che sembrava porcellanato, liscio e lucido, dava sempre un accenno di movimento nella parte terminale della falange. E Adele contemplava in silenzio.
“Adele! Ma cosa combini? Andiamo a fare la doccia.” diceva una inserviente mentre con una traversa tamponava l'urina sul pavimento.
“Ci rivediamo dopo” mimando di dare un bacio.
“Sì, sì, forse è meglio domani” continuava la tarchiata signora con l'accento dell'est.
C'è sempre un domani che arriva, atteso o disatteso, tragico o di speranza. Adele quel giorno era serena, come la villa; sembrava che un peso le fosse scivolato giù senza più appigli. Si era seduta su una poltrona in giardino e guardava i fiori impollinati da un corteo di api; rimase lì tutto il giorno.
“E tu chi sei?”
“Corrado, piacere, ho iniziato ieri.”
“Ma chi te lo fa fare?”
“Nessuno, è una mia scelta.”
“Sei tutto matto o sei un ricco sfondato che si annoia tutto il giorno.”
“Sa che è simpatica. Ho sentito parlare di lei. Sono appassionato di teatro e mi piacerebbe organizzare un laboratorio, sarebbe molto bello se ne facesse parte, un'artista come lei.”
“Teatro... ricordo un bel auditorium a Doha, si stava svolgendo una convention sulle emissioni di CO2. Mi ero intrufolata e nel momento dell'esposizione delle decisioni finali, feci uno scatto: mi infilai due dita in gola e vomitai addosso a un relatore tutto incravattato che stava dicendo un sacco di cazzate.”
“Ah però! E poi cosa è successo?”
“Una piccola scarica elettrica da 50.000 volt. Avevano pensato a un attentato. Alla fine ero ringalluzzita più di prima.”
“Veramente? Lei è una risorsa. Cosa ne dice se prepariamo qualcosa, come ai vecchi tempi?”
“Sì, partirei con un grande rutto, con un microfono amplificato con effetto eco.”
“Ci sto, facciamo uno spettacolo su questo schifo di paese dove uno morto lo tengono in vita contro la sua volontà e uno vivo lo uccidono in mille modi, uno peggio dell'altro.”
“Sarebbe fantastico!”
“Ma non ho più energie, ormai. Mi è rimasta solo un'ultima promessa da portare a termine.”
“Che cosa?”
“Ce l'eravamo fatta molto tempo fa: chi dei due sarebbe andato più avanti doveva esaudire il desiderio dell'altro. E temo che toccherà a me.”
“Adele, io la conosco da tanto tempo.”
“Ah sì?”
“Sì. Siamo parenti.”
“Io non ho parenti”
“Beh, una zia l'aveva.”
“E tu come lo sai?”
“Mi sono informato.”
“Zia... sì, zia Maria, l'ho conosciuta da piccola.”
“E la cuginetta?”
“Costanza... ricordo un'unica vacanza estiva al mare, sola con la madre. Eravamo due bambine, siamo state benissimo. Poi strade diverse, vite diverse, città diverse. E la tragica fine. Io ero oltreoceano e l'ho saputo mesi dopo. Ma tu chi sei?”
“Sua cugina aveva un figlio...”
“Mi piacerebbe portarti via da qui, mi occuperò di tutto io. Vivo in un posto immerso nella natura, e staresti benissimo.”
“Solo se mi aiuterai nella mia promessa.”
“Tutto quello che vuoi.”
Aria tersa e freddo pungente. Sullo sfondo creste e cime innevate.
Adele era stata accompagnata utilizzando tutti i mezzi a disposizione: asini, jak, portatori con teli infilati in dei bastoni, per dare un po' di sollievo al corpo: sembrava il Dalai Lama in fuga dal Tibet.
Dopo giorni di marcia arrivarono al punto in cui avevano trascorso giornate infinite. Sembrava che il tempo si fosse fermato. La vallata era come dipinta.
Adele tirò fuori la scatola di legno di sandalo intarsiata.
Seguirono canti e riti che si protrassero a lungo.
Poi, le ceneri furono disperse al vento.
“Buon viaggio amore mio, ci rivedremo presto.”